venerdì 2 agosto 2024

Verso l'infinito

 

Tutto è duale, ma non in senso statico. Le due polarità si muovono continuamente e si presentano in proporzioni diverse. Questo significa che devono continuamente controbilanciarsi, come due pugili, due schermitori, due ballerini o due eserciti. Un passo avanti dell’uno corrisponderà a un passo indietro dell’altro. Ma, siccome nessuno dei due può vincere definitivamente (pena la fine dell’incontro-scontro), la tendenza è sempre quella di riportare un equilibrio o una parità. Che però non può permanere a lungo, perché anche la parità significa la fine dell’incontro.

Questo si traduce in un dramma umano, perché l’uomo non può trovare a lungo né pace né equilibrio. Siamo su un piano inclinato e dobbiamo tutti cadere. La vita è dunque uno stato inferiore. A che cosa?

Al tutto.

È qualcosa, ma sempre inferiore al tutto.

Molti di coloro che hanno vissuto esperienze di premorte riferiscono che, da morti, non avevano più nessun dolore, mentre il ritorno in vita era sempre accompagnato dalla sofferenza.

La vita è sofferenza, diceva giustamente il Buddha.

Chi è morto si trova in uno stato di benessere, di leggerezza e di consapevolezza. Mentre chi ritorna in vita si trova in uno stato di costrizione, di pesantezza, di limitatezza, rinchiuso in quello scafandro che è il corpo.

Un conto è sentirsi un unico punto di consapevolezza, unito al tutto, parte del tessuto dell’universo, e un altro conto è sentirsi un individuo isolato, pieno di ansie e di paure, sempre minacciato da malattie e distruzione.

La morte è entrare nell’infinito e nell'ampio, la vita è entrare nel finito e nel ristretto . Non troverai un Dio che ha una figura antropomorfa, perché Dio non ha forma, la consapevolezza non ha forma.

La morte è una cosa naturale, facile, liberatoria. Invece essere vivi è difficile e duro: è entrare in una scarpa stretta.

Un giorno ci libereremo di questa scarpa e cammineremo a piedi nudi verso l’infinito.

 

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