giovedì 30 settembre 2010

Livelli di consapevolezza

Consapevolezza è essere chiaramente coscienti di sé e degli altri, ed è un essere presenti a se stessi. E' una questione di livelli, di miliardi di livelli. Tra un animale che non è in grado di dire "io sono cosciente", ma che possiede comunque una coscienza, e un uomo che può dire "io sono" e "io morirò", c'è un salto evolutivo. Ma anche tra un uomo e l'altro ci sono differenze; e non si può escludere che esistano altri esseri che abbiano livelli di consapevolezza ancora superiori. La consapevolezza non è né un pensiero né una sensazione, ma uno stato dell'essere, il livello dell'essere proprio di ciascun essere vivente. E meditare vuol dire cercare di sviluppare il più possibile questa consapevolezza, in modo da poter compiere il salto successivo.

giovedì 23 settembre 2010

Morire giovani

Preti pedofili, evasione fiscale, elettrosmog che uccide i bambini, violazione delle norme antiriciclaggio da parte della banca vaticana, delinquenti sepolti nelle chiese, continue interferenze elettorali...la "Santa" Sede non perde occasione per dimostrare la propria corruzione. Chissà che cosa ne avrebbe pensato quel poveretto che fu crocifisso duemila anni fa. Chissà se si sarebbe riconosciuto in questa istituzione che pretende di definirsi cristiana. O forse no. Forse anche lui si sarebbe trasformato in uno dei tanti preti farisaici...La fortuna di morire a trentatré anni!

lunedì 13 settembre 2010

Il senso della morte

È evidente che lo scopo della vita dovrebbe essere quello di fare esperienza e di sviluppare consapevolezza (e con essa una maggiore "virtù"), e questo intento viene comunque raggiunto anche inconsapevolmente. Ma diventarne consapevoli - e quindi sviluppare un atteggiamento meditativo - potenzia l'intero processo. Esistono tuttavia dei limiti dati dalle predisposizioni innate: non si può sviluppare la consapevolezza se abbiamo un carattere fatto in un certo modo, carattere che deriva dal passato, da tutta l'eredità passata, nostra e degli altri che ci hanno influenzato. Il percorso è dunque lento, frastagliato e spesso lunghissimo; e non può bastare una vita per esaurirlo.Chi ne è consapevole, però, è già in una posizione di vantaggio, e può approfittarne. Ma anche lui non può fare passi da gigante e deve scontare le predisposizioni innate, spesso inconsce.


La morte serve a fare un bilancio periodico e vedere se siamo andati avanti o indietro. Chi lo fa? Noi stessi, attraverso tutto ciò che abbiamo accumulato fino a quel momento. In base alle esperienze e alla consapevolezza accumulate ci collochiamo in un certo piano e in un certo livello. La vita, infatti, è un processo continuo che non s'interrompe con la morte. La morte è solo l'interruzioni di una fase e l'inizio di un'altra. Quale?

Proprio perché la nostra vita attuale è il risultato di un lungo processo di apprendimento e di evoluzione, non è pensabile che basti una sola esistenza ad esaurirne le potenzialità. Veniamo da lontano e andiamo lontano; e non ci troviamo ad un livello molto avanzato: siamo scimmie da poco evolute. Dobbiamo quindi percorrere ancora molta strada. Questo depone a favore di una prosecuzione della vita dopo la morte. Ma quale vita?

Tutto dipende dal livello di consapevolezza e di realizzazione raggiunto; si può dunque ipotizzare un rientro in questo mondo, oppure in altri mondi o in altri universi. Qualcosa di noi si conserverà, altre cose verranno superate e cambiate. Ciò che è pericoloso è la non-vita, la repressione, la rinuncia, tutti atteggiamenti nevrotici che ci indicano che, come nel gioco dell'oca, dovremo tornare indietro di qualche casella e rifare l'esperienza fino ad averla superata; solo allora potremo passare alla casella successiva.

La meditazione non esime in nessun modo dal vivere; anzi, ogni esperienza deve essere vissuta fino in fondo per poterla comprendere, assimilare e magari trascendere.

Nelle religioni di massa esiste un barlume di questi principi, per esempio nei concetti di paradiso, inferno e purgatorio, e in quello di karma. Ma non c'è nessun Dio che ci giudichi, e paradiso e inferno sono sempre compresenti ad ogni livello, e non esauriscono affatto il percorso. Nessuno stato è eterno e immutabile; questo sarebbe davvero la morte.

giovedì 9 settembre 2010

Atei per rispetto

Ci sono persone che si dichiarano atee proprio per il rispetto che hanno verso Dio, ovvero verso un'immagine idealizzata di Dio. Accorgendosi infatti di come è fatto male il mondo e delle leggi violente e spietate che lo governano, concludono che non può essere stato creato da un Dio che è perfezione, bontà ed amore; tutt'al più può essere stato creato da un apprendista stregone, da un artefice poco intelligente, confusionario e rozzo.


Nell'antichità, proprio da queste considerazioni, era nata l' "eresia gnostica", che distingueva appunto tra un Dio supremo ma lontano ed un Demiurgo più vicino ma degenerato - il nostro Dio, quello che viene adorato ignorantemente nelle varie religioni.

In realtà, non si tratta tanto di un'eresia, quanto di una constatazione di chi guarda la realtà non in base a fedi o idee preconcette, ma direttamente. Questa constatazione è talmente vera che nelle varie religioni si è dovuto inventare il concetto di un "peccato originale" o di una "caduta". E così si è giunti a dire che l'uomo e l'universo sono degenerati. In altri termini, si è ributtata la colpa sulle spalle dell'uomo: furono Adamo ed Eva - capite? - che con la loro colpa fecero decadere il mondo.

Si noti dunque a quali arzigoli può arrivare la mente umana pur di arrivare a salvare l'idea di un Dio perfetto.

Che cos'è Dio, ossia il mito di Dio, se non la separazione fra bene e male in un unico Essere, che ovviamente conserva solo il primo dei due termini? Il mito di Dio è che il bene possa essere separato dal male. Ma è possibile fare una medaglia con un'unica faccia? E non è meglio eliminare del tutto l'idea di un Creatore?