lunedì 30 novembre 2015

La guerra del crocefisso

In Italia si riaccende la guerra del crocefisso. Un preside di una scuola di Rozzano ha osato eliminare presepe e crocefisso per rispetto della laicità della scuola ed ecco che si presentano esponenti della destra con in mano presepi e crocefissi, entrano nelle classi mente si svolgono le lezioni e fanno propaganda politica.
Sarebbe ora che i nostri bambini fossero lasciati crescere senza questa propaganda politico-religiosa. Se un giorno entrassero musulmani con in mano la mezzaluna, che cosa diremmo?
La scuola dovrebbe essere laica sul piano politico e sul piano religioso, e non vi dovrebbero entrare né simboli religiosi né politici populisti.
Chi difenderà i nostri figli da chi li vuole condizionare in questo modo spudorato? Lasciamo che si formino da soli un loro giudizio, senza costringerli ad adottare un’ideologia precostituita.

Il rispetto per i bambini – ecco che cosa manca in questo paese.

La nuda attenzione

Il problema dell’autocoscienza è che la mente conoscitiva è piena di pregiudizi, concetti, idee, principi, dogmi, valori, fantasie, ecc., di tutte le conoscenze e le esperienze accumulate nella vita. Quando perciò guardiamo noi stessi, ci vediamo attraverso mille filtri e non ci conosciamo obiettivamente. Abbiamo solo un’immagine, una delle tante, di noi stessi.
La consapevolezza di sé è un’altra cosa: in essa scompaiono i filtri mentali e guardiamo limpidamente. Quello che vediamo, quando sospendiamo tutti i concetti, è uno stato incondizionato, il semplice essere.

Il semplice essere, colto con la nuda attenzione, non può essere colto concettualmente (con scorno dei filosofi), ma solo esperienzialmente allorché si sospendono tutte le altre attività mentali.

Pensiero e realtà

Non è mai come si pensa. La realtà è sempre al di sotto o al di sopra di come la immaginiamo.

Il fatto è che il pensiero non è sullo stesso piano del reale.

Le preoccupazioni

Noi ci preoccupiamo continuamente dell’incertezza del nostro futuro. Ma il futuro è sempre incerto per definizione e, per quanto ci sforziamo di prevenire il peggio, il male può sempre colpirci.
Se ce ne siamo preoccupati anche prima, lo avremo solo aumentato.
Un proverbio dice: “Preoccuparsi è il passatempo preferito del Diavolo”.

Preoccuparsi non ha niente a che fare con lo stare attenti. Lo stare attenti si applica al presente, il preoccuparsi al futuro.

Guerre e porte "sante"

Per un lapsus, avevo letto il seguente titolo di giornale: “A Bangui, il Papa apre la guerra santa”. Poi ho letto meglio: “A Bangui, il Papa apre la porta santa”.
Però, ripensandoci, è la stessa cosa. Andare a portare una religione in paesi del terzo mondo significa di sicuro scatenare, prima o poi, una guerra “santa”.
Non esistono religioni non-violente, religioni che non siano in concorrenza con le altre.

Ogni religione ha una sua volontà di potenza egemonica che basta a farne non uno strumento di pace, ma uno strumento di guerra.

domenica 29 novembre 2015

Incompatibilità

Eugenio Scalfari, che oggi ammira tanto il Papa, aveva scritto su La Repubblica del 30-09-2005: “Esiste una lampante incompatibilità tra un regime democratico e una religione ancorata a valori assoluti e dogmaticamente istituzionalizzati”.

Attenti dunque: il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Condizionamenti profondi

Un tizio è convinto che l’ebraismo faccia parte del suo “io” più profondo, finché la madre, sul letto di morte, gli rivela che suo padre è un altro.

Profonde convinzioni che svaniscono in un attimo: queste sono le radici religione.

Confutazione

Se non possiamo pensare niente che non abbia una causa, allora anche Dio deve avere una causa. E tutto ricomincia da capo…perché tutto è circolare.

Se tutto è circolare, non c’è bisogno né di un inizio né di una fine.

Compassione e ribellione

I poveri salmoni che ad un certo punto della loro vita sentono un irresistibile richiamo a tornare là da dove erano venuti e percorrono centinaia o migliaia di chilometri, risalendo fiumi, sfuggendo agli orsi, dimagrendo e trasformandosi, finché arrivano esausti alla meta dove depositano uova e sperma, e finalmente muoiono… non sono come noi uomini?
E se ci fanno pena loro, non dovremmo provare compassione anche per la nostra condizione?
E se ci sembrano stupidi loro, non dovremmo considerarci stupidi anche noi?
C’è mai stato un salmone che si sia posto la domanda: “Ma ne vale la pena? Non sarebbe meglio starsene qui, senza affrontare questo viaggio mortale?”
Anche le sardine sono attirate dalla luce della lampara. Credono di raggiungere un mondo migliore. Ma finiscono in scatola.

Attenti: non tutte le luci sono buone. Non tutti i pastori vi conducono all’ovile giusto.

Religioni come miti

“C’è molta gente superficiale che prende le cose alla lettera.”

                                  John Keats

Morale laica

Seneca: “Non è bene vivere, ma vivere bene”.
Hans Küng: “Con la libertà Dio ha dato all’uomo anche il diritto alla totale autodeterminazione, che non significa arbitrio, ma libertà di coscienza”.

Seneca: “Dovrei aspettare la crudeltà di una malattia o di un uomo, quando posso andarmene sfuggendo ai tormenti e alle avversità?”

Silenzi

Se vuoi meditare, impara a stare in silenzio, con gli altri e con te stesso. Ma tacere non basta.
Ogni silenzio ha una sua qualità.

Proust lo aveva capito, tanto da parlare, in La strada di Swan, di “una bella qualità di silenzio.”

Come morire

Fa’ in modo che il tuo morire non sia un trapassare, ma un oltrepassare.
La morte come porta.

Entrare nella morte calmo, come su un sentiero che prima sembrava scosceso, pericoloso e pauroso e poi si rivela facile.

Crocefisso e mezzaluna

Fanno benissimo quei presidi che eliminano feste di natale, presepi e crocefissi dalle scuole pubbliche. E non per rispetto delle altre religioni. Ma per rispetto verso la status laico della scuola pubblica. Lo dico da anni. Queste cerimonie ognuno le faccia a casa propria. Lo Stato italiano deve essere al di sopra delle varie confessioni. Se non facciamo così, un giorno dovremo subire anche le feste dell’islam.

Qualcuno obietta: la maggioranza degli italiani è cattolica e quindi è giusto che… E se un giorno la maggioranza, in un paese o in una regione, fosse musulmana, dovremmo appendere la mezzaluna nelle scuole ?

sabato 28 novembre 2015

Lo viluppo della consapevolezza

Lo sviluppo della consapevolezza non significa un aumento della coscienza dell’ “io sono”, ma uno stato di consapevolezza in cui l’io quasi scompare.

Quando sei troppo cosciente di te stesso, del tuo io, in realtà sei meno consapevole.

La stampella della fede

Non definiamo fortunato uno che ha bisogno di una stampella per stare in piedi. Senza quella stampella cadrebbe di schianto.
Eppure la fede in Dio è proprio come una stampella, senza la quale i credenti cadrebbero rovinosamente.

Molto meglio chi ha imparato a stare in piedi senza stampelle, coraggiosamente.

Il peccato religioso

Il vero peccato originale non è, come ci raccontano i religiosi, la disubbidienza dell’uomo a Dio, ossia il suo sacrosanto desiderio di autonomia, ma la presunzione di tanti uomini di conoscere Dio, di parlare a suo nome, di sapere quale sia la sua volontà.

Il peccato è la religione organizzata, dogmatica, istituzionale, in cui non c’è più nessuna spiritualità, ma solo desiderio di potere.

I funerali di Valeria

I funerali di Valeria Solesin, morta negli attentati di Parigi, sono stati un bell’esempio di funerali laici: non in una chiesa ma in una piazza.
E dimostrano quanta vera spiritualità possa esserci in chi non professa nessuna religione, ma si dedica ad aiutare gli altri senza tante ostentazioni di croci e di vuoti discorsi.
Oggi, di fronte alla sfida islamica, c’è chi vorrebbe rispondere appendendo crocifissi in ogni scuola e luogo pubblico.

Invece, di fronte alle sfide dell’integralismo religioso, si risponde rafforzando lo Stato laico e la spiritualità laica.

Il santo dubbio

In Occidente non so chi sarebbe disposto a farsi esplodere per motivi “religiosi”, con la certezza di finire in paradiso, così come fanno certi fanatici musulmani.

Santo dubbio, santa incertezza, santa mancanza di fede…

Genitori e figli

Un antico proverbio indiano dice: “I genitori danno due cose ai figli: le radici e le ali”.

Ma ci sono genitori che non solo non danno ali ai figli, ma gliele tarpano.

venerdì 27 novembre 2015

Cercatori d'infinito

Attento: per i cercatori d’infinito, per chi non si accontenta di insoddisfacenti verità convenzionali, l’oscurità è sempre in agguato.
Ogni alba è preceduta da una notte.

San Giovanni della Croce parlava di “notti oscure dell’anima.”

Le certezze

Ci sono persone che conoscono troppe cose per avere delle certezze.
Chi conosce molto, sa che certe certezze sono infondate.

Il problema è che certe certezze infondate, e quindi certi errori, proprio perché vengono ripetuti a lungo, sono più forti della realtà.

Pregare

Quando pensi, sei separato dall’esistenza.
Anche se preghi, proprio perché preghi qualcuno, sei separato da lui.

Kabir diceva: “Quando ti stavo cercando, non c’eri. E ora che ci sei, non c’è chi ti cerca”.

La meditazione come togliere

La meditazione non è tanto il prodotto di una tecnica, quanto l’eliminazione di tutte le tecniche mentali.
Non sono io che faccio meditazione, ma è la meditazione che accade dopo che ho tolto ogni contenuto mentale.
Quando ti rompi una gamba, ti ingessano. Ma non sei tu che guarisci; la gamba guarisce da sé dopo che l’hai immobilizzata.
Proprio così: la meditazione accade da sola. Ma questo non significa che non debba fare nulla. Qualcosa si deve fare. È il non-fare.

Non si tratta di trovare, ma di togliere tutti gli strati. Non si tratta di una verità da pensare, ma di cogliere ciò che sta sotto o tra le “verità” della mente. Non si tratta di dare forma, ma di spogliarsi di ogni forma del pensiero.

La verità come chiarificazione

La verità non è una cosa nuova, né una cosa vecchia, ma qualcosa che avevamo sotto gli occhi da sempre e che non riconoscevamo, perché poco consapevoli, poco attenti, poco lucidi, “miopi”.
È come il processo del tradurre: da un testo confuso, poco chiaro, oscuro, emerge a poco a poco un nuovo significato che, lavorandoci sopra, diventerà sempre più chiaro.

Allora capiremo interamente ciò che prima intuivamo vagamente.

La mitezza

Siamo nella civiltà non tanto del libro quanto della traduzione. Per esempio, la frase “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” venne pronunciata anche da Confucio. Ma per Confucio, questo atteggiamento si definiva mitezza, non amore.
Perché nei Vangeli è stato tradotto “amore”? Non c’è in questa parola qualcosa di troppo?
Si tratta infatti di un atteggiamento di equilibrio, di intelligenza e anche di convenienza. Dunque, un problema di traduzione. Se fosse stato tradotto “mitezza” anziché amore, non avremmo avuto quella passionalità che è collegata alla parola amore.

Per comportarsi con mitezza e con saggezza, non c’è bisogno di un amore passionale. Ma di compassione e di comprensione.

Dio come trascendenza

Dio che si fa uomo?
È quello che vorrebbero gli uomini, certi uomini.

Ma Dio resta irriducibilmente disumano.

giovedì 26 novembre 2015

Bolle di sapone

Non c’è un essere che “diventa consapevole di”, ma una coscienza cosmica che s’incarna in un corpo e in un senso dell’io.
Si autolimita per un po’, ma non può autoconfinarsi a lungo. Così, alla fine, esplode.

Perché è chiaro che l’io è un ostacolo a ricongiungersi con il Tutto.

La distinzione

“Che cosa distingue Dio dal Diavolo?” domandai in un sogno.

“Non sempre c’è una differenza” mi fu risposto.

Samatha

In meditazione la pratica coincide con la realizzazione. Non nel senso che diventeremo di colpo degli illuminati onniscienti, ma nel senso che otterremo subito quello stato di calma, di benessere, di serenità e di chiarezza mentale che è uno degli scopi della pratica.
Mentre le religioni ti promettono qualcosa che potrai verificare solo dopo la morte, la meditazione ti dice che nel momento in cui pratichi ottieni già quello che cerchi, non per una grazia divina, ma in modo proporzionale ai tuoi sforzi.
I nemici della meditazione sono l’agitazione, la confusione, il disagio, l’insoddisfazione e il malessere. In tutti questi casi la pratica diventa più difficile, ma non impossibile. Anzi, la via consiste proprio nel vincere questi stati negativi, o convivere con essi, per ottenere di nuovo la calma. Questa è la pratica che si chiama śamatha (pronuncia sciamata).
In sintesi si tratta di rimanere attenti, presenti e sereni, vincendo i pensieri distraenti.
Di solito, per ottenere questo risultato, ci si concentra sulle sensazioni fisiche del respiro allontanando i vari disturbi mentali.
Naturalmente, quando ci alziamo dal cuscino di meditazione, i pensieri distraenti si ripresentano di nuovo. E allora qui entra in gioco la nostra capacità di esserne consapevoli. La consapevolezza ci permette di prenderne le distanze, di assorbirli e di attutirli. A volte si tratta di una lotta lunga, che va ripetuta giorno per giorno, aiutati dallo śamatha.

Tra realizzazione della calma e sviluppo della consapevolezza, abbiamo a disposizione un potente strumento di trasformazione. Non saremo più gli stessi e prenderemo in mano il nostro destino.

mercoledì 25 novembre 2015

Il peccato

Il peccato non è andare contro Dio o contro la natura definita in modo generico e dogmatico. Ma andare contro la tua natura.
Se, per esempio, sei omosessuale,il peccato non sarà andare contro i dogmi di qualche religione, ma reprimere la tua natura, ciò che sei, perché sarai solo infelice e represso.

E la natura vuole la felicità degli individui, la loro completa esplicitazione. Altrimenti, perché nascere?

Il lavoro su di sé

Qualcuno pensa che basti un singolo evento – una rivoluzione o un’illuminazione - per cambiare di colpo la vita di una persona.
Ma, nel campo della meditazione, non è sufficiente. Bisogna lavorarci a lungo sopra ed elaborare l’esperienza. L’evento eccezionale conta, ma non può penetrare nelle profondità dell’essere.
Così si spiega perché certi illuminati o certi rivoluzionari continuino a nutrire vecchi pregiudizi.
In meditazione (e in realtà nella natura umana) è necessario un cammino graduale, un lavoro interiore continuo.

Come diceva Osho, “evoluzione, non rivoluzione.”

Oltre il bene e il male

Se la realtà fosse una lotta tra due principi contrapposti (il bene e il male), chi ci assicura che finirà con la vittoria del bene? Potrebbe vincere il male.
Per fortuna o per disgrazia, bene e male sono solo apparentemente contrapposti, ma in realtà complementari. Dunque, non vincerà né l’uno né l’altro: continueranno a combattersi e a sostenersi a vicenda.

Non c’è soluzione a questa guerra se non nel superamento di entrambi. Al di là del bene-male. Ma, per capire questo, ci vuole un’umanità ben più evoluta. 

Separarsi dagli altri

“Perché gli ebrei non possono mangiare maiale e crostacei” si domandava il rabbino di Roma, Elio Toaff. E rispondeva: “Per creare una separazione dagli altri”.
E poi si meravigliava perché “c’è sempre qualcuno che vuole fare del popolo ebraico il capro espiatorio.”

La volontà di separarsi dagli altri, di fare di sé un popolo speciale, “eletto”, è all’origine di un atteggiamento storico che fa degli ebrei un bersaglio privilegiato.

martedì 24 novembre 2015

Studi scientifici sulla meditazione

Secondo uno studio giapponese della Kyoto University, pubblicato sulla rivista “Scientific Reports”, il centro cerebrale della felicità si trova in un’area del cervello, il precuneo, situata all’apice della testa, nei lobi parietali. Quanto più questa zona è estesa, tanto più si è felici.

Non si tratta di un’area fissa. Essendo legata ala capacità di riflettere su se stessi, può essere allargata. E si è constatato che un programma di meditazione è in grado di aumentare la materia grigia del precuneo.

Oltre le illusioni

Se viviamo in un mondo in continuo mutamento, se tutto è impermanente, è inutile illudersi di ottenere uno stato di pace che sia stabile e duraturo.
Molti intendono l’illuminazione come la ricerca di un “centro di gravità permanente”.
In realtà, come cambiano le condizioni esterne, così cambiano gli stati d’animo interni.
Ma, in mezzo a tutta questa confusione, qualcosa possiamo non cambiare: la nostra attenzione, la nostra “presenza mentale” a ciò che di volta in volta accade esternamente e internamente.
C’è dunque un livello superiore di stabilità, che non ci viene regalato, ma che è proprio il risultato della pratica della meditazione; un livello che dipende dal nostro impegno, dal nostro addestramento.

È così che creiamo uno spazio interiore di testimonianza che può essere salvaguardato in ogni circostanza. Il corpo e la mente hanno le loro evoluzioni e le loro reazioni, ma noi costruiamo un punto di osservazione che è in grado di resistere a ogni genere di ondate.

lunedì 23 novembre 2015

L'arte della guida

Qual è lo scopo della vita? C’è un’altra vita dopo la morte…?
Ma, prima di porci simili domande, siamo sicuri di saper vivere, di vivere una vita autentica?
Siamo come uno che sa appena guidare e già si domanda se vincerà il campionato del mondo. Prima impariamo a guidare, a conoscere tutti i segreti della guida, a farci tutte le esperienze, ad apprendere tutte le tecniche, e poi, quando la guida non avrà più segreti, potremo pensare di diventare piloti di formula uno.
Siamo sicuri di essere dei piloti così esperti, di avere tanta esperienza, di essere andati così avanti?
Siamo sicuri di saper vivere? Siamo sicuri di aver condotto una vita autentica, di non aver sprecato il nostro tempo in esperienze fasulle, in ripetizioni senza senso, in divagazioni inutili?
Siamo sicuri di essere andati così a fondo, di non essere rimasti alla superficie, di non aver vissuto di schemi, di convenzioni e di abitudini?
Siamo consapevoli della nostra vita o viviamo ad occhi chiusi? Siamo sicuri di essere stati veramente noi stessi e di non essere stati semplici marionette?
Siamo svegli o siamo sonnambuli?

Dunque, impariamo a vivere prima di poter rispondere a certe domande. Impariamo a guidare nelle nostre comuni strade prima di poter guidare nella formula uno.

La natura delle religioni

Non c’è una religione migliore o più buona delle altre. In quanto religioni organizzate, sono tutte ugualmente violente e pronte ad essere intolleranti: islam, cristianesimo, giudaismo, induismo, buddhismo, ecc.
Quando uno Stato abbraccia ufficialmente una religione, state tranquilli che diventa autoritario.
Guai ai paesi in cui alla religione viene dato il potere temporale. Diventano teocrazie mostruose.
Guai a far uscire la religione dall’ambito privato e farla arrivare al potere politico.
Si raccontano tante sciocchezze, per esempio che il cristianesimo sia all’origine del riconoscimento dei diritti universali dell’uomo. Ma quando mai? I diritti dell’uomo sono nati dall’Illuminismo e stati strappati al totalitarismo religioso, che li ha sempre avversati.
Guai alle religioni dei sacerdoti, che diventano macchine di privilegio e di indottrinamento forzoso e sistematico. Gesù non era un sacerdote, Maometto non era un sacerdote, Mosè non era un sacerdote…
In Italia, Papa Francesco viene sbandierato ogni momento nei giornali, nei telegiornali e nei giornali radio come se fosse la bandiera della tolleranza, della mitezza, della moderazione e della democrazia. Ma provate a chiedergli il riconoscimento di certi diritti fondamentali, che non sono ancora stati accettati per l’opposizione della Chiesa (unioni civili, fecondazione eterologa, eutanasia, matrimoni omosessuali, ecc.) e vedrete saltar fuori la sua vera natura, la vera natura del sacerdote, di ogni sacerdote.
D'altronde, come dice bene oggi Ezio Mauro e come rivela bene la recente fuga di notizie ad opera di due giornalisti, in Vaticano non c'è neppure la libertà di stampa.

Non esiste una religione libertaria. Ciò che è basato sulla fede, sulla tradizione, sui dogmi e sull’istituzione di una casta vuole imporre, non lasciare libertà di scelta.

domenica 22 novembre 2015

Rimanere presenti

Non è facile rimanere ancorati al presente. Quando infatti veniamo trasportati via dalle nostre elucubrazioni mentali, ce ne allontaniamo e finiamo in un mondo di pensieri. La nostra attenzione viene deviata da ciò che accade veramente a ciò che viene elaborato dalla nostra immaginazione.
Guardate come se ne va in giro la gente: immersa nei propri pensieri, senza vedere niente.
Un buon metodo per rimanere nel presente è quello indicato da Ezra Bayda, insegnante americano di zen.
Domandiamoci ogni tanto: “Che cosa sta accadendo in questo preciso momento? Che cosa provo? Che cosa sento?”
Queste domande, associate ad un ritorno alla consapevolezza del respiro, ci permettono di uscire dalle fantasie della mente.
Per ribadire l’operazione, si può anche aggiungere una seconda frase: “Non sta accadendo ora!”
Con questo ci rendiamo conto che ciò che immaginiamo non avviene nella realtà, ma solo nella nostra mente.

Le due frasi hanno il potere di tagliare alla radice le ruminazioni mentali. In particolare, quando, incominciamo a immaginare scenari di sventura e ogni genere di preoccupazione, diciamoci in un lampo: “Non sta accadendo ora!”

Teocrazie

Non so se avete letto la notizia che in Arabia Saudita è stato condannato a morte un poeta palestinese che aveva “dubitato dell’esistenza di Dio”. E sempre per motivi religiosi sono state condannate a morte in un anno 150 persone.
Eh, sì, perché in questo paese, cui noi vendiamo armi, esiste una “polizia religiosa” che si occupa di stanare reati del genere.
Diciamo che solo uno Stato teocratico può arrivare a simili nefandezze. Le stesse cose potevano succedere secoli fa ad opera dell’Inquisizione cattolica.
Di fronte a simili residui di barbarie in nome di Dio, dobbiamo rivalutare la tanto disprezzata civiltà occidentale che ha superato la fusione tra Stato e religione ed ha prodotto una società laica, in grado di contrastare, più o meno bene, le pretese teocratiche dei fondamentalisti.


sabato 21 novembre 2015

La pratica della consapevolezza

Noi proponiamo a tutti la pratica della consapevolezza, che non è una religione – o che è la vera religione (tema di questo blog).
Ma ci ascoltano in pochi.
La gente crede ancora nelle religioni tradizionali, dove non si vede un briciolo di consapevolezza, ma solo un semplice schierarsi, una completa sottomissione a ideologie del conformismo.
Introduciamo questa pratica nelle scuole, non l’indottrinamento religioso.
La pratica della consapevolezza è la più semplice possibile, ma proprio per questo la più difficile. Sembra inconsistente, e invece è potente.
Consiste nell’essere pienamente consapevoli di ciò che ci succede prima in certi momenti e poi in ogni momento.
Siamo a disagio, siamo vuoti, siamo ansiosi, siamo angosciati, siamo terrorizzati? Non è un problema per la meditazione. Anzi, è tutto utile carburante.
Fermiamoci un attimo e cerchiamo di esserne consapevoli. Impariamo a dimorare anche nel disorientamento.
Le religioni cercano di darci un senso intruppandoci in ideologie totalitarie che ci riducono a servi obbedienti di un Moloch. La meditazione cerca di liberarci attraverso la pratica della consapevolezza.


La malattia mortale

Non trovo una gran differenza tra questi terroristi islamici che uccidono a casaccio e si suicidano e i giovani americani o svedesi che un bel giorno si armano e si mettono a uccidere i compagni di scuola. La stessa follia omicida, lo stesso nichilismo, la stessa volontà di farla finita con tutti e con tutto, la stessa mancanza di consapevolezza.

Sono le vittime di una malattia mentale che colpisce i giovani, e che nasce direttamente dalle nostre insensate società che non sanno cosa farsene dei giovani e che prospettano loro solo un grigio conformismo, vite prive di scopo.

Il Dio della morte

L’avevo previsto. Qualche nostro integralista ha già detto: “Il nostro Dio è il Dio dei vivi, mentre quello musulmano è il Dio dei morti”.
Come se i cristiani non avessero fatto in passato le stesse stragi, le stesse uccisioni e gli stessi misfatti dei musulmani.

Come se il Dio delle religioni che sconciano la mente umana non fosse sia un Dio della vita sia un Dio della morte.

L'esperienza della precarietà

A volte crediamo che la meditazione, favorendo la calma e il distacco, dovrebbe liberarci per sempre dalla tensione, dall’ansia e dalla paura.
Quando perciò avviene qualcosa che ci riporta a questi stati d’animo, concludiamo che la pratica non ci è servita a niente.
Ma la meditazione non è né un tranquillante magico né una forma anestesia e non ci assicura l’invulnerabilità nei confronti delle emozioni negative.
Semmai è una pratica che ci addestra a non farci travolgere quando veniamo attaccati dal panico.
Noi non operiamo direttamente sulle emozioni, ma sulla nostra reazione alle emozioni.

Con la meditazione scopriamo che possiamo convivere anche con le emozioni negative. Loro svolgono la loro funzione ad un certo livello, mentre noi dimoriamo ad un altro livello, più profondo o più elevato.

venerdì 20 novembre 2015

La rabbia

Quanta gente ti assale, ti aggredisce e ti insulta per un nonnulla?
Il fatto è che l’atteggiamento iroso ci dà l’idea di avere forza e potere, di superare le nostre inibizioni.
Se però grattate un po’ sotto la superficie, vi troverete la paura e la vulnerabilità.
A questo serve la rabbia: a difenderci dalla nostra debolezza.
Qualcuno poi la rivolge verso se stesso, e allora si sviluppano strane malattie.

Siate consapevoli della rabbia. Questo è un modo non per reprimerla, ma per esprimerla.

Amore personale e amore impersonale

Già il concetto di amore, applicato a Dio, è improprio. Si può amare senza preferire o privilegiare?
D’altronde, come potrebbe una persona (divina o meno) amare tutti allo stesso modo? Noi lo vediamo: amiamo qualcuno, non tutti.
Per amare tutti bisogna essere impersonali.
Pensiamo al ridicolo Dio della Bibbia - un Dio Persona. Ama, odia, parteggia, sceglie, discrimina… Sceglie addirittura un popolo… e perché mai?
Il comportamento appunto di una Persona, non di un Essere impersonale.
Un Essere impersonale dovrebbe essere come il sole, che invia a tutti la sua luce, senza distinguere.
È per questo che il divino non può intervenire a favore di questo o di quello. La funzione dell’Essere è quella di lasciar essere tutti indiscriminatamente.


Il problema dei problemi

Il problema è avidya, l’ignoranza che avvolge l’umanità come una fitta nebbia.
Milioni, miliardi, di uomini che hanno un’idea infantile della religione, che credono ciecamente in una certa immagine di Dio, che credono che un “libro sacro” esprima la parola divina, e se Dio (cioè qualche suo interprete umano) dice di uccidere, loro uccidono senza un dubbio.
Uomini che sono pronti a morire in attentati suicidi… quale miglior esempio di fede religiosa? E quale miglior esempio di ignoranza?
Di niente possono essere sicuri, ma credono lo stesso.

La cultura vi rende liberi, l’ignoranza vi rende schiavi. E la religione.

giovedì 19 novembre 2015

La personificazione di Dio

Dice il Dalai Lama: “È illogico solo pregare: i problemi umani non li risolve Dio”.
In effetti, se i problemi li abbiamo creati noi, perché mai un Altro dovrebbe risolverceli? Per esempio, guerre e terrorismo chi li ha creati?
Però, ci sono problemi strutturali che non sono creati dagli uomini, ma che attengono alla natura stessa. Siamo sicuri che la guerra non sia essa stessa la conseguenza di una struttura della natura (o di Dio) che vuole l’evoluzione attraverso lo scontro e la competizione continui?
E se Dio non risolve i problemi che ha creato lui, figuriamoci se risolve quelli creati dagli uomini.
Il fatto è che i credenti hanno personificato una Forza che è impersonale. È un po’ come la luce o l’energia: vi mettereste a pregare la luce o l’energia? E perché Dio sì?
Le religioni sono basate su questa personificazione di Dio: Dio che crea, Dio che si esprime, Dio che comunica con gli uomini, Dio che premia e castiga, Dio che invia profeti, messaggeri, messia e salvatori, Dio che esaudisce i nostri desideri…
In tutte queste immagini, Dio viene sentito come un Essere esterno a noi.
Ma in realtà questa Forza è presente in tutto e in tutti. E non c’è bisogno che invii o comunichi qualcosa; lo ha già fatto. È qui. È in noi. È noi.
E quindi noi non dobbiamo pregarla, così come non dobbiamo pregare il nostro braccio perché si allunghi. Lo allunghiamo e basta.
Questo dobbiamo capire. Non dobbiamo pregare un Dio-Altro, ma essere o agire il divino.
Anzi, proprio perché lo preghiamo, non lo siamo.

Noi siamo il divino che si è alienato personificandosi e che, a questo punto, non si riconosce.

Strategie di sopravvivenza

Tutti noi ci sentiamo in certi momenti inadeguati, incapaci, difettosi, schiacciati, indegni, non all’altezza; e questo ci fa soffrire, ci tormenta, ci fa sentire in ansia e ci crea un complesso di inferiorità.
Per ovviate a tale malessere, mettiamo in campo varie strategie: ci diamo da fare per correggere e migliorare, cerchiamo il successo e la ricchezza, diventiamo arrampicatori sociali, diamo a vedere di essere forti e sicuri, ci dedichiamo al sostegno e all’aiuto degli altri, ci chiudiamo come dei ricci per difenderci, ci diamo a svaghi, divertimenti, avventure, viaggi o sport estremi, cerchiamo di sentirci speciali, siamo sempre arrabbiati con il mondo, diventiamo conformisti, difendiamo l’ordine costituito, diventiamo fedeli di qualche religione, di qualche partito, di qualche associazione o di qualche movimento, sogniamo di fare la rivoluzione, aspiriamo ad un ordine nuovo, ci sforziamo di essere razionali, pensiamo che la bontà, il cuore e i sentimenti siano l’unica via, pensiamo che dobbiamo essere cattivi e spietati, e così via. E, quando non riusciamo a mettere in atto la nostra strategia, cadiamo in depressione.
È molto importante riuscire a capire qual è la strategia o le strategie che adottiamo più frequentemente. Si tratta di schemi che abbiamo messo a punto nel corso degli anni, spesso inconsciamente, in risposta a determinare circostanze esterne e alle nostre caratteristiche psicologiche.
Se vogliamo capire chi siamo, dobbiamo sapere come ci comportiamo abitualmente. Ma, per far questo, non basta rivolgersi a qualche psicanalista o psicoterapeuta. Dobbiamo osservarci.
Ogni tanto, durante la giornata, dobbiamo fermarci e rivedere come in un filmato come ci siamo comportati. Solo noi, infatti, siamo sempre in contatto con noi stessi. Solo noi possiamo vederci sempre.
Ma dobbiamo essere onesti; non dobbiamo barare.
L’importante è adottare uno sguardo introspettivo e retrospettivo. E, una volta identificati gli schemi ripetitivi, possiamo procedere a cambiarli. Anzi, il riuscire a vederci è già un cambiamento.

Per cambiare non abbiamo bisogno di prendere decisioni eroiche e di compiere sforzi immani: ci basta guardare. Come certe malattie della pelle guariscono se le esponiamo alla luce del sole, così i difetti del nostro piccolo ego si curano se li sottoponiamo alla luce della consapevolezza.

mercoledì 18 novembre 2015

Superare le identificazioni

Il nostro problema è che crediamo di sapere chi siamo: abbiamo una precisa immagine di noi stessi, come la foto di una carta d’identità. “Questo sono io” diciamo.
Sentiamo di essere quella persona, nata il…, figlia di…, che ha vissuto a…, che ha tot anni…, che ha studiato a…, che ha fatto quelle esperienze, ecc.
Ma è proprio questa convinzione che ci chiude in uno spazio angusto, dove poi ci sentiamo imprigionati.
Sentirsi individui è sentirsi ingabbiati.
Ma proviamo per qualche attimo a dimenticarci tutto, a non pensarci, a non identificarci con quella persona. Che cosa rimane?
Qualcosa rimane, perché non è che spariamo all’improvviso.
Quello che rimane è una pura presenza e quello che scompare è la vecchia identificazione con l’io della carta d’identità.
Il modo in cui pensiamo di essere, il modo in cui siamo convinti di essere, è la nostra identificazione, cioè la nostra identità empirica.
Però un’identità di questo genere è chiaramente un costrutto mentale, dunque qualcosa che può essere cambiato o soppresso.
Ed è la meditazione, con la sua sospensione dell’identificazione tradizionale, che ci toglie questa ingessatura e ci permette di ritrovare lo spazio più ampio in cui era incastonata la vecchia identità.

Che cosa proviamo? Non ci sentiamo più liberi?

martedì 17 novembre 2015

Jihad

Se credevate che le religioni avessero perso la loro forza velenosa (capace di inquinare le menti) e che le guerre religiose fossero un ricordo di un passato barbarico, ormai vi sarete ricreduti. In ogni religione esistono elementi arcaici che sono sempre pronti a saltar fuori.
Ho sempre sostenuto che la terza guerra mondiale si sarebbe combattuta per motivi religiosi, ed eccoci qui. Non ne siete convinti? Ma se lo scopo dei jihadisti fosse stato solo quello di costituire uno Stato islamico, lo avrebbero già raggiunto. Perché attaccare l’Occidente e l’Europa?
Il fatto è che le religioni (tutte, chi più chi meno) sono espressioni della volontà di potenza, ossia del desiderio di gruppi di uomini di conquistare e di sottomettere l’intero mondo. Quale religione non è animata da questo proposito? “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” viene fatto dire a Gesù. E così è stato fatto nei secoli, talvolta con l’aiuto degli eserciti.
Jihad significa proprio questo: guerra dei musulmani che vogliono estendere la loro fede a tutta l’umanità. Con le buone o con le cattive.
Nel Corano troviamo appelli alla “guerra santa”: “Combattete a fondo nel sentiero di Dio, combattete contro chi vi combatte, ma non eccedete, perché Dio non vuol bene a coloro che esagerano. Ammazzateli ovunque essi si incontrino! Fateli uscire da dove essi vi hanno cacciato!” (2, 190-191). “Combattete coloro che non credono in Dio e nell’Ultimo Giorno, che non vietano ciò che Dio e il suo Messagero hanno vietato. Combattete, fra le genti della scrittura, coloro che non praticano la vera religione. Combatteteli finché non abbiano pagato il tributo e non siano soggiogati” (9, 29). Anche se poi aggiunge: “Qualora poi desistano, sappiate che Dio è colui che perdona, è il Dio della misericordia” (2, 192).
Ovviamente, adesso, anche i nostri fondamentalisti rialzeranno la cresta e incominceranno a contrapporre il “nostro Signore” al “loro Signore”, per fare a gara a chi è più potente.
Il problema è che l’idea stessa di Dio, l’Onnipotente, è legata indissolubilmente alla volontà di potenza umana. E finché ci saranno religioni di un simile Dio, ci saranno individui invasati, pronti a uccidere per far prevalere la loro fede.


Liberarsi dall'identificazione

È molto difficile essere sinceri con gli altri. Ma anche con noi stessi.
Il motivo è che viviamo in base ad immagini che ci siamo fatti, in base a narrazioni che raccontiamo su noi stessi. Le chiamiamo “narrazioni” dal momento che sono storie sul perché siamo o agiamo in un certo modo. E possono essere migliori o peggiori di quel che siamo. Se diciamo: “Sono una nullità”, forse ci denigriamo; se diciamo: “Sono un uomo che non ha mai paura e può sempre vincere”, forse ci sopravvalutiamo.
       Certamente è difficile dare un giudizio obiettivo di sé, anche perché siamo fasci di io, da cui emergono ora l’uno ora l’altro sé.
Il sé non è qualcosa di definito, di immobile e di univoco: è un insieme di tendenze cangianti e, talvolta, contraddittorie.
Alcune di queste tendenze sono più persistenti e ricorrenti di altre. Durano qualche anno, confinate dalla paura di perdersi, e poi svaniscono.
La vita e le relazioni selezionano di volta in volta quelle più utili; ma ne esistono altre che rimangono in ombra.
Però ciò che rimane più in ombra è il contenitore spazioso in cui si agita questo piccolo sé.
Cerchiamo, in meditazione, di liberarci, almeno per poco, di questo piccolo io, con tutti i suoi schemi, le sue pretese e le sue identificazioni e ritrovare lo spazio libero in cui è incastonato.


lunedì 16 novembre 2015

Ritornare alla realtà

Spesso siamo confusi perché diamo più importanza ai nostri pensieri che alle nostre sensazioni fisiche. Infatti, le elucubrazioni, le fantasie, le paure e le previsioni ci portano fuori strada: ci fanno perdere il contatto con la realtà.
Per esempio, se vediamo nella penombra una corda, potremmo pensare che sia un serpente. L’oggetto non è reale, ma intanto la paura lo è.
Ciò che pensiamo è il portato di una concatenazione di pensieri, non di un’esperienza effettiva.
Ecco perché è fondamentale, in questi casi, ritornare alle percezioni reali. Che cosa sentiamo? Le percezioni non possono mentire.
Domandiamoci: come respiro? Quali muscoli sono contratti? Dove provo dolore? Quali organi si fanno sentire? Cuore, stomaco, intestino, fegato..? Ho caldo? Ho freddo? Sento un sapore, un odore..?
Quando siamo confusi, quando siamo in preda al panico o all’ansia provocate dalla mente, torniamo all’esperienza del momento presente, al di là dei pensieri.
L’esperienza fisica è sempre reale, sempre presente, sempre attuale.
Non pensare, non analizzare, non ricordare, non prevedere..., ma essere!

Respiriamo, accentuiamo inspirazioni ed espirazioni. E ritorniamo alla realtà.

domenica 15 novembre 2015

Affrontare le difficoltà

A volte ci troviamo in situazioni di così grande paura, angoscia e ansia che ci sembra impossibile ritrovare quella condizione di serenità che associamo di solito allo stato meditativo. Veniamo travolti da sensazioni e pensieri negativi, tanto che ci immaginiamo le peggiori catastrofi. Insomma, ci sentiamo perduti e del tutto fuori controllo. Come riuscire a meditare recuperando l’equilibrio?
Sul piano pratico, proviamo a staccarci da quelle ondate emotive facendo lunghe inspirazione ed espirazioni: infatti, ritornare a seguire il respiro significa interrompere il treno dei pensieri negativi e ritrovare il contatto con la realtà.
Ricordiamoci in questi momenti di crisi che il nostro scopo non è tanto conservare una condizione di piacevolezza (non sempre possibile), quanto risvegliarci alla realtà. E, in tal senso, le difficoltà hanno un enorme potere dirompente.
Travolgono non solo il nostro equilibrio, ma anche le nostre comode difese, i nostri schemi abituali, le nostre illusioni. Quando stiamo bene, purtroppo, tendiamo ad addormentarci, ad anestetizzarci, a procrastinare, ad evitare.

La difficoltà, il momento di crisi, dunque, ha questo lato positivo. Ci fa uscire dal guscio protettivo e ci riporta alla realtà. Da ostacolo diventa così strumento di risveglio.

sabato 14 novembre 2015

Terrorismo religioso

Il potere della religione: trasformare di colpo un uomo “normale” in un uomo che odia, pronto a uccidere chiunque non condivida la sua ossessione fideistica.
La religione può trarre il meglio o il peggio da noi. Se in noi c’è un grano di follia, il fanatismo religioso lo alimenterà a dismisura.
Difficile dire, però, se è la follia umana che fa impazzire la religione o se è la religione che fa impazzire gli uomini.
“Folli di Dio” venivano definiti certi mistici.
Forse erano dei santi, ma comunque sempre folli.
Non c’è più misura né equilibrio in chi si innamora dell’idea di Dio, inteso come onnipotente cui tutto è dovuto.
Verrà un giorno in cui gli uomini definiranno le religioni per quello che sono: malattie della mente.

Qualcuno dirà che il cristianesimo è migliore dell’islam. Ma solo la crociata contro gli Albigesi, in Francia, costò almeno ventimila morti.

La luce della consapevolezza

Se qualcuno si domanda a che cosa serva la meditazione, rifletta su come la luce della consapevolezza modifichi le cose, giungendo a migliorarle e a curarle.
Non si tratta di un processo immediato e miracolistico. È graduale e lento, e talvolta ha battute d’arresto o ritorni indietro. Ma è l’unico possibile per far evolvere l’uomo.
Per esempio, a forza di osservare i modi e le reazioni del nostro io (dei nostri io), ne prenderemo sempre più le distanze, fino a considerarli un bel giorno del tutto obsolete. Allora li cambieremo.
La luce della consapevolezza è come la luce di un laser che può colpire con precisione e forza, distruggendo vecchi schemi, comportamenti, attaccamenti, desideri, pretese, paure, illusioni, ecc., facendo emergere il nuovo.

Usiamo così la luce della consapevolezza, indirizzandola verso i nostri problemi e le nostre sofferenze. 

venerdì 13 novembre 2015

La forza della meditazione

In genere arriviamo alla ricerca spirituale e religiosa perché soffriamo o siamo insoddisfatti.
Ma perché siamo insoddisfatti? Che cosa cerchiamo veramente?
Comodità, sicurezza, salute, conforto (che saranno comunque precari) o certe qualità interiori che ci rendono più forti a prescindere dagli ondeggiamenti della vita?
Quando veniamo colpiti dalla sofferenza o da altri stati d’animo negativi,oppure da qualche malattia o incidente, ci sembra che la meditazione non ci abbia difeso e, magari, la abbandoniamo.
Ma è un’illusione credere che qualcuno o qualcosa possano liberarci per sempre dai colpi avversi del destino; il nostro karma è intrecciato a mille altri karma e al karma del nostro mondo, che è quello di procedere tra alti e bassi e di finire nella disgregazione e nella morte. La meditazione non è una corazza che possa difenderci da ogni male.
In realtà, noi siamo in grado non di prevenire ogni male, ma di assumerli comunque nel nostro spazio meditativo, che è sempre aperto e pronto ad accogliere e a rielaborare ogni input. In questo siamo più forti, in questo difendiamo il nostro essere profondo.
La meditazione contempla nel suo spazio sacro tutte le sconfitte, tutti i fallimenti, tutte le ingiurie. Questa è la sua grandezza, questa la sua potenza.
Per quanto la vostra situazione sia negativa, portatela al centro della vostra attenzione-meditazione; anzi, si impara molto più dalle sventure che dalle fortune.
 Non c’è nessun contenuto, nessuna esperienza, che non sia utile alla meditazione e allo sviluppo della consapevolezza.


Religioni e potere

Tutte le religioni sono opera dell’uomo, e tutte si basano sull’assunto che ci sia una casta di sacerdoti professionisti che può mediare tra l’uomo e Dio. Naturalmente, questi professionisti hanno una posizione privilegiata nella società; e, da che mondo è mondo, si prendono le offerte dei fedeli. Quando per esempio in India o in Israele si sacrificavano animali, a chi andavano i polli o i maiali? Ovviamente ai sacerdoti.
Oggi, che non si offrono più polli e maiali, ma soldi, i sacerdoti si sentono autorizzati ad appropriarsene. È quel che succede in Italia, dove i preti si impossessano spesso delle offerte dell’8 per mille o dei soldi dati per beneficenza. Il problema è che se ne servono non per gli scopi professionali, ma per fare la bella vita.
Se cercate l’illuminazione, incominciate a veder chiaro su questi problemi. Aprite gli occhi, e non credete a nessuna religione. Dio non parteggia per nessuno, Dio non invia messaggeri, Dio non fonda Chiese.

Trattate le religioni per quello che sono: tentativi di gruppi di uomini per arrogarsi poteri di mediazione che non avrebbero in altro modo. Non fatevi subornare da mediatori che si prendono il loro interesse: potete andare direttamente e personalmente alla Fonte.

giovedì 12 novembre 2015

L'insoddisfazione

Se vivessimo in eterno, se non ci fossero la vecchiaia (con tutto il deterioramento che comporta) e la morte (che ci sveglia dal nostro sogno di beatitudine permanente), non ci sarebbe modo di apprezzare la vita.
Le cose si apprezzano solo quando si perdono.
Del resto, è così in tutto il nostro mondo duale. Ogni situazione porta al suo opposto.
Che cosa ci porterebbe alla ricerca della felicità se non ci fosse la sofferenza? Se non soffrissimo, non avremmo neanche un’idea che cosa sia la felicità. Saremmo inebetiti.
Anche la ricerca spirituale (o di Dio) parte da uno stato di sofferenza o comunque di insoddisfazione.

Ma perché siamo insoddisfatti? Che cosa cerchiamo veramente? Cerchiamo comodità, salute, sicurezza, conforto, protezione, ecc., che saranno comunque precarie, o cerchiamo certe qualità interiori che ci rendono più forti a prescindere dagli inevitabili ondeggiamenti della vita?

Alieni

Se giungessimo alla conclusione che non ci sono altri esseri viventi nell’universo, il nostro statuto ontologico si definirebbe di colpo come unico – una singolarità che ci addosserebbe una enorme responsabilità.
Saremo più consapevoli della preziosità della vita umana.
Ma gli alieni sono già in mezzo a noi.
Siamo noi stessi – che siamo alieni per noi stessi.
Sì, siamo alienati.

Questo è il nostro statuto ontologico. Dopodiché, l’universo non è che una proiezione della nostra mente duale, e non può essere tanto diverso da come è qui da noi.

mercoledì 11 novembre 2015

Capire il karma

Il karma sembra una dottrina oscura e fatalistica.
Bisogna sentirlo, più che darne una spiegazione intellettuale.
Noi non ci crediamo. Ma continuiamo a chiederci: “Perché? Perché proprio a me?”
Cominciamo a riflettere: capire il karma è assumersi la responsabilità del nostro destino, anziché delegarla ad un altro Essere.
Qual è il principio del karma? Che ogni azione lascia una traccia, un seme, che, a suo tempo, darà un frutto.
Non si tratta però di fare un calcolo deterministico e meccanicistico. Se uccido una mosca, non vuol dire che nell’aldilà o in un’altra vita sarò torturato da sciami di mosche.

Ciò che conta sono le intenzioni profonde. È il complesso delle azioni, delle intenzioni e dei condizionamenti che determina il mio destino, che forgia il risultato. Ma tutto è influenzato dal mio grado di consapevolezza. È lui che cambia il karma.

Il proprio bene

Proprio perché siamo tutti interconnessi, dovremmo capire che, se facciamo del male a qualcuno, lo facciamo a noi stessi.
Non si tratta neppure di altruismo o di generosità, ma di fare il proprio interesse.
Ma neppure questo sappiamo fare: facciamo sempre l’interesse di qualcun altro.

Dovrebbe essere il principio della carità. Eppure, per capirlo, ci vuole consapevolezza: fare un passettino in più.