sabato 30 giugno 2018

La supermente


Se domandassimo al nostro cane di spiegarci il teorema di Pitagora, non capirebbe neppure che cosa vogliamo. Nella natura infatti esistono vari livelli di intelligenza e chi è a un livello basso non può capire chi è a un livello alto. Il cane non comprende noi, ma la formica non comprende il cane.
Sulla Terra sembra che noi ci troviamo al livello più elevato, ma è probabile che in qualche altro pianeta o in qualche altra dimensione vivano esseri più intelligenti. D’altronde nemmeno l’uomo di Neanderthal avrebbe capito il teorema di Pitagora.
       Il nostro compito dunque è portarci a un livello più alto per capire quei “misteri” che oggi ci sembrano incomprensibili. In tal senso tutti i paradossi sono utili. In particolare dovremmo superare la visione dualistica, per cui non possiamo pensare all’alto senza pensare al basso o alla vita senza pensare (e realizzare) la morte.

Che cosa cerchiamo, allora? Stati alterati di coscienza?
Forse è il contrario. Noi viviamo ora in stati alterati di coscienza, dominati dal dualismo, e cerchiamo la visione completa, comprensiva degli opposti.
Perché in meditazione partiamo dalla quiete? Perché l’inquietudine è uno stato alterato da cui dobbiamo uscire per trovare lo stato di calma “olimpica” che, non a caso, accostiamo a qualcosa di divino.
Ma il divino è solo uno stato superiore di intelligenza, quello che cerchiamo.
Meditare è vedere chiaro là dove tutti vedono cose distorte. È un “non pensare” nel senso di non pensare come (e ciò) che tutti gli altri pensano. Ma in realtà è un superpensiero.

venerdì 29 giugno 2018

Vita eterna


Tanti credenti parlano di vita eterna, di anima, di immortalità, ma poi si attaccano disperatamente a corpi morti (che vengono tenuti in funzione soltanto da macchinari), oppure a cadaveri mummificati che vengono portati in processione per l’edificazione dei fedeli.
Evidentemente non credono in ciò che dicono. Chi crede in un aldilà dovrebbe accogliere la morte come la grande liberazione, come un passo avanti, non con terrore.
Hanno proprio perso il senso della trascendenza e credono che questo mondo sia l’unico scenario possibile.
Guarda come muoiono per capire ciò in cui credono.
Ma se credi alla vita eterna, devi anche credere alla morte eterna. Il ciclo continua.
Per uscire definitivamente dal ciclo delle nascite e delle morti, devi uscire dall’idea stessa di vita-morte.

La salvezza


L’idea che la salvezza venga dall’alto, da Dio, dal Salvatore, dalla Provvidenza o comunque da qualcun altro, è proprio ciò che rende impossibile mobilitare le proprie forze per salvarsi.
          Come diceva Albert Einstein, “più l’uomo avanza nella sua evoluzione spirituale, più mi appare certo che il sentiero verso una religiosità genuina non passi per la paura della vita e la paura della morte, o per una fede cieca, ma attraverso gli sforzi compiuti in direzione di una conoscenza razionale.”

giovedì 28 giugno 2018

Misurare i risultati raggiunti


Nessuna religione esprime i metodi di sviluppo psicologico della meditazione, che, in quanto osservazione dei propri stati d’animo, porta ad una profonda trasformazione interiore (e anche a cambiamenti cerebrali).
A questo proposito, non contano tanto le esperienze di vetta (estrema distensione, calma, beatitudine, ecc.) quanto i comportamenti e le reazioni quotidiane.
Se per esempio si perde la pazienza, ci si arrabbia o si risponde in modo reattivo, questo significa che la meditazione è stata superficiale.
Invece, il meditatore che rimane imperturbabile e che non reagisce in modo meccanico alle provocazioni altrui o allo stress, dimostra di aver messo a frutto l’esperienza meditativa.
Ci sono quindi precisi banchi di prova per misurare il livello di evoluzione raggiunto. E lo scopo della meditazione è proprio quello di dar vita ad un uomo più evoluto. Siamo stanchi di questi ometti la cui psicologia è appena un po' al di sopra di quella delle scimmie.

Religioni e autonomia


Le religioni attuali sono ancora l’espressione di uno stadio infantile dell’uomo che, come scriveva Sigmund Freud, “continua a delegare ad altri – alla figura paterna (ma anche materna) di Dio – il possibile soddisfacimento dei propri bisogni, anziché approdare alla maturità adulta dell’autonomia umana, ovvero la gestione, responsabile in prima persona, dei propri bisogni.”

Tasse religiose


Si fa un gran can-can per 30 milioni risparmiati con l’abolizione dei vitalizi ai parlamentari, ma non si parla mai del miliardo e più elargito dallo Stato (da tutti noi, anche dai poveri) ad una Chiesa che si distingue per ricchezza e corruzione. Perché mai dobbiamo mantenere un esercito di preti e monache resta un mistero. Avrebbero tutti i mezzi per mantenersi da soli. Dunque è semplicemente un regalo per assicurarsi il benvolere della Chiesa.
Con quali benefici, non si sa. Visto che siamo uno dei paesi più corrotti. Certo abbiamo dei mafiosi molto cattolici che hanno come protettore l’arcangelo Gabriele.
E poi che bisogno c’è di mantenere una religione che dice di essere l’unica autorizzata da Dio? Dovrebbe bastare la Provvidenza. Il cattolicesimo non è la religione dei miracoli?
Come diceva l’attore e commediografo George Carlin, “la Chiesa cattolica è strepitosa: è riuscita a convincerci che esiste un Dio caritatevole, misericordioso, che ha creato il cielo e la terra, che ci ama, ci vuole vicino a lui, è onnipotente, e ha bisogno di soldi.

mercoledì 27 giugno 2018

Sette e religioni


Quello che colpisce nella storia di questa setta che provocava gravi danni alla salute delle persone e dei bambini che seguivano i suoi bislacchi principi macrobiotici è il gran numero di persone disposte ad annullarsi, a seguire ciecamente il leader e a non pensare più con la propria testa.
Le sette prosperano perché esistono tanti individui che si fidano ciecamente del primo venuto considerandolo un salvatore. Non aprono gli occhi nemmeno quando il guru chiede loro tutti i loro soldi o addirittura le mogli o i figli.
Questa disponibilità incondizionata verso chi comanda, la voglia di sottomissione, la fragilità psicologica e la dismissione del senso critico e della propria coscienza sono la rovina del mondo.
Le sette sono tutte costruite in base ad un modello di condizionamento e di sfruttamento che in realtà si perpetua anche nelle grandi sette: le religioni. Anche qui dovete ubbidire, sottomettervi, credere ciecamente e rinunciare al vostro senso critico.
In fondo le religioni di massa non sono che sette più grandi.

martedì 26 giugno 2018

I buoni


I più gravi problemi del mondo – consumo delle risorse naturali, devastazione del pianeta, ipersfruttamento del suolo, inquinamento di ogni genere, immigrazione selvaggia, guerre e sovrappopolazione – si risolvono in un unico modo: limitazione delle nascite e diminuzione della popolazione mondiale che invece cresce di anno in anno.
La verità è che il modello di sviluppo non è sostenibile e che sulla Terra incominciamo ad essere troppi. Tutti dunque dovrebbero convincersi a non fare tanti figli e a a mantenere stabile la popolazione.
Ma non è così che succede. La spinta a riprodursi non trova nessun ostacolo, nessuna ragionevolezza. Arriviamo al punto che da noi vengono inviati dall’Africa bambini non accompagnati, perché evidentemente chi li ha messi sconsideratamente al mondo non sa come mantenerli.
È una specie di mania di riproduzione paranoica, un impulso non controllato e irrazionale. Quasi tutti mettono al mondo figli non perché lo ritengano giusto, ma perché vogliono lasciare qualcosa di sé.
Di una simile paranoia dell’uomo i grandi responsabili sono gli impulsi naturali e le religioni che invitano a “crescere e a moltiplicarsi”.
Chi sono allora i buoni? Quelli che fanno un po’ di carità o quelli che insegnano metodi anticoncezionali?

La molteplicità dei credenti


Se il credente dicesse: “Credo in qualcosa o in una forza che ha creato ad un certo punto il cosmo – e la finisse lì -, non nascerebbero problemi: ognuno può credere in quel che vuole. Ma se aggiunge: “Dio ha questi attributi, vuole queste leggi, è sceso sulla Terra, ha inviato profeti o salvatori, ha ispirato libri sacri e ha fondato religioni e Chiese, beh allora nascono tutte le obiezioni e le ostilità possibili. Perché caratterizzando Dio in quel modo, lo contrappone a quello di tutti gli altri e si espone ad ogni genere di critiche.
Come diceva Montaigne, “l’uomo non saprebbe fabbricare un verme, ma crea dozzine di dei”

lunedì 25 giugno 2018

La presenza aperta


Anziché concentrarci  su qualcosa di specifico, stiamo attenti a tutto ciò che entra nella mente e a tutto ciò che ne esce. Ci appostiamo sulla porta e osserviamo l’andirivieni di pensieri e di stati d’animo.
Osserviamo tutto, ma non facciamoci trascinare da nulla.
Questa è una forma di meditazione che ci aiuta a conoscerci e a creare in noi un Testimone che si distacca dal comune io, coinvolto inconsapevolmente in tutto.

Il vizio originale


“I miei vizi mi fanno vivere, i miei vizi mi fanno morire…”
Già, ma quali saranno mai questi vizi? Sesso, cibo…? Non sono per noi la vita stessa, ciò che ci fa sentire più vivi?
E allora diciamo che la vita stessa è un vizio, un “vizio assurdo” come diceva Cesare Pavese. Sì, perché ciò che ci fa vivere è proprio ciò che alla fine ci fa morire.
Non c’è un contrasto, come sostengono i moralisti. Sono la stessa cosa. E ci rivelano come è stato congegnato questo mondo ambiguo.

domenica 24 giugno 2018

Contemplare il fiume


I fiumi e gli oceani sono vicini alla Via.
                      Wen-tzu

Mettiti su una sponda, su un ponte o su un’altura vicina al fiume in modo da avere una visione panoramica. Lascia che l’occhio si riempia di quel movimento, di quell’immensità geologica.
       Lo scorrere delle acque in un fiume è sempre stato accostato allo scorrere del tempo e del divenire. Mentre, nell’antica Grecia, Eraclito diceva che “nello stesso fiume non è possibile scendere due volte”, quasi nella stessa epoca, dall’altra parte del mondo, in India, il Buddha paragonava il tragitto verso l’illuminazione all’attraversamento di un fiume.
Siediti dunque in un luogo sopraelevato, e osserva la corrente. Fra un attimo essa non sarà più la stessa, ma sarà sostituita da un’altra. Anche tu, che sei seduto lì, in quel posto, sarai sostituito da un altro.
       L’acqua è sgorgata da fonti di montagna, poi ha compiuto un lungo percorso per giungere fino a te; e infine, dopo tanto procedere, sbocca nel mare, dove si disperde. Il fiume che scorre verso il mare e in esso sparisce, alla fine perde la propria individualità.

       Eppure il ciclo di quell’acqua non è finito. Perché di nuovo evaporerà al sole, si raccoglierà in nubi e un giorno ricadrà sulla montagna, per ripresentarsi a quella stessa fonte – non sarà più la stessa eppure, in qualche modo, sarà ancora la stessa.


Ogni cosa finisce, ogni cosa non finisce; ogni cosa esiste, ogni cosa non esiste.
                                                    Buddha

Anche in te scorre un fiume – di sangue, di vitalità, di spirito.
Guarda quell’acqua che viene trascinata a valle. Sei tu, è la tua vita, è questo piccolo pianeta, è la tua mente. Realizza lo scorrere e il permanere, il divenire e l’essere, il tempo e l’eternità: sei di fronte a paradossi che non possono essere risolti con la mente razionale.
Tu però li esperisci concretamente, e puoi posizionarti tra i due estremi, metterti sul crinale e guardare nello stesso tempo entrambi i versanti. Puoi essere contemporaneamente nel fiume e sulla riva.
Resta così in equilibrio per qualche momento, senza scivolare né da una parte né dall’altra, senza scegliere, con uno sguardo che tutto abbraccia.
In quell’istante, trascendi la mente!

Ferma con coraggio la corrente del fiume, o illuminato!

                      Dhammapada


sabato 23 giugno 2018

Trovare la Forza


Quando in un deserto cerchi l’acqua, non ti aspetti che cada la poggia dal cielo, e se lo fai sei un ingenuo che non troverà niente e morirà di sete.
Piuttosto devi cercare di scavare in profondità.
Magari, se scaverai abbastanza a fondo, troverai una vena d’acqua sepolta lì da chissà quanto tempo, e ti potrai dissetare.
Dove c’è un’oasi c’è un pozzo.
La vera forza che alimenta la vita sta dunque in profondità, all’interno della Terra e degli esseri viventi. Non c’è nessuno che decida momento per momento come crescerà un albero. L’albero crescerà perché ha una forza interiore che, partendo dal seme, lo dirige e l’informa.
Lo stesso dobbiamo fare noi per trovare la forza che lavora dall’interno e in profondità. Scavare finché non la troveremo dentro di noi. Fuori, non la troveremo mai.

venerdì 22 giugno 2018

Darwinismo


In realtà c’è molto più creatività nel principio dell’evoluzione che nel principio del “disegno intelligente” dei fondamentalisti.
Infatti, il progetto evolutivo mette in evidenza una duttile, fantasiosa e grandiosa intelligenza combinatoria e sintetica e relazionale, mentre l’idea di creare ad una ad una tante specie diverse rivela una mente ottusa che non è capace di pensare più di una cosa alla volta.

La salvezza impossibile


L’idea che la salvezza venga dall’alto, da Dio, dal Salvatore, dalla Provvidenza o comunque sempre da qualcun altro, è proprio ciò che rende impossibile mobilitare le proprie forze per salvarsi.
Perdete la vostra dignità senza ottenere niente.
“Sii il cambiamento che vorresti apportare al mondo,” diceva Gandhi.
E poi da che cosa dovreste essere salvati? Dal modo in cui una tale Forza esterna vi avrebbe creato? Cercate piuttosto dentro di voi, là dove agisce la Forza creatrice. Dal di dentro sboccia un fiore, non dal di fuori.

giovedì 21 giugno 2018

La ricerca sbagliata della felicità


Noi diciamo che vogliamo cercare la felicità. Ma non è vero. Che cosa intendiamo con questa parola? Se intendessimo la pace, la serenità e la tranquillità, avremmo già tutte queste cose. Già in partenza. Basterebbe ritirarsi dal mondo caotico in un luogo isolato, così come fanno certi eremiti, e saremmo in pace.
Ma non è questo che vogliamo. C’è subito qualcosa che ci spinge verso l’altro e nel mondo, una specie di istinto frenetico, ragion per cui dobbiamo lottare, spingerci lontano o provarle tutte. Non è l’istinto della pace che ci guida, ma l’istinto della ricerca, dell’esperienza, della passione e del desiderio. È il desiderio di ottenimento e di soddisfacimento che ci guida.
E, spinti da questo, non possiamo essere felici. Pensiamo che prima dobbiamo ottenere determinate cose e fare determinate esperienze, e qui cadiamo nell’inquietudine, nell’ansia, insomma nella vita. Prima di essere felici o per essere felici, dobbiamo cercare, sperimentare, provare, con la convinzione che solo dopo aver fatto tutte queste cose, saremo felici.
Ma i più restano invischiati in una vita di lotta e di sofferenza, e si dimenticano che la pace ce l’avevano già in partenza.
Chissà che la vecchiaia non porti un po’ di saggezza. Diminuire gli impegni e l’inutile attivismo e trovare davvero un po’ di riposo e di calma. Sarebbe già molto.

Che sollievo guardare i mondiali di calcio senza che ci sia l’Italia. Ci si può rilassare, si possono guardare obiettivamente le altre squadre, non si esulta e non ci si deprime. Soprattutto si è fuori dal mondo dell’ansia e della delusione.
Non dovrebbe essere un insegnamento per la vita?
È vero che ogni tanto si vince. Ma, fate un po’ i conti tra sofferenze e gioie. E vedrete se è conveniente.

mercoledì 20 giugno 2018

Scoppi di rabbia


Ormai il linguaggio sessuale, che una volta veniva severamente represso, è stato sdoganato e lo ascoltiamo nei discorsi comuni in televisione, alla radio e nei mass media. Non ci tocca più.
Ma un’altra cosa non desta scandalo, e invece dovrebbe farci vergognare: la rabbia.
Quando assistiamo a scoppi di rabbia, alla perdita di controllo e a litigi furiosi dove ci si insulta senza più autocontrollo, ci sentiamo a disagio. Perché vediamo esseri umani che regrediscono a bruti infantili.
Inutilmente individui simili hanno studiato e si sono evoluti. In un attimo perdono tutto e rivelano il loro volto rozzo e belluino. Uomini di Neandhertal.

Lo yogin divino


L’intera ricerca della felicità, con tutte le sue sofferenze,  non è che ricerca di stati d’animo positivi. Ma lo yogin che, ritiratosi in una caverna, ha imparato a raggiungere tali stati d’animo, non ha più bisogno né del mondo né delle sue esperienze.
Le fatiche, le pene, le sofferenze e tutti gli stati mentali negativi possono dunque in gran parte essere evitati. L’esperienza stessa diventa inutile se è possibile raggiungere uno stato di appagamento duraturo.
Ma basta una goccia che cade dal soffitto della caverna, un serpente o un mal di pancia per rovinare tutto. A meno che non si trovi il modo di influire direttamente sulla realtà.
A questo punto lo yogin diventa una specie di Dio che può vivere anche mille anni.
Ma ha vissuto?
Se non sperimenta l’errore e la sofferenza, ha vissuto?
Purtroppo vivere è accettare anche gli stati d’animo negativi. Anche perché, se non fosse così, non avremmo più un’idea di cosa sia la felicità – che è sempre liberazione da uno stato di costrizione.

martedì 19 giugno 2018

La lunghezza della vita


Dice Seneca: “La vita non è breve, ma lunga. Siamo noi che la bruciamo”. La bruciamo con inutili preoccupazioni, con mille attività che ci fanno solo perder tempo, con ansie immotivate, con lavori fasulli, con persone vuote, con chiacchiere oziose, con la visione di programmi televisivi inutili, con spostamenti che non portano da nessuna parte, con vacanze alienanti, con pensieri che si ripetono sempre uguali, con sciocchi passatempi.
       Il tempo passa comunque. E, per non sprecarlo, va assaporato, momento per momento.
Ogni momento è unico e, una volta perso, è perso per sempre.
Dunque la lunghezza del tempo dipende da quanto siamo in grado di coglierlo mentre passa. Più ne siamo consapevoli, meno ci sfugge.

lunedì 18 giugno 2018

Tra divenire e contemplare


Un lettore mi ha scritto:
Dopo anni sono arrivato a comprendere che tutto è cambiamento e movimento, flusso distinto di un'entità indistinta sottostante. Ma per poter comprendere questo flusso in movimento bisogna distaccarsi da esso, osservarlo da un punto fermo esterno. Come dire che se siamo su di un treno senza finestrini e vogliamo percepire il suo movimento, dobbiamo porci al di fuori del treno; per comprendere la relatività bisogna porsi al di fuori di essa ed osservarla da un punto "fermo"! Detto questo qui sorge la mia domanda e nasce il mio "blocco ": se la vita è flusso, movimento, cambiamento (ed il treno espressione di questo, illusione, Maya); e se per comprenderla (e spezzare l'illusione) bisogna assumere una posizione "esterna" ad essa: non equivarrebbe questo non essere parte di quel flusso e quindi "non vivere"? Una volta scesi dal treno (e compreso quanto detto), come vi possiamo rientrare, sempre che valga la pena rientrarci e se è questo ciò che va fatto (visto che il treno corre su binari dove non ci sono stazioni, quindi è illusione)? Potrei rimanere fermo, seduto ad osservare un treno infinito che passa eternamente, ma può essere questa la via?

           Il treno è un’illusione. Ma anche lo stare sempre fermi è un’illusione, tranne che in brevi istanti. Nella vita pratica non conviene (e non è possibile) né seguire sempre il flusso né stare sempre fermi. Meglio alternare le due posizioni, che sono comunque astrazioni mentali.
          Tra il correre sempre e lo stare fermi c’è una terza via, che è l’esistenza. Non possiamo uscir dal flusso, tranne che alla fine o in certi momenti di contemplazione. Ma non possiamo neppure immobilizzare tutto e limitarci a guardare.
          La soluzione sta nell’essere consapevoli dell’una e dell’altra condizione, in modo da avere un punto di riferimento: il testimone, l’osservatore. Dobbiamo addestrarci a stare nel divenire rimanendo consapevoli di esserlo. È possibile.
          Ognuno di noi ha inclinazioni, predisposizioni, preferenze e talenti. Se riusciamo a far silenzio e ad ascoltarle, riusciremo a sapere che cosa fare e che cosa non fare nelle varie situazioni della vita. Che va comunque vissuta – a modo nostro.

domenica 17 giugno 2018

L'assolutismo papale


Di assolutismo si nutrono tutte le ideologie totalitarie, quelle che non hanno dubbi e credono di avere la verità a propria disposizione. È questo l’atteggiamento di nazismo, fascismo e comunismo. Ma anche di tante religioni, fra cui il cattolicesimo.
L’assolutista ha in testa solo schemi astratti, dogmi inventati e principi inderogabili. E condanna tutti gli altri punti di vista, in particolare il pragmatismo e il buon senso.
Quando il Papa accosta l’aborto selettivo (per gravi malformazioni del feto) ad una pratica nazista e sostiene che l’unica famiglia è quella tra un uomo e una donna, va contro il principio di realtà – e assume a sua volta un principio autoritario.
In sostanza noi dovremmo accettare passivamente bambini malformati riempiendo la Terra di infelici. Non dovremmo intervenire a rimediare ai tanti errori della natura-dio. Dovremmo sottometterci fatalisticamente all’Autorità divina e, ovviamente, a anche a quella terrena.
Ecco il principio di ogni fascismo.
Non ci meravigliamo allora se vediamo uomini politici armeggiare con rosari e vangeli. Loro sanno che il vero Capo della destra autoritaria e fascista è il Papa, un Papa che ci è stato presentato come un grande innovatore? “Chi sono io per giudicare?” Già, adesso ha gettato la maschera.

Superare i vecchi percorsi


Se non arriviamo a prendere le distanze dai nostri stati d’animo (pensieri e sentimenti) considerandoli come qualcosa che va e viene e che esprime la parte più condizionata di noi stessi, la meditazione sarà tutt’al più un metodo per combattere inquietudine, ansia e stress. Non un risultato disprezzabile, ma non a livello delle pretese della meditazione, che si pone l’obiettivo di trascendere la comune personalità, che ripete schemi e percorsi scontati.
Noi vogliamo accedere ad un nuovo modo di essere, e non solo ad un angolino di tranquillità in un mondo caotico e violento. Se ci limitiamo a seguire le piste già battute da secoli e millenni, non troveremo nuove strade, ma ripeteremo vecchi percorsi e vecchi errori.

sabato 16 giugno 2018

Religioni della vita e religioni della morte


Che comodità essere conservatori! Dev’essere bello il piacere della banalità, l’ancorarsi ai valori tradizionali (Dio, patria, famiglia, ecc.), non doversi sforzare di pensare a nulla di nuovo, mandare in pensione il cervello e...la coscienza… Tutto è stato detto, tutto è stato rivelato…
       Vediamo in azione religioni della tradizione, religioni della conservazione, religioni dogmatiche, religioni rivolte alla salvaguardia del passato, religioni reazionarie, religioni chiuse a ogni innovazione – religioni immobili, non evolutive. Religioni della paura del cambiamento.
       Ma all’inizio non erano così: all’inizio erano creative, inventavano forme nuove. Poi, a poco a poco, sono decadute, si sono isterilite, si sono mummificate e sono diventate lettera morta.
Certo, potremmo consolare l’uomo angosciato perché teme di avere un cancro dicendogli che ha un semplice foruncolo. Ma la consolazione, l’alleviamento della sua pena, sarà solo momentanea e la malattia farà il suo corso.
       Consolare con bugie o favole non solo è un rimedio, ma alla fine è l’ostacolo maggiore alla presa di coscienza che può portare alla mobilitazione delle energie e all’impegno della cura.
       Le religioni parlano di vita eterna, di anima, di immortalità, ma poi si attaccano disperatamente a corpi morti che vengono tenuti in funzione soltanto da macchinari. Oppure alle mummie. Evidentemente non credono in ciò che dicono. Chi crede in un aldilà dovrebbe accogliere la morte come la grande liberazione.
Hanno proprio perso il senso della trascendenza e credono che questo mondo sia l’unico scenario possibile. Sono proprio morte. Non sono più alimentate dallo spirito, quello che è sempre vivo e mutevole ed è presente in ogni essere vivente.

venerdì 15 giugno 2018

Gli illusi


La gente crede ancora che il cosmo sia stato creato da un’intelligenza perfetta e buona. Non si è resa conto che si tratta di un gigantesco esperimento – e che le cavie siamo noi, noi poveri esseri viventi che abbiamo raggiunto una certa consapevolezza.
Einstein sosteneva che Dio non gioca a dadi.
Forse non gioca a dadi. Ma a birilli sì. E i birilli siamo noi, che veniamo buttati giù ad uno ad uno.
Chi andate a pregare? si domandava Schopenhauer guardando i fedeli che entravano in una chiesa. Colui che vi ucciderà?
La gente va a raccomandarsi proprio a colui che li farà invecchiare, ammalare e infine morire.


giovedì 14 giugno 2018

C'è religione e religione


C’è una religione che è devozione, ripetizione rituale e sottomissione ad un presunto Padrone del cosmo. E questa è la religione dell’adorazione del Dio.
E poi c’è la religione dell’attenzione (a sé, agli altri e al mondo). E questa è la religione della consapevolezza. Qui non c’è da adorare nessuna Autorità, ma da ritrovare in sé la Forza che sta alla base di tutto e utilizzarla a nostro vantaggio.
Non c'è da pregare. C'è da essere.

mercoledì 13 giugno 2018

A spese nostre


Ormai, chiunque voglia farsi bello a spese dell’Italia, può fare, oltre che il prete, il soccorritore nel Mediterraneo. Si organizza un battello e si va sulle coste libiche a raccogliere profughi. A quel punto, il soccorritore si sente buono e nobile… anche se a spese del popolo italiano, che da quel momento in poi deve accollarsi il mantenimento del rifugiato.
Ma il più ipocrita di tutti è certamente il governo francese, che non solo ha provocato la destabilizzazione della Libia facendo uccidere Gheddafi, ma che ci riporta anche ogni emigrato che osi entrare in territorio francese a Ventimiglia e a Bardonecchia. Se c’è un paese che doveva starsene zitto era proprio la Francia, che invece ci attacca e ci copre di insulti.
Anche la Francia si fa bella a spese nostre.
Mentre noi che manteniamo tutto il peso degli immigrati africani, gli altri,che hanno sigillato porti e frontiere, ci danno lezioni di moralità e si fanno belli a nostre spese.

La meditazione aperta


Quando parliamo di meditazione, in realtà ci riferiamo ad un’ampia gamma di tecniche diverse. Per esempio, la meditazione sul respiro non è la gentilezza amorevole, la vipassana non è la meditazione col mantra, lo zen non è la meditazione tibetana, la meditazione sul vuoto non è l’advaita vedanta, la meditazione sulla trascendenza non è la meditazione sui suoni, e così via. Questo non esclude che i metodi possano essere alternati o usati contemporaneamente.
Una distinzione fondamentale riguarda il tipo di concentrazione e quindi il tipo di sforzo. Una meditazione aperta lascia che il soggetto sia consapevole  di tutto ciò che si affaccia alla mente, senza focalizzarsi su niente e senza escludere niente. Significa in altri termini accogliere tutto, essere consapevole di tutto.
Invece una concentrazione chiusa significa scegliere un determinato oggetto, lasciando perdere ogni altra cosa. Ma anche una stessa meditazione può essere svolta in modo aperto o chiuso. Per esempio, posso concentrarmi sul respiro così com’è o posso scegliere un determinato ritmo rigido.
Ognuno deve scegliere il tipo di meditazione che più gli è congegnale e magari provarne o alternandone più di uno. Bisogna seguire le proprie predisposizioni e i propri ritmi circadiani.
Teniamo però presente che la meta è sempre una forma di liberazione e che da un’operazione mentale forzata è difficile passare ad una liberazione molto ampia. In tal senso, il risultato ottenuto è già contenuto nel metodo utilizzato.
Esistono quindi meditazioni che possono essere considerate preliminari o preparatorie, e meditazioni di livello avanzato.

martedì 12 giugno 2018

La sfida del buddhismo


La più grande sfida alle religioni teiste (ebraismo, cristianesimo, islam, ecc.) viene dal buddhismo. Mentre infatti tutte le religioni teiste seguono all’ingrosso uno stesso schema – c’è il Dio creatore, c’è un anima da lui creata, c’è il profeta o il salvatore inviato da Dio, c’è il libro sacro, c’è la promessa di un paradiso o di un inferno, ecc. –, il buddhismo non solo non crede in un Dio, ma sostiene anche che non esiste un’anima eterna; anzi, afferma che proprio queste credenze sono alla base del nostro stato di schiavitù, perché ci legano a un attaccamento egoistico che non ci permette una vera liberazione. Gli uomini continuano a nascere, a riprodursi, a morire e a soffrire perché sono abbagliati da una forma di ignoranza che non consente loro di vedere quanto la vita sia sostanziata di dolore. Se lo vedessero, se se ne rendessero conto, cesserebbero di desiderare di esistere o di conquistare un buon posto su questa stessa terra in una prossima rinascita o in qualche paradiso ultraterreno. Non c’è infatti nessun livello dell’essere che sia libero dalla sofferenza. È proprio la dimensione dell’essere che va eliminata. Il nirvana buddhista non è uno stato migliore dell’attuale, ma una forma di estinzione.
Subito il teista accusa questa religione di essere nichilista. Come si fa a rinunciare all’idea che esista un’essenza immortale che ci sopravvive? Come si fa ad abbandonare la speranza in una rinascita migliore o in una resurrezione? Non si butta il via con l’acqua sporca (la sofferenza) anche il bambino (l’anima)? Qualcuno potrebbe inoltre pensare: perché darsi tanto da fare per progredire se il sé è destinato a sparire?
La risposta del buddhismo (e delle religioni che credono nella reincarnazione) è che non si può sfuggire alla legge del karma e quindi alle conseguenze delle proprie azioni. Non serve morire e non servirebbe nemmeno suicidarsi. Quel sé che non è eterno è tuttavia ben radicato – nel desiderio, nell’attaccamento, nell’illusione e alla fine nella sofferenza. Paradossalmente, non è affatto facile liberarsene; esso continuerà a esistere da una vita all’altra e dovrà scontare tutto il karma accumulato.
Il buddhismo non spiega da dove nasca una simile legge perfettamente retributiva, che, tutto sommato, potrebbe essere assimilata ad una specie di Volontà divina...ma completamente impersonale. E non spiega neppure chi abbia messo in moto questo piano di realtà, con tutti i suoi esseri. Non nega che esistano stati migliori, paradisi e dèi. Ma afferma che niente di tutto questo è eterno e che nessun essere è esente dalla sofferenza. Anzi, la condizione umana è privilegiata, perché permette di incamminarsi sulla via della liberazione.
Mentre l’obiettivo del teista è raggiungere uno stato paradisiaco, il buddhista sostiene che nemmeno questo stato può essere definitivo e che la meta ultima è liberarsi di ogni sete di essere (o di non essere).
Come fare? La via non può che essere quella della consapevolezza e del distacco. Con la consapevolezza ci si rende conto dello stato di sofferenza di cui siamo vittime e con il distacco (non-attaccamento) ci si libera delle illusioni e dei condizionamenti. Ma la strada è lunga e non rischiamo affatto di scomparire nel nulla subito dopo la morte; ci vorranno molte vite, molte sofferenze e molta meditazione prima che in noi si faccia strada un barlume di luce. Nel frattempo continueremo a credere che si possa vivere senza soffrire e sogneremo di stati paradisiaci e divini in cui, non si sa come, potremo vivere in eterna letizia.
Solo il buddhista non si fa illusioni e sa che l’ultima rinuncia sarà proprio quella dell’attaccamento al proprio ego. Chi avrà ragione? Difficile dirlo, ma resta il fatto che la concezione buddhista è la sfida più radicale alle nostre credenze e fa apparire le varie teologie giochi di bambini.

lunedì 11 giugno 2018

Diminuire la pressione dell'io


Di solito, quando parliamo dei benefici della meditazione, ci riferiamo al rilassamento, al senso di benessere, alla tranquillità,alla serenità e alla salute in genere. Ed è tutto vero. Però ci dimentichiamo di un aspetto che è meno evidente, ma più importante: l’allentamento della presa dell’io.
Per “presa o pressione dell’io” intendiamo la sensazione e l’idea di dover difendere la nostra personalità contro le minacce esterne, il che si traduce in una tensione esistenziale continua, in sensazioni di paura, di ansia e di angoscia.
È dal senso dell’io, più o meno forte, che dipendono tante nostre sofferenze, soprattutto di tipo psicologico, tenuto conto che si tratta più che altro di una costruzione mentale. A poco a poco, crescendo, l’io diventa un concetto di primaria preoccupazione.
Meditare porta ad allentare tale invasività.
Infatti noi ci sentiamo in dovere non solo di proteggerlo, ma anche di rinsaldarlo e di farlo riconoscere dagli altri. Non essere riconosciuti, non contare niente, non essere qualcuno, ci fa sentire male. “Io devo fare questo, io devo essere questo, io devo farmi rispettare, ecc.”
È un attaccamento maniacale, una vera ossessione che ci tortura continuamente. L’idea di non essere nessuno ci sembra devastante. Di qui i nostri sforzi e le nostre paure.
Quando invece mettiamo in secondo piano questo senso dell’io, meditando sul fatto che è soprattutto un costrutto mentale, la vita diventa più leggera. Dov’è il senso dell’io? A che cosa corrisponde?
È una nostra esperienza, non qualcosa di oggettivo. Dunque, può essere cambiato.
Spetta a noi conferirgli più o meno importanza. Spetta a noi lavorare per capire che si tratta in gran parte di una nostra idea, un concetto, un giudizio che può diventare più o meno assillante. Quando ci preoccupiamo troppo del nostro ego, vuol dire che ci stiamo tendendo forse inutilmente.
Non è dagli altri che deve venire questo riconoscimento, ma da noi stessi. Spogliamolo della sua importanza. Che cosa conta il nostro piccolo io in questo universo? Dov’era prima che nascessimo e dove finirà dopo la nostra morte? E siamo sicuri di essere “noi” che nasciamo e che moriamo?
Non possiamo far niente per consolidarlo, niente per trattenerlo. Ma, proprio per questo, possiamo ridimensionare la sua importanza, approdando a quel senso del sé che riconosce di essere parte del tutto, non semplici individui isolati.
Si può vivere, e si vive meglio, senza il senso assillante dell’io. C’è qualcosa che ci guida inesorabilmente e che ne sa più di noi.

domenica 10 giugno 2018

Contemplare il fiume


I fiumi e gli oceani sono vicini alla Via.
                      Wen-tzu

Mettiti su una sponda, su un ponte o su un’altura vicina al fiume in modo da avere una visione panoramica. Lascia che l’occhio si riempia di quel movimento, di quell’immensità geologica.
       Lo scorrere delle acque in un fiume è sempre stato accostato allo scorrere del tempo e del divenire. Mentre, nell’antica Grecia, Eraclito diceva che “nello stesso fiume non è possibile scendere due volte”, quasi nella stessa epoca, dall’altra parte del mondo, in India, il Buddha paragonava il tragitto verso l’illuminazione all’attraversamento di un fiume.
Siediti dunque in un luogo sopraelevato, e osserva la corrente. Fra un attimo essa non sarà più la stessa, ma sarà sostituita da un’altra. Anche tu, che sei seduto lì, in quel posto, sarai sostituito da un altro.
       L’acqua è sgorgata da fonti di montagna, poi ha compiuto un lungo percorso per giungere fino a te; e infine, dopo tanto procedere, sbocca nel mare, dove si disperde. Il fiume che scorre verso il mare e in esso sparisce, alla fine perde la propria individualità.

       Eppure il ciclo di quell’acqua non è finito. Perché di nuovo evaporerà al sole, si raccoglierà in nubi e un giorno ricadrà sulla montagna, per ripresentarsi a quella stessa fonte – non sarà più la stessa eppure, in qualche modo, sarà ancora la stessa.


Ogni cosa finisce, ogni cosa non finisce; ogni cosa esiste, ogni cosa non esiste.
                                                    Buddha

Anche in te scorre un fiume – di sangue, di vitalità, di spirito.
Guarda quell’acqua che viene trascinata a valle. Sei tu, è la tua vita, è questo piccolo pianeta, è la tua mente. Realizza lo scorrere e il permanere, il divenire e l’essere, il tempo e l’eternità: sei di fronte a paradossi che non possono essere risolti con la mente razionale.
Tu però li esperisci concretamente, e puoi posizionarti tra i due estremi, metterti sul crinale e guardare nello stesso tempo entrambi i versanti. Puoi essere contemporaneamente nel fiume e sulla riva.
Resta così in equilibrio per qualche momento, senza scivolare né da una parte né dall’altra, senza scegliere, con uno sguardo che tutto abbraccia.
In quell’istante, trascendi la mente!

Ferma con coraggio la corrente del fiume, o illuminato!

                      Dhammapada





sabato 9 giugno 2018

Per una nuova spiritualità


I valori della meditazione sono la calma, il distacco, il silenzio, l’armonia, l’attenzione e la consapevolezza - tutti valori estranei alle altre religioni che dominano il mondo. Se dovessimo aggiornare la tavola dei comandamenti, dovremmo aggiungere: “Sii calmo, sii distaccato, sii silenzioso, sii in sintonia con la natura e con gli altri esseri viventi, sii gentile, sii attento, sii vigile...”
       In realtà, basterebbe un unico comandamento per rendere inutili tutti gli altri: “Sii consapevole...” Di te e degli altri.

venerdì 8 giugno 2018

Contemplare il mare


Quando l’anima attira a sé Dio, allora la goccia diventa mare.
                      Meister Eckhart

Il mare ti parla di terre lontane, di profondità misteriose, di ciò che non ha confine, dell’instabile, dell’inquietante, di ciò che unisce ma nello stesso tempo divide, del mistero che si cela sotto la superficie, delle bonacce e delle burrasche che scoppiano all’improvviso; ti parla di esplorazioni e di navigazioni; ti parla di fughe e di ritorni, di ribellioni, di nostalgia e di avventure.

       È dunque uno specchio dei tuoi stati d’animo, delle tue contraddizioni, ed è un simbolo dell’ambiguo, della tua realtà protesa tra l’essere e il nulla, tra amore e odio, tra pace e violenza.

La goccia d’acqua è nel mare,
il mare è nella goccia d’acqua.
                      Guru Nanak

       Dalla costa, allarga lo sguardo, senza fissare nulla di preciso. Osserva la vastità e la curvatura terrestre. Guarda l’orizzonte – il confine che ti trovi davanti e dentro e che vorresti superare.
       Non sei un semplice sguardo che osserva, non sei esterno a ciò che contempli: il vento ti accarezza la pelle, la salsedine ti entra nei polmoni, il suono delle onde ti penetra nelle orecchie...sei tu stesso una creatura del mare da cui sei emerso milioni di anni fa. Il mare è dentro di te, è nella tua stessa acqua, nelle tue stesse vene.
       Anche tu sei un’onda – un’onda che per un attimo si solleva, si gonfia, avanza e poi ritorna nel grande e comune alveo di tutte le forme di vita.
        Abbandonati per un po’ lasciando cadere la mente e il corpo. Resta immobile riempiendoti gli occhi e i sensi di questa immensità. In pochi istanti si concentrano emozioni che non potrai mai dire né scrivere.
Tutti i problemi, tutti i confini, sono dentro di te. Ma per ora tu riesci a esserne al di sopra, perché li contempli.
       Per qualche istante vivi un’esperienza di superamento e di liberazione. Mentre sprofondi nella meditazione, diventa il profondo e vasto oceano della pace.

Chi conosce il Sé varca il mare della sofferenza.
                      Chandogya Upanisad

giovedì 7 giugno 2018

Il potere della consapevolezza


Quando ci identifichiamo (e lo facciamo abitualmente) con ciò che sentiamo e pensiamo, siamo come banderuole al vento. Che ci fa girare come e dove vuole lui.
Ma quando prestiamo attenzione a ciò che sentiamo o pensiamo, quando siamo consapevoli dei nostri stati d’animo, ce ne distacchiamo, ci disidentifichiamo. Siamo il testimone di ciò che proviamo.
Questo semplice disallineamento ci porta per un attimo a non essere più il solito io. Per esempio, se sono consapevole di aver paura, per quell’istante non ho più paura, non sono più l’io che ha paura: sono il sé che osserva tutto ciò. Lo stesso accade se sono consapevole di essere triste: se ne sono consapevole, per quell’attimo non sono più triste. Osservo il mio io che è triste. Ma io mi disloco altrove. Esco da me stesso.
Moltiplichiamo questi attimi, addestriamoci ad essere semplici testimoni.
Impareremo a distaccarci dagli stati d’animo negativi.
Alleniamoci ad essere testimoni neutrali, distaccati, non solo del mondo, ma anche di noi stessi. Al di fuori della sofferenza dell’identificazione con l’ego.

Se guardiamo un film in un cinema, proviamo le emozioni che un regista vuole che proviamo. Ma, se ci rendiamo conto di trovarci in un cinema e di guardare semplici immagini e suoni su uno schermo, siamo fuori dall’identificazione, siamo liberi.

mercoledì 6 giugno 2018

Le piccole illuminazioni


Che cos’è questo universo colmo di meraviglia?

                      Vijnana Bhairava Tantra             

Ci sono momenti di massima intensità percettiva in cui rialziamo la testa da ciò che stiamo facendo, ci dimentichiamo per un po’ dei nostri problemi e guardiamo il mondo e noi stessi con occhi nuovi. Per qualche attimo vediamo le cose con stupore e con chiarezza, mettiamo da parte i pensieri ed emergiamo dal sonno di una visione abitudinaria.
È stata proprio una delle tradizioni buddhiste – lo zen – a mettere in evidenza come tutte le azioni più comuni dell’esistenza – mangiare, bere, lavare, cucinare, stare seduti, camminare, arrampicarsi, dipingere, coltivare la terra, ascoltare musica, guardare, leggere, danzare, tirare con l’arco, ecc. – possano condurre a esperienze di grande intensità percettiva. E lo stesso sostiene il tantra, in cui i metodi per giungere a stati contemplativi includono attività quotidiane come muoversi, avere rapporti sessuali, assistere a spettacoli, vedere cose belle, ricordare qualcosa all’improvviso, degustare un cibo, bere e così via.

Che cos’è la vera contemplazione? È ogni cosa: tossire, deglutire, agitare le braccia, muoversi, stare fermi, parlare, agire, il male e il bene, successo e vergogna, guadagno e perdita, giusto e ingiusto, in un unico koan.
                      Hakuin

Purché si sappia entrare nello spirito giusto, la vita quotidiana è il luogo e il momento di una “chiara visione”.
La contemplazione – uno dei piaceri fondamentali dell’esistenza, che non termina mai, neppure quando tutti gli altri si sono esauriti – è godere dello spettacolo del mondo, e si differenzia dal comune guardare perché è un osservare con interesse e con stupore, un osservare in cui aderiamo il più possibile all’oggetto contemplato, dimenticandoci per un po’ di noi stessi e dei nostri problemi.
Il senso di stupore e la comunione con l’oggetto contemplato ci permettono un’uscita (ex-stasis) sia dai limiti dell’ego sia dalle abituali categorie conoscitive e innestano quella diversa consapevolezza che può essere considerata una forma di “piccola illuminazione”.

martedì 5 giugno 2018

Bardo


In questo mondo e in questa vita, non sappiamo a che livello di evoluzione ci troviamo. Non siamo animali, ma non siamo neanche degli illuminati. Non siamo in un inferno, ma neppure in un paradiso. Siamo a un livello intermedio, ciò che i tibetani chiamano bardo.
Tutto quel che viviamo potrebbe essere ciò che ci succede in una specie di purgatorio o in qualche mondo intermedio di un lungo e forse infinito percorso.
E un giorno, forse, ci reincontreremo.
Ma resta il fatto che in un istante possiamo passare da un paradiso a un inferno o viceversa.

L'eterno conflitto


La guerra non dà tregua in questo mondo perché si nutre dell’infelicità degli uomini. È l’espressione di una lotta esterna e interna.
Se vuoi eliminare la guerra, devi eliminare la sofferenza – programma impegnativo.
Quel che è certo è che non puoi partire solo dall’esterno.

lunedì 4 giugno 2018

Contemplare l'alba


Tutte le creature di questo mondo inneggiano al sole quando sorge.
                      Chandogya Upanisad

       In un giorno che si annuncia calmo e sereno, osserva il lento sorgere del sole, e accompagna al risveglio del mondo il tuo stesso risveglio.
Apprezza la vita fin dal primo risveglio, proprio come un esercizio o un rito. Pensa al nuovo giorno come a una rinascita. Assapora i momenti che precedono l’alba, quando tutte le forme non sono ancora uscite dal buio. E fai in modo che anche la tua mente, non del tutto sveglia, rimanga immobile.

 Quando la mente non sorge, tutto è senza difetto.
                      Chao-chou

       Il passaggio tra la notte e il giorno è un evento cosmico, il ripetersi di un particolare rapporto fra una stella e un pianeta, che ha una profonda influenza sulla tua mente. Anche quel piccolo frammento che rappresenti ha un intimo rapporto con il cosmo.
       Al termine della notte, quando tutto è ancora buio e sembra non esserci luce da nessuna parte, qualche uccello incomincia a cantare, e il buio – raggiunto il massimo – inverte il suo corso.
       Osserva il momento di sospensione di tutti gli esseri viventi e degli stessi eventi. C’è come un’incertezza nella debole luminosità dell’alba.
       Quando la distinzione tra tenebre e luce non è ancora netta, ti accorgi di come i poli opposti del buio e della luce (così come tutti gli altri ) sfumino lentamente l’uno nell’altro.

La notte calma
vicino al sorger dell’aurora,
la musica silenziosa,
la solitudine sonora…

                      Giovanni della Croce, Cantico spirituale

       A poco a poco, sperimenti il risveglio del mondo. C’è come un movimento esterno cui corrisponde un cambiamento interiore. E, nel momento in cui tutto si desta, apriti e fai penetrare questa luce dentro di te.
Fatti invadere lentamente dalla luce di fuori e convertila nella luce di dentro.
       Questo è il punto in cui il fenomeno esterno si trasforma in un evento interiore.

Gira la luce e volgila all’interno.
                      Dogen

       Non battere ciglio, trattieni il respiro, aguzza la vista.
Per qualche attimo dimenticati delle solite preoccupazioni. Ora sei testimone di un fenomeno cosmico.
       L’illuminazione, giustamente, si chiama anche risveglio, perché ti risveglia da quella specie di sonno che è la tua vita abituale. Non a caso, il Buddha acquisì una nuova visione quando, dopo una notte di sforzi, vide spuntare a oriente la linea luminosa dell’alba.
       In questo momento sei più che mai presente e consapevole. Non c’è passato e non c’è futuro. Affonda nella consapevolezza di essere ora e qui.
Non sei solo un piccolo individuo; sei il tutto che, attraverso la finestra della tua coscienza, prende coscienza di sé.
       Mentre la luce penetra dentro di te, abbandonati a questa piccola illuminazione.

Fra un’aurora e l’altra mi ha raggiunto una verità nuova.
                      Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra