martedì 30 giugno 2015

Percezione pura

C’è un attimo di percezione pura, un attimo prima che la mente classifichi l’esperienza, la definisca e divida il soggetto che conosce dall’oggetto conosciuto.
Dovremmo puntare l’attenzione su questo attimo. Nello Zen ci si domanda: “Qual era il tuo volto prima che nascessero tuo padre e tua madre?” E si raccomanda di trattenere “l’impetuoso cavallo” della mente.
Certo, in quel momento non c’è ancora il tuo nome, la tua forma, il tuo io; non c’è neppure il due.
C’è il puro e immenso essere, che si modula nelle sue mille manifestazioni, ma che ancora non si è limitato e rimpicciolito.
Come dice William Blake, se le porte della percezione fossero aperte, scopriremmo che ogni cosa è così, infinita.
Svegliati quando hai ancora sonno e siediti. La tua mente non è ancora attiva. Rimani soltanto consapevole.

Al limite tra sonno e veglia, chiudi gli occhi e fissa l’attenzione sulla luce che traspare dalle palpebre. Solo luce.
Tu non ci sei ancora. Sei all'alba della creazione.

lunedì 29 giugno 2015

Come conoscere

La verità è che “interno” ed “esterno” “corpo” e “mente e “io” e “altro” (o “non io”), sono semplici concetti della mente.
La verità è che l’esperienza, nel momento in cui avviene, è un tutto unico.
Nel momento dell’esperienza, non c’è nessuna distinzione. È un insieme vivente e consapevole. Ed è la mente che, in un secondo momento, distingue e separa il soggetto conoscente dall’oggetto conosciuto.
Ora, come meditazione, ritorniamo all’esperienza come un tutto unico, liberandoci delle sovrapposizioni intellettuali.
Il fatto che il mondo sia sperimentabile significa che ogni cosa ha la capacità delle conoscibilità, una proprietà che rende le cose permeabili e comunicabili.
Avviene un’esperienza, da cui noi ricaviamo un soggetto e un oggetto. Quindi, quando guardiamo per esempio una casa, non dobbiamo dire: “Io guardo una casa”, ma “c’è un’esperienza consapevole da cui la mia mente ritaglia il mio io e la casa”.

In sostanza, anche se partiamo di solito da un’indagine della mente sulla mente, sul nostro tipo di conoscenza e sul nostro io, ciò che dovremmo esplorare è un campo completo di esperienza. E questo è possibile solo dismettendo gli stessi strumenti conoscitivi, le etichette, le definizioni e i concetti di io e ritornando alla pura esperienza, che è comunque una modulazione dell’essere.

domenica 28 giugno 2015

Sonno e risveglio

Quando siamo immersi in un sonno profondo, senza sogni, sparisce la nostra idea di io, spariscono il tempo e lo spazio, spariscono le paure, spariscono i desideri, sparisce la coscienza ordinaria, sparisce la mente, sparisce il corpo… eppure ci risvegliamo rinvigoriti e rinfrancati. Anzi, se siamo feriti o gravemente malati, i medici ci tengono in un coma farmacologico, perché sanno che l’organismo in queste condizioni è in grado di riprendersi da sé.
Pochi attimi dopo che siamo svegliati, ritorna la coscienza, ritorna la mente, ritorna il corpo e subito entriamo in tensione e in sofferenza, e si riaffacciano tutte e preoccupazioni, le ansie le scontentezze, le insoddisfazioni.
Dove eravamo quando dormivamo? Perché tali effetti benefici?
In realtà, eravamo rientrati in contatto con noi stessi, con il nostro sé più profondo, che è pura energia, pace e autoguarigione.
Vivere è tendersi, mentre entrare in contatto con il sé è distendersi, è trovare pace ed energia.
Tutto questo può essere verificato da ognuno di noi quotidianamente. E può essere utilizzato per capire che cosa dobbiamo “fare” in meditazione. Lasciare la presa, lasciare la tensione esistenziale, lasciare l’identificazione con l’io di superficie, lasciare il tempo e lo spazio, lasciare i desideri o i rimpianti.
Cerchiamo dunque di far sì che la meditazione sia una specie di sogno senza sogni. Per un po’, dopo esserci svegliati, cerchiamo di stare il più possibile in intimità con il sé, lasciando perdere il confinamento e il distanziamento nell’io con tutti i suoi problemi.

In tal senso, la meditazione è una specie di “morte sperimentale”, una specie di immersione nella pura consapevolezza del sé. Prima di riprendere i nostri abiti abituali, prima di indossare di nuovo l’io che ci siamo costruiti negli anni, prima di riprendere i pensieri e le azioni abituali (che di nuovo veleranno il sé), sperimentiamo come sia possibile un altro livello di vita, basato sulla disidentificazione, sulla liberazione, sulla pace.

sabato 27 giugno 2015

Oltre i sogni

L’io è come un pesce che è guizzato fuori dal mare e ora si dibatte sulla sabbia, agonizzando.
Mentre, esala l’ultimo respiro, pensa: “Ma perché sono saltato fuori dal grande mare?” Non era meglio non saltare per niente? Non era meglio rimanere là dove mi trovavo? Quale inutile desiderio mi ha portato fuori?”
Per fortuna, la morte lo riporterà comunque alla sua origine.
Per fortuna, la morte è molto compassionevole, e ci riporterà allo stato di fabbrica.
Ma dei nostri sogni, dei nostri desideri, delle nostre ambizioni, dei nostri amori… che cosa rimarrà?
Niente. Che cosa volete che rimanga di un sogno?


Se riusciamo a fare della nostra meditazione un sonno senza sogni – ovvero la morte della mente-corpo, dell’io -, abbiamo raggiunto la meta.

L'inferno della vita

L’inferno non è uno stato in cui veniamo torturati da qualcuno. Ma lo stato di insoddisfazione e di ricerca della felicità.
Nell’inferno, tutti cercano la felicità. Ed è proprio questa ricerca che denota e costituisce la sofferenza.

Sono i nostri desideri che ci torturano, non i diavoli.

RIgenerarsi

Il vero stato rigenerante non è la felicità – che subito svanisce e lascia il posto al suo contrario. Ma il contatto profondo con la nostra natura originaria, il sé.
Per far questo, l’io e il pensiero devono essere sospesi.
Succede per esempio nel sonno profondo, quando non è in azione il solito ego con i suoi desideri insoddisfatti. Lì usciamo dalle identificazioni abituali. E, quando ne emergiamo, ci sentiamo rinati.
In realtà siamo stati in intimità con quel sé che non si identifica con l’io.
Nel sonno profondo, senza sogni, dove sono i miei pensieri e i miei desideri? Dove sono il tempo e lo spazio?
Tutto sparisce ed è per questo che ci rigeneriamo. Ritorniamo ad essere il sé, che non sente nessuna mancanza.
Dov’è la nascita? Dov’è la morte? Dove sono io? Dov’è il conoscitore? Dov’è il conosciuto?
Il mondo delle nostre definizioni e delimitazioni, il mondo dei nostri pensieri, il mondo delle paure e dei desideri… è tutto sparito. E resta la realtà senza qualificazioni, ciò che precede e segue la vita-morte.
È per questo che la vita cerca la morte: per liberarsi.



La vera felicità

Noi crediamo che la felicità sia il contrario della sofferenza e ci immaginiamo che sia uno stato di gioia, di tripudio e di esaltazione.
Ma non è così: questa sarebbe una felicità di breve durata, che ben presto lascerebbe il posto ai suoi contrari – l’infelicità, la sofferenza, l’insoddisfazione, la mancanza…
La vera felicità consiste nel non sentire nessuna mancanza, nessuna insoddisfazione, nessun desiderio. È uno stato di pienezza senza contrari.
Questo è possibile solo quando sparisce il senso dell’io, con i suoi desideri, le sue illusioni e le sue insoddisfazioni. Come succede per esempio nel sonno profondo. È per questo che tutti aspiriamo, quando siamo stanchi e tristi, ad un sonno senza sogni, senza le solite miserie dell’ego.

Ma, a questo punto, non è più possibile neppure abbandonarsi ad un sonno del genere e continuiamo ad essere tesi anche quando dormiamo. Veniamo ancora dominati dai desideri e dai sogni di un io che non vuole lasciare la presa.

venerdì 26 giugno 2015

Tensione e distensione

La meditazione è la dismissione della tensione esistenziale che è insita nella ricerca (dell’acquisizione, del possesso, della conquista, del potere, ecc.) e rivela la pace che è già dentro di noi, alla nostra origine.
La pace che invece noi cerchiamo di solito è quella che segue una guerra.
Ma perché condurre una guerra quando la pace che cerchiamo è già all’inizio? Ora, in questo momento, puoi ottenere la pace… se sai come lasciar cadere la tensione. E, se non lo sai, non troverai mai la pace. Anzi, farai tutte le guerre di questo mondo (contro gli altri e contro te stesso) per trovare un istante di tranquillità.

Un gioco stupido, un gioco che non vale la candela.

Tutto è Uno

Che differenza c’è tra il Sé universale (per esempio dell’Advaita Vedanta) e il Dio delle religioni tradizionali?
La differenza è che il Dio delle religioni è “totalmente Altro” rispetto a chi lo ricerca, mentre il Sé universale (che s‘identifica con quello personale) è proprio la nostra parte più intima e più profonda.
Una differenza non da poco.
Per ritrovarlo, dobbiamo dismettere la tensione separatrice che cerca all’esterno e ritornare a noi stessi.
Il teista cerca un Dio al di fuori di sé. Il meditante cerca il proprio sé più intimo, che a sua volta è parte del Sé universale.
Di fatto, è proprio la nostra convinzione che crea il mondo così com’è, diviso in tante entità separate e diviso anche interiormente. Chi crede nel Dio delle religioni, crea un mondo di dualità, di divisioni, di contrapposizioni, di separazioni e di isolamento; divide se stesso e se stesso dagli altri e dal suo Dio.

Chi coglie invece il Sé universale va oltre le innumerevoli contrapposizioni della mente comune, tende ad un’esperienza di unificazione e vede tutte le esperienze come modulazioni di un unico essere - che è dappertutto e… in sé.

La fine dello sforzo

Nell’Advaita Vedanta (Vedanta non dualistico), c’è la convinzione che il sé originale sia pace, felicità e amore.
Non c’è quindi bisogno di cercare queste condizioni. Ciò che cerchiamo affannosamente lo abbiamo già. Anzi, più lo cerchiamo in condizioni esterne, più ce ne allontaniamo.
La pace, la felicità e l’amore sono già dentro di noi, alla nostra origine unitaria. Per ritrovarle, dobbiamo soltanto rivolgere l’attenzione all’interno, a questa unità originale (il nostro stesso sé non duale) e lasciar perdere lo sforzo della ricerca.
È il nostro ego immaginario che prima divide il mondo in tante entità separate e poi vorrebbe riunirle.
Questa scoperta (che non dobbiamo cercare nel mondo esterno ciò che già possediamo all’interno) crea un’ondata di rilassamento che investe sia il corpo sia la mente.
Finisce la tensione, finisce lo sforzo: tutto è già in nostro possesso… se sappiamo superarle le distinzioni e l’isolamento creati dall’io.

Il corpo e la mente si rilassano, nelle comprensione che ciò che inseguivamo – al servizio di un’entità immaginaria (il nostro io), un vero tiranno dell’illusione – è conseguibile proprio se smettiamo la tensione della ricerca.

giovedì 25 giugno 2015

Un porto sicuro

Se ci troviamo in una stanza, possiamo fare qualunque cosa al suo interno – mettere o togliere mobili, muoverci o restare immmobili, piangere o ridere, fare rumore o stare zitti, ecc. -, ma lo spazio della stanza non ne sarà toccato. La stanza è sempre la stessa, non viene cambiata da ciò che vi avviene dentro. Questo succede perché è uno spazio vuoto.
Quello spazio rimane sempre immutabile e imperturbabile. E vi possiamo ricorrere ogni volta che vogliamo.
Lo stesso succede per la nostra stanza interna, il nostro sé. Qualunque cosa facciamo, lui non ne viene toccato. Possiamo pensare, soffrire, gioire, immaginare, sentire, percepire… tutto ciò che vogliamo, ma lo spazio vuoto al centro del nostro essere, lo spazio di consapevolezza rimane imperturbabile. E in pace.
La cosa meravigliosa è che, indipendentemente da ciò che succede, possiamo sempre ritrovare questo centro libero e tranquillo. È una grande risorsa, a nostra disposizione e gratuita, sempre presente.

Tutto sta a capirlo e a riuscire, quando ne abbiamo bisogno, a distinguere tra il nostro io agitato e tumultuoso e questo nostro sé sereno e felice. Non si tratta di un concetto di alta metafisica. Si tratta di un porto sicuro.

Economia religiosa

Tutto ormai risponde al principio economico. I conti devono essere in ordine, le passività non devono superare le attività, gli investimenti devono fruttare e i debiti… i debiti sono i peggiori peccati, quelli che non si perdonano.
Sembra che abbiamo fatto del principio economico anche il principio religioso. Ma in realtà è il principio economico che ha informato di sé la religione.
Si parla di accumulare debiti, come se si trattasse di un conto in banca, come se Dio fosse il supremo Banchiere che se ne sta lì a calcolare profitti e perdite di ciascuno.
E il Paradiso cos’è, se non la Pensione ultima che sarà più o meno elevata a seconda del capitale accumulato e degli interessi?

C’è un’unica cosa che non costa niente: il nostro essere. Ma noi facciamo di tutto per dare un costo anche ad ogni nascita, per far pagare a ciascuno una tassa.

Il desiderio insaziabile

Il paradiso c’è ed è conseguibile già su questa Terra. Abbiamo già i mezzi sufficienti per essere felici. Ma la verità è che non lo vogliamo. Siamo spiriti famelici.
Noi non vogliamo stare seduti in pace gustandoci il semplice fatto di essere. Noi vogliamo la lotta, la competizione, la conquista, l’espansione, la ricchezza, il potere, il cambiamento, ecc. E vogliamo sempre di più.
Non ci accontentiamo di ciò che abbiamo. Siamo divorati da un febbre che sia chiama desiderio. Abbiamo sempre qualcosa che ci manca, qualcosa che ci rode.
Il desiderio, il senso di mancanza è così forte che copre, vela e oscura la nostra natura originale, la quale, per il fatto di essere, è già felice.

Questi sono i nostri marchi di fabbrica: la gioia di essere e il marchio di Caino. E l’uno combatte l’altro.

mercoledì 24 giugno 2015

La pace originaria

Tutti vorremmo ottenere pace, felicità e amore. Ma lo facciamo attraverso sforzi, interventi e manipolazioni delle persone, delle situazioni e di noi stessi.
Se però scavassimo più a fondo, scopriremmo 1) che pace, felicità e amore sono la natura stessa del nostro sé originario e 2) che sono proprio i nostri sforzi ad allontanarcene.
Come dicevano le Upanishad, è come qualcuno che cerchi dappertutto un tesoro e vaghi di continuo, senza accorgersi che è sepolto proprio sotto i suoi piedi.

Insomma, noi cerchiamo fuori quello che abbiamo dentro e nel futuro quello che abbiamo adesso.

La forza della propoganda religiosa

Ascoltando i telegiornali, mi accorgo che si aprono spesso su quello che fa o che dice il Papa. E parlano del Papa molto di più di quanto parlino del Presidente della Repubblica. Sembra di essere, più che in Italia, nello Stato della Chiesa.
Questo è il cattolicesimo: pubblicità continua, propaganda. Una religione tenuta in vita artificialmente. Un tempo ci si serviva delle opere d’arte e di artisti come Michelangelo o Piero della Francesca. Oggi delle radio e delle televisioni.

Se nessuno ne parlasse, tutti i giorni, tutte le ore… scomparirebbe, come neve al sole.
Ma perché l'Italia si presta così volonterosamente a rendere questo servizio alla Chiesa, che in realtà ha sempre lavorato contro lo Stato? 

Perché in Italia non c'è senso dello Stato.
E perché non c'è senso dello Stato? Perché c'è senso della Chiesa.

Ogni esperienza è illuminata

La fisica ci dice che le cose esistono se c’è un osservatore a stabilire il loro modo di essere. L’atomo può essere una particella o un’onda a seconda di chi lo guarda.
Questo osservatore, il testimone, è dunque presente fin dall’origine dei tempi, come elemento costitutivo del mondo. Spazio, tempo e conoscenza sono tutt’uno.
Il testimone, il sé, è dunque ciò che dà un senso alle cose illuminandole.
È come la luce del sole, senza la quale non si potrebbe vedere niente. Il mondo è buio e, senza un occhio, non sarebbe visibile.

Naturalmente, più l’occhio è limpido, più riesce a vedere la luminosità del tutto.

I turbamenti dell'io

Il nostro io è continuamente agitato da pensieri, emozioni, sensazioni, desideri, percezioni, ricordi, anticipazioni, fantasie e compagnia bella. Siamo in balìa di mille tensioni, impulsi e contraddizioni.
Ma c’è il testimone di tutto questo che non ne viene turbato. Assiste a qualsiasi turbamento senza parteciparvi, rimanendo in pace. Come il fondo del mare che non viene toccato dalle onde di superficie.

Cercare di identificarsi con questo sé imperturbabile e silenzioso è la suprema salute mentale, la vera salvezza.

La via della liberazione

La prima parte del cammino verso la liberazione consiste nell’essere compiutamente noi stessi, sbarazzandoci di tutti i condizionamenti sociali che vorrebbero farci essere qualcun altro, a loro immagine e somiglianza.
Ma, poi, la seconda parte consiste nel riuscire a evadere dai confini di questo ego per aprirci ad un’identità più vasta.

Insomma, ne abbiamo abbastanza di essere noi stessi e vogliamo qualcosa di più. Non ne possiamo più delle definizioni fisse, dei limiti e dei muri. Libertà!

martedì 23 giugno 2015

Roma mafiosa

Roma corrotta? Non è una novità. Dalla caduta dell’impero romano in poi, Roma è stata non solo corrotta ma anche –sotto la dominazione della Chiesa cattolica - miserabile.
Poi, ecco l’invenzione del Purgatorio.
Che cos’è il Purgatorio? Un luogo intermedio, una “zona di negoziazione” (come dice il sociologo De Masi), dove si possono scontare i peccati.
Secondo Le Goff, la concezione del Purgatorio si delineò quando fu necessario reintegrare i “peccatori di professione”, come i banchieri, gli strozzini e i mercanti, da cui dipendeva in ultima analisi la prosperità economica della città. Insomma, una questione di denaro.
Con l’istituzione dei Giubilei, i traffici economico-finanziari dei Papa si perfezionarono. E tutti poterono, con apposito esborso di denaro e con benefici delle casse della Chiesa, accedere alle indulgenze.
Da allora non è cambiato niente. Tra un po’ si celebrerà un nuovo Giubileo, di cui tutti i mercanti sono contenti perché sanno che faranno affari.
Questa idea del “fare affari con Dio” (in realtà con la religione) è il fondamento stesso della religione cattolica. A questo serve il Dio fattosi uomo: a mediare.
Volete che, con questa mentalità, Roma non sia corrotta – nell’animo?

Se i romani trafficano da secoli con Dio, volete che non traffichino con gli uomini?

Il testimone di ogni esperienza

C’è qualcosa che può essere solo soggetto di consapevolezza, ma non oggetto. È il testimone, il sé più profondo, che è sempre presente e che non può essere conosciuto come un qualunque oggetto.
Se proviamo a cogliere questo principio consapevole, non ce la faremo. Perché ci sarà sempre un soggetto che è consapevole di questa nostra conoscenza. È come il cane che vorrebbe afferrare la propria coda.
Il sé, il testimone, non può essere ritrovato in nessun oggetto perché non è collocato né in uno spazio né in un tempo. È sempre qui e ora, e svolge il suo lavoro di testimonianza.
Il sé è consapevole di ogni momento della vita, di ogni esperienza, di ogni cambiamento, dalla nascita alla morte; ma lui non cambia. È il perno attorno a cui gira ogni cosa, ma lui non gira. È consapevole di tutti i nostri pensieri e stati d’animo, ma lui non ne è toccato.
Noi abbiamo esperienza del divenire solo nella memoria legata all’io-corpo. Ma il sé ne è al di fuori.
Come esercizio, cerchiamo cogliere questo principio consapevole, che è sempre presente in tutte le nostre esperienze. Proviamo e riproviamo, andando a precedere ogni atto conoscitivo.
Naturalmente non ci riusciremo, perché saremo sempre preceduti dal soggetto che ne è consapevole.

Dunque, smettiamo, lasciamo perdere ogni sforzo… In quell’istante, cessiamo di inseguire il sé – e lo siamo.

lunedì 22 giugno 2015

L'identità profonda

La consapevolezza mentale è semplice consapevolezza di essere – e di essere qui e ora. Questa consapevolezza non ha bisogno né di concetti né di dimostrazioni. Non è vero, come diceva Cartesio, che siamo consapevoli perché pensiamo. Semmai, è il contrario: più pensiamo, meno siamo. Infatti, mentre pensiamo, ci dimentichiamo di essere, ci allontaniamo dalla fondamentale consapevolezza di essere.
Sappiamo di essere semplicemente essendolo, non pensandolo. Anzi, più pensiamo, più cancelliamo la pura consapevolezza di essere.
La consapevolezza precede il pensare e ogni altra attività mentale.
La presenza mentale è esattamente questo contatto intimo di noi con il nostro nucleo basilare, la nostra coincidenza con il nostro essere più profondo. È l’esperienza più intima, priva di mediazioni, che possiamo avere di noi stessi.
Non è pensare, non è fare; è essere, è il nostro sé.
Questa primaria presenza consapevole, questo sé, non va confuso con l’io che pensiamo di essere. L’io, in tal senso, è un’identità secondaria, interpretata e sovrapposta.
In meditazione cerchiamo di stare il più possibile con questa presenza consapevole, con il nostro sé, andando anche oltre la coscienza dell’io, oltre il dualismo conoscente-conosciuto.
Tutte le percezioni, le sensazioni, le immagini, i pensieri e gli stati d’animo vanno e vengono; mentre la nostra presenza consapevole, il nostro sé, rimane sempre, anche quando la coscienza dell’io fenomenico è offuscata o sospesa, come per esempio nel sonno. In effetti, nel sonno, continuiamo ad essere consapevoli, tanto che possiamo sognare. Questo significa che è sempre presente il soggetto consapevole, non l’ego. L’ego può anche sparire, ma non il sé.

Il sé profondo è anche ciò che ci fa svegliare dal sonno con o senza sogni, da un’anestesia o da un coma. C’è un testimone che non si assenta mai, anche quando sembra (all’io dualistico) assente, velato o dimenticato.

domenica 21 giugno 2015

Il reazionario

Nessuno è mai riuscito a fermare il tempo o il divenire, che ci trasporta inesorabilmente come una corrente. Eppure il reazionario s’illude di farlo.
Il reazionario è come uno che, mentre viene trasportato da un’onda, vorrebbe fermarla. Ovviamente, non può farcela ed destinato al fallimento. Ma qualcosa riesce a fare: perdere tempo ed energie.
Il cambiamento avviene comunque, ma la massa reazionaria riesce a far ritardare e far soffrire tutti.
Di solito il reazionario è un individuo religioso, che marcia per esempio a favore della famiglia tradizionale (come se la famiglia di oggi non fosse già diversa da quella che c’era nell’Ottocento o prima ancora.) Perché crede che Dio abbia voluto leggi assolute e invariabili.

Come se l’evoluzione e il cambiamento incessanti non fossero la sua volontà.

Il cavallo di Troia

La nostra vita si dipana meccanicamente come il rotolo di una vecchia pellicola cinematografica dove è già impresso ogni fotogramma. È già tutto scritto, deciso e previsto.
C’è un’unica cosa che può cambiare il copione: la presa di coscienza.
Con la presa di coscienza di questo processo meccanico e prevedibile, viene introdotto un cavallo di Troia, qualcosa che fa cambiare il corso delle cose.
È l’alba del risveglio, un primo passo indispensabile per uscire dal determinismo.

Eppure è difficile convincere gli uomini a fare anche questo piccolo passo. I più vivono meccanicamente, senza porsi domande, senza arrivare a capire che sono prigionieri di vecchi schemi decisi da altri o da Dio.

La reattività

Il fatto di scattare o di reagire non appena veniamo criticati o offesi sembra essere un comportamento normale. Ma, se ci pensiamo un po’, così facendo, il nostro stato d’animo, il nostro benessere/malessere, il nostro equilibrio/squilibrio, la nostra pace/agitazione, viene a dipendere interamente dagli altri. Siamo solo specchi che riflettono il comportamento altrui. Ed è come se ci mettessimo nelle mani altrui.
Gli altri sono in grado di determinare il nostro essere. Diventiamo come i cani di Pavlov che si mettono a sbavare non appena vien loro mostrato la bistecca.
Per essere veramente padroni di noi stessi, non dobbiamo mai reagire come gli altri si aspettano e vogliono. Dobbiamo uscire dalla logica dell’azione (altrui) e della reazione (nostra). E quindi dobbiamo interporre un’interruzione, una pausa, un’intercapedine tra il momento in cui riceviamo l’input e il momento in cui rispondiamo.

Dobbiamo essere in grado, attraverso una presa di coscienza e una presa in carico della reazione, di decidere noi i nostri stati d’animo. Se per esempio qualcuno ti irrita e vuol farti arrabbiare, se ti arrabbi stai al suo gioco e diventi come una marionetta nelle sue mani. Se invece rispondi con calma, sfuggi alla sua presa, ti liberi della reazione condizionata e puoi dare una risposta molto più efficace.

sabato 20 giugno 2015

Accettare le critiche

Di solito, quando riceviamo una critica, ci sentiamo punti sul vivo, quasi offesi e provocati, e cerchiamo di difenderci attaccando a nostra volta e indicano un difetto o un errore di chi ci critica. Una reazione rozza e sbagliata.
La cosa migliore da fare, invece, è procedere ad un auto-esame e chiederci se non ci sia una base di verità.
Se c’è, dobbiamo capovolgere il nostro atteggiamento.
Anziché considerare l’altro un nemico e provare per lui un impulso di avversione o di vendetta, consideriamolo un utile collaboratore.
A volte, infatti, le critiche ci fanno vedere di noi quello che non avevamo notato o non volevamo vedere.

“Anche se qualcuno ti deride
e parla male di te in mezzo alla folla,
consideralo un maestro spirituale.”
                           Togme Sangpo (1295-1369)

Soprattutto, dominare la propria collera. Se la critica non ha nessuna base, non c’è bisogno di prendersela. Se è fondata, non bisogna reagire meccanicamente, ma utilizzare la saggezza discriminante. E vedere in colui che ci critica un intervento provvidenziale.
Lo scopo è conoscere se stessi. E, a questo proposito, uno che ci critica è più importante di un adulatore.


venerdì 19 giugno 2015

"Laudati si'... "

Dopo decenni che si parla di ecologia, alla fine arriva anche il Papa a dir la sua. E non può che ripetere quello che già è stato detto: che l’ambiente sta per essere distrutto dalla voracità degli uomini. Ma il Papa e le religioni non hanno soluzioni da proporre. Non possono averne perché non ne hanno gli strumenti.
Infatti, per avere una visione ecologica della Terra occorre avere una visione ecologica della mente. E le maggiori religioni non ce l’hanno. Quello che non capiscono è che la voracità dissennata degli uomini deriva da una cupidigia e da un’avidità (di denaro, di sesso, di acquisizione, di proprietà e di potere) che sono innanzitutto mentali.
Ma chi insegna ai tanti fedeli delle varie religioni a farsi un esame di coscienza, a diventare consapevoli dei loro impulsi e a correggerli? Non bastano le prediche. Occorre attivare altrettanti processi di auto-consapevolezza.

Se una religione non spinge all’introspezione e alla presa di coscienza delle proprio motivazioni profonde, come può pensare di cambiare la mente umana?

giovedì 18 giugno 2015

Scendere nel profondo

Tutti aspirano alla felicità. Ma la felicità, come tutti gli stati d’animo, non è stabile, e prima o poi si perde.
La dinamica degli stati d’animo si basa proprio su una dialettica del genere. Felicità, infelicità, piacere, dolore… tutto permane per un po’ e poi lascia il posto al suo contrario o ad uno stato di noia e di vuoto – comunque di insoddisfazione. Non possiamo farci niente, così come non possiamo cambiare il tempo che scorre.
Ma esiste anche una zona di noi stessi che non viene toccata dall’altalena degli stati d’animo. Si tratta di trovarla. È una parte di noi, molto profonda, che non si esalta quando l’io è felice e non si abbatte quando l’io è infelice, a disagio o insoddisfatto. Bisogna scendere molto in fondo dentro di noi.
È un po’ come scendere in fondo al mare. In superficie possono esserci onde di tutti i tipi, ma nessuna di queste arriva così in fondo.
Trovare questo fondo, al di sotto degli stati d’animo altalenanti significa trovare un posto sicuro e confortevole.

Lì non arrivano le ondate degli eventi. Anzi, da quel punto si possono osservare con distacco gli alti e i bassi della superficie. Così, chi trova questo fondo trova anche la saggezza.

mercoledì 17 giugno 2015

Ottimismo

Rispetto al nulla, essere vivi è pur sempre qualcosa. Può darsi che tu sia felice o può darsi che tu sia infelice, a disagio o sofferente.
Resta il fatto che provare questi stati d’animo, anche negativi, è già un vantaggio rispetto al nulla.

Così deve aver ragionato Dio quando ha creato il mondo. Ma, evidentemente, non poteva fare niente di più. Un po’ più del nulla – è questo il segno sotto cui siamo nati. Non ci illudiamo.

La vita inattuata

Sacrificare la propria vita per gli altri? A patto che fra gli altri ci siamo anche noi.
Ma perché il senso della vita dovrebbe essere il sacrificio (da sacer, sacro)? Non potrebbe essere la realizzazione, il vivere appieno?
Dire che il sacrificio è il senso della vita è come prepararci al fatto che non la realizzeremo o la realizzeremo solo in parte, e quindi ha un sapore di giustificazione, di consolazione, di sconfitta.
Saremo sconfitti in che senso? Nel senso che non potremo realizzare tutto quello che vogliamo. I mistici ebraici dicevano che nessun uomo potrà realizzare più del 50 per cento dei suoi desideri.
Anche il mito di Gesù, l’uomo-Dio che si sacrifica per il bene altrui, ha un sapore, oltre che di violenza, anche di in-attuazione, non-attuazione.
È come se dicessimo: non potremo mai vivere a pieno, dar fondo a tutte le nostre potenzialità. Attueremo, se siamo fortunati, il 50 o il 60 per cento.
Ma chi può aver fatto un mondo del genere? Un mondo che non dà a nessuno la possibilità di vivere in pieno, di essere completamente se stesso?
Un Dio di seconda categoria, un Dio scalcagnato.

Figli di un Dio minore.

martedì 16 giugno 2015

L'efficacia della meditazione

La meditazione ci avverte innanzitutto che la nostra consapevolezza è pesantemente condizionata. E questo vale per tutti. Ma, al di là dei condizionamenti generali, ognuno deve anche lavorare su se stesso per scoprire i propri blocchi individuali.
Insomma esistono condizionamenti collettivi, in quanto esseri umani, ed esistono condizionamenti individuali, dovuti alla propria psiche e alla propria storia personale.
Ma non c’è nessun ostacolo che non possa essere visto e superato con la pratica del “vedere se stessi” e del dimorare con pazienza, calma e assiduità.
La meditazione, anche se non ci sembra in un primo momento, anche se non ce ne rendiamo subito conto, è un processo inarrestabile di liberazione, di depurazione, di liberazione e di terapia. Non a caso, il prefisso “med” si trova anche in parole come medico e medicina. Inoltre è completamente gratuita ed autogestibile.
Non esiste meditazione sprecata. Anche brevi periodi di meditazione hanno un loro effetto benefico. Ed esiste un effetto cumulativo, di cui ci si accorge a poco a poco. Inoltre, esistono vari livelli di conseguimento e varie tappe. Ognuno ha un proprio percorso, ognuno raggiunge un proprio punto di arrivo (mai definitivo).
Bisogna comunque liberare la meditazione dalle mitologie religiose e dalle illusioni di onnipotenza. Meditare aiuta e cura. Ma non è la soluzione a ogni problema ed è instabile come tutto nella vita. È come avere un amico, un insegnante o un protettore, non un dio.
Ci si può illuminare in qualche problema, ma conservare vincoli altrove. Si possono capire tante cose, ma non capirne altre.
Meditare è un atteggiamento psico-fisico, che chiunque può assumere. Al di là delle varie posture o delle tecniche adottate (che sono upaya, semplici mezzi utili, non finalità), la meditazione consiste nel rimanere un po’ in silenzio e in isolamento, distaccati da tutto e da tutti. Questa è la conditio sine qua non, necessaria a creare uno stato d’animo che poi si perfezionerà in rapporto con la società.

È questo processo di distacco, questa presa di distanza, che ci aiuta  a vedere e a vederci.

Riscaldamento globale

Tutto si tiene assieme. Materia e spirito. Comportamento umano e ambiente. Nessuno è un’isola, siamo tutti interdipendenti e interpenetrati. Questo è il vero pensiero ecologico.

Per esempio, il riscaldamento globale è certamente connesso con l’aumento della febbre generale – causata a sua volta dall’avidità, dall’invidia, dalla competitività, dal mito del successo e dell’arricchimento.

Sulla buona strada

Quando mi accorgo che sono sulla buona strada? Quando sento diminuire tensione, ansia, noia, abbattimento e atteggiamenti nevrotici, quando mi sento libero dai condizionamenti sociali e psicologici, quando ho di me una visione equilibrata, quando la mia mente non si sente oppressa ma scorre lucida e fluida, quando mi trovo a mio agio con ciò che sono.
Se riesco a mantenermi in questo stato a lungo e sempre più spesso, posso incominciare a insegnare. Ma non con l’atteggiamento di chi ha la verità in tasca e si degna di insegnarla agli altri. Bensì con la propria presenza, con la propria libertà, con il proprio pensiero, con il proprio esempio.

Con l’atteggiamento di una nativa americana che una volta disse: “Se siete venuti ad aiutarmi, state sprecando tempo. Ma se siete venuti perché la vostra liberazione è legata alla mia, possiamo impegnarci insieme”.

lunedì 15 giugno 2015

L'atteggiamento del risveglio

Quando nella vita comune ci poniamo un obiettivo, sappiamo che dobbiamo sforzarci, concentrarci e fissarci sul problema.
In meditazione questa impostazione non funziona. Non dobbiamo sforzarci e concentrarci, ma “fare” esattamente il contrario. Smettere di sforzarci e lasciar essere.
Infatti, nella concentrazione e nello sforzo, noi restringiamo il campo dell’attenzione e trasformiamo l’obiettivo in un qualunque oggetto da acquisire.
Qui è l’opposto. Non siamo noi che dobbiamo ottenere la meta; dobbiamo lasciare che la meta (la totalità del sé) ci occupi.
Di solito, di fronte ai problemi, sappiamo come tenderci e concentrarci. Ma non sappiamo, poi, come fare a mollare la presa.
Ogni sforzo ci allontana: questo è il difficile.
Se voglio ottenere, per esempio, un respiro naturale, non devo concentrarmi e contrarmi; devo lasciar perdere ogni sforzo e lasciarlo essere. Più mi sforzo, meno il respiro sarà naturale.
Lo stesso succede con l’acqua di un torrente. Se voglio che sia pura, non mi metto a costruire argini, dighe o a dragare il fondo, ma devo lasciarla scorrere naturalmente. Meno la forzo e la costringo, più sarà limpida. L’acqua che cerchiamo è esattamente quella che c’era in origine, prima che i nostri sforzi la intorbidassero.
Per l’uomo “normale”, questa operazione risulta difficile, quasi innaturale, mentre è la naturalezza. Ottenere con sforzi innaturali la naturalezza è una perfetta contraddizione.
Pensiamo dunque al tipo di atteggiamento che dobbiamo avere in meditazione. Siamo come individui incaprettati che, più si divincolano, più si fanno strangolare.

Noi non ci leghiamo con corde, ma con i nostri pensieri, con i nostro schemi mentali, con le nostre abitudini, con le nostre tendenze abituali. Però, come diceva un maestro zen all’allievo che si sforzava di ottenere il risveglio, “per quanto tu lucidi un mattone, questo non potrà mai diventare uno specchio.”

La rivoluzione interiore

Perché tante rivoluzioni sociali (compreso il comunismo) sono fallite? Perché erano rivoluzioni che provenivano dall’esterno anziché dall’interno. Se per esempio non sono consapevole della mia aggressività o della mia invidia, è inevitabile che, una volta giunto al potere, finisca per lavorare solo per me stesso e per il mio ego.
Se non sviluppiamo una consapevolezza e una trasformazione interiore, anche i migliori sistemi sociali e anche le migliori riforme falliranno. Prima di lavorare sulle strutture sociali, dobbiamo lavorare su noi stessi.

Questo vale anche per gli uomini politici. Se eleggiamo una persona che non ha né senso di autocritica né consapevolezza di sé, quando sarà al potere lavorerà solo per se stesso.

Vite vendute

Oltre alla guerra c’è un’altra cosa che sembra dare un senso alla vita: la religione. C’è un padrone, c’è una spiegazione per tutto e c’è una via precisa da seguire. L’individuo può smettere di pensare e di arrovellarsi, può smettere di essere responsabile: basta che segua i dettami.
È per questo che molti cedono al richiamo di qualche “guerra santa”. Mettono insieme il senso della guerra con il senso della religione. Non si pongono più problemi, sanno chi è il loro nemico.

Queste persone, che non riescono a sopportare il dubbio o l’angoscia di trovarsi privi di valori e di punti di riferimento, affollano le file dei terroristi. 

domenica 14 giugno 2015

Il senso della guerra

A noi piace tanto l’idea e la pratica della guerra proprio perché in essa troviamo finalmente uno scopo, una missione, un indirizzo e una precisa divisione: di qua i buoni e di là i cattivi.
È molto più angoscioso vivere senza scopi o missioni, senza dei, senza ordini e dover affrontare i tanti problemi della vita, i tanti fastidi, le tante incertezza.

La guerra ci fornisce il significato che cerchiamo e ci permette di non pensare più. Rimane solo l’azione.

La morte naturale di Dio

Dio è morto nella coscienza umana, esattamente come sono morti gli dei. Nessuno li ha uccisi. Semplicemente si sono rivelati ipotesi, fantasie, prive di fondamento.

Purtroppo, gli uomini non sanno vivere senza un fondamento, senza un significato, senza l’idea di avere una missione da compiere. Sono esseri ideologici. Non sanno accontentarsi della vita. E dunque devono inventarsi sempre qualche Dio (illusorio), fosse pure la ricchezza, la fama, il potere o il successo.

L'illusione del bene

Le tre religioni abramitiche (giudaismo, cristianesimo e islam) condividono la stessa concezione di guerra cosmica tra bene e male. Ovviamente ognuna pensa di essere dalla parte del bene e non le viene in mente di essere corresponsabile del male.
I capi religiosi e politici dicono di voler distruggere il male e sostengono di voler migliorare il mondo. Ma, mentre lo fanno, lo peggiorano. Non si può infatti pensare al bene senza pensare e mettere al mondo il male.
Hitler, Mussolini, Pol Pot, Bin Laden, George Bush o l’Inquisizione, tutti sostenevano di voler cancellare il male, tutti credevano di dover salvare il mondo. E, proprio mentre lo pensavano, proprio perché lo pensavano, lo peggioravano.
Nessuno è mai riuscito a migliorare qualche aspetto del mondo senza peggiorarne qualche altro.
In realtà, proprio questo dualismo, questa concezione di guerra cosmica, alimenta la sofferenza. Si tratta di un modo semplicistico e rozzo di vedere il conflitto. Se penso di dover fare il bene, devo pensare continuamente al male. Non posso avere l’uno ed evitare l’altro. E questo vale per tutti gli opposti complementari: successo-fallimento, vita-morte, inizio-fine, giusto-ingiusto, purezza-impurezza, ecc. Si tratta di trappole mentali, di schemi illusori. E ogni estremo delle coppie alimenta l’altro.
Vedere il mondo come un campo di lotta tra bene e male è un errore pericoloso. Utilizzare questi schemi mentali significa cadere vittime di un meccanismo che non libererà mai il mondo. Il vero conflitto non è tra bene e male, ma tra ignoranza e saggezza, tra illusione e risveglio, tra squilibrio ed equanimità, tra confusione e chiarezza, tra dualismo e visione d’insieme.
L’unica azione “buona” è uno stato al di là del bene e del male.
La verità è che non ci interessa migliorare il mondo, ma trovare un senso illusorio. E il modo più semplice e rozzo per trovare un significato è illudersi di avere una missione da compiere: distruggere il male.
Solo quando ci liberiamo dell’idea di bene e di male, incominciamo a vedere in profondità il problema e capire le cause e le condizione che stanno al fondamento delle varie situazioni.


sabato 13 giugno 2015

Realtà a fantasia

Mentre Papa Bergoglio celebra tutti i giorni i suoi fasti mass-mediatici e si prepara alla fiera del Giubileo, noi vediamo - di fronte all’odio e alla paura che ispirano i migranti - che essere cristiani non significa niente, è un semplice strato di vernice su i soliti impulsi istintivi, che hanno sempre la meglio. Altro che fratelli, altro che carità cristiana, altro che amore per il prossimo! La realtà è sotto i nostri occhi. Egoismi, muri, nazionalismi, barricate, respingimenti. Italia, Francia, Austria, Spagna, Germania, ecc., tutti popoli che si dicono cristiani. Del resto, non hanno fatto altro che muoversi guerra.
Vediamo che cosa sono le religioni: semplice retorica con cui qualcuno vorrebbe cambiare la natura umana.
Centomila scout ricevuti dal Papa in Vaticano. Ma non ne vedi uno a Lampedusa, a Ventimiglia o nelle stazioni di arrivo.
Per modificare la natura umana, dovremmo ritornare all’origine e cambiare alcuni parametri.
Ma quelli li ha messi Dio.

Non solo Do non ci ha salvati. Ma ci ha perduti.

Conoscere se stessi

Ci mettiamo in viaggio e andiamo lontano perché vogliamo vedere e conoscere posti e persone nuove. Ma, se questa è la nostra intenzione, la motivazione più profonda è un’altra: dimenticarci per un po’ di noi stessi e poi guardarci – di sorpresa - con occhi nuovi.
Stiamo sempre insieme a noi stessi, stiamo sempre così vicini a noi stessi che non sappiamo chi siamo. La troppa vicinanza ci impedisce di vedere, l’abitudine ottunde l’attenzione.
Ma, ritornando da un viaggio, dopo un periodo di allontanamento, abbiamo come una piccola rivelazione. Per un attimo vediamo chi siamo.
Quanta fatica, che lungo percorso per gettare uno sguardo veloce e furtivo a noi stessi.

Il fatto è che, vivendoci dall’interno, conosciamo questo o quel nostro aspetto. Ma ci sfugge l’insieme. E ci sfuggirà sempre. Perché anche quell'attimo di rivelazione non durerà a lungo. 

venerdì 12 giugno 2015

Il senso del peccato

In meditazione, il peccato non è, come nelle vecchie teologie, una trasgressione di qualche comandamento divino, magari assurdo o incomprensibile, ma un’azione non salutare che provoca danni a se stessi e agli altri.
Dobbiamo essere pragmatici, non assolutisti, e chiederci ogni volta: questa azione aumenta o diminuisce la mia sofferenza, mi fa star meglio o peggio, contribuisce o meno al miglioramento del mondo?
Lo scopo non è quello di servire qualcuno, ma di liberare se stessi dai pesi e dai condizionamenti.
La storia biblica di Dio che chiede ad Abramo di uccidere il figlioletto Isacco o quella di Dio che si accanisce su Giobbe tanto per metterlo alla prova e verificare il suo grado di fedeltà, ecco questo è possibile solo in una cultura in cui Dio viene visto come il Padrone assoluto che può imporre qualunque azione, anche non salutare e riprovevole sul piano morale, e il peccato viene considerato disubbidire a questo ordine, anche se è chiaramente ingiusto.
Il padrone può tutto e tu devi soltanto ubbidire..?
No, tu sei il padrone di te stesso. Non si tratta tanto di ubbidire o disubbidire, ma di porsi un problema e di assumersi una responsabilità.
Non c’è più un riferimento assoluto cui appellarsi. Ma si tratta di guardarsi dentro e di scegliere il meglio per sé e per gli altri, in relazione al grado di sofferenza e di disagio che si può alleviare.
Non ci sono più le tavole della Legge. Per esempio, nel caso dell’omosessualità, non devi domandarti se infrangi un comandamento, ma se il tuo comportamento provoca danni a te stesso e agli altri. È tutto un altro discorso.

In un certo senso, il vecchio Dio con i suoi comandamenti era più comodo: non dovevi porti nessun problema. Adesso sei tu il responsabile. E ti tocca essere più consapevole.

giovedì 11 giugno 2015

La distrazione

Di recente è stata fatta una guerra dicendo al mondo che l’Iraq aveva armi di distruzioni di massa. Una balla colossale. Ormai chi detiene il potere manipola l’opinione pubblica come vuole, per fare o per non fare guerre, come gli garba.
E questo è solo un piccolo esempio. In realtà, tutto il giorno chi ha potere e soldi manipola, attraverso i mass media, la coscienza della gente. Con un sapiente uso della pubblicità e dell’informazione si costringe la gente a fare o a non fare, a comprare o a non comprare, a votare o a non votare, a pagare o a non pagare, ad agitarsi o a instupidirsi. L’attenzione degli uomini può essere indirizzata in un senso o nell’altro.

Noi tutti dovremmo aver paura, più che delle armi di distruzione di massa, di queste moderne armi di distrazione di massa. Ogni persona dovrebbe vegliare sulla propria attenzione come il punto più critico della propria vulnerabilità. E custodirla… attentamente.

mercoledì 10 giugno 2015

La risposta ultima

La risposta alle domande ultime non può avvenire sotto una forma concettuale, come in una filosofia, ma sotto forma di stato d’animo, di cambiamento dello stato dell’essere.
La caduta del disagio, della confusione e della tensione, e l’avvento di un nuovo stato dell’essere, questo è ciò che cerchiamo nel risveglio, non una bella (e inutile) pensata.
Se riusciamo a creare e a mantenere a lungo uno stato di calma, di serenità, di apertura, di spaziosità, di equilibrio e di equanimità, siamo già molto avanti sul cammino. E, se riusciamo a mantenerlo sempre, siamo già in paradiso.