lunedì 31 dicembre 2018

Il processo della meditazione


In un normale processo di meditazione, prima ci si separa dal corpo, che viene messo a tacere. Ci si pone così sul piano mentale. Ci si dimentica per un po’ del corpo, che viene messo da parte e silenziato.
Ma poi il processo va avanti. Noi non siamo soltanto la mente e possiamo procedere oltre. Possiamo salire oltre la mente e, grazie al samadhi, possiamo realizzare la nostra natura spirituale.
Nello yoga si parla di tre corpi o di tre piani: quello fisico, quello mentale e quello spirituale.
Meditare in senso tecnico è passare da un piano all’altro. I primi due, il piano fisico e il piano mentale, sono facilmente percepibili e distinguibili. Ma bisogna allenarsi per passare sul terzo piano.
Il risultato di questo processo è una raffinazione del corpo e della mente, che diventano sempre più acuti e sensibili. Una meditazione costante rende il corpo più leggero e la mente più capace di risolvere problemi concreti ma anche intellettuali e filosofici. Inoltre la concentrazione dà un senso di gioia, che è ben diversa e più durevole del semplice piacere dei sensi.
Lavorando sul piano mentale, si creano nuove sensazioni e nuovi pensieri, cui corrispondono fisicamente nuovi percorsi cerebrali. Si è scoperta proprio negli ultimi decenni la grande plasticità del cervello-mente. È dunque possibile aprire nuove strade. Ed è questo il cammino dell’evoluzione-meditazione.
Ci si addestri allora ad essere spesso sul piano mentale e a spostarci liberamente da un luogo all’altro, da una situazione all’altra. All’inizio si tratterà di semplici viaggi immaginari. Ma a poco a poco si passerà sul terzo piano, e i viaggi mentali diventeranno viaggi reali in altri mondi.

domenica 30 dicembre 2018

Il senso della morte


Alla fine dovremo rinunciare a tutto: agli amici, agli amori, ai figli, ai conoscenti, alle proprietà, alle case, ai beni terreni, ai soldi, agli oggetti cari, ai vestiti, al corpo, ecc. Questo è l'ultimo atto della vita: la perdita di tutto. Con la morte dobbiamo lasciare anche quella proprietà più preziosa che chiamiamo "io". Tutto ciò che abbiamo accumulato, tutto ciò per cui abbiamo sofferto, tutto ciò che abbiamo amato, tutto ciò cui siamo stati attaccati fino all'ultimo, dovrà essere abbandonato.
Questo ci dice due verità inoppugnabili: prima, che la vita è qualcosa di temporaneo; anche se vivremo cento o più anni sarà sempre qualcosa di breve; dunque non c'è tempo da perdere. Ciò che dobbiamo fare, dobbiamo farlo subito - mai rimandare le cose essenziali, mai accumulare più del necessario.
Seconda, niente è veramente nostro: tutto ci viene per così dire prestato e poi ripreso, perfino il nostro io. Con la morte non saremo più noi stessi. Che cosa saremo?
In realtà nessuno ci ha chiesto se volevamo venire al mondo: sono le forze dell'universo che ci hanno messo temporaneamente qui. E che alla fine ci riprendono. La natura ci ha fatto nascere, la natura ci farà morire. Questa è la realtà. Forse vorrete sentire parlare di reincarnazione o di paradisi, e io non voglio escludere niente. Ma si tratta di articoli di fede o di magre consolazioni - nessuno può provare niente. La saggezza ci suggerisce di non fuggire nei mondi della fantasia, ma di accettare la realtà per quello che è. E di considerare che proprio questa brevità della vita ci rende ancora più prezioso ogni istante che viviamo.
Se esiste qualcosa che ci sopravvive, il senso della morte ci dice che è l'essenza delle nostre esperienze, depurata da tutto il superfluo. E dunque l'imperativo non è accumulare, ma spogliarsi sempre di più – per trovare il nostro vero nucleo.
È inutile cercare di sfuggire al pensiero della morte. Al contrario dobbiamo familiarizzarci con esso, fino a rendercelo normale, quotidiano, fino a guardarlo con tranquillità.
Il senso della morte ci dà il senso della vita. E ci dà un orientamento su come vivere.



sabato 29 dicembre 2018

L'utilità del pessimismo


Qualche volta, a sottolineare le cose che non vanno, si può apparire pessimisti. Ma se non si riconosce chiaramente il male, se si assume un atteggiamento negazionista (“va tutto bene, finirà tutto bene…”), non si sarà in grado di prevenirlo e di combatterlo.
La prima cosa da fare, dunque, è riconoscere ciò che ci fa soffrire, non cercare di nasconderlo. Il male va guardato in faccia.

L'inquinamento materiale e mentale


Noi uomini abbiamo ridotto la natura ad immondezzaio. Dopo averla sfruttata fino in fondo tagliando foreste, attingendo acqua, contaminando sorgenti e fiumi, inquinando l'aria, estraendo petrolio e minerali, ecco che la usiamo per buttarci i nostri rifiuti. Perfino sulle montagne o nel profondo degli oceani troviamo i nostri rifiuti. Perfino l'aria delle nostre città è irrespirabile. Ma ci siamo dimenticati di una cosa fondamentale: che noi siamo parte della natura, che siamo natura; e quindi il modo in cui trattiamo la natura esterna è indicativo del modo in cui trattiamo la natura interna, la nostra mente, il nostro spirito.
Stiamo segando il ramo su cui viviamo. Ecco perché siamo confusi e non possiamo fermarci un attimo a riflettere, a meditare, a contemplare. Non abbiamo rispetto né della natura esterna né della nostra stessa natura, che attingono alla stessa fonte. L'inquinamento materiale non è che un riflesso dell’inquinamento mentale. E il risultato è sotto i nostri occhi. Un mondo devastato, in cui tutti stanno male.
Chi è che ha incominciato questa folle corsa dominata solo dagli imperativi economici? Forse non siamo la creatura più evoluta del mondo, forse siamo un errore, una variabile impazzita... della natura. Nei momenti di crisi bisogna fermarsi, fare il punto della situazione e poi riprendere con un ritmo diverso, con una nuova consapevolezza.
Ma non può nascere un mondo nuovo se non ci si ferma a meditare.



venerdì 28 dicembre 2018

La notte del Diavolo


Di fronte ai totalitarismi la Chiesa è sempre stata pavida, in tutta la sua storia. Lo conferma ogni studio. Come scrive lo spagnolo Miguel Dalmau in La notte del Diavolo (Gremese ed.), "quel che accadde con Pio XII ai tempi del nazismo è accaduto in tutte le dittature dei paesi cattolici, per esempio in America Latina. La spada e la croce non sopravvivono separate". Ma non si tratta soltanto di pavidità, è qualcosa di ben più grave: di tratta di consonanza fra regimi totalitari. Nel DNA della Chiesa non c'è né libertà né democrazia, ma la dittatura totalitaria. Non propugna la religione del Capo Supremo, del Padrone Assoluto? Dunque... La disgrazia italiana, la sua vocazione al fascismo sta tutta qui: nell'essere la sede di un’istituzione che continua a diffondere i valori del totalitarismo.

Il Dio che verrà


Da una parte c'è la teologia tradizionale che ci parla di un Dio onnipotente che sarebbe anche Bontà e Amore, e dall'altra parte c'è la constatazione che l'universo da lui creato è un'immane macelleria in cui tutti divorano tutti, in cui tutti combattono e in cui gli esseri viventi sono specie di cavie da laboratorio, destinate comunque ad essere sacrificate per il progresso generale.
Date un'occhiata all'Africa o a certi paesi del terzo mondo, dove milioni di bambini crepano di fame e di malattie, dove si muore giovani e dove chi comanda è semplicemente l'individuo più feroce. Questa è la storia del mondo. I conti non tornano. Come potrebbe un Dio tanto buono creare un mondo così violento e concepire un meccanismo infernale come quello dell'evoluzione, dove i più deboli finiscono ammazzati?
Chiunque di noi, se potesse concepire e creare un mondo per i propri figli, lo farebbe migliore - non questa specie di teatro di guerra.
Ma forse siamo noi che abbiamo messo il carro davanti ai buoi, e all'origine non c'è affatto un Dio come quello immaginato dai teologi. C'è piuttosto un'oscura forza che cerca faticosamente, dolorosamente, di venire alla luce, tra mille sbagli.
Dunque, Dio non sarebbe all'inizio, ma alla fine. Dio deve ancora nascere. E può nascere solo da uno sviluppo ulteriore della nostra consapevolezza. C'è ancora un salto evolutivo da compiere.

giovedì 27 dicembre 2018

Pastori dell'essere


Lo scopo delle religioni sembra essere diventato quello di trasformare i fedeli in greggi obbedienti e non pensanti. Invece lo scopo della meditazione è di far sì che ognuno diventi pastore di se stesso.

Risvegliare gli uomini


Certamente, individui eccezionali come il Buddha e Gesù avevano intenzione di risvegliare gli uomini dal loro sonno antico, dalla loro ignoranza. “Diventate consapevoli” è come se avessero detto. Ma potevano solo usare parole ed esempi. Non erano certo in grado di risvegliarli con una bacchetta magica.
Indicavano una via, ma non potevano illuminare gli altri con un semplice tocco sulla fronte. Sapevano che ognuno deve risvegliarsi da solo.
Invece che cosa hanno fatto i loro seguaci? Hanno creduto che bastasse adorarli come esseri divini per sviluppare miracolosamente una nuova vista.
Troppo poco, troppo comodo.
In tal senso, il mito che è stato costruito su di loro ha chiuso ancora di più le menti degli uomini. È per questo che in Oriente si dice: “Se incontri sulla tua strada il Buddha, se incontri i santi, uccidili!”
Liberati dai miti, non essere un semplice tifoso. Devi agire in prima persona. Devi acquisire tu una diversa consapevolezza.

mercoledì 26 dicembre 2018

Le conversioni


Certe conversioni di personaggi della politica o dello spettacolo, che poi ne fanno ostentazione nelle interviste televisive o giornalistiche, non mi convincono. Soprattutto se vengono presentate come un ritorno alla tradizione. Non ci vedo spiritualità, profondità, autenticità. Loro forse sono sinceri, ma non si rendono conto di continuare a recitare una parte, prima quella dei trasgressivi e ora quella delle pecorelle che tornano all'ovile.
       Come diceva Schopenhauer, "le religioni come le lucciole, per splendere, hanno bisogno dell'oscurità". I preti si fregano le mani perché per loro è tutta pubblicità, e anche quei personaggi si fanno pubblicità. Ma, da individui superficiali, che lavorano per lo spettacolo, ossia per l'esteriorità, non sanno che cosa sia la vera religione.
Come sosteneva Spinoza, "per il volgo religione significa tributare un grande onore al clero". Troppo poco, anzi niente. Gesù li conosceva bene... quelli che, quando fanno l'elemosina, "suonano la tromba davanti a sé", quelli che, quando pregano "stanno ritti nelle sinagoghe o agli angoli delle piazze per farsi vedere dagli uomini" (Mt 6). E consigliava: "Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo in segreto...". Tutto un altro stile.

Quanto valgono i protettori "divini"


In seguito al terremoto di ieri, a Pennisi nel catanese è crollata la statua di Sant’Emidio – protettore dai terremoti.
Ci sarebbe da ridere, se non fosse per quei poveretti di credenti che sentono il bisogno spasmodico di inventarsi protettori ultraterreni, dai santi agli angeli custodi, dai salvatori a Dio. Tutti inventati per lo stesso bisogno, tutti inesistenti.
Quanto sono disperati gli uomini, quanto si sentono insicuri e provvisori! La verità la sanno, ma non vogliono accettarla. Preferiscono credere a miti di cartapesta che si sgretolano alla prima scossa (materiale e morale). D’altronde, le chiese e le statue sono le prima a crollare quando c’è un terremoto.
Invece di sprecare tempo, denaro ed energie a costruire chiese, statue e religioni, farebbero meglio a capire la verità e a provvedere in prima persona alla propria salvezza. Per quanto possibile.


lunedì 24 dicembre 2018

La settimana santa


In Italia c’è ancora gente che armeggia con presepi e crocefissi credendo di essere molto religiosa. La televisione ha riempito l’intera settimana natalizia di film idioti, che sarebbero infantili anche per bambini con gravi lesioni cerebrali.
       Così si capisce perché i cristiani hanno scelto proprio il 25 dicembre come data per festeggiare la nascita di Gesù.
Sì, è il periodo in cui c’è poca luce – e molta oscurità.

Rinnovare le idee


Se continueremo a ragionare in termini tradizionali di Dio e dell’anima, non capiremo niente del mistero che ci avvolge. Sarebbe ora di cambiare le nostre vecchie idee, i nostri dogmi, le nostre convinzioni che ci hanno portato ad uno stallo bimillenario. Da quanto tempo gli uomini hanno rinunciato a ripensare questi concetti? Prevalgono visioni e abitudini secolari, che non ci portano nessuna chiarezza.
       Nella nostra immane decadenza, continuiamo a utilizzare idee vecchie, che non hanno mai risolto i nostri dubbi. Perché gli uomini sono così conservatori, perché sono così attaccati a concetti che sono miti confusi?
Questa settimana di Natale è un tripudio di rituali, di spettacoli e di idee obsolete, risalenti a duemila anni fa o alla teologia medievale. D’accordo che l’ignoranza generale non incoraggia la ricerca, ma dovremmo farlo per la nostra comprensione, per la nostra intelligenza.
L’unica cosa che si evolve è la tecnologia, tanto criticata dalla nostra cultura. Ma i prodotti della tecnologia funzionano e ci sono utili. Invece i prodotti del pensiero tradizionale non reggono più.
Se continuiamo a usare il linguaggio dualistico di Dio e Satana, di nascita e di morte, di aldiqua e di aldilà, di mortalità e di immortalità, siamo come l’asino che crede di intraprendere nuovi percorsi mentre è legato ad una catena che lo girare sempre intorno in uno spazio angusto.
Non siamo fatti per credere sempre alle stesse cose, siamo fatti per pensare e ripensare, siamo fatti per rinnovare.

Vecchiaia e saggezza


Invecchiare è perdere, diminuire, disfarsi, alleggerirsi, restringersi, ecc. Ogni giorno diminuiscono le forze, ogni giorno si perde qualcosa.
       Ma anche la saggezza segue lo stesso percorso. Non è un accumulare, ma un disfarsi dei fardelli e dei condizionamenti culturali, sociali e psicologici. Lo conferma Lao-tzu quando dice: "Chi segue la via del mondo guadagna ogni giorno, chi segue la via del Tao perde ogni giorno". Lo ribadisce Gesù quando dice: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l'avrà perduta la salverà... il più grande tra voi diventi come il più piccolo... chi è il più piccolo tra voi questi è il grande... se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso".
       Saggio non è dunque chi accumula beni, nozioni o forza egoica, ma colui che si alleggerisce, colui che lascia andare a poco a poco ogni avere, ogni idea di possesso. Perché questo è il senso dell'ultima parte della vita: disfarsi a poco a poco di ogni cosa, fino a perdere quell'ultima "proprietà" che è il proprio ego.
       Se la saggezza è la via che porta all'illuminazione, allora la vecchiaia è il momento più favorevole per giungere ad una chiara visione di sé stessi, delle persone e del mondo.

domenica 23 dicembre 2018

Le vie dello spirito


"Ispirazione" è una parola molto vicina a respirazione e dunque a spirito. Questo significa che c'è ispirazione solo quando c'è spiritualità. E lo stato di spiritualità si identifica con uno stato di quiete anche fisico. In tedesco "respiro", Atmen, proviene dal sanscrito atman, che è l'anima individuale. In greco pneuma significa spirito, ma anche vento.
       Respirare, spirare, soffiare... nella Bibbia si dice che Dio, per creare l'uomo, "soffiò" nelle sue narici "l'alito della vita". E nel Nuovo Testamento si dice che lo spirito è come il vento, che soffia dove vuole. Nelle Upanishad, il soffio vitale, il prana, è identificato con il respiro, il soffio e il principio vitale dell'universo (l'Atman), ed è un riflesso del Brahman, ossia del divino.
       "Entusiasmo" è un termine che in greco significa "essere ispirati in Dio". Questo significa che la vitalità, la creatività, la calma, la concentrazione, il benessere e la spinta vitale sono considerati qualcosa di divino, in tutte le culture.
       Quando si è nello spirito si è sulla strada giusta. Quando invece mancano ispirazione ed entusiasmo si è in crisi, si è depressi, non si progredisce.
       Allora domandiamoci ogni giorno e c'è ispirazione, se c'è entusiasmo nella nostra esistenza? Non a caso in italiano si dice "essere su di spirito" o "essere giù di spirito" per indicare se siamo vitali, creativi e tonici o al contrario negativi e depressi.
       Naturalmente, se le cose vanno male, se accadono fatti spiacevoli o drammatici, non si può essere su di spirito. Ma si può comunque essere spirituali, perché possiamo capire verità che non potremmo comprendere in nessun altro modo. Questo dà un senso agli alti e bassi della vita, e alla sofferenza stessa.
       L'importante è non perdere di vista il nostro stato d'animo, fare continuamente un esame di coscienza. Il che è un altro aspetto della meditazione come spiritualità. Tutto torna. Tutte le strade portano da un'unica parte... se si è consapevoli.

sabato 22 dicembre 2018

L'io e Dio


Le religioni che dominano il mondo - cristianesimo, islam e giudaismo - sono vecchie e tragicamente obsolete, perché incatenano le menti dei loro credenti a idee superate. Ed è anche per questo che l'umanità fa così fatica a progredire. La convinzione più superata è naturalmente quella di Dio, intesa come una persona cui ci si possa rivolgere per chiedere aiuto. Ma se questo aiuto esistesse, il mondo non sarebbe così pieno di orrori, di guerre e di sofferenze. In sostanza, quando l'uomo non sa più a chi rivolgersi ecco che pensa a un Dio, perché così gli è stato insegnato. In tal modo, credenti e non credenti sono indotti a rivolgersi ad una specie di padrone o padre supremo che avrebbe il potere di sovvertire le leggi naturali, le sue stesse leggi. Idea quanto mai ingenua e soprattutto erronea. Tutti coloro che si rivolgono a Dio nei momenti di difficoltà grave non sviluppano alcun tipo di spiritualità. Pregano qualcuno, e basta.
Con questo noi non voglio dire che Dio non esista, ma che non è affatto quello descritto dalle religioni, una persona esterna a noi, un padre-padrone che prima crea il mondo e poi si diverte a vedere come si dibattono le sue creature.
Dio non è qualcosa di diverso dalla nostra più profonda interiorità. Ecco il punto. Dio non si trova in qualche posto fra le nuvole, come sembrano credere i fedeli delle religioni. Non si trova né qui né là. Non sta in cielo, ma proprio dentro di noi. E l’aldilà non è un luogo, ma una dimensione.
Nessuna religione, per quanto superficiale, spinge a credere che basti una preghiera qualsiasi per "comunicare" con Dio. Tutte precisano che ci vogliono concentrazione e attenzione. Salvo poi non svilupparle affatto nella vita di tutti i giorni. Solo la cultura della meditazione ci indica la strada della concentrazione e dell'attenzione per cercare di "comunicare", anzi di sintonizzarsi, con questo Essere.
L'Essere non è una persona, non è né un padre né una madre, non è un padrone. E si trova non in qualche iperuranio, ma dappertutto. E soprattutto "dentro" di noi. Quindi la maniera più diretta per entrare in contatto con esso è fare silenzio nella mente, raccogliersi, concentrarsi e cogliere il nostro stesso essere.
Infatti il nostro essere è parte dell'Essere. E questo Essere non c'è bisogno di pregarlo, perché sa già ciò di cui abbiamo bisogno. Se per esempio mi concentro sul mio respiro, lo percepisco, lo sento, i miei pensieri "profani" si arrestano, io mi raccolgo, mi interiorizzo e sciolgo il mio essere individuale nell'Essere universale. E' così che comunico con il Tutto senza bisogno di pregare un Padrone, senza commettere l'errore di dividere l'io da Dio.
Ogni tanto qualcuno parla di guarigioni miracolose, ma, a parte il fatto che molti guariscono da strani mali anche senza pregare Dio, ci si dimentica sempre di dire lo stato d'animo in cui si è pregato Dio - lo stato d'animo di chi si sente in punto di morte. Non è insomma lo stato d'animo di chi dice la sua preghierina serale. E' lo stato d'animo di chi esclude tutto il resto e penetra nella propria anima. Lo stato d'animo di chi sta tra la vita e la morte. Lo stato d'animo... dell'anima.

venerdì 21 dicembre 2018

Il regno dei cieli


Non c'è solo l'Oriente a dare indicazioni sulla trascendenza. Tutti i mistici hanno qualcosa in comune. Per esempio, Gesù disse: "Il regno di Dio non viene in modo che si possa osservare. Nessuno potrà dire 'eccolo qui' o 'eccolo là', perché il regno di Dio è già in mezzo a voi" (Lc 17, 20-21). La frase è stata variamente interpretata. I più materialisti hanno detto che Gesù si riferiva a se stesso, ossia al Redentore; ma in tal senso egli apparirebbe troppo presuntuoso.
Altri hanno detto che Gesù si riferiva a quello stato di felicità che è sempre dentro di noi e che può essere recuperato astraendosi dalle preoccupazioni e occupazioni quotidiane. In effetti questo "regno dei cieli", questo stato di gioia dell'essere, è sempre dentro di noi ed è sempre in mezzo a noi nel senso che è uno stato mediano tra gli estremi. Un senso di benessere, come quando si contempla, senza pensieri, un bel tramonto o la distesa del mare, la pioggia o il vento, un fiume o una montagna, ecc. Momenti di liberazione dalle tensioni (e dalle sofferenze) del mondo. Non a caso, nella cultura della meditazione, si utilizza la metafora del cielo sgombro dalle nuvole. Lo spazio interiore liberato è esattamente il regno dei cieli.
       Peccato che i seguaci di Gesù non l'abbiano capito e abbiano interpretato tutto in senso materialistico. Il regno dei cieli sarebbe il paradiso ultraterreno e Gesù sarebbe il figlio di Dio. Ma anche un mistico musulmano come al-Hallag disse: "Io sono Dio" intendendo riferirsi al fatto che in ogni uomo alberga il divino, il regno dei cieli appunto. Mai ridurre la spiritualità a religione, perché allora arrivano i dogmi, i rituali e le chiese... e lo spirito, che è soffio vitale, si spegne.

Stranieri nel mondo


Nei campi di concentramento nazisti sopravviveva solo chi riusciva a sentirsi al di fuori, al di sopra di quella situazione terribile, solo chi non si identificava con l'odio, con la violenza e con lo stato di costrizione che venivano imposti su tutti, solo chi riusciva a vedere uno sprazzo di cielo pur in mezzo a quelle tenebre, solo che aveva la capacità di sognare, di sperare, di astrarsi o di mirare in alto... nonostante tutto. Ma lo stesso succede nel mondo che in fondo è un campo di concentramento solo più grande, solo più confortevole (non per tutti). Ad esso sopravvivrà chi si sente al di sopra, chi non smette di tendere ad un'altra dimensione, chi percepisce di vivere nel mondo ma di non essere del mondo, chi sa di essere qualcosa di più, chi cura la propria anima e la consolida. Non a caso Platone pensava nel mito della caverna che gli uomini vivessero in una specie di prigione nella quale potevano vedere solo ombre della realtà.
Comunque, a poco a poco, ci si può avvicinare all'uscita della caverna, rivedere la luce e contemplare il cielo... purché si mantenga viva la capacità di vedere al di sopra e al di fuori della prigione e ci si alleni a disidentificarsi da questi quattro muri. La meditazione ha proprio questo scopo: percepire che si è qualcosa di più, che al proprio centro c'è il centro dell'essere e che è possibile uscire dalla prigionia mantenendo desta l'attenzione. Non c'è altra via, non c'è nessun salvatore. Ci siamo solo noi con le nostre forze.

giovedì 20 dicembre 2018

Essere imparziali


Il terzo Patriarca dello Zen (Chan), lasciò scritta una poesia che esprime alcuni principi fondamentali:

La Grande Via non è difficile
per coloro che non hanno preferenze.
Quando non si è attaccati né all’amore né all’odio,
tutto è chiaro e manifesto.
Se però ne avete un briciolo
Siete lontani dalla Via quanto la Terra dal cielo.
Se volete conoscere la verità,
non abbiate opinioni né favorevoli né sfavorevoli.

Non avere opinioni, non essere attaccati né all’amore né all’odio, tutto ciò sembra essere qualcosa di impossibile. Come si fa a non dare giudizi? A che cosa serve l’illuminazione se non a distinguere ciò che è bene da ciò che è male? Non si deve combattere contro l’ignoranza, la prepotenza e l’ingiustizia?
Certamente sì. Ma nell’esperienza meditativa si riesce a capire come gli opposti siano collegati e addirittura complementari, e come il gioco della loro lotta sia un’illusione. Bene e male, amore e odio, in apparenza si combattono a vicenda, ma sotto sotto si sostengono a vicenda. Vedremo mai un mondo senza conflitti, dove i buoni trionferanno contro i cattivi?
Questo è il gioco illusorio del mondo. E l’illuminato lo vede chiaramente. Ma, poi, finché vive su questa Terra, accetterà di giocare, di schierarsi, di giudicare, di condannare… pur sapendo che nessuno vincerà mai, perché il mondo è stato fatto per vivere in questo dinamico equilibrio instabile tra opposti.

Lo spazio del non-sé


Lo spazio del non sé è quella parte dell’io che non ci appartiene in parte o del tutto, ma che noi ci attribuiamo erroneamente. Prendiamo le emozioni: è chiaro che nascono da un’interazione con qualcosa di esterno. Noi le proviamo, ma non le produciamo autonomamente. In tal senso non ne siamo né i padroni né i controllori. Sono piuttosto gli altri e gli eventi che le producono.
Lo stesso vale per i sentimenti e le sensazioni. A parte quelle necessarie all’evoluzione, tutte le altre le subiamo e non ne siamo affatto i soggetti. Noi siamo soggetti a loro, le subiamo.
Anche per i pensieri lo schema si ripete. È vero che possiamo concentrarci a volontà su determinati pensieri. Ma quando non ci applichiamo deliberatamente a un pensiero, i pensieri sorgono per così dire da soli.
Sono poche le cose veramente nostre. Lo spazio del nostro io è molto più limitato di quanto crediamo. C’è un più vasto spazio i cui confini non sono definiti, a metà tra noi stessi e ciò che ci circonda. È quello che noi definiamo non-sé, dato che non ne siamo i padroni ultimi. Se togliessimo questo spazio intermedio, di noi rimarrebbe ben poco.
Il fatto che l’io non abbia confini definiti può essere una delusione per chi ama le certezze, per chi s’illude di essere “padrone di sé”, ma ci dice che noi non siamo monadi isolate. Al contrario siamo delle relazioni. Questo ci toglie solidità, ma ci dà la possibilità di interagire con gli altri e con il mondo.
Come gli eventi influenzano il sé, il sé può influenzare gli eventi. È come se fossimo cellule che comunicano con le altre e con l’esterno attraverso filamenti invisibili.

mercoledì 19 dicembre 2018

Le radici della felicità


Le radici della felicità non sono fuori di noi, negli avvenimenti fortunati che possono capitarci. Perché per un po' potremo gioire, ma poi nuovi avvenimenti, ci riporteranno in basso. Le difficoltà non mancheranno mai. Se dunque faremo affidamento sulle cose esterne, dovremo vivere sempre come in un'altalena, e certe avversità potrebbero distruggerci.
Tutta la saggezza del mondo converge su un unico punto: la fonte della felicità, che nessun avvenimento esterno potrà cancellare, è dentro di noi, nel profondo del nostro essere. È questa fonte che dobbiamo scoprire e curare; solo su di essa potremo avere il controllo, non sugli eventi esterni. Per questo si medita.

Perché meditare?


Ogni tanto qualche lettore mi domanda: ma a che cosa serve la meditazione? Ed evidentemente non ha mai provato a meditare o si aspettava risultati miracolistici. Ora, al di là dei benefici spirituali (che però non interessano tutti), la risposta terra terra è la seguente: serve a potenziare calma e chiarezza . Non costa nulla, non ha bisogno di nessun maestro e non porta via molto tempo. La calma nasce dalla posizione (psicofisica) ferma che si deve assumere nella meditazione e dallo sforzo di tranquillizzare il corpo e la mente; e la chiarezza della mente nasce dallo scopo dichiarato della meditazione: l'illuminazione.
Lasciando perdere la mitologia e la mistica, il termine "illuminazione" sta a indicare proprio lo schiarimento della mente, il vedere le cose come in una mattina serena, quando si verifica un'improvvisa liberazione del cielo dalle nuvole che lo coprivano. Si ottiene allora uno stato di benessere.
Calma, chiarezza e benessere permettono di vivere meglio e soprattutto di capire più se stessi, gli altri e il mondo; tutti fattori che sviluppano la consapevolezza.
La meditazione dà una marcia in più in un mondo confuso e rumoroso che ha perso ogni orientamento spirituale. Recupera il sé, il centro essenziale di noi stessi, prendendo le distanze da un ego sempre più condizionato e insoddisfatto.

martedì 18 dicembre 2018

Seguire il respiro


Di solito quando si incomincia a meditare si parte dalla consapevolezza del respiro. Il respiro infatti ci accompagna tutta la vita, tanto che, quando siamo morti, si dice che siamo "spirati". Il respiro è vita, quando si ferma vuol dire che c’è la morte. Inoltre segue tutte le nostre emozioni: se siamo agitati è agitato; se siamo tranquilli è calmo; se siamo nervosi è irregolare; se siamo ansiosi ci stringe il petto; se siamo gioiosi si allarga, e così via. Portare l'attenzione al respiro è dunque un modo per diventare consapevoli dei nostri stati d'animo. E calmare il respiro, renderlo lento, regolare e profondo, quasi impercettibile, significa portare la mente nel suo stato più meditativo.
Un piccolo trucco: prima di mettervi a osservare il respiro, fate qualche movimento di ginnastica o muovetevi un po', in modo da accelerarlo. A quel punto fermatevi e seguite il processo con cui il respiro si calma. Vedrete che anche la mente si calmerà. Quando la mente-respiro si sarà calmata, la vostra visione delle cose sarà più chiara... il che vi predispone ad una forma di piccola illuminazione.
       Non ci dimentichiamo che le parole "respiro" e "spirito" hanno la stessa origine etimologica. In altri termini si è sempre saputo istintivamente che l'essenza della vita è nello stesso tempo il respiro-spirito.
In India si chiama prana. Chi dunque affonda nelle profondità del respiro affonda nelle profondità dello spirito.

Il peccato del cristianesimo


Come raccontano gli Atti degli apostoli, quando san Paolo arrivò ad Atene cercò di diffondere la sua fede discutendo anche con filosofi epicurei e stoici, e fu invitato ad esporre la sua dottrina all'Areopago. Qui trovò un'ara con l'iscrizione "Al Dio ignoto" e subito si mise a proclamare che lui Dio lo conosceva e sapeva chi era - era un uomo, morto sulla croce. Gli intellettuali dell'epoca si misero a deriderlo e lo presero per un ciarlatano. Come poteva Dio, che è infinito e inconoscibile, presentarsi sotto forma di uomo? Era certamente un'assurdità. Ma non potevano prevedere che quell'assurdità sarebbe prevalsa sull'idea di un Dio trascendente. Come mai? In effetti si trattava di una riduzione antropomorfa, ovvero di una riduzione di un Principio inconoscibile a livello umano; oltretutto, se Dio si fa uomo, l'uomo è Dio – una grande presunzione, una evidente volontà di potenza della scimmia umana.
Ebbe così inizio la grande opera di distruzione della trascendenza operata dal cristianesimo. E ormai oggi, nei popoli cristiani o ex-cristiani, non è più possibile pensare ad un Dio che non sia a misura d’uomo. La teologia stessa è incapace di concepire la trascendenza.
In verità, quel "Dio ignoto" era tale solo perché veniva considerato inconoscibile. Era una forma di rispetto per Dio stesso. Ma la mente ristretta di san Paolo non poteva capirlo. Lui non poteva concepire niente al di là dei suoi limiti di ex-ebreo. L’antropomorfismo teologico avrebbe avuto la prevalenza. Non si concepisce più un Dio al di là della mente, ma di un “Signore”. La moneta cattiva avrebbe cacciato la moneta buona.

lunedì 17 dicembre 2018

Felicità e serenità


Un mio libro, scritto nel 1997,  s’intitola L'arte della serenità. L'avevo intitolato così, e non L'arte della felicità, perché mi pareva troppo pretenzioso voler scrivere addirittura un manuale sul come essere felici. Chi può darci dei consigli sul come essere felici? E come fare a essere felici senza essere anche infelici? La saggezza infatti ci spinge a cercare, più che un sentimento passionale come la felicità, uno stato d'animo più pacato, la serenità. La felicità non è controllabile e dipende in gran parte da circostanze esterne. La serenità invece è qualcosa su cui si può lavorare. Inoltre, quando le cose ci vanno male, è possibile essere sereni, mentre non è possibile essere felici. Forse la serenità è un poco più grigia, ma in tempi duri è un bene prezioso. Certo, la felicità è un'altra cosa, però ha un grande difetto. Quando se ne va - e in genere dura poco - lascia una grande sofferenza. Nel mondo duale in cui viviamo raggiungere un picco significa prima o poi dover discendere in un baratro. Meglio allora tenersi a mezza altezza, né troppo esaltati né troppo depressi. Una via di mezzo. Questa è la serenità: la capacità di barcamenarsi tra gli opposti, mantenendo l'equilibrio. Il che non significa respingere la felicità quando arriva; significa piuttosto non perdere il senso della realtà. E già questo è uno strumento per non perdersi.

Spaccio legale


La domenica mattina, alla radio, prima le omelie papali e poi lo sport. Insomma, l'oppio dei popoli nelle sue due versioni: religiosa e laica. La legge se la prende con la droga distribuita nelle strade e si dimentica di questo duplice oppio, ben più pericoloso, perché instupidisce senza farsene accorgere. E così il gregge segue mansueto: ha assicurato il divertimento su questa terra e la sopravvivenza nell'aldilà. Non deve più preoccuparsi di niente: basta che segua i pastori della Chiesa e dello Stato. Nessuno deve fare più il minimo sforzo, nessuno deve più pensare, nessuno deve più cercare; basta che segua la corrente - il rincretinimento è sicuro. Lo sfruttamento anche. In tal modo la gente perde la sua occasione, l'unica che ha per essere se stessa.


L'arte della felicità


Scriveva il Dalai Lama che, "per essere veramente felici in modo duraturo è necessario riconoscere innanzi tutto la realtà della sofferenza. Forse all'inizio è deprimente, ma alla lunga ci si guadagna" (OM, Mondadori, 2009). E' dunque necessario partire col piede giusto: non pretendere che un qualsiasi stato d'animo piacevole sia durevole. Ma poi bisogna intervenire attivamente per evitare di cadere in balia di stati depressivi o comunque negativi. C'è gente infatti che - incredibile a dirsi - coltiva con costanza la sofferenza; vuole in un certo senso soffrire più del necessario.
       Bisogna infatti rendersi conto che gran parte della nostra infelicità nasce dalla mente. Al di là dei desideri fondamentali (il cibo, il sesso, ecc.), esistono numerosi desideri che sono semplicemente indotti da ambizioni inutili o sbagliate. Ci sono per esempio persone ricche, che avrebbero tutto per godersi la vita, ma che sono dominate dalla smania di potere e si amareggiano la vita tutti i giorni. Sono convinte che la felicità stia nel potere, nel dominio, nel far fare agli altri quel che vogliono loro.
       C'è però una felicità elementare, comune a tutti, al ricco e al povero, che consiste nell'assaporare la gioia fondamentale del vivere che è data da cose semplici e alla portata di tutti, come una giornata di sole dopo un periodo di maltempo, superare una malattia, scampare a un pericolo, essere sani, un'alba, un tramonto, una pioggia dopo la siccità, amare, crescere, imparare, leggere un bel libro, vedere un bel film, dormire quando si è stanchi, bere acqua quando si è assetati, fare un bagno in mare, passeggiare in un bosco, ecc.
       Anche nella meditazione c'è al fondo una felicità: essere consapevoli di essere. Infatti nella teologia orientale, il principio di tutto viene definito sat-cit-ananda, ch significa "essere-coscienza-gioia". Il fondamento è dunque un'inestricabile connessione tra l'essere, l'essere consapevoli e l'essere felici. L'essere è di per sé una gioia, e chiunque ne sia consapevole viene investito da questa luce.
Ma è necessario resettarsi, disfarsi dei desideri inutili, trovare la semplicità e l’essenzialità e acquisire saggezza.

domenica 16 dicembre 2018

Religione ed economia


Non mi riferisco ai soldi che ci costa la religione e alla sua pretesa di essere mantenuta dallo Stato, ma al fatto che alla sua base si trovi un principio economico: l'equilibrio del dare e dell'avere. Tutte le religioni infatti partono dal presupposto che le azioni umane verranno giudicate da qualche Dio o da qualche principio karmico che stabilirà una specie di partita doppia, dove da una parte ci saranno le azioni positive e dall'altra parte le azioni negative. Poi si farà il bilancio, e chi non ha messo da parte abbastanza, chi non ha alimentato il proprio conto corrente, verrà irrimediabilmente punito.
Il principio dell'economia - d'altronde è ben espresso da Gesù quando dice nei Vangeli: "A chi ha sarà dato sempre di più e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". Insomma è la mentalità economico-finanziaria che vediamo in azione sempre. Non a caso, sempre Gesù utilizza spesso parabole a base di soldi (talenti), di banchieri e di mercanti. Per lui il regno di Dio può essere paragonato ad un mercante, a un banchiere o a un saggio amministratore che chiede ai suoi di render conto di come hanno investito il denaro loro affidato. E chi non lo avrà fatto rendere... sarà punito.
Insomma la religione così concepita è soltanto un sottoprodotto della mente economica, che si illude di essere qualcosa di spirituale. Se l'umanità è ridotta in uno stato miserevole, se la nostra vita è determinata dai soldi che abbiamo, se preti, vescovi, cardinali e papi sono degli affaristi, lo dobbiamo proprio a queste religioni della partita doppia.
D’altronde n Italia, a capo di una nota fondazione bancaria si trova direttamente una suora! E nessuno se ne meraviglia. Non c'era bisogno del protestantesimo per risvegliare lo spirito del capitalismo: c'era già tutto nei Vangeli.

Per le nostre religioni, per la mente umana, il principio economico è il fondamento cosmico. Anche la teologia rientra nella legge del dare e dell’avere. Se poi la società umana è tutta basata sul denaro, non ci lamentiamo.


sabato 15 dicembre 2018

Scienza e fede


È' noto che scienza e fede non hanno niente in comune. D'altronde, se di ciò che affermano le religioni si potesse dimostrare qualcosa non ci sarebbe bisogno della... fede. Ma è soprattutto il metodo che è diverso. La scienza è umile: cerca la verità sapendo che ciò che trova non è mai definitivo e sarà superato. La fede afferma con arroganza che i dogmi concepiti migliaia di anni fa siano sempre validi. La scienza è il meglio di ciò che ha concepito l'umanità, la religione è il peggio. La prima è sperimentale e sottoposta a verifica, la seconda è apodittica, dogmatica, assiomatica e crede di possedere la verità rivelata. Le religioni si sono sempre fatte la guerra, la scienza mai.
       Nei laboratori internazionali lavorano fianco a fianco israeliani e palestinesi, americani e iraniani, tutti uniti da uno stesso obiettivo, tutti pronti a rivedere ciò che scoprono, e nessuno pensa ai miserabili conflitti ideologici e religiosi dei loro rispettivi paesi.
       L'umanità potrà essere unificata solo in nome della scienza. mai della fede. Eppure le nostre società danno molta più importanza e molti più soldi alle religioni che alla scienza. Un segno inequivocabile che la gran massa delle popolazioni non è in grado di pensare con la propria testa e vuole essere guidata da qualche Dio. Finché l'umanità non uscirà dallo stato di minorità, dal desiderio di dipendere ancora dalla madre o dal padre “eterni”, finché non diventerà essa stessa maggiorenne e non assumerà sulle proprie spalle la responsabilità di vivere e di decidere, ci troveremo in uno stadio infantile, con uomini-bambini che si fanno dominare.

Magari esistesse Dio!


Magari esistesse un Dio così come lo intendono le religioni tradizionali! Potremmo attribuirgli le colpe di tutto ciò che va male o sperare in qualche intervento provvidenziale.
       E, invece, ci tocca rimboccarci le maniche e risolverci da soli i nostri problemi.
       Forza e coraggio! Siamo soli.
Non perdiamo tempo ed energie a invocare ciò che non c’è. Mettiamoci a studiare.

Oltre la mente duale


Esiste o non esiste Dio? Esiste o non esiste l'anima? Esiste o non esiste l'aldilà?
       E' possibile “rispondere” a queste domande. Ma la risposta non può essere espressa né con le parole né con i pensieri. Se lo fosse, non sarebbe la realtà ultima, al di là della mente duale.
       La mente di "Dio" non è affatto la mente umana.
       Questo significa che alla realtà ultima non possono attingere le teologie (giochi mentali), ma soltanto una mente che tace e che si fa pura presenza.
       Ecco che cos'è la meditazione.
       Può essere disperante non poter esprimere ciò che si coglie. Ma il cerchio piccolo non può comprendere il cerchio grande. La rana nel pozzo non può comprendere che cosa sia il mare.

venerdì 14 dicembre 2018

Lavorare sulla coscienza


C'è ancora qualcuno che crede che il problema religioso si riduca a domandarsi se esiste o non esista un Dio. Noi invece pensiamo che consista nel chiedersi se siamo o non siamo consapevoli, e quanto lo siamo. Due diverse concezioni del "religioso".
       Credere in Dio significa in realtà credere che esista un Padrone supremo, un Creatore, un Giudice ultimo. Ma è ancora l'istinto del cane fedele, che cerca il capobranco cui sottomettersi.
       Il cane è un animale che ha bisogno che il mondo sia inquadrato in precise gerarchie e che ci sia chi comandi. Così è anche per i credenti in Dio. In loro prevale l'istinto gerarchico, il bisogno del padrone che dica cosa è bene e cosa è male.
       Se pensiamo che milioni di persone delle varie religioni ragionano ancora in questi termini e quindi si accaniscono sull'inutile dilemma dell'esistenza di un Capo supremo, ci rendiamo conto di quanto questa umanità sia arretrata. Siamo ancora a livello degli animali da branco.
In realtà, le “tavole della legge” non sono state scritte su pietre, ma dentro la coscienza umana. Dunque, è su quest’ultima che dobbiamo lavorare.

Lo sviluppo della coscienza


Pensiamo a quanto tempo (miliardi di anni) e a quanti sforzi abbia fatto la vita per passare dalle prime forme unicellulari agli organismi più complessi e infine alle piante, agli animali… fino agli esseri umani, dotati di una coscienza più evoluta. Una fatica immensa, costata lotte e sofferenze inenarrabili.
Chiaramente il processo non è finito e deve compiere altri passi. E il passo fondamentale riguarda proprio la coscienza. Che deve essere capace di riflettere sempre di più su se stessa. Esistono molti gradi di coscienza. Troppi uomini sono ancora semplici scimmie un poco più evolute, ma incapaci di riconoscere e di controllare i propri impulsi.
A causa di questa mancanza sono state inventate le religioni e le varie etiche, con un meccanismo di punizioni di tipo esterno, concepito sia a livello sociale sia a livello metafisico. Ma è necessario che il processo di riconoscimento e di controllo sia interiorizzato da tutti e si faccia autocoscienza.
Ma l’azione etica non deve nascere come semplice repressione o autocontrollo. Deve in realtà scaturire da uno sviluppo della consapevolezza conoscitiva. Conoscendo di più, ampliando la conoscenza, si sviluppa la coscienza e quindi l’azione diventa etica.
È dallo sviluppo della coscienza che verrà la soluzione dei nostri problemi (per esempio il cambiamento climatico, la fame nel mondo, le disuguaglianze sociali, ecc.), non dalla coercizione imposta dalla polizia o da un Dio che agirebbe nel migliore dei casi solo in un aldilà.
Noi uomini, però, non possiamo aspettare altri milioni di anni: siamo già ad un punto critico. I migliori devono dunque lavorare a sviluppare direttamente e volontariamente il livello della coscienza.

giovedì 13 dicembre 2018

Liberarsi dalla sofferenza


Ridurre lo stress è indubbiamente una forma di liberazione… dalla sofferenza. Naturalmente il termine stress è generico. Indica una tensione/pressione che può derivare da ansia, paura, odio, rivalità, amore, gelosia, incertezza e tanti altri stati d’animo, talvolta intrecciati fra loro. Ma, per ridurlo, devi prima renderti conto della sofferenza che stai sopportando, perché non sempre ne sei consapevole; talvolta pensi che questo livello di stress sia normale.
Però non è così: prova a posare uno sguardo il più possibile chiaro e distaccato su te stesso. Devi riuscire a guardarti come se osservassi un altro. Già questa è una forma di liberazione – liberazione da quella camicia di forza che è il tuo ego, dall’identificazione con il tuo ego psicologico e sociale.
Le due funzioni vanno di pari passo: veder chiaro aiuta la liberazione e la liberazione aiuta a vedere chiaro. Si innesta un circolo virtuoso. Ma è necessario partire da qualche parte.
La meditazione serve proprio a questo scopo. Ti metti seduto e cerchi di percepire il tuo livello di stress, il tuo grado di tensione/pressione. Così facendo, prendi le distanze e inizi a ridurre la tensione.
Più prendi le distanze con questa operazione di auto-osservazione, più riesci a vedere te stesso e il mondo in modo distaccato. E, se ti guardi in modo distaccato, già incominci a liberarti dalla tensione e a rilassarti. E, liberandoti dalla tensione e dunque dall’immedesimazione con il tuo ego, il tuo sguardo si fa più luminoso. Insomma diventi sempre più illuminato.

mercoledì 12 dicembre 2018

Il luogo della felicità


I genitori non chiedono mai ad un figlio: “Sei felice?” Credono che il loro dovere sia riempirlo di quelle cose che, secondo loro, possono renderlo felice: i soldi, i titoli di studio, i beni materiali, le abilità…
Ma, se loro stessi non sono felici perché non sanno in cosa consista la felicità, come possono rendere felice il figlio? Allora sentono che è meglio non porre mai quella domanda.

La potenza interiore


Che cosa fa un credente (in Dio) quando cerca aiuto e sa che nessun altro può darglielo? Entra in una chiesa e si rivolge all’Essere divino che ritiene Superpotente per chiedergli grazie, consigli, ispirazione…
Ma non è così che potrà crescere spiritualmente. Se chiede aiuto ad un Superpotente dovrà farsi piccolo e dipendente.
Il compito dell’uomo è un altro: sviluppare le proprie potenzialità. E, per farlo, dovrà svilupparsi andando “dentro”, non pregando un Padrone.
Il vero Dio non sta in cielo, ma dentro di noi.

Il vuoto dell'anima


Inutilmente cerchiamo di riempire il vuoto dell’anima sforzandoci di possedere più cose. Anche se dovessimo diventare ricchi e potenti, quel vuoto rimarrebbe, perché legato all’insensatezza del vivere per morire, perché legato all’inconsistenza delle cose.
Inutilmente cerchiamo di sostituire – come scrive James Hillman – l’ “oltre” con il “di più”.
Non possiamo farcela, perché si tratta di due ordini di grandezza del tutto diversi. Il secondo si può colmare con le cose, il primo no. Il secondo dovremo abbandonarlo o ci abbandonerà, il primo farà parte duratura di noi.

martedì 11 dicembre 2018

La meditazione come processo


Per noi che forse non raggiungeremo mai un’illuminazione improvvisa e totale, la meditazione va vista più come un processo che come uno stato. Il che vuol dire che si tratta di un cammino in cui ogni giorno compiamo dei passi. E un passo dietro l’altro si va lontani.
       In un cammino nessun passo va sprecato.
È comunque una crescita che non si fermerà finché saremo vivi. Significa dunque avere una meta e uno scopo.

La crisi spirituale


Sappiamo che la natura umana può essere molto malvagia, la peggiore di tutti gli esseri viventi. C'è gente che per arricchirsi sarebbe disposta ad ammazzare o a mandare in miseria milioni di individui. La vediamo in azione in questi giorni. Che cos'è in fondo la crisi attuale? Banchieri, affaristi e speculatori vogliono arricchirsi facilmente senza preoccuparsi delle conseguenze per gli altri e per il mondo. L'importante è accumulare denaro, costi quel che costi. Questa è anche l'essenza del capitalismo che, dopo la scomparsa del comunismo, ha rivelato il suo volto più disumano. E alla base di tutto c'è una crisi spirituale per cui non esiste più il bene comune: esiste solo l'interesse di qualche individuo paranoico, dominato da un delirio di onnipotenza. Visto che la crisi è partita dagli Usa, è giusto domandarsi dove sia finita la civiltà occidentale che una volta si definiva cristiana. Eccola qui in tutto il suo orrore.

Le radici religiose della violenza


Il regista inglese Graham Vick sosteneva che nell'Antico Testamento sono contenuti i germi del fanatismo e della violenza. "Quello invocato da Mosè è un Dio di rabbia e di distruzione. È strano che arrivi il comandamento 'non uccidere' proprio da colui che ha ucciso tutti i primogeniti dell'Egitto e ha permesso di essere brandito come un'arma dal suo profeta. Bisogna sempre diffidare di chi si definisce 'il popolo di Dio', di chi dichiara guerra in suo nome. Credersi gli eletti del Signore è una forma bella e buona di razzismo. Un veleno per l'umanità".
       Ma nel passaggio dall'Antico al Nuovo Testamento le cose non cambiano sostanzialmente. Il Dio è sempre quello, semmai camuffato da Essere bonario. E si presenta sempre come un sanguinario Dio dei sacrifici e della violenza. Il povero Gesù si era illuso che il Padre fosse cambiato. Ed è finito come è finito.
       No, abbandoniamo questi Iddii che covano odio, gelosia, passione e vendetta nel loro animo. Liberiamoci delle loro religioni.

lunedì 10 dicembre 2018

Il giusto punto di vista


I nostri punti di vista – e quindi i giudizi e i sentimenti – sono sempre relativi, soggettivi e interessati. Per vedere come stanno veramente le cose (in qualsiasi campo), dovremmo dunque assumere un punto di vista oggettivo, impersonale, universale e disinteressato. Ma per gli uomini normali, privi di autoconsapevolezza, è quasi impossibile.
In realtà il nostro punto di vista non dovrebbe essere nostro, dovrebbe essere un non-punto di vista. Non dovremmo assumere nessuna prospettiva personale. Dovremmo avere lo sguardo di un ipotetico Dio impersonale. E questo è difficile.
Le nostre passioni, i nostri sentimenti e le nostre opinioni sono in tal senso sempre fuorvianti.
Comunque rendersi conto del problema è già un passo avanti.
Quando meditiamo cerchiamo di mettere da parte le nostre preferenze, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre reazioni, i nostri interessi… per assumere un punto di vista il più possibile universale. Siamo impassibili, assumiamo l’atteggiamento del non-sé.
Resta il fatto che se non ci evolviamo nel senso di una meditazione di consapevolezza generalizzata, se ognuno rimane chiuso nel proprio recinto egoico, nella propria tradizione, nella propria religione, nel proprio punto di vista, se gli elementi di disunione non vengono compensati da uno sguardo chiaro, non c’è futuro per l’umanità.

La coscienza nasce da un rispecchiamento di sé, da un autoriconoscimento, e solo le facoltà riflessive possono condurci oltre l’animale da cui proveniamo.

domenica 9 dicembre 2018

Liberazione e risveglio


La meditazione è all’inizio più un non fare che un fare. Che significa? Significa che, al di là delle tecniche, si tratta più di liberarsi di qualcosa che di ottenere o di acquisire qualcosa. Per questo si parla di liberazione. Liberarsi dai pesanti condizionamenti (culturali, sociali, religiosi, sociali, ecc.) che ci opprimono e che ci costringono a ripeterci.
In tal senso meditare è liberarsi delle abitudini e delle categorie mentali acquisite. Qui la meditazione consiste in una presa di coscienza il più possibile ripetuta e prolungata. E' un vedersi e uno svuotarsi per isolare il proprio essere sostanziale, quello che si trova oltre l'ego abituale. E' un guardare con consapevolezza, è uno svuotarsi. Ed è un'operazione della coscienza.
Ma un'operazione della coscienza è comunque un'azione, un lavoro che si fa su di sé e che ha poi effetti esterni. Di fronte a questo tipo di meditazione, le varie tecniche sono puramente introduttive, sono strumenti utili ma non certo sufficienti, perché hanno il compito di riportarci ogni volta al centro di noi stessi, là dove ha inizio la vera meditazione.
Mantenere vivo lo spirito, mantenersi attenti e consapevoli, uscire dal sonno della coscienza, con tutto il suo passato di illusioni e di superstizioni, con tutto il suo dualismo, è dunque la condizione indispensabile per risvegliarsi.

Il nuovo Dio


Un nuovo Dio è apparso tra gli dei. Si chiama Mercato. Non dimora però sull'Olimpo, ma nella Borsa. I suoi sacerdoti si chiamano finanzieri.
Come tutti gli dei, crea per distruggere e distrugge per creare. Insomma è irrazionale, isterico, umorale e cattivo - richiede continui sacrifici.
       Quando mai gli uomini impareranno a non adorare più dei inesistenti e ad assumersi sulle proprie spalle la responsabilità del mondo?

Dio e Satana


In Italia il Medioevo non è mai finito. Il capo-gabinetto del Ministero della Famiglia e della disabilità, Cristiano Ceresani, un fanatico cattolico autore del libro Kerygma: il Vangelo degli ultimi giorni, sostiene che la colpa del cambiamento climatico è sì dell’uomo ma soprattutto di Satana. Insomma ci troviamo alla vigilia dell’apocalisse.
Eppure ci vuol poco a capire che, se in una stanza di cinque metri per cinque, mettiamo 200 persone, il clima si surriscalderà. Non c’è dunque bisogno di Satana per spiegare questi avvenimenti. E certamente la maggior parte della colpa dipende da coloro che spingono a non usare metodi anticoncezionali e a “crescere e moltiplicarci”… come appunto i cristiani integralisti.
Ma, a proposito, il loro Dio che ci sta a fare?

sabato 8 dicembre 2018

Quando sorge il sole


Un discepolo andò a trovare un maestro zen e gli domandò che cosa dovesse fare per raggiungere l'illuminazione.
"Devi fare come il sole quando sorge ogni mattina."
"Ma il sole non fa nulla."
"Appunto."
"Allora a che cosa serve meditare?"
"Ad avere gli occhi aperti quando sorge il sole."

Il non-fare della meditazione non ha niente a che fare con il non-fare dei pigri. È un uscire dalle attività più comuni (fisiche e mentali) per stare attenti, per un essere presenti, per un essere consapevoli, per contemplare ossia per vedere ciò che gli altri non notano.


venerdì 7 dicembre 2018

L'esperienza dell'unione universale


Certo, se riuscissimo a fare l’esperienza dell’unione esistente fra noi e gli altri, nonché del fatto che siamo tutti interdipendenti, non saremmo più capaci di far del male, perché sarebbe come se facessimo del male a noi stessi, perché il corpo degli altri sarebbe come un prolungamento del nostro.
È quel che avrebbero voluto i grandi saggi del passato, come Confucio, Buddha e Gesù, con il loro invito a “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te”. Ma non bastano le parole e le prediche. È l’esperienza la vera intelligenza che può portare ad un simile atteggiamento.
Tuttavia, è a questa esperienza che, paradossalmente, si oppongono i sostenitori di un’anima individuale. Più ti consideri un essere speciale, degno di eternità, più ti distingui e ti dividi.
Non si può fare questa esperienza se non si passa per il non-sé, se non si fa il vuoto di tutto, anche dell’anima.

giovedì 6 dicembre 2018

Il Dio di Einstein


Nel 1954, uno degli scienziati più geniali degli ultimi secoli, Albert Einstein, scrisse una lettera in cui esponeva la sua visione della religione tradizionale. Della propria religione, il giudaismo, pensava che fosse “come tutte le altre, un’incarnazione di una superstizione primitiva” e che gli ebrei fossero non un popolo prescelto, ma uno come tutti gli altri.
Aggiungeva poi che "la parola Dio per me non è altro che espressione e prodotto della debolezza umana” e “la Bibbia una collezione di leggende venerabili, ma ancora primitive… abbastanza puerili",
In effetti queste appaiono le religioni ad una mente aperta, che non si limita a ripetere le idee apprese da bambino, ma che vuole vederci chiaro.
Le parole di Einstein che colpiscono sono “primitive” e “puerili”. Perché le concezioni principali delle religioni sembrano espresse da una mente infantile, da un’umanità che vive ancora ad uno stadio primitivo e che applica a Dio immagini puerili.
Già nella Bibbia ebraica, Dio ne fa di tutti i colori: si arrabbia, passeggia, lavora, si riposa, promuove guerre, stringe alleanze, minaccia, mette alla prova, sceglie i suoi favoriti, ci ripensa, si pente, comanda eserciti, ecc. Una figura contraddittoria, rozza, da fumetti. Poi nel Nuovo Testamento, diventa un Padre che invia sulla Terra un Figlio facendolo nascere da una madre vergine e infine sacrificandolo. Una storia da grand guignol, partorita da menti primitive e infantili.

Ribellarsi al Padrone divino


Non dobbiamo illuderci che la Forza  che ha prodotto il cosmo – che la si chiami natura, selezione naturale, vita o Dio – faccia sempre il nostro interesse. Questo è un concetto importantissimo che contrasta le immagini puerili di un Dio amorevole. Un Dio amorevole non avrebbe fatto un mondo così feroce, dove la prima legge è divorare gli altri esseri per sopravvivere.
In realtà quella Forza fa il suo interesse, che non sempre coincide con quello dell’individuo. La Forza vuole che la vita vada avanti a qualunque costo e si serve dell’individuo, che quando non è più utile o è troppo debole viene tranquillamente sacrificato.
Siamo dunque strumenti, non soggetti sovrani. E in ogni momento possiamo essere eliminati, contro la nostra volontà.
Se assumiamo l’atteggiamento cristiano “sia fatta non la mia ma la tua volontà” diventiamo gli schiavi ideali e saremo certamente sacrificati.
La nostra liberazione può allora essere vista come una ribellione a qualcuno o a qualcosa che ci sovrasta e che ci impone le sue leggi spietate.
Noi lavoriamo per vivere a più a lungo possibile (“l’ultimo nemico a essere eliminato sarà la morte”, scrive san Paolo non capendo che si scaglia contro Dio) e, per farlo, dobbiamo lottare contro la Forza originaria che intendeva farci vivere pochi anni e basta.
Il progetto divino è un progetto di sfruttamento dell’uomo. Ma l’uomo cerca di contrastarlo.
Non pregate dunque chi vuole dominarvi. Lottate per la vostra liberazione rendendovi sempre più autonomi, sempre più consapevoli. Perderete alla fine, ma intanto avrete dato il vostro contributo alla lotta contro l’oppressione “divina”.

mercoledì 5 dicembre 2018

2. La meditazione di quiete


Ma esiste un’altra forma di meditazione che ci aiuta a decondizionarci e a liberarci. Mettiamoci tranquilli (seduti o distesi) cercando di fermare il corpo e soprattutto la mente. Lasciamo perdere ogni altra osservazione e concentriamoci soltanto sul respiro. Lentamente ci calmiamo sempre di più, fin quasi ad assopirci.
       Tutto si placa e noi siamo concentrati solo su noi stessi, sulla nostra stessa calma. I movimenti del corpo e della mente diminuiscono fino a farci dimenticare dei problemi e delle ansie che di solito ci assillano. Ci distacchiamo dalla confusione del mondo, dai desideri, dalle ambizioni.
Siamo raccolti e silenziosi. Non guardiamo fuori, ma solo dentro. Entriamo in uno spazio vuoto ma accogliente. Tutto il resto sparisce. Si attenuano le tensioni fisiche e mentali. Si abbassa la pressione.
È uno stato simile a quello che precede il sonno. In realtà il corpo è immobile (tranne che per le sue attività di mantenimento) e la mente sta per fermarsi. Se ci addormentiamo, rientra ancora nel campo della meditazione, purché non ci si metta a sognare.
Già nelle Upanisad si definisce questo stato di meditazione avvicinandolo a quello del sonno profondo senza sogni. È il “quarto stato”, oltre alla veglia, al sonno con sogni e al sonno senza sogni.
Quando usciamo da questo stato, ci sentiamo rinati, freschi e lucidi, a dimostrazione che la meditazione può raggiungere gli strati più profondi e salutari del nostro essere.