venerdì 28 febbraio 2020

Un malefico virus


Ci siamo resi conto di quanto le nostre esistenze siano brevi e precarie, di quanto poco basti perché siano spazzate via? Basta un virus, un microscopico virus.
       Ci siamo resi conto di quanto la tanto decantata tecnologia sia in realtà impotente?
Ci siamo resi conto di quanto i nostri sistemi sociali non siano in grado di salvarci? Di come anzi gli assembramenti siano pericolosi?
Ci siamo resi conto di quanto i nostri Dei non ci proteggano? Anzi, anche le loro chiese, nei momenti di pericolo, vengono chiuse.
È bastato un piccolissimo virus a ricordarci tutto ciò che di solito rimuoviamo.

Estranei al mondo


Se in certi casi ci sentiamo spaesati, estranei alla massa che ci circonda, se cerchiamo di sfuggire al rumore del mondo, e cerchiamo di starcene soli per un po', non ce ne facciamo una colpa. Non è un difetto, non è un'anomalia, non è una malattia. Se ci sentiamo a disagio in una compagnia di stolti o di ignoranti, non è una nostra mancanza. Ma è un merito – è il segno che siamo chiamati a recuperare la nostra identità perduta o mai trovata tra le chiacchiere del mondo, fra le false identificazioni sociali.
       Stiamo cercando il nostro vero sé.
       Quando perciò proviamo questa esigenza, non ci vergogniamo, non ci sentiamo dei mostri. I mostri sono gli altri, gli uomini sociali, gli uomini-massa, che non hanno mai trovato se stessi e che s’illudono di ottenere una loro identità soprattutto in un convenzionale reciproco riconoscimento.


Maschere e mascherine



Le maschere
Ogni cosa è se stessa e non un'altra: questo è il principio di non contraddizione che presiede la nostra mente – e quindi il nostro mondo. Ma si tratta di un arbitrio, di una finzione, di un’illusione, perché ogni cosa è in realtà tante altre cose: noi stessi siamo un fascio di personalità.
       Non a caso la parola “persona” significa in latino maschera.
       Di volta in volta mostriamo una faccia, ma, per far questo, dobbiamo rimuovere o comunque nascondere le altre facce, gli altri aspetti, che si ripresentano quando meno ce l'aspettiamo, per esempio nei sogni. Allora ci rendiamo conto che possiamo essere questo e quello, possiamo essere anche altri; e che il volto che mostriamo di solito non è che uno dei tanti.
       Qual è dunque il nostro vero volto? Nessuno di questi – si tratta di maschere, di vestiti indossati per l'occasione - per darci un'identità, per difenderci, per far finta di essere solidi. Può essere un'occasione che dura cinque minuti o tutta la vita. Ma, alla fine, andrà tolta.


Credenti per inerzia


Credenti per inerzia
Si può essere credenti per inerzia – cattolici, musulmani, ebrei, induisti, buddhisti, ecc. Il credente per inerzia è colui che non si pone alcun problema sulla fondatezza o sulla veridicità della propria religione ed aderisce semplicemente al complesso di credenze che gli sono state tramandate. Una persona del genere non è curiosa, non è veramente interessata alla spiritualità, non compie alcuna ricerca personale.
       Ma possiamo dire che sia un vero credente?
       No, non possiamo. Un vero credente è colui che, partendo da dubbi e domande, sceglie consapevolmente ciò in cui crede. Chi non lo fa è in realtà un conformista, poiché si attiene solo a quanto gli è stato detto da altri. In fondo, una fede del genere è il risultato di un condizionamento ben riuscito.
       La vera fede deve invece venire, non da una tradizione, ma da una frequentazione assidua, da una familiarità, con la propria essenza più profonda, con la propria anima, che, una volta interrogata e risvegliata, ci dice che cosa seguire o non seguire.
       Ma potresti accettare, per esempio, che la famiglia o un prete scegliessero per te la persona da amare? Purtroppo succede anche questo. E tu non vivi mai in prima persona.



giovedì 27 febbraio 2020

L'alba della creazione


Gli scienziati ci dicono che in una frazione di secondo è nato l’intero universo da una fluttuazione del vuoto. Ma lo stesso avviene ogni mattina quando ci svegliamo da un sonno profondo. Nel sonno ci eravamo dimenticati del mondo e di noi stessi; e non stavamo male. Poi, in una frazione di secondo ci svegliamo e ricompare il nostro intero mondo, con le sue gioie e i suoi problemi.
In realtà è la coscienza che si risveglia con tutti i suoi contenuti. In una frazione di secondo, in un granello di coscienza, viene proiettato l’universo che conosciamo. Quale potenza!
Un attimo prima il mondo è scomparso e un attimo dopo rinasce il mondo e il senso di presenza dell’io. Dopo che tutto questo era scomparso nel sonno, la mente riprende il sopravvento e riproietta le sue solite immagini. Evidentemente la nostra coscienza ha un potere enorme, un potere divino di creazione.
Possiamo immaginarci per analogia che lo stesso succederà quando ci addormenteremo per l’ultima volta. Scompare definitivamente il nostro universo. E che cosa rimane?
Rimane ciò che era il fondamento di quella apparenza. E in fondo non è così male.

mercoledì 26 febbraio 2020

Nessuno nasce e nessuno muore


L’espressione vedantica “nessuno nasce, nessuno muore” è affascinante, perché ci suggerisce un’idea vertiginosa: che esista un io immortale, un’identità basilare, che non è scalfita dalle vicende di questo mondo e che indossa i corpi terreni come se fossero vestiti.
Ma non dobbiamo cadere nelle trappole del linguaggio; non dobbiamo pensare alla solita anima immortale che ogni tanto de-cade su questa terra per motivi incomprensibili.
È in realtà un’espressione che invita a trascendere i punti di vista tradizionali sul nascere e sul morire. Prima della nascita e dopo la morte, “esiste” qualcosa che non possiamo definire, qualcosa cui non si possono applicare le abituali categorie mentali.
La nascita e la morte sono solo un lato della realtà: quello proiettato della mente. Ma, al di là della mente dualistica, c’è l’altro lato della realtà, qualcosa che dunque non è pensabile, e che né nasce né muore.
È la nostra mente che definisce e immagina i due momenti topici. Ma, oltre la mente che deve contrapporre per conoscere, c’è un’altra dimensione della realtà, che sfugge tanto all’essere quanto al non essere.
È come domandarsi che cosa ci sia oltre il confine visibile dell’universo, prima dello spazio e del tempo.
Ecco dunque una meditazione che ci invita ad allargare i nostri limitati punti di vista. C’è ben altro oltre il pensabile. Non dobbiamo credere né che tutto ciò che vediamo sia vero né che non ci sia altro oltre ciò che possiamo pensare.

lunedì 24 febbraio 2020

Il Principio del bene


Se il mondo è stato creato da un Principio del bene, perché la vita si basa sul principio del mors tua, vita mea? Basta questa domanda a distruggere tutte le nostre idee di un Dio e i nostri concetti di bene e di male. Sono concetti che abbiamo pensato noi, ma che non corrispondono a nulla di reale.
Dobbiamo concepire ed esperire ben altro di quelle quattro idee che ci portiamo dietro da millenni.

La grande trasformazione


Prima di nascere non avevi lo stato di veglia, non avevi lo stato di sonno, non avevi lo stato di sogno e non eri neppure cosciente di essere un io. In un certo senso eri nello stato di sonno profondo, quello senza sogni e senza ricordi. Poi ti sei svegliato e hai assunto la prima identità possibile.
Adesso reciti questa tua parte, ma fra cento anni (se ti va bene) ritornerai là dietro le quinte, nello stato che precede l’essere, ma che non è non essere, visto che dopo un po’ puoi ripresentarti. Sei come quelle comete che si presentano ogni tot anni per poi sparire di nuovo.
In meditazione e nello stato di sonno profondo, dovresti avvicinarti il più possibile a quello stato. Ma poi non puoi ricordartene, perché non hai il senso dell’io.
Quello stato non è il nulla, perché è in realtà al di là tanto dell’essere quanto del nulla. Non puoi pensarlo, non puoi definirlo. È oltre la mente. Ma c’è. Lo deduci dal fatto che è sempre presente, per esempio tra un pensiero e l’altro, nel sonno profondo senza sogni o quando scomparsi alla vista nella cosiddetta morte.
Potremmo dire che, quando sei vivo, è come se lo fossi, e, quando sei morto, è come se lo fossi. Ma che cosa sei in realtà non posso dirtelo perché i nostri concetti dualistici e antinomici non sono in grado di coglierlo. Noi ci troviamo sempre in una specie di grande recita, falsa e autentica nello stesso tempo.


sabato 22 febbraio 2020

Il tutto e il nulla


All’Origine non può esserci solo essere o solo non-essere, solo tutto o solo niente, ma qualcosa che abbia la capacità di “essere” l’uno e l’altro, altrimenti dall’uno non potrebbe nascere il suo contrario. È il linguaggio dualista e l’uso scorretto della nostra mente che ci ingannano, portandoci a contrapporre ciò che è invece fondamentalmente unitario. Se all’Origine ci fosse solo l’essere parmenideo, il non-essere non avrebbe spazio, e viceversa. Invece, dall’uno nasce l’altro, in modo dialettico.
Nell’antichità si metteva all’Origine un Dio perfetto o un Primo Motore immobile, ma poi non si sapeva spiegare da dove nascessero il male,l’imperfezione e il dinamismo. Ogni volta ci si trovava di fronte a contraddizioni, a paradossi all’apparenza insolubili o a misteri inspiegabili. Invece non c’è nessun mistero: ciò che si manifesta in seguito, in realtà c’è all’inizio, in maniera magari confusa e ambigua.
All’Origine c’è una Totalità comprensiva di tutto, da cui esce, come da una cornucopia, ogni cosa, anche del nulla. Se noi notiamo due opposti che si escludono a vicenda, dobbiamo guardare meglio per scoprire la loro unità sostanziale. Bene e male, essere e nulla, amore e odio, alto e basso, luce e buio, stasi e movimento, creazione e distruzione, nascita e morte… sono tutti compresenti fin dall’inizio e non solo non si escludono a vicenda, ma si sostengono l’un l’altro. Tanto per fare un esempio, è chiaro che con la nascita entra in campo la morte e che con la morte si rendono possibili altre nascite.
Così non ha senso mettere all’Origine l’essere o il niente, ma un terzo stato che li contempli entrambi in misure diverse. È la nostra mente che deve scegliere e, scegliendo, divide ciò che è in realtà unito o non è comunque ancora definito in modo univoco.
Così è successo nella fisica quando si è tentato di capire se gli atomi fossero onde o particelle. E si è scoperto che possono essere entrambe le cose a seconda dell’operazione di osservazione. È la mente che separa ciò che è l’una e l’altra cosa. Il tutto e il nulla sono paradossalmente due diverse manifestazioni di un terzo stato che, di volta in volta, si presenta sotto una forma o l’altra.
È inutile cercare di definire questo terzo stato, perché i nostri concetti sono falsamente duali. Sono loro che dividono ciò che è unitario. Non possiamo pensarlo, ma lo siamo.
Che cosa c’è dunque all’Origine?
Un tutto che è niente, un niente che è tutto. In certi momenti prevale l’uno e in altri l’altro. Ma i due sono sempre compresenti.
Tutto ciò non va solo pensato, ma va esperito in ciò che noi chiamiamo meditazione. Cerchiamo di vedere come il nostro mondo e la nostra vita, che sembrano solo dal lato del manifesto siano in realtà intessuti dell’immanifesto, e viceversa.
Il manifesto sembra costituito solo da attività, ansia, angoscia, gioia, febbre, paura, coscienza, individualità, ecc., ma, se guardiamo bene, è anche intessuto di vuoto, pace, quiete, riposo. E l’uno è necessario all’altro, come i due movimenti del respiro: l’inspirazione e l’espirazione.
La realtà, comprensiva dell’essere e del nulla, è dinamicamente complessa. E questa complessità va colta nella sua interezza, senza abbracciare posizioni estreme.


venerdì 21 febbraio 2020

La malattia dell'essere


Non tutte le malattie sono diagnosticate e non tutte sono curabili. Ne esiste una in particolare che non troverete nei nostri manuali e di cui soffriamo tutti: la malattia di stare al mondo.
       Eppure ne soffriamo tutti.
       Se per esempio sporcate di sangue la faccia di una madonnina che avete nel giardino, il giorno dopo arriveranno torpedoni di folle che chiedono grazie e cercano il miracolo. Come mai la gente è così malata e ha bisogno dei miracoli? Evidentemente nessuno è esente dal dolore, fisico o mentale.
In realtà stiamo tutti male, chi più chi meno.
Venire al mondo non è una grande gioia e i neonati si mettono subito a piangere e continueranno a farlo per mesi. Come mai non sono così felici? Forse stavano meglio prima – prima di nascere, quando non avevano coscienza di nulla. Ma perché allora portare in questo mondo nuovi individui che non l’hanno chiesto e che non sentivano nessun bisogno di “venire alla luce”? La risposta la sappiamo. Chi ha organizzato questo immenso meccanismo ha inserito un potente impulso alla riproduzione.
Dal momento della nascita, però, incominciano le sofferenze, alcune fisiche (per le innumerevoli malattie) ed altre mentali. Ma la malattia di vivere è sia l’una che l’altra. Nietzsche diceva “l’uomo è l’animale malato” ed è verissimo. È malato perché ha una coscienza, che è sempre infelice, che lo spacca in due, che non gli dice che cosa fare nelle varie circostanze, e anzi gli assicura che comunque alla fine invecchierà e morirà.
Anche se si nasconde nella caverna di una montagna, anche se è ricco, anche se non fa niente di male, il male si abbatterà su di lui.
Questo è il male di vivere, alla base di tante altre malattie. Questo è il male che non può essere curato. Se non… non nascendo.
C’è un’unica consolazione: che alla fine questa carcassa di ossa e di carne, sede della coscienza, sparirà per sempre. E torneremo alla nostra vera identità: quella del vuoto.
Qualcuno, però, continua a ipotizzare nuove vite e nuovi mondi, come se fossero tutti paradisi in cui staremo finalmente meglio e non avremo bisogno di medici e di medicine. E gli inferni?
Non hanno ancora imparato la lezione – che dove c’è vita, c’è sofferenza. Sono talmente pieni di desideri che sono anche capaci di rinascere.
L’illusione non finisce mai.



giovedì 20 febbraio 2020

Prima di essere e dopo l'essere


Un conto è cercare di conoscere se stessi, un altro conto è cercare di conoscere il Sé. Conoscere se stessi è cercare la propria identità umana e psicologica, ciò che ci contraddistingue come persone, il nostro carattere; ed è ciò cui invitano tutte le filosofie e le psicologie. Ma conoscere il Sé è un’altra cosa, è il passo successivo.
Infatti per conoscere noi stessi dobbiamo inquadrare, distinguere e definire il nostro ego, la nostra individualità. Invece, per conoscere il Sé, dobbiamo trascendere tutto ciò e liberarci dei concetti e delle definizioni.
Se è relativamente facile accumulare idee su di sé, ben più difficile è liberarcene. Mentre la propria identità psicologica appartiene al mondo, la propria identità ultima è al di là del corpo e della configurazione mentale. Il Sé non può essere desunto dai concetti e dal linguaggio, ma è l’intuizione immediata dell’ “io sono”, senza parole. Ma che cos’è?
Lo Zen ti poneva la domanda: “Qual era il tuo volto prima della tua nascita?” E tu non sapevi cosa rispondere. L’Advaita Vedanta ti pone la domanda. “Che cosa eri prima di nascere, prima del concepimento?” Lo scopo di queste domande è lo stesso: farti riflettere sullo stato che avevi prima di entrare in questo mondo.
È evidente che tale stato è sia ciò che eri prima di esistere, sia ciò che tornerai a essere dopo la morte. In fondo è ciò che prevale sempre, è ciò che è sempre presente, pur essendo stato dimenticato per il breve periodo della tua esistenza. Ma che cosa sono cento anni di fronte all’eternità?
Potremmo anche dire, con Heidegger, che l’essere attuale è un “esserci”, ossia uno stato delimitato, oltre che dallo spazio-tempo, anche da una certa coscienza e da un’affettività. Ma, alla fine, con la scomparsa del corpo e della mente-coscienza, l’ “esserci” svanisce, come un sogno la mattina, e rimane solo l’essere.
Ovviamente, il termine “essere”, desunto dal nostro linguaggio dualistico, non è adatto a indicare quello stato eterno, dal quale veniamo e nel quale torniamo. È come un tuffo nell’acqua: esci dall’aria, entri per un po’ nell’acqua e infine ritorni nella nostra atmosfera. Non esiste concetto per definirlo, essendo proprio l’indefinito.
Ma questo andare e venire, nascere e morire, entrare e uscire non serve in realtà a nulla – è un semplice gioco di apparenze creato dalla mente umana limitata. È la mente che compare e scompare, in un’ansia febbrile.
Se vuoi trovare pace, al di là della tensione esistenziale, esci dal gioco del dualismo, delle definizioni e dei concetti, metti a tacere il chiacchiericcio della mente e cerca l’esperienza unitaria.

mercoledì 19 febbraio 2020

Lo stato originario


Cento anni fa non sapevi neppure di essere, non ne sentivi alcun bisogno e non stavi male. Ma ora quel qualcosa che non aveva nessuna caratteristica è diventato improvvisamente cosciente. Con la comparsa di questo ego e della coscienza sono nate mille esigenze ed è nato il senso di esistere e di essere. Ora puoi essere felice in certi momenti, ma infelice in tanti altri. E sai che tutto dovrà di nuovo sparire e ritornare a quello stato. Non è una bella situazione, checché se ne dica. È una situazione angosciosa… a meno che tu non capisca che quello stato originario non era poi così male, essendo al di là del bene e del male, dell’essere e del non essere, dei concetti umani e della fede.

L'autoindagine


La vera conoscenza, la verità, non può che essere di prima mano. In altri termini, sei tu che devi trovarla, sei tu che devi farne un’esperienza diretta. Tutto il resto è di seconda o terza mano, riferito, interpretato, falsificato, non sicuro. Anche in campo religioso è così, anzi qui più che altrove. Qui le truffe sono all’ordine del giorno. Qui devi accettare verità, dogmi e credenze rivelate. Non puoi provare od esperire direttamente niente. Ti parlano di regole, di eventi e di personaggi del passato, e tu devi crederci sulla parola. È per questo che cianciano tanto di “fede”. Perché non possono provare nulla.
Se credi in Dio, parlaci tu direttamente. Non hai bisogno né di (inter)preti né di mediatori più o meno interessati, più o meno ignoranti. Se Dio non ti risponde, lascia perdere: è chiaro che è una fantasia della tua mente. E allora datti da fare personalmente per scoprire che cosa ci sia di vero. È chiaro che le religioni di massa danno risposte di massa, prefabbricate, inautentiche.
Le religioni sono tutte creazioni della mente umana, anche Dio. Solo la tua coscienza è lo strumento giusto. E, se mediti in modo retto, ti rivela che vivi in un mondo illusorio. In realtà, è come quando sogni: credi vere delle semplici apparenze.
Non devi dunque andare avanti a produrre fantasie, ma svegliarti dai sogni della mente. Tutto quello che credi di conoscere è inautentico, falso, posticcio. Anche la tua coscienza è condizionata e manipolata. Non devi aver fede: devi avere non-fede. Il mondo è una creazione del tuo essere. Quando non hai coscienza del mondo, dov’è il mondo? È la tua mente che lo tiene in piedi, è un sogno della tua mente. Tu sogni quando dormi, ma anche quando non dormi.
Quindi non puoi fidarti della mente. È quando sei nella non-mente, ossia quando non hai più pensieri nella mente, e neppure coscienza, e neppure fede, è allora che sei nel reale. La caratteristica del reale è che non può essere falsificato. Infatti vi accedi direttamente senza più bisogno di mente.
La mente mente sempre. Ma è anche il tuo unico mezzo di indagine – di un’indagine che non ti porta mai alla verità. Quando arrivi a capire che devi farla tacere, sei sulla strada giusta per sfrondare ogni apparenza, ogni rappresentazione. La realtà è un’altra, senza la mediazione della mente umana.
A questo serve la meditazione intesa come uno svuotamento della mente che diventa uno stare vicino all’Origine.


martedì 18 febbraio 2020

La propria vera natura


Secondo l’Advaita Vedanta, un uomo realizzato, un uomo illuminato, non ha più aspettative, non ha più desideri – nemmeno quello di esistere o di non esistere. E in particolare non ha bisogno di una religione, a differenza degli altri uomini che non conoscono ancora la verità e che cercano maestri e precetti scritti magari sulla pietra.
Ma anche le pietre e le più alte montagne si sgretolano come tutto il resto.
Il fatto è che lo jnani è consapevole che tutto dipende dalla sua coscienza e quindi la osserva rimanendone distaccato. Egli sa che l’unico strumento per conoscere le cose e giungere alla verità è la coscienza e perciò vi si tuffa dentro fino a capire che il mondo, le persone e lui stesso sono rappresentazioni mentali sostanzialmente artefatte, inautentiche, false. E sa che a un certo punto anche la coscienza lo lascerà.
Vede dunque le cose del mondo come apparenze o rappresentazioni, ed è questo modo di vedere che lo avvicina all’assoluto. Il mondo è una grande commedia o un grande gioco (lila) che ad un certo punto si ferma lasciando intravvedere la verità della sua inconsistenza.
Allora si penetra nell’autentico, che non ha più bisogno di esistere, nemmeno di essere. Quella è la propria vera natura.

lunedì 17 febbraio 2020

Trascendere il corpo e tutto il resto


Non è detto che la morte sia un’esperienza dolorosa - mentre siamo sicuri che lo è spesso la vita. La maggior parte di coloro che hanno avuto esperienze di pre-morte hanno riferito che la sensazione di liberarsi dal peso del corpo è una meraviglia indescrivibile e che ritornare nel corpo è come rientrare in una prigione. Soma (corpo) = sema (tomba) dicevano gli antichi greci. E anche noi troviamo che nelle nostre più felici esperienze ci dimentichiamo del corpo.
Con questo non vogliamo svalutare il corpo e la materia che hanno il grande merito di convogliare la coscienza, ma hanno un grande difetto: durano poco.
Qual è dunque la nostra vera natura? Se ci identifichiamo con il corpo, sappiamo che ben presto invecchierà, si ammalerà e lo perderemo. Quando invece perdiamo l’identità corporea (in meditazione, nel sonno profondo, in un orgasmo, tra due pensieri, un attimo prima del risveglio dal sonno o nella morte), scopriamo che abbiamo un’identità più vasta, più lucida e più leggera.
In fondo sia la nostra nascita sia  la nostra schiavitù hanno inizio con l’emergere del corpo. Per molti mesi, nell’utero materno e dopo la nascita, non abbiamo ancora un’idea di avere ed essere un corpo. Ma a poco a poco questa idea si consolida. È sì la nascita della vita, ma anche il consolidamento dell’ignoranza… di un’origine ben diversa, anteriore ed al di là del corpo, della veglia, del sonno e perfino della coscienza-conoscenza sempre dualistica e sofferente.
Non si tratta quindi di ricercare o rimpiangere un’anima che avremmo perduto chissà quando, ma di liberarsi di ogni identità – fisica, mentale o spirituale – togliendosi da tutti i confinamenti. Una cura radicale contro la malattia dell’essere.

domenica 16 febbraio 2020

I limiti della vita


Si discute del cambiamento climatico e delle sue soluzioni. Ma raramente si dice che il problema è la sovrappopolazione, la fame sconsiderata di vita. La popolazione è passata da 1 miliardo nel 1804 a 7 miliardi nel 2011 e si prevede che sarà di 9,7 miliardi nel 2050. Troppi evidentemente per un pianeta che ha i suoi limiti. Non ci sono le risorse per tutta questa gente.
Eppure ancora oggi si invita a “crescere e a moltiplicarsi” e ci si rallegra delle famiglie numerose. Una follia. La vita non è qualcosa di positivo in sé e per sé - ha sempre un prezzo ed ha un sacco di controindicazioni.

I due passaggi


Attualmente, la nostra coscienza è la base di tutto, è il nostro strumento conoscitivo - senza coscienza non c’è conoscenza. Ma è anche la base di tutti i nostri guai.
Quando non c’era, c’era la pace assoluta, il vero stato eterno, al di là del bene e del male, dell’essere e del non essere.
Ma poi è emersa la volontà di ex-sistere, di uscir fuori, e sono nati l’universo, la coscienza e tutti i suoi problemi.
Non c’è scopo in questo salto, se non la volontà di vivere ed essere coscienti.
In meditazione comprendiamo l’intero processo, prendendone le distanze.
Ce ne distacchiamo per uscire dallo stato di divisione e ritrovate lo stato di unione e di completezza, dove non ci sono nemmeno più l’esperienza e la conoscenza.
Non c’è dunque da aver paura della morte, ma semmai della vita, e, soprattutto, dei terribili passaggi tra la vita e la morte e la morte e la vita.

sabato 15 febbraio 2020

Mai nato e mai morto


Meditare è essere il più possibile consapevoli del proprio esserci. “Io sono qui e ora. Io sono consapevole di essere e di essere cosciente.” Se non avessimo questa coscienza, non esiteremmo e non esisterebbe il nostro mondo. Dunque la coscienza viene prima e il mondo (con noi stessi) viene dopo. In tal senso il mondo è una nostra proiezione. La coscienza è il nostro unico strumento.
Ma la nostra coscienza che all’inizio è gioia di essere si trasforma presto in una infelicità di essere. Sappiamo infatti che dobbiamo morire. Per che cosa lottiamo? Per che cosa ci arrabattiamo ogni giorno? Per invecchiare e sparire per sempre? Non è una bella prospettiva. È un’ombra terribile che ci oscura ogni luce.
D’altra parte l’uomo si sente gettato nel mondo. Non ha scelto nulla, non è stato interpellato da nessuno, non dispone di se stesso se non in minima parte.
Sarebbe una situazione disperante se non avessimo quel nostro strumento – la consapevolezza – che può essere focalizzata sulla percezione primaria dell’ “io sono”, in modo da capire e sperimentare alcune verità.
La prima è che noi ci identifichiamo con il nostro corpo e pensiamo che, una volta morto quello, muoia tutto. Ma chi è consapevole di esserci e di dover morire? È una coscienza che non è affatto unitaria – è divisa tra soggetto e oggetto, tra chi conosce e chi è conosciuto, tra spirito e materia…
Nella pratica meditativa, è dunque necessario fare uno sforzo di riunificazione sospendendo tutte queste distinzioni e svuotando la mente in modo da arrivare a quella intuizione del Sé che non si identifica solo con il corpo e che non è mai nato né mai morto. Ci vuole un’esperienza, non una filosofia o una fede.

venerdì 14 febbraio 2020

Guarire dall'infelicità


Anche Pascal, che pure era un cristiano, notava che tutta l’infelicità nasce dal fatto che gli uomini non sono capaci di starsene per un’ora da soli in una stanza… e quindi devono darsi da fare in mille attività, divertimenti e passatempi.
Ma che cosa li tortura? Da che cosa devono fuggire? Qualcosa che deve essere veramente terribile, insopportabile. E che cos’è?
Il senso di essere.
Ci dicono che la vita è il massimo dono. Ma non ci dicono che brucia come il fuoco e che ci tormenta dalla nascita alla morte. Esistere è una ben dura prova, una grande sofferenza.
Nessuno ci spiega che l’unico rimedio all’infelicità dello stare al mondo è il non essere. Solo così tagli la testa al toro.
Se invece cerchi di essere felice mentre bruci su un fuoco, non ci riuscirai mai.


Visioni mistiche


Apparizioni e visioni di dei e di Iddii… le religioni popolari sono piene di fenomeni del genere. Qualcuno dice di aver visto san Gennaro, sant’Antonio, la Madonna, Visnu, Siva… Basta che una pastorella veda una “signora” in una campagna e i creduloni gridano al miracolo.
Non sospettano nemmeno il potere proiettivo della mente, che può vedere qualsiasi cosa. Ma che significa?
L’intero mondo è frutto del potere proiettivo della mente, al quale ci vuol poco per immaginarsi Dio, la Madonna, il Diavolo o chissà chi. Se la mente s’immagina l’universo, con le sue stelle, le sue galassie e i suoi mondi, figuriamoci se non può proiettare una figura religiosa.
Tutto esiste dentro di noi. Tutto è una proiezione della mente.

La cura radicale


Se vogliamo eliminare davvero la sofferenza, non c’è che da eliminare le innumerevoli divisioni create dalla nostra coscienza. Tutto ciò che è diviso, contrapposto o dialettico è inevitabilmente portatore di sofferenza. Difatti, se pensiamo ai momenti in cui siamo felici, ci accorgiamo che sono momenti di unione, di fusione, di oltrepassamento del dualismo, di cancellazione della coscienza abituale – quando facciamo l’amore, quando dormiamo, ecc.
A noi sembra che avere la coscienza dell’ “io sono” e poter pensare siano il massimo della realizzazione. Ma con la coscienza abbiamo introdotto la divisione, la sofferenza e un mondo irreale. L’uso della coscienza non porta mai con sé la felicità.
Meditare è lasciar perdere il corpo e la mente e lasciar cadere il più possibile i pensieri. In italiano diciamo “avere pensieri” per indicare che abbiamo preoccupazioni, e diciamo “spensierato” per indicare un individuo felice.
Impariamo dunque a vedere il mondo come una nostra rappresentazione, una proiezione della nostra coscienza divisiva. Noi pensiamo di essere ciò che non siamo. Per esempio, siamo convinti di essere nati e che un giorno moriremo, e crediamo che ci sia un Dio che veda e provveda a tutto.
Ma la verità è che noi non siamo né nati né morti (questa è solo un’impressione) e che anche Dio è una creazione della nostra mente. Quando l’io svanisce e la coscienza duale si spegne, allora usciamo dal mondo delle illusioni ed entriamo nel mondo della realtà e della gioia senza pensieri.


giovedì 13 febbraio 2020

Il ricordo di sé


Il ricordo di sé non è il ricordo del proprio io empirico: sono Tizio, sono Caio, sono fatto così e così... ma la consapevolezza di essere presenti in un momento che è sempre "questo".
       Il ricordo di sé non è un ricordare qualcosa di passato, né una rievocazione che si fa, per esempio, in psicoterapia, in vista di una comprensione razionale e di un cambiamento.
       No, il ricordo di sé è diventare consapevoli di essere.
       È poi necessario un salto ulteriore verso quello stato di essere che è prima di tutto, anche di tutte le divisioni create dalla coscienza umana.

Meditazione, spazio e tempo


Lo stato meditativo non ha tempo, nel senso che viene fatta sempre nell'attimo presente, in un "adesso" che è al di fuori di ogni successione cronologica; non è neppure un ricordare né un prevedere. E non ha spazio, nel senso che non è localizzata in un luogo specifico, né tanto meno in un cervello.
       Infatti la condizione che raggiungiamo in meditazione è ciò che rimane quando, con la morte, scompaiono lo spazio, il tempo e il corpo.
La coscienza abituale è sì un prodotto della materia e del cervello, tant’è vero che è duale.
La sua dualità nasce dal fatto che è divisa in soggetto e oggetto e che deriva da due individui: i nostri genitori. “Due” significa sempre divisione.
Ma lo stato meditativo supera il dualismo, di cui è fatto tutto il nostro mondo, e realizza ciò che c’era prima del dualismo. È uno stato in cui finisce ovviamente ogni sofferenza e ogni divisione, anche quella della coscienza.

mercoledì 12 febbraio 2020

Le proiezioni della mente


Se morisse qualcosa di reale, di consistente e di concreto, sarebbe una tragedia. Ma se si interrompe un sogno, un’apparenza, un’illusione, un film, un pensiero, una fantasia, un’impressione, un’emozione, ecc., è cosa di poco conto. Anzi non si può neppure parlare di morte.
Quando ti svegli la mattina, non dici che il tuo sogno è morto. Ti sei liberato, finalmente sei uscito da un prodotto della tua mente e ti trovi nel mondo “reale”.
Semmai, devi stare attento a non passare da un sogno a un altro. Devi uscire da tutti i sogni, belli o brutti che siano. Anche da sveglio, hai sempre davanti agli occhi una rappresentazione.
Renditi conto che è la tua mente che proietta contro uno spazio vuoto tutte queste fantasie. È lo stesso meccanismo dei film, che non a caso piacciono tanto alle menti sognanti. Ma osserva gli spettatori: sono in una stanza buia che guardano ombre su un muro proiettate da altri uomini.
Fra i tuoi sogni c’è anche quello di un Dio che avrebbe creato questo universo, dove ogni essere, per vivere, deve uccidere altri esseri viventi, animali o vegetali che siano.
Se ci fosse un Dio del genere, sarebbe un macellaio.
Dunque, se è la tua mente che proietta tutte queste fantasie, mettila a tacere con la meditazione.
Vuoi una prova che la tua vita non è reale ma è un'illusione? Semplice. Tutto ciò che muore non è reale.

martedì 11 febbraio 2020

Il fondamento

In una pianta c’è la radice, invisibile sottoterra, e ci sono il fusto, i rami, i fiori e le foglie; e l’una non assomiglia affatto alle altre.
Per l’uomo comune la parte sotterranea resta invisibile. E lui vive solo a livello di fusto, rami, fiori, foglie.
Al contrario l’uomo che medita sa benissimo quale sia il suo fondamento e vi resta sempre collegato. Basta rimanere immobile e senza pensare per far emergere la parte che non si vede.
Mentre agli occhi fisici compaiono le cose contingenti, agli occhi della mente compare la realtà invisibile, molto più profonda e basilare.

Contemplare l'infinito

Solo sedendoti con gli occhi chiusi puoi “contemplare” l’infinito.
L’infinito non può essere visto come una cosa qualsiasi. Nessuno lo vedrà mai con gli occhi fisici. E tuttavia noi ne parliamo e lo sentiamo.
Dove lo sentiamo?
Nel nostro fondo invisibile.

lunedì 10 febbraio 2020

Il mondo come rappresentazione

Il mondo è meraviglioso. D'accordo. Ma è anche terribile. E lo stesso si può dire di tutto.
       Ogni cosa ha due aspetti. Bene e male, positivo e negativo... sono sempre intrecciati, compresenti e complementari.
       Se ci si abitua a ragionare così - osservando contemporaneamente le due facce della medaglia -, la finiremo con questa sciocchezza del pessimismo/ottimismo, e vedremo finalmente la realtà. Questa è una prima forma di trascendenza, al di là del dualismo mentale. E spetterà a noi far pendere il piatto della bilancia in un senso o nell'altro.
       Negli stati d'animo, nei giudizi, ogni volta, bisogna ritornare all'origine del continuum soggetto-oggetto – poco prima - e decidere quale oggetto avere, quale visuale adottare. La responsabilità è tutta nostra.
       Come diceva Schopenhauer, il mondo è rappresentazione. Ma una rappresentazione che è possibile cambiare.

Oltre le apparenze

L’unica cosa che sai è che sei. Puoi dire per esperienza diretta: “Io sono”. E pensi che questo tuo “io sono” non c’era un centinaio di anni fa e non ci sarà più fra un centinaio di anni. Dunque, essere consapevole di questa consapevolezza è la meditazione primaria, è ciò che fa dell’uomo un uomo.
Puoi e devi farne continuamente esperienza diretta, domandandoti perché non c’era un centinaio di anni fa e perché non ci sarà più fra un centinaio di anni.
Attento, però, che meditare non è pensare al problema dell’essere, ma liberarsi dei pensieri cogliendo direttamente l’esperienza.
Puoi dire che la natura, attraverso la costruzione di un mondo, di un corpo e di una coscienza, ha mirato proprio a questo scopo: far apparire un essere che fosse consapevole di essere.
Tuttavia l’emergere della coscienza, con il suo dualismo e con la consapevolezza dell’ impermanenza, dell’insoddisfazione e della mortalità, porta con sé la sofferenza. Niente infatti in questo mondo viene dato gratis, tutto ha un prezzo, tutto ha due aspetti.
Per fortuna, ciò di cui sei consapevole è un’apparenza, un’illusione, un sogno. E se le cose sono immaginarie, lo sono anche le sofferenze e la morte.
Noi siamo nello stato in cui niente nasce e niente muore veramente, ma tutto appare. Se ti poni poco prima dell’io, quando l’ “io sono” era ancora assente, scopri lo stato in cui non ci sono apparenze. Ecco a cosa serve la meditazione. Non a poco.

domenica 9 febbraio 2020

Dio e anima

«Io e il Padre siamo un sola cosa»... i cristiani hanno equivocato questa frase del Vangelo di Giovanni. Qualunque uomo può dire la stessa frase. Significa semplicemente che il fondo dell'anima e Dio coincidono. Altri mistici hanno detto la stessa frase, in tante religioni. Secoli prima di Cristo, le Upanishad avevano stabilito che il punto più profondo dell'anima (l'atman) era il Brahman (Dio). Ecco la semplice verità. Ognuno è Dio, tutti sono Dio... solo che gli uomini, fuorviati dalle religioni, hanno creduto in una certa immagine di Dio, in un Dio che se ne sta lassù in cielo e, ogni tanto, manda qualcuno a ricordare che c'è. Un ben misero Dio, un padroncino divino che tira i fili del mondo - peraltro con esiti disastrosi.
       Naturalmente qualcuno potrebbe domandarsi: ma se siamo Dio, anzi il Divino, perché siamo capaci di far così poco?
       Perché siamo il Dio che si è frammentato e fuso nella propria creazione… al punto da diventare Vacuità.
       Sta a noi, recuperare il Divino... scoprendo la trascendenza in noi e fuori di noi. Ma dobbiamo arrivare a una presa di coscienza e non invocare semplici idoli esterni.

Calma e distensione

Calma e distensione non possono essere comandati a volontà, perché ci sarebbe una contraddizione psicologica, nel senso che, se mi sforzo di distendermi, otterrò il risultato contrario: mi tenderò e mi agiterò. E allora bisogna non volere (questo stato d'animo), ma lasciar andare tutto quanto, compresa la mia volontà di essere in un certo modo. Questa è già meditazione.
       Tutti gli altri stati d'animo possono essere indotti con più facilità (la paura, la rabbia, il desiderio...), ma non questo, perché non può essere forzato o condizionato, essendo il senza-sforzo e il non-condizionato.
       Ecco perché con la meditazione bisogna lavorare per così dire d'astuzia, come il gatto con il topo. Non volere, ma propiziare, favorire, sfruttare l'occasione... senza però mai perdere di vista l'obiettivo. Più che fare, bisogna lasciar fare... alla natura, fuori e dentro di noi. Più che dirigere, bisogna lasciarsi andare.
       Tutto questo è complicato da descrivere. Ma in pratica significa sapersi rilassare, riposare, distendere, calmare, stando fermi e in silenzio.
       In campo psicologico non possiamo avere le cose a comando. Per questo si parla di "pratica": addestramento, allenamento, ripetizione, pazienza... creare o sfruttare le condizioni e aspettare. Capire i vantaggi.
       Bisogna inoltre tener conto che in certi casi, in certi momenti, in certi giorni, non è possibile raggiungere il risultato, perché i pensieri e le preoccupazioni sono troppo forti. Ma, col tempo, la situazione migliorerà e l'esigenza meditativa saprà farsi sentire anche nei momenti più difficili.
      

Genesi e Vacuità

Sul Corriere.it compaiono video in cui il fisico Guido Tonelli spiega l’origine dell’Universo, che nasce13,8 miliardi di anni fa. [Vedi https://www.corriere.it/speciale/scienze/2020/genesi/giorno1/].
Ciò che più ci interessa è che all’origine si trova il vuoto. Questo vuoto non è un nulla perché in realtà è un pulviscolo di particelle elementari che oscilla e fluttua, una specie di schiuma di minuscole bollicine, un impasto di spazio-tempo e di massa-energia senza forme definite che risponde alle leggi della fisica quantistica. Quando una di queste bollicine pesca una particolare particella, chiamata inflatone, ecco che si produce una spaventosa espansione (inflazione cosmica) che dà origine al nostro Universo.
Colpisce che la fisica più aggiornata metta all’origine di tutto non un altro essere o un’energia esterna, ma il vuoto. È la stessa cosa che dicono certe cosmologie orientali. Che non postulano nessun Dio, ma proprio la Vacuità.
Vacuità significa che tutte le cose nell’Universo sono interdipendenti, relative e condizionate, tanto che ogni ente presuppone tutti gli altri.
Questo significa anche che le cose non possono esistere di per sé e isolate, e che sono prive di sostanzialità. Il vuoto è forma, la forma è vuoto, dice il Sutra del cuore.
Questa è l’Origine del mondo – Shunyata. Le cose sono apparenze.
Il mondo in tal senso nasce da solo, non creato, e si organizza da solo. Ed per questo che non è un insieme perfetto, ma è pieno di violenza, di ingiustizia e di squilibri. Non ha nessun principio etico, è solo affamato di vita. E può far scoppiare una stella o una galassia (con tutte le sue eventuali forme di vita) in base alle sole leggi della fisica. Chi crede che ci sia un qualche Dio creatore e “buono” da qualche parte non può dar conto della indifferente ferocia con cui avviene ogni crescita e ogni evoluzione (in base alla quale ogni ente per vivere deve divorarne altri) e del perché il male si abbatta su tutti, anche innocenti.
Quando arriva un meteorite che distrugge tante forme di vita, quando arriva un’epidemia che dimezza certe popolazione, quando malattie mortali si abbattono su bambini, quando si verifica un terremoto, quando cambia il clima, ciò succede per l’applicazioni di semplici leggi fisiche, non c’è nessun Dio che ci aiuta e la morte si abbatte su tutti, indipendentemente dal fatto che gli individui siano “buoni” o “cattivi”.
Poiché all’origine c’è la Vacuità, noi possiamo avvicinarci all’Origine solo facendoci vuoti a nostra volta di pensieri, di emozioni e di atti di volontà, non per consegnarci inermi al destino, ma per cercare, attraverso l’intelligenza, la scienza e la tecnica, soluzioni ai nostri problemi.
La Vacuità è al di là del bene e del male, dell’essere e del non essere, nonché di tutti i nostri contrari, e può essere compresa e agita a nostro favore solo se sappiamo a nostra volta farci vuoti. Là dove si acquieta la molteplicità possiamo penetrare per ridisegnare il nostro destino.

Si entra, si modificano i dati e si riesce.

venerdì 7 febbraio 2020

Contemplare l'infinito


Il saggio che medita arriva a capire di essere la Fonte infinita che si è incarnata e autolimitata in un individuo specifico. Dunque è una manifestazione del Divino, come ogni altro ente.
      
Il mondo è il prodotto dei nostri pensieri e dei nostri stati d’animo. Ci sono pensieri che danno ansia e sconforto e pensieri che danno calma, distensione e benessere. Senza rendercene conto, noi tendiamo a coltivare questi ultimi – che sono i più disparati e sono collegati alle cose e alle persone che ci piacciono.
In effetti, noi siamo fatti dei pensieri che coltiviamo di più.
Ma proviamo ad elevarci un po’, lasciando perdere cose e persone (che in ogni caso ci abbandoneranno o che noi abbandoneremo), e scegliamo piuttosto pensieri di vastità e di spaziosità.
Uno dei più efficaci è pensare che siamo nati e siamo parte di una Sostanza che è infinita ed eterna. Non definiamo questa Sostanza, per non introdurre categorie antropomorfe troppo limitanti e poco rassicuranti. È il Divino che ci precede, ci sostanzia e ci seguirà quando morirà la nostra attuale incarnazione.
Ciò che ci attende è uno stato sconfinato e infinito, come guardare da una scogliera la vastità del mare e del cielo in una giornata di sole.
(Ricordo che tra i più elevati assorbimenti buddhisti troviamo lo spazio illimitato e la coscienza illimitata.)


Attività e meditazione


Tra attività è meditazione ci deve essere un'alternanza naturale. Il riposo porta al bisogno di attività, l'attività porta al bisogno di riposo. Non c'è contrasto.
       La meditazione rende calmi, equilibrati, sensibili, profondi e lucidi, e queste qualità, trasferite nell'attività quotidiana, ci daranno enormi vantaggi, pratici oltreché psicologici e spirituali.
       Non ci vuole molto per praticare la calma. Basta mettersi seduti di fronte ad una finestra, restare immobili e silenziosi (soprattutto mentalmente), e osservare...  tutto e niente, fuori e dentro di sé. O sedersi in una spiaggia, in un giardino o in qualunque altro ambiente naturale.
       La meditazione ha una sua durata spontanea. Prima si dilaterà e si approfondirà, e poi lascerà il posto ad una nuova esigenza di attività. Se vi capita di addormentarvi, poco male; quando vi risveglierete sarete più riposati e più lucidi.
       Sembra incredibile, ma per molti anche starsene seduti in questo modo è difficile. Purtroppo sono nevrotici, malati, e fanno ammalare il mondo.
       Se non riuscite a starvene per un po' seduti, tranquilli e silenziosi, siete come inseguiti da un cane rabbioso - solo che il cane ce l'avete dentro di voi; dunque, soffrite.
       C'è anche da dire che vivere in una famiglia o in una comunità significa spesso non trovare mai un po' di privacy, di silenzio e di riposo. Si è continuamente stimolati a fare qualcosa.
       Ribellatevi. Non fatevi ridurre a semplici macchine produttive e riproduttive, a trottole senza pace. State sprecando la vostra vita in troppe attività, state sprecando l'opportunità che vi è stata data di essere voi stessi. Siete sempre qualcun altro.
       Ognuno ha diritto ad avere un proprio spazio inviolabile. A meno che non vi troviate in qualche carcere.
       Ma il carcere in questo caso ve lo siete creati o ve lo siete conservati da soli. E, se ve lo siete creati voi stessi (magari non reagendo), potete liberarvene. Questa è la buona notizia.

La ricerca della pace interiore


La calma, la quiete, la pace, la tranquillità - l'intero complesso di questo stato d'animo - è la base della meditazione. Ma, a pensarci bene, potrebbe essere la base di ogni vivere civile. Se tutti si dedicassero - come prima cosa - alla ricerca della calma e della pace, vedremmo come d'incanto un altro mondo.
       Poiché, però, la società (dominata dall'ignoranza, dall’inconsapevolezza e dall’insoddisfazione) vive in uno stato di conflitto continuo, dedichiamoci almeno noi a questa pratica.
       Almeno, il nostro mondo personale ne trarrà beneficio. E in qualche modo potremo aiutare anche gli altri.
       Da quando siamo diventati degli individui, isolati e separati, abbiamo perso la pace e cerchiamo, consapevolmente o inconsapevolmente, l’unità con il tutto. Il fatto è che l’individuo, con il suo bisogno di esistere, si è autolimitato. Ha acquisito sempre più consapevolezza, ma ha perso pienezza e soddisfazione. Questo significa passare dall’essere al divenire. Ci si attacca a ciò che è transitorio.
       La difesa è contemplare il movimento opposto. Siamo pur sempre pezzi di infinito.

giovedì 6 febbraio 2020

La dieta dell'anima


Tra i grandi dell'umanità, il Buddha sostiene che l'illusione fondamentale dell'uomo è proprio quella di credersi un ego eterno, e aggiunge che ogni ente è interdipendente e che non può esistere di per sé. L'illuminato capisce che dobbiamo liberarci prima di tutto di questo desiderio, di questa illusione, di questa presunzione. La suprema beatitudine è dismettere la pretesa di essere un ego; la vera felicità è l'uscita dai limiti dell’identità che ci è stata e che ci siamo dati.
Dice per esempio Lao-tzu: “Punta all'essenza, abbraccia ciò che non è artefatto, diminuisci l'egocentrismo, riduci i desideri”. E nella Maitry Upanishad si legge “Quando, dopo aver volto la punta della lingua contro il palato ed aver soggiogato i sensi, la grandezza contempla la Grandezza, allora il sé individuale sparisce”.
Secondo il buddhismo, tre sono le presunzioni da cui ci si deve liberare: "Io sono migliore di qualcuno", "io sono peggiore di qualcuno" e "io sono uguale a qualcuno". E infine ci si deve liberare del nostro attaccamento all'ego: ecco che cos'è il nirvana, che si presenta come la vera dieta dell'anima, la vera umiltà. Ma non finisce qui: l'illuminato deve arrivare a considerare se stesso, il proprio io, come un processo della natura, con distacco. E, soprattutto, deve arrivare ad annullare già in vita ogni desiderio di esistere o non esistere, qui o altrove.

L’essere è molto antico, è eterno; ma prima non aveva la sensazione di essere... Il parabrahman, l’assoluto, è senza desideri.” Nisargadatta Maharaj
         


Il peso della vita


Pochi cercano la verità, i più si limitano a seguire la corrente senza chiedersi nulla. Pochi si rendono conto di quanto faticoso sia esistere, credono che la vita sia un dono. E, in effetti, è qualcosa che ci viene dato senza chiederci la nostra opinione. Oppure, c’è una legge del karma che distribuisce la vita in base ai meriti o a demeriti precedenti. Ma noi non abbiamo scelto nulla e non ci ricordiamo nulla.
Resta il fatto che ciò da cui emergiamo non aveva gli affanni, le necessità e i pesi che ci opprimono una volta nati. Dobbiamo incominciare a respirare, proviamo fame e sete, dobbiamo urinare e defecare senza sapere ancora come controllare il corpo. Per parecchi mesi non abbiamo consapevolezza di essere e di chi siamo. E dobbiamo superare un’infinità di malattie infantili.
Qualcuno ci dice chi siamo e noi dobbiamo credergli perché non abbiamo una nostra opinione. Il mondo che ci appare alla coscienza è qualcosa di molto simile a un sogno. E, come un bel momento ci svegliamo dal sogno accorgendoci che sognavamo, così ci sveglieremo dalla vita accorgendoci che era tutto una finzione, una rappresentazione.
Insomma, a poco a poco, ci vengono dati una forma e una identità. E a noi sembra di essere sempre più concreti e di poter prendere in mano la nostra vita. Finché incomincia la via del ritorno e tutto peggiora e si guasta. Avvicinandosi il momento della morte, veniamo assaliti dal terrore, perché ci sembra di dover perdere quella identità che avevamo faticosamente ottenuto.
In effetti, quando la coscienza si ferma, il mondo e il nostro ego si dissolvono, dimostrando di essere semplici proiezioni. E noi ritorniamo ad essere ciò che eravamo precedentemente: l’essere... un essere che ora ha solo un vago ricordo del sogno che ha sognato e che, se ha raggiunto la saggezza, evita accuratamente di rientrare in questo palcoscenico.