martedì 31 gennaio 2017

Il Maligno

Sento ancora parlare del Maligno – nelle religioni non ci si aggiorna mai: si ripete tutto come in un disco rotto.
Ma che cos’è il Maligno se non l’altro volto di Dio - del Dio pensabile, del Dio della mente? La mente infatti non può concepire niente senza pensare una controfigura, un opposto… anche se tutto è uno, tutto è unito.
D’altronde, se per noi tutte le cose hanno un doppio volto, perché Dio non dovrebbe averlo?
Quando pensiamo Dio come tutto bontà e amore, ecco che salta fuori il Maligno.
Per pensare Dio, meglio lasciar fuori la mente con il suo dualismo e starsene in silenzio.
E, comunque, il male è molto utile… al bene.

Finché indagherete con la mente condizionata, non troverete niente che sia assolutamente positivo. Bene e male si spalleggiano a vicenda. Non potrete trovare il Dio che cercate.

lunedì 30 gennaio 2017

In fondo al mare: calma e visione profonda

In meditazione si usa spesso la metafora del mare, in due sensi. Nel primo caso, si dice che il rapporto tra ogni ente e il tutto è simile a quello che tra l’onda e il mare: il singolo è come l’onda, diverso sa tutti gli altri, da tutte le altre onde, ma comunque parte del mare, in cui riconfluirà alla fine.
Nel secondo caso, si paragona la superficie del mare alla nostra mente continuamente agitata dai venti, dalle ondate, dagli eventi atmosferici, ossia da ogni genere di avvenimento.
Oggi ci sentiamo bene e siamo lucidi, ma domani ci sentiremo depressi e confusi. Oggi siamo felici, ma domani ci sentiremo tristi. Oggi siamo fiduciosi, ma domani saremo sfiduciati. Oggi amiamo, ma domani odieremo. Oggi siamo calmi, ma domani saremo agitati… e così via. Questa è la superficie del mare, la superficie della mente, sempre in movimento, sempre agitata dai venti e dalle onde, ossia dalle emozioni, dai sentimenti, dai pensieri e da ogni genere di avvenimento esteriore e di stato d’animo.
Ma poi esiste il fondo del mare, dove non si sentono le perturbazioni della superficie, dove esistono la calma e la quiete.
In meditazione si invita a immergersi periodicamente sotto la superficie, in fondo al mare, per ripararsi dalle perturbazioni e per poter avere una visione profonda del tutto, del modo in cui funzioniamo noi stessi e l’universo.
Questa è esattamente la meditazione: entrare a fondo, immergersi nel fondo, e osservare da lì come funzionano le cose.
Il fondo esiste sempre e può essere raggiunto in ogni momento, soprattutto quando le cose si mettono male o a scopi di conoscenza. La pratica consiste proprio in questo. Staccarsi dagli eventi contingenti per tuffarsi nel fondo di noi stessi, da dove possiamo vedere come le coese siano comunque collegate.

Chi impara questo metodo ha in mano un segreto ed una forza dell’universo. Da una parte trova la pace, la tranquillità, mettendosi al di fuori o al di sotto del caos della superficie e dall’altra ha un potente strumento di conoscenza, un punto di vista completamente diverso.

domenica 29 gennaio 2017

L'interconnessione universale

Noi siamo tutti connessi, siamo interconnessi, siamo cioè gli uni in rapporto con gli altri. E questo mi sembra incontrovertibile. Siamo il prodotto di un’interconnessione fra individui.
Ma non basta. Ognuno di noi, dato che è una coscienza, è in rapporto con se stesso. Quindi, anche se ci consideriamo esseri o enti individuali, dovremmo considerarci dei rapporti. Siamo dei rapporti che sono in rapporto con altri rapporti.
Siamo interdipendenti, perché nasciamo dal rapporto tra altri individui e in primis dei nostri genitori. Ma poi ci rapportiamo con noi stessi.
Potremmo dire che tutto è rapporto in questa vita. Non monadi che entrano in rapporto tra di loro. Ma rapporti costituzionali che, in sé, non esistono. Esistono solo in quanto rapporti che si rapportano.
In tutto questo l’”in sé” si perde o non è mai esistito. Dalla prima coppia in poi nessuna persona è mai stata sola ed autonoma. Anche se vi portassero, subito dopo nati, in un isola disabitata, sareste comunque già un rapporto. E nessuno del resto potrebbe nascere e crescere da solo: ci vuole sempre qualcun altro che lo sostenga.
Non possiamo dunque comprendere noi stessi se non comprendiamo tutti i rapporti esterni e i loro riflessi nel rapporto interiore che ognuno è e ha in se stesso.
Quando mi isolo e tento di sapere chi sono, in realtà non posso saperlo – se non spiegando una serie di rapporti, secondo un’interconnessione così complessa che non è comprensibile. Ecco perché alla domanda o alla richiesta di conoscere se stessi, non si può veramente rispondere. Noi non possiamo essere (interamente) noi stessi. È impossibile. Possiamo al massimo ritagliarci un piccolo sé o ego illudendoci che sia tutto, mentre non può che essere una parte.
Ora questa parte vorrebbe conoscere se stessa. Ma non può farlo senza conoscere il tutto della gigantesca rete di interconnessione di cui fa parte.
Questa matassa non ha il bandolo. Ciò che si crede un bandolo, è un piccolo ritaglio.

Solo se ci mettiamo dalla parte del tutto, e non del singolo individuo, possiamo intuire qualcosa.

Per capire, ci vogliono menti universali, non particolari.

sabato 28 gennaio 2017

In un certo senso

Quando ci troviamo di fronte alle grandi ed eterne domande sulla vita (e sulla morte), è difficile prendere posizione. Non c’è nulla dopo la morte, o c’è un’altra vita? Esiste un karma predefinito? Esiste un meccanismo di reincarnazione? Esiste un meccanismo di premi e di condanne a livello universale?
È difficile rispondere perché non abbiamo gli strumenti per farlo. In realtà, qualunque risposta è valida… o non valida. Il problema è che la nostra mente è abituata a vedere o bianco o nero, o sì o no, o vero o sbagliato. Ma la realtà è più complessa, più sfumata. Non risponde alle nostre contraddizioni logiche. Le cose possono essere e non essere nello stesso tempo.
Se qualcosa di me rinascerà, sarà e non sarà me.
A questo proposito esiste la storia zen di Kuei-shan, un maestro che disse ai suoi discepoli che, dopo la morte, sarebbe rinato come un bufalo d’acqua. E aggiunse che lo avrebbero riconosciuto perché il bufalo avrebbe avuto su un fianco il suo nome, in caratteri cinesi. Poi domandò: “Che cosa sarà quel bufalo d’acqua? Se direte che è me, sbaglierete. Ma anche se direte che non è me, sbaglierete? E allora?”
Ecco il punto. Tutte le risposte a queste domande, dovrebbero essere precedute da “in un certo senso”.
Rinascerò? In un certo senso sì e in un certo senso no.
C’è un’altra vita? In un certo senso sì e in un certo senso no.

Tutto dipende dal “senso” che non è però quello razionale basato sul principio di non-contraddizione. Ma un altro senso… in un certo senso.

Ecco perché, per comprendere come stanno veramente le cose, è molto meglio ricorrere ad una meditazione profonda e silenziosa, senza parole, senza concetti, che non ad un tentativo di spiegazione logica.

venerdì 27 gennaio 2017

Liberi dalla sofferenza

Sembra che la nostra meta sia essere liberi dalla sofferenza. E, per un po’ ci riusciamo, quando siamo sani fisicamente e psicologicamente. Ma, alla fine, qualche sofferenza salta sempre fuori. Nessuno è esente. Prima o poi qualcosa si abbatte sulla nostra testa.
Allora dobbiamo imparare una fondamentale lezione della vita. Non essere liberi dalla sofferenza, ma essere liberi nella sofferenza.
Come?
Evidentemente trovando quel posto dentro di noi che è consapevole del nostro dolore, senza esserne coinvolto.

C’è già questo spazio di libertà se sappiamo guardare, se sappiamo disidentificarci dalle vicende di tutti i giorni – e dal nostro stesso ego, che indubbiamente soffre, imprigionato com’è nei suoi stessi condizionamenti.

giovedì 26 gennaio 2017

La coscienza felice

Sembra che l’attività spirituale consista nel “cercare se stessi”: evidentemente sentiamo che ci manchi qualcosa, che siamo difettosi, incompleti , imperfetti. Questa è la nostra unica certezza.
Ma qual è il metro di riferimento in base al quale ci sentiamo mancanti? Abbiamo mai conosciuto qualcosa di perfetto, di completo e di esistente in sé e per sé? Nessuno conosce niente del genere. E allora si tratta di una nostra fantasia, di un mito della mente. Lo chiamiamo assoluto, dio, natura divina, natura di Buddha e così via.
Ci sentiamo mancanti, ma non sappiamo neppure di che cosa manchiamo. Forse di qualcosa di stabile, di eterno, di immortale. Ma chi ci ha detto che esista? Utopia…
Ciò che esiste e che è reale è così, è fatto così, come tutti noi. E sente una mancanza. Il paradiso perduto?
In certi rari momenti ci sentiamo a nostro agio, in armonia e sembra non mancarci nulla. E, quando siamo in armonia con il mondo e con noi stessi, non cerchiamo nulla – tanto meno noi stessi.
Ma la nostra coscienza no. La nostra coscienza, come apre l’occhio, si sente infelice. Sente che le manca qualcosa.
Ed è inevitabile, perché per sentire, per percepire e per percepirsi, deve dividersi in due, deve separare sé dagli altri, deve creare una distanza tra il mondo esteriore e il mondo interiore.

La coscienza non può che essere infelice. Esiste però una sua funzione più elevata o più profonda – chiamiamola consapevolezza – che conosce se stessa senza bisogno di dividere e di dividersi. Sa di essere senza doversi definire, sa che è unita al tutto, sa di essere eterna, al di fuori del tempo e dello spazio. Peccato che duri poco – a meno che non ci addestriamo a risiedere sempre più a lungo in essa.

mercoledì 25 gennaio 2017

Inferni, paradisi e purgatori

Perché gli esseri umani sono arrivati a concepire inferno, paradiso e purgatorio? Facile rispondere: perché sono condizioni che possono verificarsi in ogni momento nella loro vita.
Però, attenzione: qui sulla terra si tratta di stati transitori. Non c’è niente di fisso e di solido; si può passare in un istante dall’uno all’altro. Questa è la nostra esperienza.
Dunque, ipotizzando che ci possano essere anche nell’aldilà, nessuno può assicurarci che siano stati permanenti. Si potrebbe passare anche lì da una condizione all’altra.
Insomma, niente finisce, né qui né, eventualmente, al di là. Tutto si trasforma, qui e in ogni possibile mondo, qui e in ogni possibile dimensione.
Questa è la legge della trasformazione e del divenire, che vale dappertutto.

È molto importante sviluppare la capacità omeostatica della mente umana. Noi non abbiamo potere sugli avvenimenti esterni, ma lo abbiamo sul modo in cui reagiamo. E ci possiamo addestrare ad attutire “inferni”, “purgatori” e “paradisi”, in modo da diventare padroni di noi stessi e da non essere travolti ogni volta da oscillazioni paurose e destabilizzanti.

martedì 24 gennaio 2017

L'omeostasi meditativa

L’omeostasi è la tendenza degli organismi a mantenere un livello di equilibrio di fronte a condizioni esterne variabili. Ed è applicabile alla meditazione.
Mentre infatti, nella vita, ci sono continuamente alti e bassi, oscillazioni in su e in giù, avanti e indietro, il nostro organismo reagisce in modo da portare tutti i suoi valori ad un livello medio accettabile che ci garantisca un benessere ottimale. Se per esempio la temperatura corporea si innalza, questo vuol dire che c’è una febbre e che bisogna farla abbassare; ma anche se si abbassa troppo, c’è una situazione di pericolo e bisogna riportare tutto ad un ideale centro mediano.
Lo stesso succede con gli stati emotivi: se in un certo momento siamo troppo tesi, è bene cercare di distenderci; se siamo troppo distratti, è bene ritrovare la concentrazione. Se siamo troppo arrabbiati, è bene cercare di calmarci; se siamo troppo pigri, è bene cercare di muoversi, e così via.
Il pendolo va su e giù, ma tende inevitabilmente, se eliminiamo le spinte contrapposte, ad assumere una posizione si base.
Funzione della meditazione (che nel nome stesso allude ad una medietà), è contrastare gli estremi e riportare gli stati d’animo all’equilibrio, alla serenità
Un processo omeostatico, appunto.
Ritrovare il centro ideale, al di fuori di sbalzi ed eccessi. Sembra poco, ma solo così si mantiene la vita. E il benessere.
Anche l’ansia è un estremo, da riportare all’equilibrio.

Vivere senza ansia, anche se ci trovassimo di fronte alla morte, è l’ideale.

lunedì 23 gennaio 2017

Esperienze illuminanti

Tutti coloro che meditano cercano esperienze illuminanti e, se non ne hanno, si sentono delusi e smettono. Ma che cos’è un’esperienza illuminata? Vedere Dio, gli angeli o il paradiso?
Forse ci siamo fatti delle idee sbagliate, magari basate su qualche racconto più o meno mitizzato.
Proviamo allora a sostituire la parola illuminazione con quella di “atti di comprensione profonda?
Tutti ne hanno. Solo che non li riconoscono o non hanno le parole adatte a descriverli.

Non avete mai compreso qualche verità profonda su voi stessi o sulla vita? Non avete mai capito che tutto è impermanente o che ogni cosa si trasforma e ritorna nel nulla-dio da cui proviene? Non vi siete mai visti in certi momenti come strani ed estranei? Non avete mai capito che dovete morire? Non avete mai assistito alla nascita di qualcosa o di qualcuno? Non vi siete mai sentiti felici o ammirati nella natura? Non avete mai contemplato la bellezza o l’orrore?

Ogni cosa è illuminata

La differenza tra buddhismo da una parte e tutte le altre religioni dall’altra è che nella altre religioni, quando ti inchini ad una statua di qualche divinità, di qualche santo o di qualche profeta, ti inchini a qualcosa di esterno.

Nel buddhismo, quando ti inchini alla statua del Buddha, ti inchini a te stesso, al Buddha che è in te, alla tua natura illuminata o, meglio ancora, alla tua natura ordinaria che coincide con quella illuminata.

domenica 22 gennaio 2017

L'armonia perduta

Tutti abbiamo un corpo: su questo nessuno dubita. Bello o brutto, sano o malato – questa è la nostra identità primaria che ci accompagnerà per tutta la vita.
Ma, quando siamo impegnati nelle attività della giornata, chi  se ne ricorda? Se svolgo un lavoro che mi richiede concentrazione, non penso certo al corpo – me ne dimentico completamente. Mentre la mia mente è in un posto virtuale, il corpo è come abbandonato a se stesso.
Ora, è vero che il corpo non ha bisogno della nostra volontà per funzionare: funziona da solo. Ma, a lungo andare, questa dimenticanza, questa scissione tra corpo e mente, crea un’estraneità che ci crea problemi. Per esempio, si possono sviluppare disturbi che ci appariranno incomprensibili. Siamo diventati estranei alla nostra identità primaria. Viviamo solo nella mente, in un sé pensato ma non vissuto – una costruzione mentale, priva del solido ancoraggio alla materia.
Ma, siccome corpo e mente sono sempre collegati, anzi sono un tutt’uno, il risultato è che, se ci stacchiamo sempre più dalla natura e dalla realtà, si crea una disarmonia che può lasciare la porta aperta a tante malattie.
Questo è un fatto grave, cui si può ovviare ritornando periodicamente al respiro. Sentendo il respiro, reintroduciamo la realtà del corpo. E ricreiamo un’armonia che è essenziale per la nostra salute fisica e mentale.


sabato 21 gennaio 2017

Il senso delle cose

Di fronte alla continue catastrofi che si abbattono sulla terra e su questo sventurato paese – terremoti, alluvioni, crolli, incidenti, malattie, valanghe, ecc. – noi ci chiediamo il senso delle cose. Perché accadono? Perché toccano certe persone e non altre? Perché i bambini muoiono? E non abbiamo nessuna risposta.
C’è che si appella disperatamente a qualche Divinità che vedrebbe e provvederebbe a tutto (ma anche qui senza una logica visibile) e c’è che pensa ad una legge del karma che distribuirebbe a tutti punizioni facendoci pagare da una vita all’altra le nostre azioni. Ma, poiché non c’è mai nessuna prova, si tratta di semplici fedi senza possibilità di riscontro.
In realtà, noi cerchiamo una razionalità e spiegazioni logiche, perché la nostra mente è abituata a dare un senso a tutto.
Ma vediamo bene che il nostro senso, la nostra ragione, non si applicano a tutta la realtà. Che senso c’è per esempio in un terremoto o in una valanga? Che senso c’è che uccidano queste persone e non queste altre?
Sembra che la logica della natura sia del tutto diversa dalla nostra logica umana. Il mondo, l’universo, la natura vanno avanti per la loro strada senza preoccuparsi degli esseri viventi. E noi, poveretti, cerchiamo una spiegazione, un significato.
Alla fine, però, dobbiamo concludere che la logica della natura non coincide con la nostra razionalità. È come una belva selvaggia, non ancora addomesticata, che colpisce a casaccio chi trova sulla sua strada.
Ecco, a questo dobbiamo abituarci: che le nostre idee di razionalità sono illusorie e non governano il mondo.
Diceva il Tao Te Ching che “il cielo e la terra sono inumani” e trattano gli uomini come “cani di paglia.”
Se cercheremo un senso “umano” nelle cose, saremo alla fine sempre sconfitti.
Non ci resta che abbandonare questa illusione e metterci ad osservare ciò che avviene per quello che è e non per quello che vorremmo. Forse il “senso delle cose” è che non c’è senso.

Il “non senso” domina ancora il mondo, in attesa di una colonizzazione da parte di qualche ragione.

venerdì 20 gennaio 2017

L'essenza della meditazione

La forma più semplice e più immediata di meditazione è quella di starsene immobili, calmi, concentrati e presenti. Ci sediamo, stiamo sdraiati o anche in piedi e cerchiamo di rimanere presenti – nient’altro. Stare presenti, essere consapevoli di essere lì, di essere svegli, di essere attenti, senza farci distrarre da tutto ciò che avviene esternamente (suoni, rumori, telefoni, gente che passa, ecc.) e da tutto ciò che avviene internamente (pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti, ecc.).
Il punto più difficile è quest’ultimo, perché i grandi nemici della presenza mentale sono i nostri stessi pensieri. Con loro, alla consapevolezza di essere e di respirare, si sostituisce un mondo di prodotti mentali: ricordi, fantasticherie, proponimenti, ragionamenti, piani, recriminazioni, valutazioni, ecc. Siamo lì seduti, ma la mente vaga lontana – abbiamo dunque perso la presenza mentale.
In tal senso il pensiero nasce da una mancanze di presenza mentale. Infatti, quando penso, non sono più né presente né consapevole: vengo portato via dalle attività mentali. Il mio corpo è lì, ma la mia mente è mille miglia lontana.
Sedere immobili, senza fare nulla, senza farsi trascinare dai pensieri: questo è l’esercizio fondamentale della meditazione. Semplicissimo. Ma anche difficile.
Tutto intorno e dentro di noi muta, cambia, si agita e fa rumore. Ma noi siamo lì calmi e indisturbati che osserviamo la transitorietà, l’andare e il venire dei fenomeni esterni ed interni. Siamo il centro di tutto.

Se ci fate caso, questa è già una forma di trascendenza. E vi dà un nuovo rapporto con le vita.

giovedì 19 gennaio 2017

Il coraggio dell'inattualità

Sembra che “fare meditazione” sia oggi un’attività non in linea con la vita moderna, dove tutti siamo oberati di impegni ed è quasi impossibile fermarsi. È come se fossimo tutti spinti da un unico fiume che non si ferma mai e che non ci permette di fermarci.
Ma non è una novità: è sempre stato così, tanto che l’immagine del fiume che ci trascina tutti, volenti o nolenti, è antica quanto il mondo. Che cos’è il simbolo della “ruota del dharma”, o della la ruota del tempo, se non questa stessa immagine di un divenire che non ci dà tregua? Il samsara è esattamente questo. E che cos’è l’antico simbolo del Tao, con lo yang e lo yin, se non questo?
Anche l’impermanenza è esattamente questo. È una forza, basata sul cambiamento, che impedisce ad ogni cosa e ad ogni essere di stare immobile.
Proprio qui noi ci ribelliamo. Non nel senso che vogliamo opporci al tempo, ma nel senso che ci ancoriamo all’unico centro, all’unico punto di riferimento che possediamo: la nostra stessa consapevolezza. Un’isola si salvezza e di contemplazione, in mezzo al grande mare delle onde, dei venti e delle correnti. Un punto fermo in un oceano instabile.
Stare immobili fisicamente corrisponde in realtà ad essere consapevoli, a prendere la consapevolezza come testimone immobile del divenire.
Mentre il tempo, il divenire e il cambiamento compiono il loro lavoro infaticabile, noi abbiamo una facoltà che è in grado di esserne testimone.
Essere testimoni è essere immobili, è evocare un punto di osservazione che è in grado di mantenersi al di fuori del samsara.
Chi medita mette la testa fuori dal tempo e dal mondo convenzionale per rendersi conto della condizione umana, ha il coraggio di non essere attuale, di non farsi trascinare come una pecora dal branco, di ribellarsi al così fan tutti e di essere se stesso.

Alla fine si capirà chi ha avuto ragione e chi torto.

mercoledì 18 gennaio 2017

Il paradosso della meditazione

Chi si avvicina alla meditazione, di solito cerca qualcosa: uno stato di pace, qualche esperienza straordinaria, vincere lo stress, schiarire la mente, cercare la verità, ecc. – tutti scopi eccellenti e leciti (di cui anche noi parliamo spesso).
Ma, così facendo, abbassiamo un po’ la nostra pratica rispetto a quella di chi non cerca nessun vantaggio, di chi non si serve della meditazione come di un mezzo.
Oltretutto, il fatto di avere una meta in testa, crea un ostacolo a raggiungerla.
L’atteggiamento migliore è fare meditazione non con lo scopo di ottenere qualcosa , ma senza un secondo fine. Si fa meditazione “perché” è una pratica che è naturale, che ci piace, che ci fa star bene. In fondo, non respiriamo con un secondo fine; respiriamo e basta.
Svuota la mente dai fini, dai risultati e dagli scopi, dalle motivazioni. In fondo, la tua mente non è in grado di capire la vera motivazione, ed è sempre utilitaristica.
Otterrai ciò che cerchi (e che non immagini chiaramente) solo dopo che smetterai di cercare, cioè solo dopo che il tuo io si sarà dimenticato delle sue mire, solo dopo che ti sarai dimenticato del tuo stesso io.

Lascia fare alla natura, che sa benissimo che cosa vuole. Allora, sarai un tutt’uno con la meta. E la tua meditazione sarà perfettamente in linea con la natura. Anzi, non sari tu a meditare – ci sarà la meditazione, ma non chi medita.

martedì 17 gennaio 2017

L'ignoranza umana

Il mondo va male perché gli uomini si fanno abbindolare da ideologie, da filosofie, da nazionalismi, da partiti, da religioni – e dalla pubblicità.
In realtà, tutte queste cose funzionano secondo il meccanismo truffaldino della pubblicità. Si fa credere che, prendendo una certa pillola, si guarirà dall’influenza. Si fa credere che, credendo ad una fede, ci si salverà. Si fa credere che votando un certo partito, lui ti risolverà ogni problema… E gli uomini abboccano come ghiozzi – finendo regolarmente in padella.
La gente compra la pillola, ma non guarisce. La gente vota contro i propri interessi.
C’è un’unica soluzione: schiarire la mente, riuscire a pensare con la propria testa, non farsi infinocchiare, smascherare il meccanismo truffaldino.
A questo serve in primis la meditazione: a uscire dall’ignoranza e dalla sudditanza.

Vi par poco?

L'internazionale degli idioti

In America i poveri hanno votato per il miliardario Trump, che per prima cosa vuole abolire l’ObamaCare, ossia il servizio sanitario per i poveri.
Se in Italia abbiamo gli italioti, in America abbiamo gli… americanioti.

Tutti i popoli prima o poi ci cascano. Per risolvere i loro problemi, eleggono l’uomo forte – che farà solo i suoi interessi. 

Vuoi la pace? (2)

Cerchi la pace? Allora non fare nulla. Perché, più fai, meno sei in pace.
Ma noi non vogliamo solo la pace. Dopo un po’ ci annoiamo.

Attenti dunque al paradiso.

lunedì 16 gennaio 2017

Il mercato della religione

Dai dati della Corte dei Conti risulta che, grazie a martellanti campagne pubblicitarie, la Chiesa incamera gran parte dell’8 per mille. Invece lo Stato italiano non fa quasi nulla – e non incamera quasi nulla (170 milioni nel 2014). Anche se l’8 per mille potrebbe essere usato, per esempio, per ristrutturare le scuole che crollano. Anzi, il laico che vuol dare soldi allo Stato, non è neppure sicuro che non siano di nuovo girati alla Chiesa. È uno dei tanti scandali di questo paese.
La Chiesa arriva a spendere 4 milioni e 645.000 euro per campagne di spot (anno 2004) e incassa l’enorme cifra di 1 miliardo e 470 milioni (anno 2012). Un buon affare. In quindici anni, la Chiesa ha investito 64 milioni di euro in spot sulla sola Rai. E in 24 anni ha incassato più di 18 miliardi di euro (contro i 400 milioni di tutte le altre confessioni messe insieme).
Con tutto questo fiume di denaro, la Chiesa è straricca e fa quel che vuole.

Non con Dio, ma con buone campagne pubblicitarie, in Italia si ottiene tutto. Perché gli italioti non sono in grado di pensare con la propria testa e si fanno condizionare da qualsiasi spot diabolicamente congegnato.
Insomma, anche "Dio" si affida agli spot. Che cos'è la vita, se non un grande spot pubblicitario che nasconde la verità per mostrare solo aspetti edulcorati?

Cercare la pace

Cerchi la pace? Benissimo.
Allora smetti di cercare.
Tra cercare e stare in pace c’è contraddizione.
Ma forse tu non cerchi la pace. Tu cerchi l’agitazione, il caos, la lotta, la crescita, la fama, l’espansione, la conquista, il potere… Esaminati bene.
Se tu volessi la pace, la pace c’è già. Il problema è che tu non vuoi veramente la pace. Dopo un po’, ti verrebbe a noia.
Non si vive di sola pace. La gente vuole la guerra.
E la guerra c’è. È anche questo un modo per sentirsi vivi.

Allora, chiariamoci le idee. Ciò che veramente cerchiamo non è né la pace né la guerra. Ma l’essere vivi e vitali.

domenica 15 gennaio 2017

Per vivere felici

La consapevolezza – la facoltà base di una mente meditativa – è un’arma a doppio taglio: da una parte mette in luce le brutture di questo mondo, l’ineliminabilità delle sofferenza e della violenza, e la natura effimera e transitoria di ogni essere e di ogni cosa, e, dall’altra parte, proprio per queste scoperte, ci dà il senso della rarità, della preziosità della nascita umana.
Sono due facce della stessa medaglia: è proprio la scoperta dell’impermanenza che ci spinge a darci da fare per comprendere che la vita e la nostra coscienza sono beni preziosi, da mettere a frutto, da utilizzare al meglio.
La consapevolezza ci permette di vedere la vera natura delle cose e di non illuderci di poter durare a lungo, di essere individui consistenti e duraturi. Siamo tutti beni effimeri, vuoti a rendere.
Dunque la meditazione, la consapevolezza, mentre si focalizza su questi “difetti della vita”, non è una pratica distruttiva o nichilista che ci toglie ogni speranza, ma è una pratica che ci porta a vivere appieno ogni momento dell’esistenza.
Anche per quanto riguarda l’individualità, la meditazione di consapevolezza ci dice che, da una parte, siamo tutti unici, ma, dall’altra parte, ci dice che siamo tutti interconnessi, che siamo tutti la stessa cosa, come le onde del mare – di un unico mare.
Il nostro compito, la nostra missione, il nostro significato consiste nel diventare sempre più consapevoli, non per essere pessimisti, ma per vivere felicemente nel presente.
Invece, l’inconsapevolezza, l’gnoranza e la non-attenzione, è sicuro che ci porteranno all’infelicità.



sabato 14 gennaio 2017

Affrontare l'ignoto

Quando moriamo, abbiamo tutta una serie di idee su ciò che ci attende: paradiso, inferno, purgatorio, giudizio universale, Dio Padre, la Madonna, Cristo, i santi, i peccati da espiare, rivedere i morti e così via - oppure il nulla. Comunque, idee che ci hanno instillato la famiglia, la religione, gli amici, qualche lettura e la cultura in generale.
   Ma tutte queste idee – più o meno confuse – non sono che pregiudizi, alcuni piacevoli, altri terrorizzanti.
         Se invece durante la vita avremo sviluppato un po’di consapevolezza, avremo ormai capito che tutte queste idee non sono altro che fantasie, tentativi di interpretare con categorie mentali qualcosa che non conosciamo, l’ignoto, ciò che supera i limiti della mente umana. La morte, come la trascendenza, non può essere conosciuta né inquadrata dalla nostra attuale razionalità.
L’unica cosa chiara è che dobbiamo liberarci da tutto questo ciarpame pseudo-religioso, per entrare nudi, spogliati di tutto. Come non possiamo portarci dietro né cose né persone, come dobbiamo abbandonare ogni possesso, così dobbiamo liberarci di idee tanto piccole.
Solo in tal modo non ci troveremo ancora di fronte ai nostri condizionamenti e saremo liberi di fare nuove esperienze.
Nel processo del morire, come in quello del meditare, si sviluppa un risveglio graduale che consiste in gran parte nel vedere come le nostre idee e le nostre aspettative erano limitanti, limitate e puerili.

Ma questo risveglio si può realizzare adesso, senza aspettare gli ultimi momenti.

venerdì 13 gennaio 2017

Al fondo di noi stessi

Il problema del credersi individui separati, ben definiti entro confini precisi, è che non solo ci separiamo dagli altri, ma anche da noi stessi. Vedendoci come tante monadi isolate, effettivamente lo diventiamo. Si tratta di un problema di dimenticanza e di alienazione.
Ma nella vita niente è così separato, isolato e definito. Apparteniamo, che ci piaccia o meno, ad un unico flusso, ad un unico campo.
Ecco perché è necessaria un’attività di riunificazione che sappia almeno vedere l’unità del tutto.
Dunque, per prima cosa, in meditazione, dobbiamo recuperare il senso dell’unione. La “nostra”consapevolezza, per esempio, non è soltanto nostra; ma è un campo comune. Noi non ce ne rendiamo conto. Comunichiamo non solo con i sensi, ma anche con un “sesto senso” che ci è dato dall’origine comune. Come quello di due fratelli o meglio di due gemelli.
Quando meditiamo, non lo facciamo solo per noi stessi e in noi stessi, ma entriamo in questo campo comune.
Poiché siamo abituati a vederci in termini di separatezza e di individualità, abbiamo perso il senso della natura origine e ci siamo dunque alienati, isolati, dagli altri – perdendo la nostra stessa interezza.
Nel fondo di noi stessi, rimane comunque questo campo comune, che ci permette di comunicare ad un livello superiore. Ma, per approdarci, è necessario scendere sotto la superficie, andare a fondo e ritrovare l’interezza.
Riuniamoci in noi stessi e andiamo a fondo. Là troveremo un altro mondo, un mondo di unità e di poteri nuovi.



                                                                                                   

giovedì 12 gennaio 2017

Le conseguenze dell'ignoranza

Gli uomini sono sempre gli stessi. Per quanto si voglia far progredire l’umanità, portandola verso usi e costumi sempre più consapevoli, gentili e democratici, resta comunque una parte di bruti che vogliono potere e violenza, seguendo ideologie maligne, sogni o piuttosto incubi della mente. D’altronde, è così in ogni processo evolutivo: per quanto si faccia un passo avanti, bisogna anche fare un passo indietro – la dialettica del mondo.
Prendiamo il caso delle Brigate Rosse. Avevano in testa una loro ideologia, sognavano la rivoluzione e, per qualche anno, hanno ucciso o sono stati uccisi. Oggi sembra tutta acqua passata, inutile, deliri della mente. Ma, per questi deliri molte persone sono morte. Per che cosa?
Il discorso si può ripetere per il terrorismo islamico che oggi insanguina il mondo. Fra qualche anno sarà archiviato e nessuno se ne ricorderà più. Ma intanto, per questo altro delirio, saranno morte tante persone. Per che cosa?
Potremmo estendere il discorso alle guerre del passato e del presente. Quante persone – milioni di persone – sono morte per il nazismo, per il comunismo, per il nazionalismo? Che cosa è rimasto di tutti questi deliri della mente? Ossa e libri di storia.
C’è sempre qualcuno che non è consapevole della nostra impermanenza, della nostra fugacità e che insegue farneticazioni della mente. C’è sempre qualcuno che vorrebbe essere il primo, il migliore, il più potente, e magari ci riesce – ma poi che rimane di tutto questo? Morti e tombe.
C’è sempre qualcuno che non è consapevole della brevità della vita e che vorrebbe fondare imperi o fare rivoluzioni. Ma poi che cosa rimane di tutte queste farneticazioni? La morte e il nulla avvolgono tutto come sempre.
Sono sempre loro, gli uomini che non pensano, che non riflettono, che non meditano che arroventano l’ambiente di questo mondo, che inseguono deliri di grandezza, costringendoci a vivere male.
Si credono eterni, hanno fede in ideologie fasulle o inseguono istinti primitivi e belluini, e intanto costruiscono e distruggono.

È lo sviluppo della consapevolezza della morte che può salvare questa umanità, non altro.



mercoledì 11 gennaio 2017

Il significato e le parole

Possiamo paragonare la meditazione alla traduzione. Mettiamo che non conosciate bene una lingua e che dobbiate tradurre una frase che sul momento non capite.
Prendete un vocabolario e iniziate a tradurre una parola per volta. Vi appaiono delle parole, ma non ancora un senso compiuto.
Avete bisogno di tradurre anche i verbi e i modi verbali. Poi gli aggettivi e gli avverbi. Ora qualcosa incomincia a farsi strada: un significato confuso.
Poi cercate di mettere insieme il tutto: finché all’improvviso salta fuori l’intero significato.
È un po’ come portare alla luce piena qualcosa che giaceva confuso nell’oscurità.
Infine avete il significato della frase. E siete soddisfatti. Ciò che era nascosto è alla luce.
Il significato era tra quelle parole sconosciute. Ma – attenzione – non è tutto lì. Dovete unire quella frase alle altre frasi del testo.
E non è finita: il significato era tra quelle parole, ma non si riduce alle parole.
Le parole, infatti, sono solo schemi mentali, indicazioni, boe, che indicano che sotto c’è qualcosa. Ma ciò che c’è sotto è molto più grande, e non si riduce alla boa di superficie.
Come si dice nello zen, il dito che indica la luna non è la luna.
Il problema ora è guardare direttamente la luna, dimenticandoci delle parole.
Nessuna verità profonda può essere espressa a parole.
In meditazione si sa che il significato ultimo dev’essere compreso al di là delle parole, nel silenzio della mente concettuale.






                                                                                                   

martedì 10 gennaio 2017

Le difese

Di solito, i monaci (di tutte le religioni) vivono in luoghi isolati e chiusi, magari in monasteri cinti da mura che li devono difendere dall’esterno. Ma ricorrono anche a difese interiori: per esempio, non guardare le donne.
Tutte queste mura, esteriori e interiori, ci dicono chiaramente che ci si vuole separare dagli altri, dal contesto, e da emozioni e passioni. Quest’ultima cosa è già più difficile, anche perché non esistono solo i desideri e i bisogni sentimentali, affettivi e sessuali. Esistono passioni ben più pericolose: l’avidità, l’ambizione, l’indifferenza, l’aridità, il voler essere primi, il considerarsi superiori agli altri, il conformismo, la paura, ecc.
L’aspetto più grave di questo approccio spiritual-religioso è che si finisce per vivere meno, per tagliare parti essenziali e vitali di sé, per restare infantili, per non crescere. Uomini irrealizzati, irrisolti.
È giusto difendersi da passioni inutili e devastanti (il gioco d’azzardo, la dipendenza, il tifo sportivo, il desiderio di essere potenti, ecc.), ma è sbagliato rinunciare a vivere per trovare Dio o l’Assoluto. L’Assoluto si trova nell’interezza dell’uomo, non in qualche parte separata.

Per chi crede nella legge del karma, questi individui dovranno tornare a fare quello che non hanno fatto in questa vita. In cielo non vogliono mezzi uomini, uomini mutilati.

lunedì 9 gennaio 2017

Desiderio di trascendenza

Il desiderio di trascendenza è quanto di più umano ci sia.
La (vera) trascendenza non ne avrebbe bisogno.

Dunque, siamo sempre nel campo dei desideri – ossia di ciò che non abbiamo, ma che sogniamo.                                                                           

I fallimenti di Dio

Chi crede in Dio lo pensa come una mente super-intelligente. Eppure, nel corso dell’evoluzione, tante cose sono state sbagliate e alla fine sono state spazzate via. Ancora oggi, nei processi naturali, ci sono difetti che dovrebbero essere migliorati. Molte delle nostre malattie genetiche sono errori di questo tipo. Nessuna mente intelligente le avrebbe create.
Tutto va avanti a forza di tentativi – alcuni riusciti, altri falliti. Tutto va avanti da sé, con grandi fatiche, con grandi sofferenze -  provando e riprovando… senza nessuna pietà per chi è un esperimento mal riuscito.

Per non addossare la colpa di questi fallimenti ad un Dio incapace o menefreghista, dobbiamo ammettere che tutto si fa sé – con buona pace dei credenti.

domenica 8 gennaio 2017

Apprezzare il momento presente

La mente è avida, perché è sempre protesa a desiderare qualcosa, a volere ciò che non ha, a fare piani, a programmare e a progettare. In breve, pensa che la felicità, la realizzazione della vita, sia sempre nel futuro.
E così si perde il presente. John Lennon diceva che la vita è ciò che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti. Verissimo. Ci sembra che la vita, la vera vita, sia sempre un po’ più in là.
Invece la vita è proprio qui.
Il pregio della meditazione è di farci riportare l’attenzione al momento presente.
Può darsi che, una volta ottenuto ciò che desideriamo o ciò per cui lavoriamo, saremo felici. Ma può anche darsi di no. Può darsi che in quel momento saremo delusi e ci metteremo a cercare qualche nuovo oggetto del desiderio.
L’unica cosa certa è questo momento. Se siamo felici ora, siamo felici. In futuro, non si sa. Non si sa neppure se ci saremo.
Addestriamoci dunque ad apprezzare il momento che viviamo. Fermiamoci magari un minuto, guardiamoci intorno ed esaminiamo ciò che proviamo.
Se abbiamo una mente agitata, una mente divorata dal desiderio, vuol dire che non siamo felici. Se la mente è calma, abbiamo già tutte le condizioni per essere felici o almeno sereni.
Mentre facciamo grandi progetti, apprezziamo l’uccellino che si posa sul balcone, il fiore di una pianta, la buona salute, un bel respiro, un frutto che mangiamo, un attimo di silenzio, una boccata d’aria.

La felicità dipende poco dalle condizioni esterne, e molto da ciò che proviamo in questo attimo. Non ci facciamo mangiare la vita del presente sognando un futuro che sarà comunque diverso da come lo avevamo immaginato.

sabato 7 gennaio 2017

Guarire se stessi

Non bisogna illudersi che basti meditare un po’ per risolvere i nostri problemi. La meditazione non è un toccasana. E non è neppure una terapia. È un metodo di conoscenza e di indagine – che può aiutare a lungo andare a risolvere i problemi.
Non dobbiamo neppure illuderci che con la meditazione si possa diventare dei superuomini, al di sopra delle meschine emozioni umane, samurai impassibili e duri. Le emozioni, le paure, le debolezze rimangono tutte. E, se non rimanessero, diventeremmo solo degli automi, per i quali la vita e l’umanità non avrebbero alcun valore.
Non si tratta di rifiutare certi aspetti di noi stessi, ciò che è fragile e che non ci piace. Si tratta piuttosto di abbracciare tutti gli aspetti di noi stessi, compresi quelli problematici. Semmai, possiamo diventare uomini integrali, uomini interi. Questo sì.
I saggi dicono che la meditazione non risolve i nostri problemi; li dissolve.
Anziché combattere, accogliamo. Anziché scegliere ciò che ci fa comodo e scartare ciò che ci fa schifo - il che ci renderebbe uomini parziali, uomini divisi, uomini alienati -, accettiamo tutto in un caldo abbraccio.
Anziché cercare di essere perfetti, ci accettiamo così come siamo, senza tentare di cambiare in base a qualche modello astratto e condizionato di ciò che dovremmo essere.
A poco a poco, la meditazione ci cambierà, non escludendo, ma includendo.

A quel punto non dovremo combattere contro noi stessi, contro una parte di noi stessi, perché non ci sarà nulla contro cui scatenare un guerra.

venerdì 6 gennaio 2017

Ritrovare il respiro

La peculiarità dell’essere umano è che vive contemporaneamente in due mondi: quello esteriore e quello interiore. Ed è facile che viva di più nella propria mente che nell’ambiente che lo circonda. Tutti noi siamo continuamente immersi in un mondo interiore di pensieri, riflessioni, sensazioni, sentimenti, emozioni, ricordi, fantasie e dialoghi immaginari.
Questa è la gloria dell’essere umano, ma anche il suo problema. Perché, alla fine, la nostra mente si rivolge più ai ricordi e alle fantasie che al presente.
Il beneficio della meditazione è proprio la capacità, prima di tutto, di essere consapevole del problema e poi di tentare di risolverlo.
I metodi e le tecniche della meditazione sono i più vari. Ma sono tutti fondati sul tentativo di uscire dal mondo mentale per trovare di nuovo il contatto con la realtà.
Quante volte ci ritroviamo a pensare ad eventi passati, e a tormentarci in rimpianti, nostalgie, rimorsi e tristezze varie? E quante volte siamo lontani mille miglia dal presente perché siamo immersi in fantasie, speranze, sogni, aspettative e chiacchiere interiori?
La meditazione vuol dare un taglio a questo andazzo, e, come tale, è una forma di liberazione e di terapia.
Due sono dunque i punti fermi: la consapevolezza e il riconoscimento del nostro stato mentale di alienazione. Questo è il primo passo fondamentale da compiere.
Renderci conto che non siamo presenti, che siamo lontani, altrove, e tentare di scrollarci di dosso le fantasie per tornare al qui e ora.
Lo strumento più usato, perché semplice, naturale e sempre a portata di mano. è il respiro, la consapevolezza del respiro.
Durante la giornata, portiamo dunque frequentemente l’attenzione al respiro, magari compiendo tre o quattro respiri più profondi. E vediamo per quanto tempo riusciamo a stare nel presente prima che altri pensieri ci portino lontano.

Il vantaggio del respiro è che è sempre presente e disponibile, almeno finché siamo vivi. Quando poi “esaleremo l’ultimo respiro”, ci troveremo in un’altra dimensione – qualunque cosa sia o non sia.

giovedì 5 gennaio 2017

Il problema di Dio

Il problema di Dio è che viene interpretato dagli uomini. Sono loro infatti, organizzati in religioni, che ci dicono che cosa sarebbe giusto o sbagliato, e quale sarebbe il suo vero volto, la sua vera natura. E da qui che nascono le idee più assurde e ridicole.
Siccome in qualche libro “sacro” c’è scritto che gli uomini devono fare questo o quello, ecco che nasce una religione, dove si compilano elenchi di “comandamenti” e di proibizioni. È così che viene fuori un Dio piccolo piccolo, meschino, che si occupa magari di latrine o di veli in testa per le donne. Ma i libri li scrivono gli uomini, non Dio.
Trovo quindi ridicolo che certi credenti debbano mettersi qualcosa in testa o non debbano mangiare questo o quel cibo, perché sta scritto in qualche libro.
Dalle piccole menti degli uomini, viene sempre fuori un Dio piccolo piccolo. L’Eterno, l’Infinito, l’Uno si ridurrebbe a suggerire inezie del genere.
Ma se Dio è unico, com’è possibile che le sue prescrizioni siano diverse da religione a religione?
Dio lo si studia non nei libri scritti dagli uomini, ma nella natura e nella meditazione. E non è un uomo più o meno potente. Non è un Padrone, non è un Signore.

Ma, certo, ci vorrebbero uomini e donne più intelligenti. Questo è il problema di Dio... e anche nostro.

mercoledì 4 gennaio 2017

Liberarsi e sbarazzarsi

C’è una differenza tra liberarsi e sbarazzarsi. Sbarazzarsi significa prendere una cosa e cercare di buttarla via, di eliminarla. Ma se la cosa non si fa buttare via? Se per esempio è una sofferenza interiore che non permane?
Allora dobbiamo liberarcene, non buttandola via, non censurandola, ma, al contrario, entrando con essa in un contatto più intimo, fino a conoscerla bene.

Ciò che conosci non ti fa più paura. È l’ignoranza che spaventa e nuoce.

La fatica di vivere

Se la preghiera bastasse a guarire i mali del mondo, al mondo non ci sarebbe più male.
Dunque, non basta pregare… nessuno da lassù ci aiuta.
È necessario invece cambiare personalmente le cose, prima con la consapevolezza e poi con l’azione.

No, decisamente, questa vita non è un pasto gratis. Tutto costa, tutto ha un prezzo, tutto esige sforzi e fatica.
È faticoso nascere, è faticoso andare avanti ed è faticoso morire. È faticoso ed è doloroso.
Come dice Frank Ostaseski, il fondatore degli hospice per malati terminali, “c’è una fatica del morire, così come c’è una fatica del nascere.”
Ora, voi preghereste qualcuno che avesse costruito un mondo del genere?


Il potere della consapevolezza

Quando proviamo paura (o odio, rabbia, ecc.), ricordiamoci di esserne consapevoli.
Perché nel momento in cui siamo consapevoli della nostra paura (o dell’odio, della rabbia, ecc.) – per quel momento – siamo salvi dalla paura, siamo colui che non ha paura.

E, se moltiplichiamo questi momenti…

martedì 3 gennaio 2017

Il Padrone dei Cinquestelle

Quei poveretti che votano on line le proposte dei Cinquestelle si illudono di poter contare qualcosa. In realtà è già finito il momento democratico del movimento.
Grillo lo dice chiaramente. Sarà lui a decidere di volta in volta se un avviso di garanzia porterà alle dimissioni dei sospettati.
E la Rete?

Resta lì pateticamente a confermare o a respingere ciò che il Padrone assoluto ha già deciso.

Le onde della vita

Non c’è molto da inventarsi sul funzionamento del mondo. Guardiamo il mare e le sue onde.
Sono tutte diverse, non c’è un’onda che sia uguale all’altra. Ma fanno tutte parte di un unico mare.
Sospinte dal vento e dalle correnti si ingrossano a poco a poco, compiono un certo percorso e poi arrivano sulla spiaggia. Qui si infrangono e spariscono come onde individuali.
Ma non è finita qui. L’acqua rifluisce in mare, in quell’unico mare da cui era uscita. Qui di nuovo darà vita ad un’altra onda, che si solleverà per un po’ sulle superficie e…
È un processo continuo. Le onde sono sempre diverse, ma partecipano tutte della stessa natura. E dunque sono tutte unite.
Sono individuali, ma appartengono allo stesso mare. E non c’è mai una sosta nel processo di creazione e di distruzione.

Ma se ne accorge solo chi sta in alto su uno scoglio e contempla la vasta distesa.

lunedì 2 gennaio 2017

Oltre l'ego

La morte è certo un problema, ma solo per l’ego. Il pensiero che lo spaventa è: sparire nel nulla.
Ma chi ha paura?
Provatevi per un momento a liberarvi dell’ego cosciente. Chi rimane ad avere paura?
Il fatto è che noi vorremmo sopravvivere come ego individuale. E così fantastichiamo su altre vite, nell’aldilà o anche qua. Tutto ci va bene, pur di conservare l’identità.
Ma, anche se ci fossero questi aldilà, lì ci sarebbe la paura, lì ci sarebbero la trasformazione e la morte.
Comunque la mettiate, non dovete liberarvi per l’ego, ma dovete liberarvi dell’ego.

Il cristiano dice: “Speriamo che, dopo la morte, ci sia un’altra vita”.

Il buddhista dice: “Purtroppo, ci sarà”.

domenica 1 gennaio 2017

Il samadhi

Samadhi è un termine sanscrito formato da due parole: sama (equanimità) e dhi (intelletto). Dunque, il samadhi, lo scopo della meditazione, è portare l’intelletto all’equanimità.
La funzione dell’intelletto, in effetti, è quella di dividere, distinguere e contrapporre. Per conoscere, la mente umana deve dividere, distinguere e contrapporre. Ecco perché la nostra conoscenza ordinaria è piena di concetti duali: caldo e freddo, bene e male, alto e basso, inizio e fine, ecc.
L’equanimità invece compie il percorso inverso: non giudica, non contrappone, non divide - unisce.
Se trascendi, l’intelletto, la discriminazione, non esiste più. Né tempo né spazio; né passato né futuro… tutti concetti della mente. Ogni cosa è qui in questo momento. Si vede l’unità del tutto.
Non c’è più bisogno allora di altre vite, di paradisi e di inferni, di aldiqua e di aldilà, di Dio e di io… altre idee della mente discriminante.

Questo stato di trascendenza della mente – l’equanimità -  ha vari livelli. Ma, quando lascerai il corpo, e avrai meditato abbastanza, sarai nel samadhi più elevato: il Mahasamadhi. Sarai nell’unità del tutto e vedrai il tutto come un’unica cosa.