giovedì 31 maggio 2018

La massima virtù dell'imperturbabilità


Nei rari momenti in cui siamo liberi da ansie, da preoccupazioni e da pensieri inopportuni, siamo imperturbabili. E allora possiamo capire quale enorme vantaggio possa essere l’imperturbabilità, il non essere toccati dall’altalena degli stati d’animo.
L’opposto di una mente serena è una mente angosciata. E questo succede inevitabilmente a chi non si addestra all’imperturbabilità.
Avere una mente imperturbabile è uno dei maggiori obiettivi della meditazione, forse il più importante. Ci permette di vivere ad un altro livello di consapevolezza e di distacco.
Chi si fa trascinare qua e là dai propri stati d’animo - e quindi dagli stati d’animo delle masse - ha la stessa autonomia di una foglia al vento.
Siete capaci, in mezzo a un folla, di mantenere la mente fredda mentre tutti gli altri gridano e si agitano? Eppure è quello che succede continuamente. Le opinioni e gli stati d’animo della gente fra cui viviamo condizionano continuamente la nostra mente.
Non nutriamo opinioni – diceva il Buddha - , non scaldiamoci inutilmente. Rimaniamo imperturbabili quando tutti gli altri perdono la testa.
Come notava anche Epitteto, ciò che ci sconvolge non sono i fatti, ma le opinioni che ci formiamo sui fatti.
Una mente imperturbabile è una mente divina. Un dio che si arrabbia, che inveisce, che preferisce che parteggia, che ama e che odia non è un dio, ma un piccolo Demiurgo. Quello che ci meritiamo.

La violenza dei padroni


I padri-padroni, i mariti-padroni… quando li vediamo in azione, giustamente li condanniamo: ne vediamo tutta l’arroganza e la prepotenza.
Ma perché non lo facciamo anche per il Dio-Padrone? Quello continua ancora a campeggiare nella nostra fantasia.

mercoledì 30 maggio 2018

I vantaggi del meditare


Se meditiamo con assiduità forse non accederemo subito al nirvana, ma avremo vantaggi nella vita pratica. Per esempio, avremo un miglior controllo dello stress ed un miglior recupero da esso. Nello stesso tempo avremo una nuova comprensione del senso dell’io e del rapporto tra personalità e sé, il che ci porterà anche a prendere le distanze da un’infinità di inutili preoccupazioni, dietro le quali si perde la gente inconsapevole di questa nuova e antica dimensione.
Soffriremo di meno per competitività e aggressività, vedendo con chiarezza come siamo dominati da istinti obsoleti e dannosi. Non reagiremo più come un volta per gli insulti della vita e della gente, avendo acquisito una salutare saggezza che ci fa capire che cosa sia veramente importante. Non correremo dietro alle mode e alle stupide cerimonie di una vita sociale del tutto artificiale. Ci apriremo di più alla comprensione degli altri e di come va il mondo. Avremo più compassione di noi stessi e degli altri mentre ci agitiamo inutilmente e soffriamo per problemi inesistenti o per patologie create da noi stessi.
Non inseguiremo più i feticci della società dei consumi, che ci fanno perdere tempo ed energia. Migliorerà il nostro rapporto con la vita di cui scopriremo i valori essenziali, acuendo la nostra sensibilità e la nostra attenzione.
Non si tratta di vantaggi da poco. Cambieremo, migliorando, noi stessi, il nostro cervello e la nostra mente.

martedì 29 maggio 2018

I valori della meditazione


Se volessimo esprimere i valori della meditazione, dovremmo mettere al primo posto la ricerca di autonomia e di padronanza, il che è tutto il contrario delle religioni, che puntano piuttosto sulla dipendenza e sulla sottomissione ad una presunta Autorità divina. Questo comporta trovare una “senso di scopo” nella vita, ossia essere convinti che abbiamo un obiettivo: svilupparci, diventare sempre più consapevoli.
È come se avessimo un potenziale che non si è ancora del tutto sviluppato. Per esempio, l’autonomia richiede un renderci conto dei nostri limiti, delle nostre virtù e soprattutto dei condizionamenti da cui non ci siamo ancora liberati.
Perché è chiaro che lo scopo ultimo è la liberazione.
Chiediamoci dunque fino a che punto ci siamo liberati delle pressioni sociali e abbiamo svolto il nostro compito, fino a che punto siamo autonomi e quanto invece siamo ancora dipendenti dai giudizi e dai valori altrui.
I mezzi impiegati si chiamano autoesplorazione o autoindagine, cioè in una parola solo “consapevolezza”. Ancora una volta notiamo la differenza rispetto alle religioni, in cui si viene valutati in base al nostro grado di conformità.
Non dobbiamo né sminuirci né umiliarci rispetto al potere umano e divino, ma essere fieri della nostra natura e delle nostre potenzialità.

Siamo come quel leoncino che era stato allevato da un gruppo di pecore e che si considerava e ci comportava come una di loro, finché, incontrando un altro leone, questi gli fece capire la sua vera natura. Allora smise di belare e per la prima volta si mise a ruggire, consapevole della propria forza.
Ecco, mentre scopriamo che non siamo più delle pavide pecore destinate al macello dal padrone, anche noi dobbiamo essere consapevoli della nostra vera natura, 

lunedì 28 maggio 2018

Liberarsi con l'osservazione


Non basta meditare ogni tanto per ottenere grandi risultati. Dobbiamo capire che siamo tutti marionette condizionate e che è necessario sottoporci ad autoindagine, in modo da scoprire quale sia il nostro vero sé. Questo comporta un cambiamento di prospettiva e di vita.
Dobbiamo in altri termini assumere una posizione meditativa o contemplativa rispetto a noi stessi e al mondo in cui viviamo. Vedere come veniamo diretti da forze esterne (la società, i valori condivisi, le religioni, gli schemi e le reazioni comuni, ecc.) che ci modellano a loro piacimento e ribellarci.
Ribellarci significa non accettare più questo stato di cose. Una vita contemplativa comporta assumere un diverso punto di vista – da osservatori anziché da inconsapevoli attori. L’osservazione serve a capire la nostra condizione e a cambiarla. Altrimenti ci muoviamo a casaccio, passando da un condizionamento servile ad un condizionamento ribellistico – entrambi falsi.
Non confondiamo la vita contemplativa di cui parliamo (che è sostanzialmente critica) con quella delle religioni tradizionali. Quest’ultima è essenzialmente chiusura (clausura), prigionia e controllo altrui. All’interno delle religioni non si è mai liberi.
Noi invece cerchiamo una vera liberazione.

domenica 27 maggio 2018

Ritrovare se stessi


Siamo abituati a pensare di essere la nostra mente – pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti, stati d’animo, reazioni, ecc. – da cui non ci possiamo distinguere né separare. Siamo totalmente identificati con essa, con i suoi prodotti – uno dei quali è il nostro io.
Ma non è così. Noi siamo altro, noi siamo altrove, tant’è vero che possiamo mettere sotto esame tutti questi processi mentali senza per questo perderci.
Anzi, eravamo persi prima, identificandoci con un io che a sua volta è un prodotto della mente, è costituito dagli automatismi della mente.
Possiamo comunque disidentificarci da tutto ciò e riportare alla luce il Sé che ci eravamo dimenticati, avendolo sepolto sotto false maschere.
Noi possiamo non essere i nostri stati d’animo. Noi siamo coloro che li osservano e ne sono testimoni.
Abbiamo sbagliato identificazione. Ora dobbiamo immedesimarci nel vero Sé, ritrovando noi stessi.
Non si tratta di fare sforzi sovrumani, ma di stare attenti a come funzioniamo di solito. Dobbiamo semplicemente ritrovare l’osservatore, il testimone, e rimanerci il più a lungo possibile.
“Io non sono questo… io non sono quello… io non sono questa rabbia… io non sono questo pensiero… io non sono questa reazione...” Quanto più restiamo in questa posizione psicologica, prendendo le distanze da vecchio ego, tanto più identifichiamo il nostro autentico Sé e ci stacchiamo da un mondo di finzioni e di convenzioni.

sabato 26 maggio 2018

I livelli della meditazione


In meditazione esistono vari passi o livelli, che corrispondono a varie funzioni.
Di solito s’inizia dalla ricerca della calma e della quiete, ottenuta spesso seguendo il respiro, ripetendo un mantra (anche in italiano, per esempio “calma”), interiorizzandosi e approfittando della dialettica naturale tra stati più calmi e stati più agitati. Senza calma, senza calmare il respiro, i pensieri e le sensazioni, è difficile entrare nello stato meditativo che all’inizio ha bisogno di un ambiente rilassato. È chiaro che questa prima fase risponde ad un’esigenza di tranquillità di serenità e di ordine. È dunque adatta a chi vuole uscire dall’atmosfera nevrotica e sempre indaffarata in cui siamo costretti a vivere nelle nostre società. Qui ci vuole un salutare distacco, un prendere le distanze da uno stile di vita che ci vuole tutti uguali e tutti condizionati a pensare e a fare le stesse cose.
Sentire un bisogno di liberazione è il punto di partenza di chi si dedica a questo tipo o a questa fase della meditazione. Non a caso, anche nei testi classici, si parla di “liberazione” come meta della meditazione. Ma la liberazione va intesa in vari sensi: da quello più pratico di sfuggire alle ansie e ai doveri sociali prestabiliti, che sono come tante catene, a quello più spirituale di sfuggire ai condizionamenti mentali, psicologici e religiosi, mettendo sotto esame critico tutto ciò che ci è stato insegnato.
Qui entriamo nel secondo passo o nella seconda fase della meditazione. Sottoporre ad esame i pensieri, le sensazioni, i valori e gli schemi mentali che stiamo spesso inconsapevolmente utilizzando e poi anche le nostre reazioni automatiche. Per esempio, esaminiamo il sentimento della rabbia: perché mi sento arrabbiato? Che cosa mi irrita? Posso evitare la mia reazione? Anche questa è una forma di liberazione – dai solchi delle abitudini e delle riposte condizionate. Molti sono gli stati d’animo da riesaminare e cambiare, fra cui l’egoismo, l’avidità, l’aggressività, l’invidia, ecc.
Qui ci vuole una forma di autoindagine, che ha come scopo il superamento e il miglioramento della nostra personalità che si è costruita a casaccio, ripetendo vecchi schemi comuni.
Però lo scopo qual è? Lo scopo è crescere, evolversi, puntare ad un miglioramento dell’essere umano, e non solo per il tempo della meditazione, ma anche in modo duraturo.
Cambiare il nostro essere, liberandolo da tanti fardelli, significa approdare a nuove dimensioni di consapevolezza, significa arrivare ad un un’uscita dall’asfittico mondo della nostra coscienza, significa aprire uno spiraglio nel mondo della trascendenza. E qui ci sono molti altri passi e livelli.

giovedì 24 maggio 2018

Sati: presenza mentale


Si fanno campagne contro la distrazione in automobile per evitare gli incidenti stradali: mentre guidate, non telefonate, non parlate, non guardate schermi, non pensate ad altro, ecc. In sostanza, fate una sola cosa alla volta; se guidate, guidate e basta, concentratevi solo sulla guida.
       È il principio della sati, la presenza mentale.
       La sati dovrebbe essere applicata ad ogni attività della vita. Altrimenti, si vive distratti. Si fa una cosa, ma si pensa ad un altra...con il risultato che si fa tutto a metà e male.
       Come dice il Dhammapada, "i disattenti è come se fossero già morti. L'attenzione è la via che conduce all'immortalità".
       Dunque, l'Occidente riscopre antichi principi orientali, convalidandone la giustezza. Provate a respirare con la sati: respirare e basta, respirare con presenza mentale, con totale consapevolezza.

Coscienza, morte ed estasi


Siamo convinti che l’uomo sia l’unico animale che sa di morire. Sembra un brutto scherzo della coscienza.
Ma in realtà la coscienza umana nasce proprio dal sapere di dover morire. Questa è la sua origine. Questa è la prima scintilla della coscienza.
Chi non è consapevole di morire, semplicemente non è consapevole.
La coscienza sembra avere un sapore amaro, un prezzo da pagare. Ma c’è la possibilità di capire che noi siamo consapevolezza e tuffarsi in una specie di estasi.

mercoledì 23 maggio 2018

La meditazione sui tre tempi


La meditazione su passato, futuro e presente serve a cambiare il nostro modo di considerare il tempo e si svolge così. Si diviene consapevoli dei momenti in cui ci ricordiamo di qualcosa. Dove siamo? Nel passato? In realtà, ci ricordiamo di un evento passato, ma siamo comunque nel presente. Infatti il passato è passato e non può più essere ricuperato.
Poi diventiamo consapevoli dei momenti in cui pensiamo al futuro, per esempio perché speriamo, temiamo o progettiamo qualcosa. Dove siamo in quei momenti? In realtà, anche se pensiamo al futuro, siamo ancora nel presente. Il futuro in sé non c’è mai.
Che cosa concludiamo? Che esiste solo il presente? 
Ma che cos’è il presente? Possiamo afferrarlo? Non pare proprio: nel momento in cui lo afferriamo, è già passato.
Domandiamoci allora come definiamo il presente. È evidente che lo definiamo in relazione a un passato e a un futuro.
Dunque, anche il presente in sé sembra non esistere. E non è afferrabile.
Questo esercizio ci aiuta a capire come ci troviamo sempre in balia di concetti, di prodotti della mente, di luoghi comuni. Il tempo è uno schema mentale, un’astrazione. Come del resto lo spazio.
Ma la realtà, la verità, sta altrove. Non quando la mente pensa, quando utilizziamo categorie mentali, ma quando ce ne liberiamo, quando siamo al di fuori del tempo, quando ci troviamo in un altrove, quando ci troviamo nel sé,nella pura consapevolezza, nel puro essere ...che è sempre in un altrove, che è trascendenza.
Difficile capirlo. Ma non impossibile coglierlo se ci si concentra fortemente, senza battere le ciglia e senza cedere ai pensieri.

Il tempo è fatto da tanti istanti senza tempo, proprio là dove abita il Sé. Sì, il Sé è al di fuori del tempo, lo si coglie negli istanti senza tempo e spazio che intessono tempo e spazio.


martedì 22 maggio 2018

La mente e la realtà


Gli esseri umani hanno l’irresistibile tendenza  a creare schemi e a pretendere che le cose si adattino ad essi. Se due omosessuali sono contenti così, chi siamo noi per giudicare e per dire che sbagliano, che sono anormali? Lo sosteneva perfino il Papa, prima che si uniformasse anche lui agli schemi astratti della teologia.
È la natura che crea queste condizioni. E noi non possiamo pretendere di essere migliori di essa. Crediamo di essere più intelligenti della natura o (per chi ci crede) di Dio? È la natura-Dio che li ha voluti così, non noi.
Ma i religiosi continuano a giudicare e  condannare, in base a una loro idea di come dovrebbero andare le cose, di ciò che è giusto o sbagliato, di ciò che è naturale e innaturale, di ciò che è normale o anormale.
Siamo noi che vorremmo che le cose rientrassero negli schemi mentali che ci siamo fatti. Dunque, è molto più probabile che questi schemi siano sbagliati, non le persone.
Se formulo una teoria, e poi mi accorgo che certe cose non si adattano ad essa, è evidente che la teoria è sbagliata o troppo limitata.
Ma, per accettare tutto ciò, è necessario avere una mentalità scientifica e soprattutto una modestia che i sostenitori delle religioni non hanno.
Per esempio, loro decidono che Dio sia un “Signore” esterno, distinto dal cosmo, e che abbia istituito, oltre che la loro religione, certi principi. E giudicano gli altri in base a questi principi, che in realtà sono il prodotto di una mente limitata, della loro mente. Pensano anche che Dio – un Dio perfetto - sia il creatore di tutto questo, senza tener conto delle evidenti imperfezioni.
Eppure basterebbe cambiare il paradigma mentale e pensare che Dio sia esattamente l’intero cosmo che si evolve tra mille tentativi ed errori– e non un Signore che ne sta fuori – per avere una visione molto più completa e realistica delle cose.
Già, ma bisognerebbe avere un senso di autocritica e uno sguardo non stereotipato, bisognerebbe aprire veramente gli occhi, e non averli ricoperti dalle fette di salame delle ideologie.


lunedì 21 maggio 2018

Imperturbabilità


Imperturbabilità significa rimanere profondamente centrati senza farsi trascinare avanti e indietro, in alto e in basso, da una parte e dall’altra come da ondate o da colpi di vento. Significa non girare come banderuole al vento.
È vero che tu sei le tue emozioni, perché tutti i fatti e le vicende che ti capitano, tutto ciò che vivi, tutte le relazioni sono dentro di te, devono passare dentro attraverso di te – e quindi sono interpretate e deformate. Ma, se è così, sono teoricamente controllabili.
Se arrivi in un posto dove c’è appena stato un temporale, per te quel temporale è come se non ci fosse stato, perché non lo hai vissuto personalmente, perché non ti ha toccato. Se invece eri sul posto, sarai stato marchiato dall’esperienza.
Ma, proprio perché gli avvenimenti devono passare da te, attraverso di te, tu hai la possibilità di non fartene travolgere. Osservi il fatto senza che le emozioni ti tocchino.
Puoi fare in modo, addestrandoti, di distinguere tra gli eventi e le tue reazioni agli eventi. Non è facile, ma è possibile.
Puoi insomma rimanere imperturbabile.
Il vantaggio è che puoi osservare queste cose con distacco, non facendoti sballottare come una foglia al vento. E puoi anche notare che il tuo sé profondo rimane, a ben vedere, sempre imperturbabile, non importa quanto la tua personalità ne sia toccata.
Le vicende sono come le onde superficiali del mare. Ma, se tu vai nel profondo, lì c’è pace e quiete. Ebbene quello è anche il luogo di residenza del tuo sé, di ciò che non muta al mutare delle circostanze. Impara a posizionarti in quel “luogo”: tutta la tua vita ne beneficerà.
Non sarai più sballottato e condizionato, ma ti tirerai fuori dal misero destino comune.

domenica 20 maggio 2018

Il senso di vastità


Se credete di essere solo ciò che pensate abitualmente di essere, il piccolo io con cui vi identificate, la persona dello stato civile o della memoria che è in gran parte un ruolo o una maschera, siete troppo modesti. Pensate in piccolo. Siete molto di più, anche se non lo cogliete.
Allora allargate la vostra “sensazione di essere” per acquisire una maggior spaziosità. Ogni tanto, fermatevi, fermate la vostra identificazione con la persona che dice “io” e osservatevi “dall’alto.” Osservatevi come se dietro di voi ci fosse una grande ombra o una grande aura che vi avvolge.
Fate un passo indietro per fare un passo avanti. Retrocedete dal piccolo io e immedesimatevi in questo più grande sé che vi circonda come un campo energetico.
Distaccatevi dal limitato io e immedesimatevi nel grande sé. Vedrete tutto come dall’alto. La mente smetterà per un po’ di farla da padrona e vi muoverete leggeri ed efficaci come se foste sfuggiti ad un’opprimente forza di gravità.
Dalla forza di gravità che ci schiaccia e comprime alla forza di leggerezza.
Espandetevi il più possibile fino a trasformare il senso di vastità nel senso di infinità. Perché l’infinità è la realtà ultima di tutti gli esseri consapevoli, la nostra vera casa.

sabato 19 maggio 2018

Lo spirito fuggito


Le religioni nascono da un fallimento dello spirito. Che non è in grado di mantenere le promesse fatte: il potere diretto della mente sulla materia. Allora nascono le chiese, i mediatori sacerdotali, le sacre scritture e i rituali – tutte espressioni di tale impotenza.
I miracoli, le siddhi, i carismi cessano di operare. E la religione si riduce a rievocazione o azione sociale.
Ma la promessa e la premessa era un’altra: che lo spirito avesse la meglio sull’inerzia della materia.
L’apertura di un istante alimenta la speranza. La chiusura successiva fa nascere la religione come culto di quell’attimo fuggito.

Le batoste nella vita


Ogni tanto nella vita capita di addormentarsi. Anzi, sono più i momenti in cui dormiamo che quelli in cui siamo svegli. Allora arriva la batosta.
Probabilmente la batosta arriverebbe anche se non dormissimo, perché la vita non offre tanti periodi di tregua. Ma, sicuramente, possiamo utilizzare tale sofferenza come campanello d’allarme, come sveglia, come un mezzo per farci capire che stiamo dormendo, che ci culliamo nell’illusione che le cose andranno sempre bene, che a noi non capiteranno i colpi che vediamo abbattersi sugli altri più sventurati.
Ora tocca a noi e non possiamo più dormire.
La prima cosa dunque è svegliarsi e capire che, in questo mondo, non possiamo trovarci in un’oasi felice. Può essere un intervallo, niente di più. Ma non dobbiamo dormire. Dobbiamo utilizzare i periodi di tregua per rafforzarci, per preparare le difese, per imparare ad essere lucidi e a capire come va il mondo. Questa è la nostra unica integrità.
Dobbiamo capire che la vita va avanti con o senza la nostra collaborazione, che non si ferma mai veramente, che il cambiamento, il rinnovamento e lo sgretolamento generale e individuale non cessano mai. Siamo esseri insignificanti, come le mosche o le formiche, ma siamo dotati di consapevolezza.
Purtroppo non c’è un lieto fine e bisogna costruire una speranza, non sempre facile. Perché, come dicono alcuni versi,

“La vita è cadere e risorgere,
cadere e risorgere,
cadere e risorgere,
cadere e risorgere…
fino all’ultima caduta
nella polvere”.

Se siamo solo materia, tutto finisce qui. Ma se siamo anche spirito, se la materia è a sua volta spirito solidificato, potremo accedere ad altre dimensioni.

venerdì 18 maggio 2018

La ricerca del Nirvana


Se il Samsara è il ciclo delle vite e delle morti che va avanti da quando esistono gli uomini e gli altri esseri viventi, se è la ripetizione di esistenze, senza soluzione di continuità, il Nirvana è la calma, la pace, l'estinzione... di che cosa? Di questa ripetitività. Perché è vero che la vita è un cambiamento continuo, ma pur sempre delle stesse esperienze: nascite, infanzie, crescite, malattie, gioie, dolori, amori, matrimoni, divorzi, vittorie, sconfitte... e infine l'immancabile morte. Insomma, sempre la solita solfa. È un po' come il tempo meteorologico, che muta di continuo, ma sempre secondo determinate e limitate modalità: pioggia, sole, tempesta, sereno, caldo, freddo e così via. Insomma, siamo tutti dei ripetenti ossessivi, degli zucconi che non imparano mai la lezione. Infatti tutti facciamo le stesse cose, tutti abbiamo le stesse speranze e tutti abbiamo le stesse illusioni e delusioni: pensiamo di fare chissà che cosa, di risolvere  i problemi dell'umanità o semplicemente di essere felici, ma poi ci avviamo rassegnati verso la vecchiaia e la fine. E tutti giriamo intorno al nostro ego. È l'ego che prova un’insaziabile sete di ripetere queste esperienze, certamente mutevoli, ma pur sempre le stesse, fin dalla notte dei tempi. Non c'è mai nulla di nuovo. Il film è sempre lo stesso. Se qualcuno ci guardasse dall'alto, si addormenterebbe per la noia mortale. Tuttavia tutti questi miliardi di individui si affannano da mattina a sera per ripetere le stesse esperienze - e non si stancano mai. Che cosa cercano? Sono assetati di vita e vorrebbero vivere ancora più a lungo. Che cosa sperano di ottenere e di raggiungere? Assomigliano ai levrieri che inseguono in un circuito una lepre di pezza che non raggiungeranno mai - ma loro non lo sanno e continuano a correre.
 Nirvana è la scoperta di quanto siamo limitati, condizionati e ripetitivi, di quanto siamo marionette dirette dai fili dell'istinto, della natura, della cultura e della società. Nirvana è la decisione di interrompere il ciclo. Nirvana è l'affacciarsi di una nuova coscienza. Ce la faranno gli uomini a svegliarsi dal millenario sogno delle illusioni? Riusciranno una buona volta a vedere la realtà così com'è? O continueranno a correre in tondo, come gli stupidi levrieri?

giovedì 17 maggio 2018

Le delusioni


La pretesa dell’uomo di congelare situazioni e relazioni è all’origine di tanta sofferenza. Per esempio, per molti il matrimonio è il tentativo di mantenere invariata la situazione di partenza, quella dell’innamoramento.
Ma la vita non lascia niente di invariato. Cambia tutto di continuo, tanto più se si tratta di sentimenti. Ecco perché i nostri sforzi di immobilizzare e congelare sono destinati al naufragio. Ogni momento cambia il precedente.
Se non comprendiamo questo, la delusione sarà inevitabile.

I vari livelli di coscienza


La coscienza è quella che abbiamo tutti, in misura maggiore o minore, dal professore allo stupratore, dall’assassino all’animale e alle piante.
La consapevolezza è un’altra cosa. È la coscienza che si sviluppa e che si pone sempre il problema di quanto sia condizionata.
Chi segue questa strada raggiungerà livelli sempre più alti di consapevolezza.

mercoledì 16 maggio 2018

Sviluppare la coscienza


Guardate come è fatto il potere. È un anestetico e permette ogni nequizia. Il leader politico di un paese può con una sua decisione scatenare rivolte o guerre, e quindi morti e feriti, sentendosi perfettamente autorizzato a farlo, convinto di avere le mani pulite.
Per esempio, Donald Trump, spostando l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ha provocato la reazione dei palestinesi, i quali si sono messi a protestare avvicinandosi al confine di Israele. E gli israeliani hanno deciso di sparare uccidendone più di sessanta.
La scena mi ha ricordato Davide e Golia. Solo che le parti erano invertite. Qui coloro che scagliavano pietre erano i palestinesi. E venivano uccisi come nel tiro al piccione.
Sembra che non si tratti di una strage. La colpa è dei morti. E non si può nemmeno protestare, perché il gigante Golia con la sua forza e la sua prepotenza lo impedisce.
Il vero responsabile si sente soddisfatto, non ha il minimo senso di colpa e non verrà punito su questa Terra.
C’è chi la coscienza e chi non ce l’ha. E magari va in chiesa a pregare il suo Dio, sentendosi da lui protetto. E la religione? Si occupa solo di aborti. Quando a morire sono gli adulti, non interessa più.
Tra gli uomini è la coscienza che fa la differenza. Ma un comportamento etico non può prescindere da uno sviluppo di una consapevolezza ben superiore alla coscienza abituale, che è una forma i semi-coscienza, addomesticabile a piacimento.

Conversioni celebri


Certe conversioni di personaggi della politica o dello spettacolo, che poi ne fanno ostentazione nelle interviste televisive o giornalistiche, non mi convincono. Soprattutto se vengono presentate come un ritorno alla tradizione. Non è una scoperta di qualcosa di nuovo e di originale, ma un uniformarsi a schemi e idee  precostituite. Non ci vedo spiritualità, profondità, autenticità. Ma un'imitazione.
 Queste persone sono forse convinte, ma non si rendono conto di continuare a recitare una parte, prima quella dei trasgressivi e ora quella delle pecorelle che tornano all'ovile. Come diceva Schopenhauer, "le religioni come le lucciole, per splendere, hanno bisogno dell'oscurità".
I preti si fregano le mani perché per loro è tutta pubblicità. E anche quei personaggi si fanno pubblicità. Ma, da individui superficiali, che lavorano per lo spettacolo, ossia per l'esteriorità, non sanno che cosa sia la vera religione. Come sosteneva Spinoza, "per il volgo religione significa tributare un grande onore al clero". Troppo poco, anzi niente. Gesù li conosceva bene... quelli che, quando fanno l'elemosina, "suonano la tromba davanti a sé", quelli che, quando pregano "stanno ritti nelle sinagoghe o agli angoli delle piazze per farsi vedere dagli uomini" (Mt 6).
E consigliava: "Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo in segreto...". Tutto un altro stile.

lunedì 14 maggio 2018

La vita come attesa


L’attesa

“Attendiamo sempre, e la vita è passata”
 Pierre de Nolhac

Se ci fate caso siamo sempre in attesa di qualcosa: di una promozione, di un successo, di un amore, di una novità, di un’occasione, di un colpo di fortuna, di una notizia, di un esame, di una sconfitta, di una perdita, del domani, di un cambiamento, della vecchiaia, della morte, di Dio, dell’illuminazione… Noi attendiamo e, intanto, l’esistenza si consuma.
In fondo, spesso la vita è ciò che ci capita mentre attendiamo qualcosa che non si verifica mai o che non si verifica come ce l’eravamo immaginati… tra un sogno e l’altro, tra un ricordo e l’altro, tra una speranza e l’altra.

“ Se si costruisse la casa della felicità, la stanza più grande sarebbe la sala d’attesa”
Jules Renard

Come tutte le cose di questo mondo, l’attesa è ambigua: è imparentata da una parte con il desiderio e con la gioia e dall’altra parte con la noia e con l’ansia. Tutto dipende da chi o da che cosa si attende e da quanto tempo si attende. Infatti, se il tempo dell’attesa è troppo lungo, forse non ne vale nemmeno la pena. Ecco perché qualcuno, come Ugo Ojetti, invitava a darsi una mossa scrivendo il seguente consiglio: “Non aspettare che il vento gonfi la vela della tua fortuna. Soffiaci dentro te”.
       C’è dunque una vera e propria arte di aspettare, un’arte che si avvicina a quella della pazienza. Rabelais diceva che “tutto viene a taglio per chi sa aspettare.” E, in effetti, aspettare qualcosa è già qualcosa di positivo, perché se non altro alimenta la speranza. L’importante è non fare dell’attesa il fine della nostra esistenza. Sosteneva Pascal: “Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose; non viviamo mai nel presente, ma in attesa del futuro”.
In realtà, qualcuno - per esempio Cesare Pavese - faceva notare come la cosa più terribile non sia aspettare, ma non aspettarsi più niente. Quando non si attende più, non abbiamo più speranze e questo ci porta a una condizione di depressione. Ma qualcosa si può continuare ad aspettare, magari un sorso d’acqua, una giornata di sole o una fine indolore. “Sapere che non si ha più alcuna speranza non impedisce di continuare ad aspettare” sosteneva giustamente Marcel Proust.

Un po’ pessimisticamente Bram Stoker, l’autore di Dracula, scriveva: “La vita in fondo cos'è? Solo l'attesa di qualcosa d'altro. E la morte l'unica cosa che possiamo essere sicuri che viene”. Però non è nemmeno il caso farsi prendere dai pensieri neri. Ogni giorno c’è in fondo qualcosa di nuovo che può accadere, piacevole o spiacevole che sia.

“L'attesa è una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio. La realizzazione dell'attesa è una freccia che oltrepassa il bersaglio”
Søren Kierkegaard



domenica 13 maggio 2018

Fuggire se stessi


Se tendi a far sempre qualcosa, a muoverti di continuo, a cambiare spesso attività, luogo o persone, a non aver tregua, a non trovare mai un momento di tregua, a parlare incessantemente, ecc., allora è probabile che tu stia evitando qualcosa. In particolare l’incontro con te stesso. Sei come quelle persone che non vogliono vedersi allo specchio perché pensano di essere deformi.
Insomma stai fuggendo.
Quello che nascondi è un vero e proprio terrore di te stesso.
Domandati perciò che cosa ti spaventa tanto e come mai sei diventato il peggior nemico di te stesso.
Non è normale che tu non abbia un minimo di familiarità con te stesso. E, se fuggi la tua relazione prima, come potrai relazionarti con qualcun altro?

sabato 12 maggio 2018

L'uomo nudo


Tutti vorrebbero essere qualcuno, nel senso che vorrebbero essere persone di successo, ricche, famose, potenti, colte, erotiche e con un riconosciuto status sociale.
Solo il saggio non vorrebbe essere nessuno, nel senso che vorrebbe liberarsi di etichette, oneri, doveri,  maschere, ruoli e ogni genere di artificiosità. Essere nessuno significa essere liberi, essere se stessi, essere il più possibile vicini allo stato naturale. Ed essere felici.
Essere se stessi significa non farsi condizionare da ciò che gli altri pensano di noi. E, poiché anche noi possiamo essere “altri” per noi stessi, significa liberarsi anche delle opinioni e dei giudizi che diamo di noi stessi.
Ovviamente si tratta di un’utopia, perché tutti devono arrivare a compromessi con la società – e con quella particolare società che abbiamo dentro di noi. Ma questa immagine dell’uomo nudo, dell’uomo vuoto, indica la direzione verso cui dobbiamo andare per spogliarci del maggior numero di condizionamenti.
Il contrario dell’uomo nudo è l’uomo che indossa un’uniforme rispondente al ruolo che svolge in società. Guardate le parate dei militari, dei giudici, dei preti, degli uomini di potere, ecc. Si tratta di sfilate di costumi. Ciò non toglie che, anche indossando queste uniformi, si possa cercare sotto l’uomo vero – che c’è sempre, che sia riconosciuto o meno, che sia nascosto o meno, che sia soffocato o meno, che sia cercato o meno. 
Cercatelo e lo troverete, coltivatelo o resterete indietro nel cammino dell’evoluzione.

venerdì 11 maggio 2018

L'insicurezza


Sei sicuro di te stesso? Sei sempre te stesso? Hai un carattere forte? Non cambi mai idea?
Mi dispiace per te, perché vuol dire che sei rigido, che hai una corazza, che non hai spaziosità interiore e alternative, che non capisci gli altri, che non hai mai sorprese.
Meglio l’insicurezza e il dubbio, perché significa essere più sensibili, più duttili, più comprensivi.
Ti sei costruito addosso un’armatura che non ti lascia libero. Oltretutto, l’insicurezza porta a cercare qualcosa di più vasto del semplice io, mentre chi è soddisfatto del proprio ego non ha nessuno stimolo a cercare oltre.

giovedì 10 maggio 2018

Trascendersi


Ogni tanto, dimentica chi sei, ovvero chi credi di essere.
Le cose non devono sempre andare come le prevedi, le programmi o le vuoi.
Le cose devono talvolta stupirti, spiazzarti.
Dimenticati delle pretese dell’io per lasciar spazio alla guida saggia del Sé.

mercoledì 9 maggio 2018

Sedere tranquilli


“Siedo tranquillo e l’erba cresce da sé” dice una poesia zen. Il che significa che le cose vanno avanti da sole, anche senza la nostra intromissione.
Questo vale per tutte le cose, noi compresi, dato che siamo tutti immersi in un divenire che non ci lascia mai immobili.
Però qualcosa in questo cambiamento continuo permane, forse non proprio immutabile ma comunque riconoscibile.
A questo nucleo dobbiamo affidarci, non solo per riconoscere noi stessi, ma anche per avere un punto di riferimento. Anche quando non facciamo e non decidiamo nulla, il nucleo profondo ci guida sapientemente. Anzi, talvolta, quando perdiamo la via, è meglio dismettere ogni volontà e lasciarci guidare.
Ciò che ci guida è una realtà superiore che ne sa più di noi, della nostra piccola ragione.
Il nostro compito è renderci conto che, mentre la nostra persona segue il suo destino e cambia, c’è dentro di noi un Sé che rimane se stesso.
Il teatro della vita si svolge continuamente davanti ai nostri occhi e dentro di noi. Ma c’è un principio che ne resta spettatore e che può guidarci o ispirarci quando la ragione non vede chiaro e non sa che cosa consigliarci.

Essere perfetti


L’argomento ontologico di sant’Anselmo diceva che, se pensiamo a una cosa perfetta, questa non può non avere l’attributo dell’esistenza. A me sembra il contrario: esistere, col suo nascere e morire, significa cadere da un eventuale stato di perfezione ad uno stato di imperfezione.
Se dovessimo immaginare un essere o uno stato perfetto, non dovrebbe avere questo basso attributo dell’esistere.
Lo stato perfetto non può essere esistente. In tal senso, il nulla sarebbe perfetto. Non nasce e non muore. E, secondo la fisica quantistica, può dar origine a cose esistenti - decadendo però.

martedì 8 maggio 2018

La casa dell'anima


Quando veniamo colpiti dalla sofferenza, approfittiamone per trascendere noi stessi. Anziché rimanere coinvolti nell’io che soffre, rendiamoci estranei, diventiamone il testimone distaccato. Facciamo un passo indietro e guardiamo questo io, questa persona che soffre, fisicamente o psicologicamente.
Rendiamoci conto che noi non siamo soltanto colui che soffre, la persona turbata, ma anche e soprattutto il testimone; e cerchiamo di non far passare al testimone i sentimenti negativi della persona.
In realtà, il testimone che osserva non è coinvolto da ciò che osserva, ma è quieto e sereno.
Troppo a lungo ci siamo identificati con un personaggio, con un attore agitato e confuso. Ma, sotto l’attore, c’è un uomo che può svestire quei panni ed essere completamente diverso.
Pensiamo pure alle cose che ci fanno star male, alle cause lontane e vicine, all’intera nostra storia passata, ai rapporti di causa ed effetto. Ma poi piantiamola lì. Noi siamo altro. Noi ci siamo troppo identificati con i ruoli che svolgiamo.
Domandiamoci sempre: “Ma, al di là dei ruoli psicologici, familiari e sociali, chi sono io? Qual è il nucleo imperturbabile che giace al fondo di queste acque perennemente agitate? Quello sono io.”

lunedì 7 maggio 2018

Il gioco complesso della vita


Se attribuiamo a Dio l’origine delle nostre azioni, finiamo in domande senza risposta. Perché è morto uno e l’altro no? Perché ci sono bambini malati e condannati ad atroci sofferenze fin dalla nascita? Perché quella malattia? Perché alcuni  sono felici ed altri no? Perché un individuo finisce tetraplegico? Perché ci sia ammala? Perché uno guarisce e l’altro muore? Perché questo, perché quello...?
Troppe domande insolubili, troppa ignoranza.
Dobbiamo ammettere che il mondo è abbandonato a se stesso e fare come se non ci fosse nessuna forza esteriore a guidarlo. Se ci fosse una legge esterna che governa il tutto, sarebbe responsabile di troppe ingiustizie e di troppe atrocità.
Se c’è una forza che governa il tutto, è semplicemente data da una meccanica interrelazione cosmica. Dovremmo dunque capire come funziona il gioco degli infiniti rapporti di causa ed effetto, un po’ come in un gigantesco tavolo da biliardo.
Ma, se ci è possibile capire e prevedere le conseguenze delle spinte e delle controspinte in un gioco con poche bocce, quando queste bocce diventano miliardi e miliardi di miliardi, nessuno è più in grado di prevedere niente. Ci vorrebbe una supermente o un supercomputer, e conoscere le condizioni di partenza. A quel punto potremmo prevedere tutte le conseguenze… fino a ciò che ci succede oggi.
Ma anche la nostra capacità di previsione dovrebbe entrare in gioco, perché essa cambierebbe molte traiettorie. E tutto si complicherebbe.
Comunque, in un ambiente limitato, e con poche bocce in gioco, la nostra capacità di conoscenza e di previsione finisce per cambiare alcune condizioni e per far prendere al nostro destino un’altra direzione. Dobbiamo però capire il gioco, prima astraendocene e poi intervenendo deliberatamente.
È quello che fanno gli intelligenti e i potenti di questa Terra. Compiono una mossa per avere determinati risultati. A volte li ottengono e altre volte no.
Il problema è che, mentre tutti credono di conoscere la legge dell’agire, comportandosi come novelli demiurghi o apprendisti stregoni, e rischiando di provocare danni irreparabili, pochi capiscono la legge del non-agire, del fare il vuoto interiore, del rafforzare se stessi, della propiziazione.

domenica 6 maggio 2018

Pregare inutilmente


A Trento, mentre una madre pakistana si riunisce a un gruppo di preghiera e prega Dio, la figlia di un anno e mezzo cade dal balcone e muore.
Ascoltata da Dio? No.
Pregare così, pregare un idolo esterno, non serve a niente. Non c’è un Dio del genere.
Se invece avesse capito fin dall’inizio che Dio è il tutto che è presente anche in ognuno di noi, avrebbe sviluppato una qualità di attenzione che le sarebbe stata utile per vegliare su di sé e sulla figlioletta.
Siamo coerenti, siamo conseguenti. Se pregare quel Dio non serve a niente, vuol dire che quel Dio non esiste, è un’idea sbagliata della nostra mente.
Proviamo dunque a potenziare la nostra stessa sensibilità con ciò che noi chiamiamo “meditazione,” il che significa immedesimarsi nel nostro stesso stato divino, nel Sé. Devi mobilitare le tue forze, non pregare supplice un Altro.

La radice delle divisioni


Credere in Dio, in un Dio esterno, perpetua la divisione, il dualismo: qui c’è colui che crede e là c’è il Dio-Demonio.
Le parole Dio e Demonio nascono dalla stessa radice dev che significa “due.” Finché c’è il due c’è la divisione. E non c’è Dio. Perché Dio è il tutto, non una parte.
Come dice la Brhadaranyaka Upanisad, “colui che venera una divinità considerando che essa sia altra da sé e pensando: ‘Altri è dio e altri sono io,’ costui non sa.”
Il nostro mondo si basa su questa frattura, con il risultato che è diviso dal divino ed è diviso in sé. Inutili allora sono le chiese e le religioni che perpetuano tale divisione e impediscono l’unione.
Tu sei il tutto, il divino è in te. Non si tratta di un enunciato teorico. Devi e puoi sentire il dio in te, ed esserlo.
Fallo come un esercizio. Dapprima sarà difficile perché il rumore e il coinvolgimento nel mondo e nell’io separato creano ostacoli enormi. Ma un po’ per volta puoi imparare a percepire di essere il tutto che gioca a sentirsi separato.
Sono le nostre stesse concezioni e credenze erronee che ci impediscono di essere liberi.

sabato 5 maggio 2018

L'intuizione


Il Sé non va pensato, ma sentito, intuito. Se lo pensi, gli applicherai tutte le categorie limitanti, dualistiche, fuorvianti e condizionanti della mente logica.
Il fatto è che il Sé non è ciò che può essere pensato come un oggetto, perché è sempre il soggetto consapevole e testimoniante. Non è una parte di noi, ma ciò di cui siamo parte.
Noi non possiamo essere ciò che pensiamo. Noi siamo ciò da cui emergono i pensieri. L’io personale è un’illusione creata dalla mente. Quando esso scompare, compare la realtà.
Non sono io che vivo. È la vita che vive in me.

La perfezione


Chi crede in Dio, lo immagina il Signore dell’universo, la forza più potente, definita “perfettissima.” Ma, guardando bene, si notano gli errori e le cose inutili o addirittura sbagliate. Nel corso dell’evoluzione, per esempio, molte forme di vita sono state sbagliate e si sono estinte. Colpisce anche la ferocia del tutto e l’indifferenza per la sorte degli individui. Si va avanti a forza di tentativi e di errori.
Il cosmo, insomma, non è una creazione perfetta. Tutt’altro: è molto imperfetta. Quindi, o Dio è esso stesso imperfetto e per nulla affatto onnipotente o l’universo è stata creato da una specie sotto-dio, un pasticcione.
Esiste un’altra possibilità: che il tutto si sia creato da sé, in qualche modo, tra mille errori.
Sì, abbiamo mitizzato Dio. Non è quello che credevamo. Ce lo dice la sua presunta creazione.

venerdì 4 maggio 2018

I due uccelli


Nelle Upanisad si parla di due “begli uccelli” che vivono sullo stesso albero: mentre l’uno si ciba dei dolci frutti dell’albero, l’altro, senza mangiare, abbraccia tutto con lo sguardo. Così l’ego e il Sé dimorano nello stesso corpo. Il primo si nutre dei frutti, dolci e amari, della vita in cui è coinvolto; il secondo contempla distaccato.
Anche Gesù nell’episodio delle due sorelle, Marta e Maria, dice che “la parte migliore” è il distacco silenzioso e contemplativo, la consapevolezza, la pura testimonianza, il non-coinvolgimento.
Ma si tratta di due condizioni di cui non possiamo fare a meno. Quello che si consiglia è ritornare periodicamente alla contemplazione dell’essere in sé, anziché vivere sempre dispersi nelle mille attività della vita.

La noia e la vitalità


Dimenticati chi sei, il personaggio che credi d’essere, la maschera che indossi abitualmente, i ruoli che impersoni nella società. Le cose non devono accadere così come te le aspetti o le vuoi.
Le cose devono stupirti. E anche tu stesso.
Solo in questo caso, ti senti vivo. La meraviglia, lo stupore ti dicono quanto sei vivo. Questo è il metro per giudicare se la tua vita è realizzata.

mercoledì 2 maggio 2018

La dimensione del Sè superiore


Di solito noi siamo così completamente identificati con il nostro io (“io sono questa persona”) che, quando ci arrivano dei guai o quando soffriamo, non siamo in grado di uscirne. Niente dentro di noi può aiutarci: dobbiamo aspettare che cambi la situazione o che qualcuno ci aiuti dall’esterno.
Ma c’è un'altra via per uscirne. Scoprire che la persona che crediamo di essere è frutto di condizionamento e non è esattamente ciò che noi siamo. C’è un’altra identità che può salvarci.
Dobbiamo renderci conto che ci siamo identificati con una specie di attore, con una maschera o con un ruolo e che, al di là, o più in fondo, c’è un’identità più grande – il Sé – che ne è testimone. Se infatti ci si affaccia questo pensiero, dobbiamo ammettere che “qualcuno” ne è consapevole. E chi può essere? Non l’io che soffre, non la persona che subisce, ma colui che è in grado di esserne testimone.
Ecco il punto. Dis-identifichiamoci dalla persona (parola che in latino significa “maschera”) che crediamo di essere e immedesimiamoci nel Sé che ne è testimone.
Non è facile, e non è sempre possibile farlo o farlo a lungo, perché siamo continuamente immersi nelle azioni, nei pensieri, nelle sensazioni e nel frastuono dell’io e del mondo. Ma, una volta compiuta questa operazione di spostamento di identità (dall’ego al Sé), entriamo in un’altra dimensione di pace e di calma.
Facciamolo spesso, stabilizziamoci nell’essere, trascendiamo il piccolo ego, scopriamo quest’altro mondo di cui ci parlano la mistica e la spiritualità. Impersonare il Sé è impersonare la Forza universale da cui tutto deriva.

I nostri demoni


Quando siamo dominati da ira, gelosia, brama di potere, odio o invidia, ci è facile riconoscere che gli uomini hanno creato i propri demoni.
E, allora, perché non fare un altro passettino e ammettere che hanno creato anche i propri dei?

Brama di potere


Gli uomini sono così presuntuosi e hanno un’idea così meschina del divino che credono che Dio si sia preoccupato di istituire una religione inviando profeti e ispirando libri sacri. Una ridicolaggine.
La verità è che le religioni sono state costruite dagli uomini per dominare altri uomini “in nome di Dio”. In tal senso sono strumenti di potere.
Sotto le presunte forze divine si agitano forze e interessi umani. Infatti chi ha un potere o un’autorità non può in alcun modo giustificarlo. E allora tira fuori l’investitura divina. Altrimenti, in nome di che cosa un uomo dominerebbe altri uomini?
Chi comanda non può ammettere che ha il potere perché se ne è impadronito o per volontà umana (nelle democrazie) o per prepotenza e violenza. E così non esiste dittatore che, magari non credendo in nulla, non si appoggi alla religione.

martedì 1 maggio 2018

I grandi problemi


A volte i grandi problemi sono solo il nome che diamo alle grandi opportunità. Perché è certo che o soccombiamo o andiamo avanti. In entrambi i casi niente resta fermo e tutto ci fa imparare qualcosa.
Per chi ha una mente indagatrice, i problemi, le difficoltà e gli ostacoli sono fattori di apprendimento. In tal senso, niente è inutile, tutto insegna.
Mettiamola così quando le cose ci vanno molto male. Almeno, sono lezioni della vita. Gratis.

Parliamo di felicità


Parlare di felicità in questi tempi di crisi sociale, politica ed economica è davvero difficile; ci possiamo al massimo riferire a “momenti” di felicità, soprattutto a livello individuale e a proposito di singoli eventi. Possiamo insomma trovarla più che altro nella vita privata.
Il mondo è sempre caotico, violento e ingiusto. Ognuno è contro tutti e lavora soprattutto per sé. Anche in politica, tutti hanno in bocca “il bene comune”, ma poi lavorano per il proprio interesse personale. “Io… io… io…”.
Il problema è che il mondo e la società sono sempre un insieme di relazioni. Quindi, per curare se stessi, bisogna curarsi almeno di un nucleo minimo di relazioni. Anche l’io è in relazione con se stesso. Avere coscienza significa proprio questo.
Curare sé è inevitabilmente curare il mondo e curare il mondo è curare sé. Ognuno deve lavorare prima di tutto su se stesso, occuparsi di quella relazione basilare che ha in se stesso. Già così potrà introdurre nella società un elemento di pacificazione e far qualcosa per il rasserenamento generale.
In conclusione, non bisogna perdersi né nella socialità indistinta né nell’intimismo morboso, ma la cura di sé resta un fattore imprescindibile.