venerdì 30 novembre 2012

Gioventù bruciata



Una volta per "gioventù bruciata" si intendevano quei giovani che si davano all'alcool, al sesso promiscuo e alla droga. Erano bruciati nel senso che si bruciavano da soli. Ma oggi vengono bruciati. Da chi? Dai politici cialtroni e ladri che hanno pensato solo a se stessi, dall'economia che, per tenere bassi i costi del lavoro, sta immiserendo interi popoli, da una scuola che non sa quali valori insegnare, da una religione che è fallita da almeno duemila anni e da una famiglia in cui tutti si ignorano e nessuno sa più che cosa sia l'attenzione per l'altro. Allora, propongo a questi giovani smarriti e in apparenza senza futuro di lasciar perdere valori e fedi e di puntare solo sul loro sviluppo personale... inteso come arte di vivere, come capacità di valorizzare se stessi e come sfida a un nemico potente e insidioso che si chiama "conformismo". Devono pensare proprio in termini di "nemico".
Se uno tentasse di ucciderti, tu che cosa faresti? Reagiresti, immagino. Ebbene, fa' conto che ci sia un nemico che tenta di ammazzarti: chiamalo "società dei conformisti", degli uomini addormentati, degli sfruttatori, degli uomini di potere, dei ricchi, dei venditori di sogni fasulli, dei mediatori religiosi, dei commercialisti dell'anima... Sono loro che tentano di fare di te un automa ubbidiente, un cagnolino da salotto, un individuo imbalsamato e disperato la cui unica fuga sta nella droga, nel lavoro, nella famiglia o nell'incoscienza. Tu difenditi, lotta contro tutti - e sii te stesso. La tua battaglia sia questa: essere te stesso contro chi vuole farti schiavo. Sarà la tua miglior vendetta contro chi vuole annullarti.

giovedì 29 novembre 2012

Essere consapevoli

Quando parliamo di sviluppo della consapevolezza, non ci riferiamo soltanto a qualche esercizio di meditazione, come quello di seguire il respiro. La consapevolezza va applicata all'intera vita personale e sociale. La consapevolezza va esercitata anche a livello politico. Quando non si è consapevoli, quando si delega, quando non ci si interessa, quando si dorme... ecco che saltano fuori mille diavoli. E siamo noi, siamo sempre noi i creatori del nostro destino. Rendetevene conto, e siate vigili.

Satana


Apprendo che a Milano è in aumento la richiesta di esorcisti. E non mi meraviglio, visti i tempi. Ma le gente si sbaglia: la causa dei suoi problemi non è il Diavolo - è Monti. E, prima ancora di Monti, è stato un tizio che ha governato questo paese per diciotto anni. E, purtroppo, questo tizio è stato eletto da milioni di cittadini, molti dei quali oggi chiamano l'esorcista. Lascino perdere: piuttosto, si chiedano perché hanno dormito per diciotto anni. Perché non si sono accorti di niente? Eppure, giorno dopo giorno, questo tizio ha devastato il paese.
Ora si svegliano. Ma si rendano conto che il loro sonno, il sonno della ragione, ha creato questi mostri.
Anche Satana è un prodotto nostro, è un prodotto della nostra mancanza di consapevolezza. Non si sfugge a questa legge: quando non si è consapevoli, si sta creando un Demonio. Poi, alla fine, questo si concretizza... e fa male.

martedì 27 novembre 2012

Esperienze di confine


Sentiamo spesso raccontare di persone che si sono trovate in coma e che hanno avuto esperienze straordinarie: di solito la visione di un tunnel che porta a una grande luce, oppure la comparsa di persone care o di figure religiose cui si è particolarmente legati. Di solito si tratta di esperienze estatiche: ci si trova al di fuori del corpo, si provano sensazioni di amore e si pace, si odono musiche celestiali, ecc. A dir la verità, qualcuno riferisce anche di esperienze spaventose, di tipo infernale. Insomma, paradiso e inferno vanno a braccetto, come al solito. E, sempre per dirla tutta, se il paradiso era così bello, non si capisce perché quelle persone siano tornate indietro. Che l'eternità annoi dopo pochi minuti? Oppure si tratta di esperienze dell'inconscio?
Comunque, quello che vorrei sottolineare è la presenza delle figure religiose, che guarda caso appartengono alla propria tradizione; per esempio, il cristiano vede apparire Gesù o qualche santo e il buddhista vede apparire le divinità della propria religione. Questo mi fa sospettare che ciò che si vede in simili esperienze NDE (near death experiences) sia ancora un prodotto della mente, anche perché, se qualcuno le racconta, vuol dire che non è veramente morto; ci è andato vicino, ma è ancora vivo.
Non vorrei però mettermi a sottilizzare. Può anche darsi che siano assaggi dell'aldilà, ossia di un'altra dimensione. Morti o non morti, in fondo, l'universo, in tutte le sue dimensioni, non è che un prodotto della mente. Anche la mente è fatta di quella stessa sostanza di cui è fatto tutto. E un pensiero o un sogno sono "reali" come un sasso. Infatti, il nostro modo di pensare è coerente con il nostro modo di fare esperienza, e viceversa. Siamo tutti fatti della stessa sostanza, che però vibra a livelli differenti, dal più grossolano (il nostro mondo con la materia) al più “sottile” (la mente, la coscienza, lo spirito e chissà che altro). Atomi, molecole, particelle sub-atomiche, pianeti, stelle e galassie sono tutte costruite con questa sostanza – che compone anche la nostra mente e che probabilmente compone anche gli altri mondi.
Dunque, noi in un certo senso siamo ciò che pensiamo. Quando dalla dimensione grossolana, materiale, della vita, passiamo a quella più sottile resta il puro contenuto delle nostre menti, e quindi tutto ciò che abbiamo pensato e appreso. In tal senso, anche il nostro “aldilà” è forgiato dai nostri pensieri. Stiamo dunque attenti a ciò in cui crediamo, al paradiso o all'inferno in cui crediamo, al Dio o al Diavolo in cui crediamo, perché rischiamo di ritrovarceli di fronte, come proiezione della nostra stessa mente.
Ognuno in sostanza ha il proprio aldilà... ha l'aldilà che si merita, così come ha l'aldiqua che si merita. Ecco perché è così importante curare la propria mente, e cercare di vedere tutto con un certo distacco, utilizzando un'attenzione il più possibile limpida, equilibrata e decondizionata. Controlliamo i contenuti della nostra coscienza, anche se si tratta di semplici pensieri o immaginazioni. Cerchiamo di esserne consapevoli e di prenderne le distanze. Un giorno potremmo scoprire che le nostre fantasie sono diventate realtà.
Se la nostra interiorità è troppo piena di odi e di passioni, di recriminazioni e di sensi di colpa, di paure e di violenze, un giorno potremmo trovarci a disagio. Insomma, purifichiamoci, depuriamoci, calmiamo i nostri spiriti bollenti (mai espressione fu più appropriata), facciamo diminuire la febbre della malattia che ci affligge.
Questo non è un invito a compensare i pensieri negativi con pensieri positivi, ma ad evadere da un simile dualismo. Se cerchiamo una felicità maggiore, troveremo anche una sofferenza maggiore. Usciamo perciò da questo puerile gioco a dividerci in due.
Abbassiamo i toni (altra espressione indovinata), raffreddiamo la mente, siamo più distaccati e imparziali. E guardiamo le passioni umane per ciò che sono: malattie di crescita.

sabato 24 novembre 2012

Le due meditazioni di base


La meditazione di quiete (shamatha) può essere eseguita quando si è calmi e piuttosto immobili: ci si può concentrare su qualche funzione del corpo, sul proprio respiro o sul proprio benessere momentaneo allo scopo di essere sempre più calmi e lucidi. La calma porta inevitabilmente ad una visione chiara e distaccata, ad una sorta di saggezza; ossia si vedono le cose e noi stessi con distacco, profondità e benevolenza. Tutto appare più sereno, più netto e più semplice. Si parla quindi di attenzione nuda o pura. Se si guarda il mondo, si vede chiaramente che tutte le cose sono impermanenti, transitorie, un misto di gioia e di dolori e che sono anche correlate le une alle altre, cosicché nessuna di esse può esistere da sola. In tal senso si dice che non hanno un sé.
Ma non si può essere sempre tranquilli, in pace e rilassati. Una volta che ci alziamo dal cuscino, la vita ci incalza. I pensieri si moltiplicano, i sentimenti e le emozioni diventano frenetiche, le sensazioni si alternano di continuo. In questi periodi si può passare alla consapevolezza di consapevolezza (vipassana), che è un po' come camminare nel buio: dovete tenere gli occhi e le orecchie aperti, dovete tenere tutti i sensi all'erta, dovete tenere tutti i muscoli pronti, dovete tenere l'intera mente concentrata e vigile, attenta a ogni particolare. È un tipo di meditazione che può essere eseguito in ogni momento della giornata, durante qualsiasi attività, che siate calmi o agitati. Se siete preoccupati, irritati, nervosi, annoiati, ansiosi, sono eccitato, sono smanioso, ecc., allora spostate l'attenzione su questi stati mentali: sono preoccupato, sono irritato, sono nervoso, sono annoiato, sono ansioso, sono smanioso, ecc. Questa forma di meditazione vi aiuterà a conoscervi meglio e vi terrà in uno stato di vigilanza che vi condurrà ad una visione più chiara delle cose.
Le tecniche di sviluppo mentale servono proprio a questo: a rendervi più sensibili e intelligenti, a vivere meglio, a vedere tutto con chiarezza.

venerdì 23 novembre 2012

Panta rei


Tutto cambia - cambia il mondo, cambia ognuno di noi... momento per momento. Questa è l'unica legge chiara. Siamo immersi in un divenire che non ci lascia mai stare fermi. Sì, ci sono periodi o fasi in cui le cose sembrano essersi stabilizzate. Ma non è che un'illusione, una tregua... prima o poi anche quella fase passerà. Panta rei: tutto scorre. Tuttavia cambiare significa passare da una crisi all'altra, da una trasformazione all'altra, talvolta in meglio, talvolta in peggio. Anzi, la sensazione di distruzione, di perdita, di spaesamento, è in un primo momento inevitabile.
Prendiamo questo periodo politico e sociale. Siamo in crisi. Il paese si è bloccato. Anziché andare avanti, come ci eravamo abituati, andiamo indietro. E noi siamo presi dalla paura. Crisi significa cambiamento, ma i cambiamenti spaventano, perché  molti si risolvono in peggioramenti.
Anche le nostre esistenze individuali passano da un cambiamento all'altro - e da una crisi all'altra. Nascere è il primo mutamento, poi crescere, poi uscire dall'infanzia ed entrare nella giovinezza, quindi approdare alla maturità e infine arrivare all'età grigia della vecchiaia. E ogni volta dobbiamo adattarci, nel bene o nel male. Perché non c'è alternativa. Siamo immersi in un fiume che comunque ci trascina nella sua corsa. Nessuno può fermarsi. Nessuno può dire: fermate il mondo e lasciatemi scendere!
L'aspetto che più spaventa è che la vita non va verso un'apoteosi di benessere, ma va verso il suo disfacimento. La vecchiaia è esattamente questo. Tutto si deteriora, tutto esaurisce, sia fisicamente sia mentalmente. Sembra dunque che l'esistenza nasca all'insegna del peggioramento, che sia soltanto un'illusione che finisce male. Un inganno? Una cosa inutile?
Però, possiamo notare che, mentre tutto cambia, alcune cose rimangono fisse. La curva della vita non è linea inclinata verso il basso. Ma è una sinusoide, una curva che prima sale fino al suo massimo splendore e poi scende inesorabilmente. Dunque, è un ciclo. E, all'interno di questo ciclo, esistono altri cicli. Si tratta di un andamento che si ripete costante, che sembra eterno. E che riguarda non solo le esistenze individuali, ma anche il mondo, le stelle e l'intero universo. Nascita, crescita, decrescita. Nascita, sviluppo, morte.
È questo le scenario che si presenta ai nostri occhi: ogni cosa cambia di continuo, ma all'interno di cicli. Ecco il punto cui volevo arrivare: niente ci prova che l'andamento ciclico sia finito. Anzi tutto ci mostra che, finito il ciclo, ne incomincia un altro. E, dunque, la morte non è mai l'ultima parola. La morte è solo la fine di un ciclo... con l'inevitabile inizio di un altro ciclo. Allora, tutto quello che abbiamo vissuto, tutto quello che abbiamo fatto, nel bene e nel male, acquista un senso e ci permette di passare al nuovo cambiamento portandoci dietro il nostro valore aggiunto... se l'avremo aggiunto.

Il Dio dei favoritismi


Qualcuno potrebbe sostenere che anche il buddhismo crede in una qualche forma di Divinità, dal momento che crede in una Legge suprema (il Dharma) che regola il mondo. Però si noti la differenza: non c'è un Dio che l'abbia creata, non c'è un Dio che intervenga nell'universo per proteggere od ostacolare, non c'è un Dio che faccia miracoli per questo o per quello. Il Dharma è una legge imparziale, obiettiva, come una legge fisica, come la legge di gravità. Ed è una legge retributiva: ad ogni azione corrisponde una conseguenza. Se fai male, pagherai questo male, nella vita attuale o in un'altra vita . Se fai bene, otterrai dei vantaggi, oggi o domani. Quindi ognuno è artefice di se stesso, ognuno ha il destino che si merita. E nessuno può cambiare questa Legge.
Invece, chi crede in Dio-Persona crede in un Potere che può intervenire a suo piacimento a cambiare le cose, magari con un miracolo, a suo insindacabile giudizio. "Io sono il Padrone e faccio quel che mi pare!" Si prenda il caso di Giobbe, perseguitato ingiustamente, senza una ragione, da un Signore intemperante e capriccioso, un po' come un satrapo orientale.
Anche Gesù, equiparato dai suoi credenti al "Figlio di Dio" e dunque a Dio, fa i suoi miracoli per favorire qualcuno, o perché lo conosce personalmente o perché è un amico o un parente di qualcun altro. Lazzaro, per esempio, era il fratello di Marta e Maria, amiche e seguaci di Gesù. E una donna guarita era la suocera di Pietro. Questo vi ricorda qualcosa?
Sì, la nostra società cattolica - la società dei favori, dei privilegi, dei raccomandati, di quelli che conoscono le persone giuste, di quelli che sono parenti o amici di qualcuno che conta, ecc.
Insomma, come uno è, così è il suo Dio - e, viceversa, il Dio in cui crediamo forgia la nostra società. Se dunque c'è tanta ingiustizia e arbitrarietà, se non c'è imparzialità, sapete da dove viene questa forma mentis.

mercoledì 21 novembre 2012

Orrori cattolici


Dopo gli orrori ebraico-musulmani, ecco gli orrori cattolici.
Ci risiamo con i preti pedofili. Ma quanti ce ne sono? Pare proprio che i pedofili sentano un irresitibile impulso a farsi preti, forse perché il loro ambiente di lavoro favorisce il contatto con le giovani vittime. Oggi si apprende che il cappellano del carcere di San Vittore a Milano è stato arrestato perché accusato da sei detenuti stranieri di aver richiesto prestazioni sessuali in cambio di condizioni di favore all'interno della prigione. Ora, senza fare del moralismo, ciò che colpisce in queste vicende è la doppia vita e la doppia personalità di questi sacerdoti, che da una parte fanno bei discorsi sulla necessità di aiutare e "salvare" gli individui e dall'altra li sfruttano sessualmente. Evidentemente, l'educazione cattolica nei seminari crea una scissione nella personalità di questi soggetti. Da una parte le esigenze ideali di una professione-missione e dall'altra l'incoercibile pulsione sessuale. Ma la verità è che non basta reprimere la sessualità per farla scomparire: lo sanno tutti. Anzi, la repressione le fa imboccare vie deviate e in più crea quel tipico comportamento dei preti cattolici che con vocette in falsetto, lunghe gonne e frasi preconfezionate vorrebbero salvare gli altri senza riuscire a capire niente di se stessi e senza poter dar sfogo alle proprie esigenze naturali. Un'educazione profondamente sbagliata, che non tiene conto della più elementare psicologia. Oltretutto, questi preti non si limitano a fare soltanto sesso (che è un diritto inalienabile dell'essere umani), ma fanno anche un sesso ricattatorio, ossia sfruttano il loro piccolo o grande potere per violentare giovani vittime. Sono doppiamente perversi. Non sono quelli di cui Gesù diceva che avrebbero fatto meglio a legarsi una macina al collo e buttarsi a mare? Come mai non si ricordano nemmeno del Vangelo? Un bell'esempio di moralità! La Curia esprime come al solito "sconcerto e stupore"... poveretta, cade sempre dal pero, non conosce i suoi sacerdoti. Ma non dovrebbe esercitare un'azione di controllo?
E pensare che ci sono famiglie che credono ancora che l'educazione cattolica sia la più morale e pagano fior di rette per mandare i loro figli nelle scuole dei preti e delle suore. Di recente proprio una suora è stata accusata di aver violentato una bambina.
Ma la galleria degli orrori cattolici non finisce qui. Sentite questa notizia presa da Repubblica.it e riferita da Michela Marzano: "Savita è morta di setticemia all'University Hospital di Galway, in Irlanda. Era una dentista trentunenne di origine indiana, incinta di quattro mesi. E questo bambino lo voleva veramente. Solo che, durante la gravidanza, qualcosa è andato storto. E quando la donna si è presentata in ospedale dichiarando di soffrire di dolori lancinanti, i medici, nonostante le evidenti complicazioni, hanno rifiutato di praticare un aborto terapeutico. 'Finché si sente il battito cardiaco del feto, non possiamo far niente. L'Irlanda è un Paese cattolico', le hanno risposto in ospedale. Costringendo Savita ad aspettare e a soffrire in silenzio. Fino a quando il cuore del feto ha smesso di battere. Anche se, per la madre, era ormai troppo tardi."
Che dire? Che il fanatismo religioso e il dogmatismo distruggono la ragione umana.

martedì 20 novembre 2012

"Ascolta, Israele..."


Conoscete una religione che non metta tra i suoi comandamenti "non ammazzare"? Tutte lo dicono e lo ripetono. Ma... ci sono le eccezioni. Molti paesi hanno la pena di morte e molti altri eliminano regolarmente quella parte dei loro cittadini che appare riottosa e ribelle - vedi la Cina, la Siria e compagnia bella. Però ce ne è uno che si sente in diritto di uccidere chi vuole anche al di fuori dei propri confini. E si chiama Israele: sì, la culla delle tre maggiori religioni monoteiste, quelle che hanno influenzato gli uomini. Ciò che colpisce in questo paese, che pure è nato in ultimo da un genocidio della propria gente, è l'indifferenza verso le vite altrui - e in particolare dei palestinesi. Ogni tanto Israele ammazza qualche palestinese, dichiarando che era un terrorista. E noi dobbiamo credergli - e poco importa se, per ammazzare questo terrorista, vengono uccisi anche innocenti. A Israele non interessa. Chi c'è c'è. E tutti gli altri Stati stanno a guardare, magari protestano formalmente, ma non fanno niente. Così Israele continua ad ammazzare chi vuole. Proprio in questi giorni sta ammazzando centinaia di palestinesi, di cui la metà donne e bambini.
Che dire? Come minimo che esiste una doppia morale: quella privata per cui ammazzare è un delitto e quella degli Stati per cui uccidere non è un crimine, ma quasi un dovere. Lo vediamo continuamente: anche le democrazie occidentali e cristiane, quando si tratta di uccidere qualche nemico, non sono seconde a nessuno. Sappiamo che Israele è minacciata di sterminio. Ed ha diritto di difendersi. Però, dovrebbe anche andarsene dai territori occupati, secondo quanto stabilito dall'accordo di Oslo. E poi perché questo ammazzare all'ingrosso, senza distinguere tra una persona e un'altra, tra un adulto e un bambino? Perché non dire mai una parola di scusa o di rimorso? Forse perché il loro Dio ordina nella Bibbia di uccidere uomini, donne, bambini e perfino animali dei nemici di Israele? "Così Giosuè non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, Dio di Israele" (Gs 10, 40). Occhio per occhio, dente per dente? Tuttavia i conti non tornano. Per un israeliano ucciso ci sono dieci o cento palestinesi. Nemmeno i nazisti avevano una simile sproporzione. Che si sia attivata una specie di sindrome di Stoccolma, per cui le vittime diventano a loro volta carnefici?
"Ascolta, Israele": questa non è una guerra - è un massacro.
Schiacciati dagli opposti fanatismi religiosi, gli israeliani e i palestinesi moderati, laici, di buon senso e amanti della tranquilla convivenza, sono costretti a vivere nel terrore.
Insomma a che cosa servono le religioni? Sono sicuro che molti di questi generali e di questi aviatori che massacrano gli altri esseri umani non hanno nessuna crisi di coscienza e che magari tutte le sere pregano il loro Dio. Ripeto: a che cosa servono le religioni? A scannarsi meglio? Non è evidente che sono tutte fallite nel loro compito di migliorare gli uomini? Oggi, dichiararsi ebrei, cristiani o musulmani è come dichiararsi interisti o laziali - un'appartenenza e basta. Ma, quando si tratta di applicare i principi religiosi di quelle religioni ai comportamenti privati e più ancora a quelli pubblici, l'etica religiosa scompare, come se si trattasse di una semplice mano di vernice stesa su una natura belluina che non è emendabile.

lunedì 19 novembre 2012

Energia cosmica


Pensate a come siamo ottusi noi esseri umani. Per secoli abbiamo contrapposto nettamente spirito a materia, per secoli abbiamo adottato una logica dualistica che permette ogni tipo di separazione. Un grande filosofo razionalista come Cartesio ("cogito ergo sum") era convinto, ancora poco tempo fa, che gli animali non fossero che macchine, come del resto tutta la natura: chi non "cogitava", chi non pensava, era una essere inferiore. Così si sono potuto discriminare le donne, a cui si è attribuita un'anima dopo averci a a lungo riflettuto; e così si è ritenuto che certi popoli, poco "cogitanti", potessero essere fatti schiavi - erano macchine anche loro. E, poi, da pochi decenni, si è scoperto che la materia, come la intendiamo noi, non esiste... perché tutto è energia. Ma che cos'è l'energia? Non è certo qualcosa di tangibile e di visibile: chi vede i fotoni, chi vede le innumerevoli particelle? Solo le macchine, non noi. Noi ne vediamo gli effetti.
Infine si è scoperto che anche le macchine sono fatte dei nostri stessi elementi e che, quando le usiamo per osservare la "materia", in realtà la influenziamo e la cambiamo. Dunque, tutto è energia, ma un'energia che contiene in sé anche la possibilità di interazione, di informazione e di coscienza. Insomma, non solo la materia non esiste, ma tutto è... spirito, quello che una volta si chiamava spirito e che ora si chiama con altri nomi. È la stessa cosa: tutto è un prodotto immateriale, evanescente, imprendibile, misterioso, infinito.
Qual è la conclusione? Che non possiamo affermare impunemente che ci sia qualcosa che non sia spirito: tutto è spirituale, tutto è la manifestazione di un'unica energia, tutto ha un principio di intelligenza. Anche una piante, anche un sasso, anche un elettrone. Figuriamoci se adesso possiamo dire che gli animali non hanno un'anima! Non solo: tutto è unito, tutto è in comunicazione, tutto è fatto della stessa sostanza, tutto è Uno.
A questo punto, quanto è vecchia quella vecchia idea che Dio stia in cielo, in qualche posto separato. Dio è dappertutto, in ogni cosa e in ogni essere. E noi stiamo ancora a parlare di "amore verso il prossimo". Ma il prossimo siamo noi! A forza di credere nelle vecchie idee religiose e fisiche, abbiamo costruito un mondo di muri, dove tutti sono separati, divisi, contrapposti e in guerra. Ecco come le idee - cioè lo spirito - forgiano il cosmo in cui viviamo. Ed ecco come le idee - cioè lo spirito - possono di nuovo cambiare il mondo. Ma bisogna crederci, convincercene, illuminarci... insomma cambiare il paradigma mentale.

Relativismo papale


Ogni volta che accendo la radio la domenica mattina, sento la vocetta del Papa che ripete monotono le sue litanie, tra cui quella che tutto il male del mondo nasce dal "relativismo". A me sembra il contrario: gran parte del male nasce dal fatto che qualcuno crede "in modo assoluto" alla propria fede. Ne abbiamo in esempio un Terra Santa dove si scontrano le tre religioni assolutiste che devastano le menti umane, spingendole a farsi la guerra: ebraismo, cristianesimo e islam. Ognuna è convinta della propria verità assoluta e quindi vorrebbe distruggere le altre. "Il mio Dio è l'unico vero, il mio profeta è l'unico vero..." e i vostri sono falsi malvagi. E così si odiano tutti. Non c'è niente fare: le religioni monoteiste, con la loro fede assoluta, sono ciò che mina la convivenza umana.
Dunque, il Papa dice una sciocchezza, palesemente falsa. In compenso ha a sua disposizione tutti i mass media dello Stato italiano, il quale, come tutti sanno, non è uno Stato democratico, moderno, ma uno Stato confessionale. Ha un'unica cultura: quella cattolica. E lo si vede. È ai primi posti nella classifica della corruzione mondiale, proprio perché il cattolicesimo è una religione assolutista che non istilla nei suoi seguaci il senso civico, che vede nello Stato una gallina dalle uova d'oro, una gallina da sfruttare a suo piacimento. Così lo Stato (cioè tutti noi) sborsa milioni di euro per mantenere il Vaticano, i suoi preti e i suoi insegnanti di religione. Di recente, mentre la gente perde il lavoro e si tagliano i servizi ai cittadini, è stato riconfermato lo stanziamento a favore delle scuole "private" che al 90 per cento sono cattoliche. Nello stesso tempo si fa di tutto per non far pagare le tasse agli edifici commerciali di proprietà del Vaticano.
Come diceva Napoleone, ""io sono circondato da preti che ripetono incessantemente che il loro regno non è in questo mondo, eppure allungano le mani su tutto quello che possono prendere." Questa è la morale insegnata dall'assolutismo cattolico: e questi sono gli italiani, che sono figli di quella "cultura". Anche loro allungano le mani su tutto ciò che possono prendere. Tanto lo Stato non esiste, è qualcosa da depredare.

venerdì 16 novembre 2012

Belle parole


Tutti noi, fin da bambini, abbiamo dovuto imparare a impiegare bene le parole. Magari padroneggiamo due o più lingue. E, nella nostra civiltà, è evidente che chi manipola meglio le parole fa più strada. Basta accendere radio o televisione per ascoltare politici, giornalisti, professori, avvocati, sindacalisti, esperti d'arte, economisti e compagnia bella. Sono loro i modelli vincenti, sono loro che occupano i posti più alti della scala sociale. Sanno parlare bene, sanno esprimersi, sanno sviscerare problemi e sanno attirare l'attenzione delle masse che indirizzano in un senso o nell'altro.
Ma le parole, e i concetti che ne stanno alla base, sono strade già tracciate e persorse da altri - non sono una nostra creazione. Dunque, quando le usiamo, in realtà diventiamo dei ripetitori. Dove è finita, allora, la nostra autenticità? Le parole sono concetti standard, mezzi usurati, convenzioni, idee altrui, ed è difficile che diventino "nostre". Quando cerchiamo di esprimere qualcosa di autentico, qualcosa di profondamente sentito o pensato, che cosa facciamo? Rientriamo nei vecchi solchi delle parole e li seguiamo? Com'è possibile esprimere - e anche solo provare - qualcosa di assolutamente personale? Se ci poniamo il problema, scopriamo di essere terribilmente condizionati. Le parole servono ad esprimerci, ma sono anche troppo vecchie, troppo limitate. E ciò che dico o penso io non può che essere qualcosa di ripetitivo, di non personale. Siamo soltanto dei cloni? Siamo degli automi?
Ci crediamo persone uniche, ma utilizziamo pensieri e parole che sono luoghi comuni. Siamo sicuri di essere veri individui? Lo sapete che la parola persona significa "maschera"? E credete che i sentimenti che provate per chi amate siano davvero "vostri", o sono anch'essi produzioni in serie? Se si incomincia a ragionare così, si rischia di impazzire. Ma è una pazzia utile. È come se noi fossimo soltanto delle copie - è come se tutto ciò che pensiamo, sentiamo ed esprimiamo fosse la ripetizione di cose già pensate, provate ed espresse. Alla fine esistiamo veramente o siamo semplici maschere - maschere che sono vuote dentro, che non hanno nessuna sostanza? Altro che anima! Siamo come le formiche. Morti noi, ci sarà un'altra maschera, ci sarà un'altra formica, che ripeterà le stesse cose che abbiamo detto, provato e fatto noi.
Però, riusciamo ad avere questi pensieri e questi dubbi - cosa che le formiche non possono avere. E qui può incominciare il nostro riscatto, la nostra lenta risalita, il nostro risveglio. In che modo? Disimparando tutto ciò che ci è stato insegnato, decondizionandoci, smettendo per un po' di parlare e perfino di pensare. Se vogliamo essere noi stessi, se vogliamo diventare individui autentici, se vogliamo acquisire un'anima, dobbiamo tornare come bambini incapaci di parlare e di scrivere, dobbiamo dimenticare la nostra mente, che è stata così a lungo manipolata, che è il prodotto della società e della cultura.
Questo processo di depurazione o di decondizionamento è ciò che chiamiamo meditazione. Che quindi non può ricorrere né a parole né ai soliti concetti dualistici di bene-male, giusto-sbagliato, vero-falso, vita-morte, eccetera eccetera. Che cosa rimane a nostra disposizione? La nostra attenzione priva di concetti, la nostra consapevolezza nuda, la nostra esperienza diretta, senza filtri. Stare in silenzio, guardare il mondo con distacco, liberarci delle frasi fatte, fare il vuoto interiore... Quello che rimarrà, sarà un'ombra del sé che cerchiamo.

I cinque impedimenti... e gli altri


Il buddhismo classifica in cinque categorie gli impedimenti alla meditazione: il desiderio, l'avversione, il torpore, l'agitazione e il dubbio. E si tratta  di concetti intuitivi. Se, mentre meditiamo, proviamo un forte desiderio per qualcosa o un forte odio per qualcos'altro, è chiaro che la nostra concentrazione andrà a farsi benedire e che l'attenzione sarà sviata. Lo stesso succede con il torpore e l'agitazione. Quanto al dubbio, se incominciamo a chiederci che cosa stiamo lì a fare e se non sia tutto inutile, non potremo andare avanti. In tutti questi casi, la soluzione è spostare l'attenzione sul nuovo stato d'animo, in modo da indebolirlo e da farlo passar via. Non dobbiamo infatti dimenticare che si tratta comunque di stati d'animo o di pensieri transitori, che presto se ne andranno.
Ma esistono altri impedimenti che sono molto più subdoli, perché sono sostanziati di piacevolezza: la gioia, l'esultanza, la felicità, l'amore, la soddisfazione, l'orgoglio, ecc. Tutti questi stati d'animo non vengono percepiti come ostacoli. Ma in realtà lo sono. Lo sono perché anch'essi sono stai d'animo transitori, che possono abbandonarci da un momento all'altro lasciando magari il posto ai loro contrari. In effetti, nell'illustrazione dei quattro livelli (jhana) della meditazione, viene specificato che i primi sono sostanziati di gioia, ma l'ultimo, il più elevato, supera questo stato d'animo e assume il carattere del distacco e dell'equanimità, un atto di pura coscienza.
Lo scopo della meditazione non è cercare uno stato d'animo euforico, ma avere una mente sempre più chiara e capace di vedere senza condizionamenti sentimentali.

giovedì 15 novembre 2012

Guerra in Terra Santa


Sarà anche "Santa", ma quella Terra è sempre in guerra. Come mai? Non è per caso una dimostrazione che queste tre religioni - ebraismo, cristianesimo e islam, imparentate fra loro - hanno appestato il mondo con le loro idee sbagliate? Prendetene coscienza e lasciatele perdere. Ci guadagnerà la pace.
"Il male grande e innominabile che sta al centro della nostra cultura è il monoteismo. Da un barbarico testo dell'età del bronzo, noto come Vecchio Testamento, si sono evolute tre religioni antiumane (...). Coloro che che rifiutano [il loro Dio] devono essere convertiti o ammazzati, per il loro stesso bene. " R. Dawkins

mercoledì 14 novembre 2012

La consapevolezza del respiro


La consapevolezza del respiro è uno dei metodi più semplici e più seguiti nel campo della meditazione. Come esercizio, parte già dal Buddha stesso (e prima ancora dalla tradizione dello Yoga) ed è incredibile quanto sia tuttora valido. Consiste nel seguire con attenzione il respiro che entra ed esce, concentrandosi di solito sulla sensazione che l'aria produce nelle narici. Con questo metodo, si riporta la consapevolezza a qualcosa di reale e al momento presente, al qui e ora, interrompendo le solite elucubrazioni mentali, le fantasie e i pensieri. Basta un attimo, ed ecco che lo scenario è cambiato. Si esce dall'ambito della mente e si entra in quello della realtà. L'esercizio è consigliabile, per la sua semplicità e immediatezza, a chi incominci a meditare, e comunque non va abbandonato nemmeno da chi ha più esperienza.
Tuttavia non bisogna confondere il mezzo con il fine. Quando si indirizza l'attenzione al respiro si ottengono due scopi: si interrompono i pensieri e ci si riporta al presente. Ma il vero scopo è risvegliare la consapevolezza generale, è rendersi conto della condizione in cui ci si trova in quel momento e in ogni momento. È come dare un taglio netto, è come svegliarsi da un sogno, è come fare un riepilogo, è vedersi così come si è.
Essere consapevoli, essere sempre più consapevoli, è lo scopo ultimo della meditazione, anzi dell'essere umano. Comunque, ha poco senso insistere a lungo su questo esercizio, sperando di ottenere chissà quali risultati. Infatti, dopo qualche minuto, l'attenzione si disperde di nuovo. È invece preferibile ripetere l'operazione più volte al giorno. Lo si può fare in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Ed è ogni volta un metodo che serve a riportarci al presente, a schiarirci la mente e a farci ritrovare noi stessi.

martedì 13 novembre 2012

Non negare l'evidenza


Quando si leggono testi buddhisti, si ha l'impressione di un pensiero pessimista. Ma l'insistere sugli aspetti negativi dell'esistenza nasce da uno sforzo di superarli. Soltanto che il metodo è diverso da quello che seguiamo di solito. Noi neghiamo l'evidenza della sofferenza, ci ripetiamo che tutto va bene e cerchiamo di massimizzare il piacere - proprio per annegare la negatività. Invece il metodo buddhista non è basato sul trucco dell'evitamento e cerca innanzitutto di esaminare attentamente il problema, di sviscerare la questione, nella convinzione che solo se prendiamo coscienza della difficoltà e dei suoi meccanismi potremo uscirne... Va tutto bene, va tutto bene... ma se vi muore una persona cara, se perdete il lavoro o se vi ammalate, non va bene per niente, e la sofferenza è inevitabile. Per superare il problema, dobbiamo per prima cosa ammetterlo e guardarlo bene in faccia, non negarlo o cercare di annegarlo in qualche supplemento di piacere. Noi soffriamo, noi abbiamo a che fare con un aspetto negativo dell'esistenza. Non si tratta dunque di pessimismo, ma di realismo. Il metodo per uscire dalla sofferenza sta nello studiarla, nel cercarne le cause.
Meditare non significa scegliere solo le cose positive e costruirci un immaginario positivo (che cadrebbe rovinosamente alla prima difficoltà portandoci alla disperazione), ma significa portare l'attenzione su ogni cosa, bella o brutta che sia. Se soffriamo, ci conviene entrare profondamente nel dolore, e cercare di capirne le cause. Dobbiamo guardarlo da vicino, senza tentativi di addolcimento. Il vero metodo per superarlo è l'attenzione concentrata, non la rimozione. Vediamo troppe persone naufragare nell'alcool, nelle droghe, nel sesso, nel conformismo o nelle fedi religiose. Si spengono a poco a poco, si suicidano volontariamente... tutto pur di non guardare in faccia la realtà della sofferenza.

lunedì 12 novembre 2012

Costantino e la tolleranza


Si è aperta a Milano una mostra sull'imperatore Costantino, noto per aver aperto alla libertà di culto. Infatti, con l'editto del 313 d.C. stabilì di "concedere ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita." Fu senza dubbio un primo esempio di tolleranza religiosa. Ma come fu utilizzata questa libertà? Sappiamo tutti che i cristiani divennero del tutto intolleranti e si misero a perseguitare le altre religioni e a distruggere i templi pagani. Insomma, fine della tolleranza e inizio di una brutta storia che sfociò nell'Inquisizione, nelle crociate, nelle guerre tra cattolici e protestanti, negli scismi, nelle scomuniche, ecc. E non dimentichiamo che solo pochi decenni fa, nella "civilissima" Europa cristiana, furono varate "leggi razziali" contro gli ebrei e fu progettato il loro sterminio, nel totale silenzio della Chiesa. Non ci raccontiamo allora la storia che con il cristianesimo si inaugurò una nuova era di tolleranza religiosa. Fu tutto il contrario. L'idea di tolleranza fu mantenuta viva non dai religiosi, ma dai pensatori laici.
D'altronde, non esiste una sola religione teista che non abbia come corollario l'odio verso le altre concorrenti. Il mondo musulmano è lì a testimoniarlo. Ma che dire degli ebrei ortodossi o degli induisti? Tutte le religioni predicano l'amore e la pace, ma, a parte il buddhismo, seminano guerra.

venerdì 9 novembre 2012

Il senso della vita


Ogni tanto, nel corso dell'esistenza, smarriamo il senso della vita - magari c'è stata una perdita affettiva, magari c'è stato un cambiamento improvviso, magari ci ritroviamo soli, magari abbiamo perso il lavoro, magari dobbiamo vivere con chi non ci piace, magari non possiamo vivere con chi vorremmo, e così via. Allora ci sentiamo persi, inutili, vuoti, stanchi, senza prospettive per il futuro; si è spenta una luce e non sappiamo come riaccenderla.
Prima o poi, capita a tutti, perché l'esistenza è un cambiamento continuo, perché è un passare da una crisi all'altra, perché niente dura a lungo, perché stiamo invecchiando... Dov'è il nuovo senso, la nuova direzione? E dov'è finita la nostra voglia di vivere?
Il problema è che cerchiamo questo senso al di fuori di noi; e, se ci aspettiamo che le cose cambino grazie a circostanze esterne o ad altre persone, potremmo attendere a lungo. In fondo, la vita non ha un senso razionale - l'unico suo senso è il vivere stesso. E la direzione è sempre la stessa: quella della vita di tutti i giorni, quella degli anni che passano...
Il senso deve essere cercato dentro di noi. Noi abbiamo perso la strada (anche se non per colpa nostra), noi dobbiamo ritrovarla. Per ricominciare, bisogna ripartire dalle piccole cose: da una mattina di sole, da una nuova primavera, da un buon cibo, da una pianta che cresce, dalle parole di un amico o di un libro, ecc. Al di là dei grandi eventi, la felicità è sempre disponibile dentro di noi: è una questione di punti di vista, di saper guardare. Quando avremo sollecitato questo senso della felicità interiore, potremo affrontare anche i problemi esterni. Ma l'importante è riuscire a cambiare la prospettiva. Come diceva Ugo Ojetti, "la felicità è un modo di vedere".

mercoledì 7 novembre 2012

ll ciclo quotidiano della vita e della morte

Il buddhismo ci spinge ad uscire dal ciclo delle nascite e delle morti e ci fa immaginare un grandioso sistema di universi o di piani di realtà su cui possiamo transitare, avanzando o retrocedendo in base a come ci comportiamo. Questo può essere vero, ed è comunque una bella metafora. Ma, nel frattempo, noi ci dobbiamo occupare del quotidiano - ed anche qui scopriamo che ci sono continuamente momenti in cui ci sentiamo vivi e momenti in cui ci sentiamo morti, momenti in cui siamo pieni di energia e momenti in cui siamo pieni di sconforto, momenti di speranza e momenti di delusione, momenti di pace e momenti di guerra, momenti di attrazione e momenti di avversione, momenti di lucidità e momenti di confusione, momenti di vivacità e momenti di noia, eccetera eccetera; insomma l'esistenza è un continuo morire e rinascere, qui o chissà dove, un continuo alternarsi di piaceri e di sofferenze, di alti e di bassi. Questa è la vita - ci diciamo. Ed è vero: il nostro è un piano di cambiamenti e di contrasti costanti. Però è possibile trascendere il proprio limitato punto di vista, guardare le cose con distacco e raggiungere una visione più calma e più profonda delle cose. Questo non eliminerà i cambiamenti, ma ci darà la possibilità di dare ad essi una direzione, un senso e una coerenza che ci porteranno a migliorare la qualità della nostra vita.

Identikit degli esseri umani

Secondo la legge del karma, ognuno rinasce in un pianeta o in un piano di realtà adatto alle sue capacità e al suo grado di evoluzione. L'anima viene attirata nella terra e nella famiglia che le è più affine. Il comportamento tenuto e che terrà è ovviamente una conseguenza proprio del grado di evoluzione raggiunto. Orbene, quale sarà l'identikit delle anime che si incarneranno sul pianeta Terra? Gli esseri umani devono essere abbastanza intelligenti, ma non molto - appena al di sopra delle scimmie: quindi hanno un grado di evoluzione minimo. La loro mente è confusa ed è incapace di vedere la realtà così com'è; più che altro proietta sogni, fantasticherie, avversioni e preferenze. Inoltre è dominata da un dualismo insanabile: crede davvero che il bene si contrapponga al male; ed è al continuo inseguimento di desideri insaziabili. Inutile dire che gli esseri umani hanno una scarsa consapevolezza di ciò che sono e che, anzi, si credono esseri divini. E, infine, questa razza poco evoluta crede ancora in un Dio creatore, un Dio-Persona, che dispensi premi e punizioni e che mandi profeti e Messia come se fossero meteoriti. Insomma, si aspettano l'illuminazione dall'alto e non hanno ancora capito che ognuno deve cercarsela in se stesso.

domenica 4 novembre 2012

Il matrimonio religioso


Ma voi credete veramente che a Dio interessi qualcosa dei nostri meschini matrimoni? L'Assoluto, l'Incondizionato, l'Energia cosmica, la Totalità, l'Uno o come volete chiamarlo dovrebbe occuparsi se siamo sposati in una chiesa o in qualche altro posto? Cosa volete che gliene importi? Credete che abbia un registro dei matrimoni come un parroco? Credete che si perda in queste quisquilie? Vien da ridere. Suvvia, allarghiamo un po' la mente: non applichiamo la nostra meschinità all'Infinito. Se poi Dio fosse pure Amore, che se ne frega l'Amore dei nostri rituali?
Eppure quasi tutte le religioni cercano di contrassegnare la cerimonia del matrimonio (come d'altronde gli altri riti di passaggio). Perché? Perché così mettono il loro marchio sugli snodi importanti dell'esistenza. Altrimenti, come delimiterebbero il loro potere? Ma da qui a sostenere che il matrimonio è indissolubile ce ne corre.
Solo le religioni più persecutorie e dogmatiche puntano alla indissolubilità del matrimonio. Perché? Perché così ribadiscono meglio il loro potere. Perché così fanno sentire in colpa milioni di persone. Pensiamo infatti alle persecuzioni che nei secoli sono state condotte contro coloro che non erano sposati in chiesa - persecuzioni religiose, persecuzioni sociali. Il cattolicesimo in questo è un campione. La meschinità umana è stata applicata alla religione, e la religione è la grande creatrice del senso di colpa, con il quale si dominano le coscienze.
Oggi è tutto cambiato e la maggior parte delle persone convive liberamente e può divorziare. Ma il cattolico si sente ancora colpevole e la Chiesa fa di tutto per impedire di accorciare, per esempio, il tempo necessario ad ottenere il divorzio. Una pura vendetta. Questa pesante intromissione in Italia non è una novità. Eppure su che cosa si basa la presunta indissolubilità del matrimonio cattolico? Leggiamo che cosa dice Gesù: "Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra, commette adulterio" (Mt 19,9). Che cosa significa "se non in caso di concubinato"? Significa che, se si crea un legame con un altro partner, il matrimonio può essere sciolto.
Leggete dunque con la vostra testa, non con la testa dei preti, che vogliono tenervi sotto scacco. E, se proprio volete credere a un Dio, non consideratelo una specie di Papa.

sabato 3 novembre 2012

La civiltà della consapevolezza


Lo sviluppo della nuova spiritualità (e in realtà della civiltà umana) non può che essere legato allo sviluppo della consapevolezza. L'uomo si distingue dagli altri animali nel momento in cui sviluppa un pensiero consapevole. Nessun altro principio è così importante. Che cos'è, per esempio, l'amore senza consapevolezza? E la grande gloria del buddhismo è averlo rilevato per primo:

"L'attenzione consapevole è la via che conduce all'immortalità,
la disattenzione è la via che conduce alla morte.
Gli attenti non muoiono,
i disattenti sono come già morti."

Questi versi del Dhammapada delineano già la via. La consapevolezza ha due campi d'azione: il primo è l'esistenza di tutti i giorni e il secondo è il senso della vita e della morte. Nel primo caso, si deve diventare consapevoli il più possibile di ciò che facciamo, sentiamo e pensiamo, momento per momento. Nel secondo caso, alziamo lo sguardo e facciamo per così dire filosofia, ma non in senso intellettualistico, bensì attraverso l'esplorazione interiore. Cerchiamo che cosa significhi vivere e morire, quali leggi presiedono allo sviluppo umano.
Consapevolezza sembra essere sinonimo di coscienza. Ma c'è una differenza: la coscienza è per così dire automatica, la consapevolezza si manifesta quando sottoponiamo deliberatamente all'attenzione qualsiasi cosa, anche la coscienza. In tal senso si parla di una forma di meditazione. Le altre forme di meditazione sono quelle che sviluppano la calma e quelle che cercano il vuoto mentale. Ma ogni cosa deve servire allo sviluppo della consapevolezza, che è l'unica via per conoscere a fondo la realtà e capire i processi che ci riguardano e ci circondano.

venerdì 2 novembre 2012

Presunzione religiosa


Chiunque conosca un po' di storia, sa quali conflitti ci siano stati in Occidente tra imperatori e papi per stabilire chi avesse la massima autorità. Gli imperatori sostenevano di essere loro i più potenti, ma i papi ribattevano che la loro autorità discendeva direttamente da Dio e che quindi tutte le autorità terrene dovessero sottomettersi. Questo per dire come il concetto di Dio sia sempre stato connesso a quello di potere. Perché, se si crede che Dio sia l' "Onnipotente" e che i papi siano i vicari di Cristo, inevitabilmente loro sono le massime autorità. Ma, primo, bisogna credere che Dio esista e, secondo, bisogna credere che questo Dio abbia scelto una religione sulla Terra che lo rappresenti. E questa è una gran sciocchezza, comunque la si metta. Dio è cristiano? Perché non musulmano, ebreo o indù ? Non facciamo ridere. Questa è d'altronde la grande presunzione degli uomini di religione - e non solo in Occidente. Per esempio, nell'India antica, i brahmani sostenevano di essere gli unici autorizzati mediatori tra gli uomini e Dio. Ed è così che si sono formate le caste politico-religiose, in tutto il mondo; è così che i sacerdoti hanno sempre rivendicato il loro potere. E i popoli superstiziosi, impauriti, sofferenti e sottomessi, sono diventati due volte schiavi: del potere del re e del potere del prete. In quei paesi, poi, in cui il re o chi ha il potere sostiene di essere stato prescelto direttamente da Dio, il centro del potere è ancora più forte, perché non c'è nemmeno un minimo di concorrenza fra stato e religione.
In realtà, il concetto di Dio si presta naturalmente a questi giochetti. Chi crede in Dio, crede anche di essere aiutato e sostenuto da un potere soprannaturale, anzi dal potere che ha creato il mondo. Dio e potere, Dio e presunzione vanno sempre a braccetto.
Questo tipo di problema - e di strumentalizzazione - non si pone solo per il buddhismo, perché qui non si crede affatto in un Dio esterno, in un Dio creatore, in un Dio suprema autorità. Qui ognuno deve percorrere individualmente la propria Via e deve liberarsi o salvarsi da solo, con le proprie forze. Qui ciascuno è divino. Qui ciascuno è responsabile.
Se perciò si mira a un salto di qualità nella religiosità umana, non si può che adottare un tipo di spiritualità in cui non c'è più un Dio centralizzatore, ma un'autorità diffusa, democratica e sostanziale. Ecco perché, finché non ci liberemo delle religioni teiste, che appartengono ad uno stadio infantile dell'evoluzione umana, non usciremo dalla schiavitù del potere e dei potenti. Lo pensava anche Albert Einstein che ebbe a dire: "La religione del futuro sarà una religione cosmica. Dovrebbe andare oltre il Dio personale ed evitare dogmi e teologia. Abbracciando sia il campo naturale sia il campo spirituale, dovrebbe essere basata sul senso religioso derivante dall'esperienza di tutte le cose, naturali e spirituali, in una significativa unità. Il buddhismo soddisfa questa descrizione. Se una religione dovesse rispondere alle necessità scientifiche moderne, senz'altro sarebbe il buddhismo."