giovedì 27 gennaio 2011

Produrre coscienza: la pratica della consapevolezza

Non c'è che un modo per produrre coscienza: ricordarsi di essere consapevoli, attenti, ricettivi, presenti più volte nel corso della giornata, continuamente nel corso della vita. Perché questo noi siamo: coscienza. Non produce coscienza la cultura, non produce coscienza il pensiero, non produce coscienza la scienza, non produce coscienza la religione...La coscienza viene prodotta solo dall'applicazione costante della consapevolezza, attraverso una scelta, una decisione e una pratica.

Senza questa pratica, la nostra coscienza rimane unicamente quella della specie e non si evolve. A che cosa serve la pratica? Noi siamo coscienza, e tutto ciò che ci capita avviene a livello della nostra consapevolezza. La coscienza umana non è quella di un cane o di albero; è qualcosa di superiore. Questa è dunque l'essenza dell'uomo. Che cosa sarebbe un uomo senza coscienza? Nient'altro che un robot.

Bisogna destinare parte del nostro tempo a questo esercizio: essere coscienti, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Cercare spazi di silenzio e di solitudine per diventare più consapevoli.

La coscienza si applica al vissuto, ma se ne distacca proprio perché lo rielabora. Chi non rielabora il vissuto attraverso la pratica della consapevolezza finisce per vivere superficialmente e meccanicamente, e quindi per non crescere; è come se vivesse invano, è come se vivesse con una marcia in meno. Un gran peccato.

Certo, la consapevolezza richiede uno sforzo (se non altro di attenzione) e a volte fa paura: è come rivedere un film su se stessi, che non è sempre piacevole. Non la sappiamo reggere, perché ci vuole uno sguardo lucido che controlli anche le emozioni profonde. E allora i più si rifugiano nell'evasione: alcool, droga, parlare, guardare la televisione o più semplicemente stordirsi nelle mille attività quotidiane, spesso inutili. Invece di produrre coscienza, si producono chiacchiere, evasioni e beni. Non è da qui che nasce l'ingloriosa storia del mondo?

mercoledì 19 gennaio 2011

Meditare sull'impermanenza

Meditare sull'impermanenza significa diventare consapevoli che niente può durare, che ogni cosa è destinata a finire - non solo io, non solo tu, ma il mondo intero e l'universo. Tutto si sgretola, tutto si corrompe, tutto si guasta, tutto invecchia, tutto si ammala, tutto muore. Fra venti, quaranta o settanta anni, di noi che leggiamo queste righe ora rimarranno ben pochi; e, fra cento anni, nessuno. Non solo saranno sparite le persone e le cose, non solo saranno morti i ricchi e i poveri, non solo saranno crollati gli imperi, non solo la geografia del mondo e dell'universo sarà cambiata, ma dei nostri pensieri, dei nostri amori, delle nostre preoccupazioni, dei nostri successi e dei nostri fallimenti, delle nostre speranze e delle nostre paure, non sarà rimasto nulla.


E allora dobbiamo approdare a una visione nichilista, a una completa disperazione? Non propriamente. Perché, se niente durerà, anche la nostra disperazione, anche la nostra sofferenza, sarà scomparsa. Basta aspettare con sguardo lucido e non affidarsi a false speranze. E tra le false speranze c'è anche quella che non saremo colpiti da avversità e da dolori. Tutto in tal senso è prevedibile e dominabile. Tutto passa, sì, la felicità come la sofferenza.

Guardiamo noi stessi e il mondo alla luce delle grandi prospettive cosmiche. Siamo piccoli, piccolissimi, insignificanti. Fra qualche decennio, di noi non si ricorderà più nessuno. E' con questa consapevolezza che possiamo riconoscere l'importanza di ogni minuto, il fatto di vivere nel presente, questo presente, questo attimo. Lasciamo perdere le speranze, le ambizioni, le paure e i sogni di gloria: sono una perdita di tempo, un furto di attenzione. E ridimensioniamo i desideri che ci tormentano e gli avvenimenti che ora ci appaiono enormi. Nessun ostacolo, nessuna sofferenza è insuperabile: basta lasciar fare alla natura e al tempo. Noi la nostra fortuna l'abbiamo già avuta - abbiamo aperto gli occhi su questo mondo...anche se per un istante solo.

domenica 16 gennaio 2011

La fine del mondo

Siamo alle solite. Per qualche uccello morto, ecco che qualcuno parla di fine del mondo, qualcun altro tira in ballo le profezie di Nostradamus e qualcun altro cita l'Apocalisse. E' proprio vero che l'uomo è un animale malato - ma malato di mente! - e basta niente perché riveli la propria malattia.


Svegliamoci: lasciamo perdere le profezie. La paura che abbiamo è la paura di morire e il nostro pessimismo nasce dal fatto che siamo infelici. Ma che differenza può esserci tra morire tutti insieme e morire uno alla volta? Non c'è bisogno dei profeti per sapere che per ognuno c'è comunque un'apocalisse: la malattia, la vecchiaia e la morte sono lì per tutti.

Tutto sommato, se il mondo finisse con un unico botto, ci sarebbero alcuni vantaggi: prima di tutto finirebbe una grande tensione (quella degli esseri viventi che sono costretti ad ammazzarsi a vicenda per sopravvivere) e poi non ci sarebbe più nessuno a piangere gli altri. E infine chi rimpiangerebbe l'umanità?

venerdì 14 gennaio 2011

Educazione sessuale e religione

Il papa sostiene che l'educazione sessuale nelle scuole è una minaccia alla libertà religiosa. Niente di meno. E qualcuno gli ha risposto che in realtà l'educazione sessuale cattolica - con tutti i suoi tabù, i suoi divieti e i suoi complessi - è una minaccia alla libertà della persona.
Io aggiungerei che è un attentato, spesso ben riuscito, alla felicità umana.

L'ira "divina"

Qualcuno ha calcolato che l' "ira di Dio" è citata nell'Antico Testamento ben 518 volte - un gran brutto esempio per l'uomo. Se Dio non sa controllare i suoi impulsi, e se è geloso dell'uomo come un semplice marito lo è di sua moglie, nessuno è indotto a ritenere che l'ira e la gelosia siano gravi cedimenti del carattere. Ed è per questo che la civiltà nata dalla Bibbia è una civiltà del furore, del possesso geloso e della guerra. Solo adesso, che la gente è sempre meno religiosa, si comincia a capire che le più grandi virtù non sono fede, speranza e carità, ma calma, equilibrio e distacco. Certo, per capirlo, bisogna cambiare la scala dei valori e fare meditazione.

martedì 11 gennaio 2011

Vuoto e pieno

Molti pensano che meditare consista principalmente nello svuotare la mente dai pensieri. Ma questo è soltanto una prima fase, uno svuotamente che è una prima forma di liberazione dai condizionamenti e dai circuiti mentali consueti - se, vogliamo, è una sperimentazione dei propri poteri spirituali. Tuttavia una simile fase non basta: rimanere vuoti aiuta a resettare la mente e a vedere con chiarezza. Poi è necessaria una seconda fase: il riempimento di questo vuoto con un'energia costruttiva e propositiva, con una forza che ci permetterà di pensare ed agire in maniera diversa. Da dove viene questa forza? Viene dal proprio destino, dalla propria anima, dalle profondità del proprio essere più autentico.


Se finora abbiamo seguito la via di tutti, la via dei condizionamenti sociali e psicologici, da adesso in poi dobbiamo aprirci la nostra via individuale, quella per cui siamo venuti al mondo. Qui ci vuole anche il coraggio, la decisione,la sfida e il rischio.

sabato 8 gennaio 2011

I benefici della meditazione

In una inchiesta di Cristina Mochi ("Il Venerdì di Repubblica" del 7-01-2011) si mette in evidenza come la meditazione di consapevolezza porti innegabili benefici alla salute fisica e mentale, attestati da controlli effettuati con la TAC e la risonanza magnetica, e cioè un miglioramento delle facoltà mnemoniche, un incremento dei neuroni, un rafforzamento del sistema immunitario e una diminuzione di ansia e depressione. La meditazione di consapevolezza (mindfulness) consiste nel riportare la mente al presente, rilevando e scartando i contenuti mentali negativi. In altri termini, stando attenti a ciò che produce la propria mente, quando il contenuto è negativo (ma anche una fantasia positiva), si deve concludere che quel pensiero (o immagine o stato d'animo) non è la realtà; e quindi si deve riportare l'attenzione al presente, al qui ed ora (per esempio al respiro).


Qui la meditazione non viene considerata un metodo esoterico, ma uno strumento per il miglioramento della salute in generale. Con venti minuti di questa pratica, si ottengono tali miglioramenti.

Tutto ciò è utile per incominciare a meditare, al di là delle proprie fedi religiose. Però non ci dimentichiamo che la meditazione è molto di più: è un metodo per rafforzare la propria spiritualità, intesa come chiara visione di sé e della realtà. Infatti la "chiara visione" si ha quando ci si libera non solo delle proprie fantasie e del chiacchiericcio mentale, ma anche delle sovrastrutture intellettuali, quali le filosofie e le religioni; allora, non si pensa, ma si vede. E si vede innanzitutto la falsità delle proprie convinzioni intellettuali. Perché la realtà non va pensata, ma vista.

venerdì 7 gennaio 2011

Lo scopo della vita

Che cos'è la spiritualità? Che cosa non è, piuttosto! Se il fine dell'uomo fosse solo quello di produrre beni di consumo e di dilapidarli allegramente, di acquisire più cose possibili e di goderne, allora egli non sarebbe nient'altro che un consumatore e non dovrebbero esserci la miseria, la malattia, la vecchiaia e la morte; l'uomo vivrebbe come sotto l'effetto di una droga. Sono le realtà sgradevoli (le sofferenze) che ci dicono che la vita non può essere una festa - e nemmeno una tragedia, visto che qualche beneficio esiste. Le crisi continue, individuali e sociali, ci rivelano che la distribuzione dei beni (fisici, economici e mentali) è comunque squilibrata e ingiusta. Dunque, alla luce di tutto questo, quale può essere lo scopo della vita? Non certo la felicità, non certo l'edonismo - e neppure il contrario di queste cose, ma una distillazione e un'accumulazione (dal bene e dal male) di qualcosa che, non sapendo come altro definire, chiamiamo "spirito".


Questo significa essere spirituali. Tenendo d'occhio le dinamiche del piacere e del dolore, scegliere la via della visione chiara, dell'apprendimento e dell'evoluzione. Allora questo aprire gli occhi nell'esistenza, anche solo per un momento, acquista un senso...per chi riesce a tenere gli occhi abbastanza aperti.

lunedì 3 gennaio 2011

La libertà di fede

Il papa difende la libertà di fede (dei cristiani). Il papa si sveglia solo quando c'è di mezzo la libertà di fede dei cristiani, ma non dice mai nulla quando la libertà di religione è negata dai cristiani. Per esempio, a Milano, la giunta di destra, formata da leghisti e ultracattolici, impedisce in tutti i modi ai musulmani di avere un luogo di culto. Perché il papa non dice nulla? E perché non dice nulla del passato, quando i missionari cristiani hanno aperto la strada alle persecuzioni delle altre religioni e incoraggiato lo sterminio di intere popolazioni (in America Latina, in Australia, negli Stati Uniti, in Africa, ecc.)? Almeno il precedente papa aveva chiesto scusa per questi genocidi.


La verità è che le religioni si odiano tutte a vicenda e vorrebbero, se potessero, distruggere le altre. Infatti, se una religione è vera, tutte le altre sono false. Per i cristiani, l'unico vero Dio è un uomo vissuto 2000 anni fa. Per i musulmani, l'unico profeta di Dio è Maometto. Per gli ebrei, l'unico vero Dio è quello che avrebbe scelto proprio loro - guarda caso - come popolo prediletto. E lasciamo stare le religioni indiane.

L'amore che predicano le religioni è sempre rivolto a chi si sottomette ed accetta il loro messaggio. Ma, non appena qualcuno dissente o critica o sposa un'altra religione, allora quell'amore si tramuta in odio. No, non è dalle religioni che verrà un mondo di pace.

sabato 1 gennaio 2011

Conversioni

Si sa che in punto di morte, colti da terrore, molti si convertono. Ma è vera fede? Avrei i miei dubbi. Come dice Michela Murgia in Accabadora, "nei momenti di debolezza, certi preferiscono diventare credenti che diventare forti".


Magari nell'ex-cattolico c'è il retropensiero: che male può fare una conversione all'ultimo istante? in fondo è una bella comodità. D'accordo, ma che autenticità può avere? Non è il solito individuo che vuol fare il furbo? E Dio ci casca?

Siamo nella solita farsa dell'ipocrisia - cioè in pieno cattolicesimo.

Capodanno 2011

Non so perché si festeggi il capodanno; un altro anno è passato, un altro anno ci viene sottratto: c'è da essere tristi, non felici. Ma forse festeggiamo per dimenticarci nel rumore la tristezza - a questo servono gli spari, i botti e il vino: a stordirci, a farci dimenticare che ci avviciniamo sempre di più alla fine.


Quest'anno, in Italia, soltanto un morto e cinquecento feriti, con dita mozzate, mani amputate e ferite da proiettili e da esplosioni. Che felicità!

Quanti siamo ? Cinque miliardi? Ebbene siamo cinque miliardi di esseri che sognano di essere vivi mentre ci avviciniamo alla morte; facciamo tutti lo stesso sogno: il sogno di essere vivi in questo mondo. Ma siamo vivi?

In realtà, se sogniamo, siamo mezzi vivi e mezzi morti, ci troviamo in uno stato di trance, siamo insomma addormentati. Per noi non c'è risveglio; il risveglio ci sarà solo all'ultimo momento di vita, quando ci accorgeremo che è stato tutto un sogno. Allora rientreremo in possesso della nostra vera identità, non di questa mezza condizione da zombie.

Però qualcosa è possibile farlo già adesso: è possibile renderci conto che stiamo sognando. Come faccio a dimostrarlo? La dimostrazione che viviamo in un sogno è che il sogno finisce, perché ogni sogno finisce. La morte è la prova che stiamo sognando, la morte è la fine del sogno.

Dobbiamo dunque sempre passare attraverso una morte per approdare alla realtà. La morte della mente che sogna. E il mezzo è sempre lo stesso: cercare di rendersi conto dello stato da sonnambuli in cui ci troviamo.