domenica 31 marzo 2019

Belle parole


Tutti noi, fin da bambini, abbiamo dovuto imparare a impiegare bene le parole. Perché, nella nostra civiltà, è evidente che chi manipola meglio le parole fa più strada. Basta accendere radio o televisione per ascoltare politici, giornalisti, professori, avvocati, sindacalisti, esperti d'arte, economisti e compagnia bella. Sono loro i modelli vincenti, sono loro che occupano i posti più alti della scala sociale. Sanno parlare bene, sanno esprimersi, sanno sviscerare problemi e sanno attirare l'attenzione delle masse che indirizzano in un senso o nell'altro.
       Ma le parole, e i concetti che stanno alla base della nostra cultura sono strade già tracciate e percorse da altri - non sono una nostra creazione. Dunque, quando le usiamo, in realtà diventiamo dei ripetitori. Dove è finita, allora, la nostra autenticità? Le parole sono concetti standard, mezzi usurati, convenzioni, idee altrui, ed è difficile che diventino "nostre".
Quando cerchiamo di esprimere qualcosa di autentico, qualcosa di profondamente sentito o pensato, che cosa facciamo? Rientriamo nei vecchi solchi delle parole e li seguiamo? Com'è possibile esprimere - e anche solo provare - qualcosa di assolutamente personale? Se ci poniamo il problema, scopriamo di essere terribilmente condizionati. Le parole servono ad esprimerci, ma sono anche troppo vecchie, troppo limitate. E ciò che dico o penso io non può che essere qualcosa di ripetitivo, di non personale. Siamo degli automi?
       Ci crediamo persone uniche, ma utilizziamo pensieri e parole che sono luoghi comuni. Siamo sicuri di essere veri individui? Lo sapete che la parola persona significa "maschera"? E credete che i sentimenti che provate per chi amate siano davvero "vostri", o sono anch'essi produzioni in serie?
Se si incomincia a ragionare così, si rischia di impazzire. Ma è una pazzia utile. È come se noi fossimo soltanto delle copie - è come se tutto ciò che pensiamo, sentiamo ed esprimiamo fosse la ripetizione di cose già pensate, provate ed espresse. Alla fine esistiamo veramente o siamo semplici maschere - maschere che sono vuote dentro, che non hanno nessuna sostanza? Altro che anima! Siamo come le formiche. Morti noi, ci sarà un'altra maschera, ci sarà un'altra formica, che ripeterà le stesse cose che abbiamo detto, provato e fatto noi credendoci originali e addirittura unici.
       Però, riusciamo ad avere questi pensieri e questi dubbi - cosa che le formiche non possono avere. E qui può incominciare il nostro riscatto, la nostra lenta risalita, il nostro risveglio. In che modo? Disimparando tutto ciò che ci è stato insegnato, decondizionandoci, smettendo per un po' di parlare e perfino di pensare. Se vogliamo essere noi stessi, se vogliamo diventare individui autentici, se vogliamo acquisire un'anima, dobbiamo tornare come bambini incapaci di parlare e di scrivere, dobbiamo dimenticare la nostra mente, che è stata così a lungo manipolata, che è il prodotto della società e della cultura.
       Questo processo di depurazione o di decondizionamento è ciò che chiamiamo meditazione. Che quindi non può ricorrere né a parole né ai soliti concetti dualistici di bene-male, giusto-sbagliato, vero-falso, vita-morte, eccetera eccetera. Che cosa rimane a nostra disposizione?
La nostra attenzione priva di concetti, la nostra consapevolezza nuda, la nostra esperienza diretta, senza filtri. Stare in silenzio, guardare il mondo con distacco, liberarci delle frasi fatte, fare il vuoto interiore... Quello che rimarrà, sarà già un riflesso del sé originale che cerchiamo.


Il Congresso delle fogne


Quando le fogne si intasano, viene alla luce il loro maleodorante contenuto. È appunto ciò che è successo con il Congresso di Verona in questi giorni. Ma è bene che questo sia successo, perché così possiamo renderci conto di che cosa scorra nel fondo oscuro delle nostre società, soprattutto in un momento in cui gli italioti si preparano a dare tutto il potere a un corteo di fascisti e di clericali ipocriti e violenti.
Come se ci fossimo scordati del disastro cui ci hanno portato vent’anni di fascismo storico, con l’Italia ridotta in macerie. Che cos’è il fascismo se non violenza pura, dove gruppi di prepotenti, senza alcun merito,  vogliono prendere il potere per non lasciarlo più e per togliere libertà e democrazia a tutti gli altri?
Ci rendiamo conto soprattutto di come ci sia una Chiesa che ha coltivato in tutto questo tempo l’idea del Padrone celeste e dell’autoritarismo – un’idea che piace tanto ai dittatori terrestri, che difatti cercano subito l’appoggio delle religioni. È questa la linfa nascosta di tanta “cultura” italica che continua a scorrere nelle fogne della nostra società.
E infatti in questo congresso siedono in prima fila rappresentanti del cristianesimo fondamentalista di tutto l’Occidente. Ma potremmo aggiungerci idealmente i fanatici dell’islam e del giudaismo, tutti uniti dalla convinzione che l’umanità debba ubbidire a un Padrone celeste e soprattutto ai suoi sedicenti rappresentanti in Terra.
In campo economico abbiamo capito il rapporto oppressivo tra padroni e schiavi terreni, ma in campo religioso non lo abbiamo ancora chiaro. I servi del potere, per confondere le acque, ci dicono che questo Dio è amore. Ma poi ci presentano un mondo dominato da violenza e prevaricazione. Non c’è da discutere, c’è solo da ubbidire.
Nessun Padre ultraterreno avrebbe creato un mondo regolato dalla legge di una selezione spietata, dove tutti gli esseri, per vivere, devono uccidere altri esseri, animali e vegetali. Ma noi non lo notiamo. Cantiamo le lodi della bontà divina, nascondendo l’altro volto: quello della dominazione violenta, del fascismo ultraterreno e terreno.
Gli uomini non vedono quanto sono schiavi, non tanto di un Dio che non esiste, ma di queste ideologie del Creatore divino che continuano a proporci la sottomissione ai padroni terreni. Un gioco che ci ha dominati per migliaia di anni e che solo ora mostra il suo volto violento e sfruttatore.
Gli uomini di tutto il mondo devono ribellarsi e acquisire consapevolezza di quanto questi individui “religiosi” li hanno mantenuti in uno stato di minorazione continua. Devono riacquisire la loro dignità e uscire dalle fogne dove li hanno relegati. C’è un altro cielo sopra di loro.

Dove lo Stato è confessionale e la Chiesa è politica, la libertà è impossibile.
Giovanni Bovio, Filosofia del diritto, 1885

Un laicismo non timoroso, che sappia esercitare con coraggio la critica delle superstizioni e promuovere la libertà degli individui, senza subire restrizioni in nome di testi inattendibili o di entità soprannaturali, è ciò che manca nella cultura e nella pratica politica del nostro paese.

Carlo A.Viano

sabato 30 marzo 2019

Gli impedimenti alla meditazione


Il desiderio, l'avversione, il torpore, l'agitazione e il dubbio rappresentano tutti impedimenti a meditare. Se per esempio, mentre meditiamo, proviamo un forte desiderio per qualcosa o un forte odio per qualcos'altro, è chiaro che la nostra concentrazione andrà a farsi benedire e che l'attenzione sarà sviata. Lo stesso succede con il torpore e l'agitazione. Quanto al dubbio, se incominciamo a chiederci che cosa stiamo lì a fare e se non sia tutto inutile, non potremo andare avanti.
In tutti questi casi, la soluzione è spostare l'attenzione sul nuovo stato d'animo che si è formato, in modo da indebolirlo e farlo scivolare via. Non dobbiamo infatti dimenticare che si tratta comunque di stati d'animo o di pensieri transitori, che sono destinati ad andarsene.
       Ma esistono altri impedimenti che sono molto più subdoli, perché sono sostanziati di piacevolezza: l'esultanza, la soddisfazione, l'orgoglio, la volontà di potenza, ecc. Tutti questi stati d'animo non vengono percepiti come ostacoli. Ma in realtà lo sono. Lo sono perché anch'essi sono stati d'animo transitori, che possono abbandonarci da un momento all'altro lasciando magari il posto ai loro contrari.
In effetti, nell'illustrazione dei quattro livelli (jhana) della meditazione, i primi sono sostanziati di gioia, ma l'ultimo, il più elevato, supera questo stato d'animo e assume il carattere del distacco e dell'equanimità, un atto di pura coscienza.
       Lo scopo della meditazione non è cercare uno stato d'animo euforico, ma avere una mente sempre più chiara e capace di vedere senza condizionamenti sentimentali.

Guerra in Terra Santa


Sarà anche "Santa", ma quella Terra è sempre in guerra. Come mai? Non è per caso una dimostrazione che queste tre religioni - ebraismo, cristianesimo e islam, imparentate fra loro - hanno appestato il mondo con le loro idee sbagliate e sono piene di violenza? Prendetene coscienza e lasciatele perdere. Ci guadagnerà la pace.

       "Il male grande e innominabile che sta al centro della nostra cultura è il monoteismo. Da un barbarico testo dell'età del bronzo, noto come Vecchio Testamento, si sono evolute tre religioni antiumane (...). Coloro che rifiutano [il loro Dio] devono essere convertiti o ammazzati, per il loro stesso bene. "

Richard Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori 2007

Controllare le nascite


Controllare le nascite comporta limitarle e sopprimerne una parte. Ma è un diritto e un dovere dell’uomo regolamentare le nascite su questo pianeta che è comunque limitato.
Altrimenti il mondo a chi sarebbe affidato? Alla cieca Necessità?
O, quel che è peggio, a qualche Chiesa o a qualche gruppo di fanatici talebani?
D’altronde anche il Dio-Natura non scherza in fatto di aborti “naturali”.

venerdì 29 marzo 2019

Le famiglie tradizionali


È la solita storia. Ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione, anche se è oscurantista e retrograda, ma i partecipanti al convegno di Verona intendono cambiare le leggi che difendono le donne e gli omosessuali, e imporre le loro.
Le leggi sul divorzio, sulle unioni civili o sull’aborto non costringono tutti a compiere quelle scelte. Ma le eventuali leggi volute da questi clerico-fascisti toglierebbe ogni libertà di scelta e costringerebbero tutti a ubbidire alle loro. C’è una bella differenza.
Avanza una cultura autoritaria e nemica della democrazia. Una marea nera.
Il pericolo viene dal fatto che a questo convegno partecipano membri del governo (tra cui Salvini e Fontana), che vorrebbero tradurre in leggi le loro idee.
Con quale coerenza, poi? Per esempio Salvini, che difende la famiglia tradizionale, ha avuto due figli da due donne diverse, è sposato e divorziato, e continua a macinare una “fidanzata” dietro l’altra. Ma si sente cattolico e fa le campagne elettorali ostentando rosari e Bibbie. Proprio un bell’esempio di moralità e di “famiglia tradizionale”.
E pensare che Gesù se la prendeva proprio con gli ipocriti.

Parole e silenzi


"Un uomo è prigioniero delle proprie parole e padrone dei propri silenzi": questa antica massima ci dice che le parole ci preesistono, perché sono state inventate da altri e veicolano determinati significati, oltre ai quali noi stessi non riusciamo ad andare. Quindi, in tal senso, noi ne siamo prigionieri. Se per esempio dico "ti amo", uso una formula comune che, per convenzione, significa un certo stato d'animo; ma, essendo troppo usata, troppo standardizzata, può anche non significare niente o significare qualcosa di diverso.
Lo stesso succede con la parola “Dio”, che può avere mille significati.
Insomma il linguaggio si presta ad ogni manipolazione ed esprime comunque un luogo comune in cui anche noi dobbiamo rientrare. Siamo tutti prigionieri delle parole. Se mi devo esprimere, se devo comunicare un concetto o una sensazione, sono costretto ad usare quelle vecchie parole. Per fortuna abbiamo altri mezzi per esprimere e verificare gli stati d'animo - mezzi concreti... intuito, gesti, espressioni del corpo e del viso, osservazione, azioni, ecc.
Però, in tanti casi, come facciamo a sapere se ciò che qualcuno ci dice è vero o non è un semlice luogo comune? E come facciamo ad esprimere qualcosa di personale, di unico? Come faccio a dire "ti amo" in maniera personale? Se non sono un poeta, sarà molto difficile.
       Nel silenzio sono più libero. Non perché anche il silenzio non possa essere a sua volta una forma di linguaggio convenzionale (in alcuni casi lo è: per esempio se taccio per assentire), ma perché non sono costretto a incanalare in strumenti preesistenti il mio pensiero o le mie emozioni. Certo, finisco per non comunicare più.
       Questo ci dice la difficoltà di essere autentici. Se tutto deve essere espresso in termini convenzionali, io chi sono veramente? Ci crediamo esseri unici, ma come facciamo a dimostrarlo? Solo gli artisti o i geni ci riescono. E tutti gli altri? Non ripetono forse formule prestabilite? E dunque sono individui autentici o automi creati, dalla cultura generale?
Per rispondere alla domanda, provate a portare il problema dentro voi stessi. Riuscite a pensare o a provare qualcosa che non riuscite ad esprimere, che sentite di non riuscire ad esprimere? Se è così, è già qualcosa: forse riuscirete un giorno ad essere voi stessi, a pensare con la vostra testa, a distinguervi dagli altri, a non essere soltanto "uno del branco".
       Ecco perché vi invitiamo a fare meditazione, ossia a fare il silenzio dentro di voi. Questo silenzio significa fare piazza pulita delle parole, dei pensieri e delle emozioni abituali, convenzionali, di tutti. È dunque una forma di purificazione e di liberazione.
Provate a vedere se ci riuscite. Non è facile, perché il potere della mente convenzionale e pubblica si insinua anche dentro di voi. Ma solo così, uscendo da questo silenzio, potrete dire parole autentiche e potrete scoprire chi siete, al di là dei ruoli che vi sono stati assegnati dalle convenzioni sociali.
       Immergetevi periodicamente in questo bagno purificatore e vedere se ne salta fuori qualcosa di autentico, se riuscite a uscire dalla corazza delle convenzioni. Non sarà il nirvana, ma servirà allo scopo ultimo della liberazione spirituale, che non è un lavoro facile.

La consapevolezza del respiro


La consapevolezza del respiro
La consapevolezza del respiro è uno dei metodi più semplici e più seguiti nel campo della meditazione. Come esercizio, parte già dalla tradizione dello Yoga e passa a induismo e buddhismo ed è incredibile quanto sia tuttora valido. Consiste nel seguire con attenzione il respiro che entra ed esce, concentrandosi di solito sulla sensazione che l'aria produce nelle narici o sui movimenti del torace. Con questo metodo, si riporta la consapevolezza a qualcosa di reale e al momento presente, al qui e ora, interrompendo le elucubrazioni mentali, le fantasie e i pensieri. Basta un attimo, ed ecco che lo scenario è cambiato. Si esce dall'ambito della mente e si entra in quello della realtà. L'esercizio è consigliabile, per la sua semplicità e immediatezza, a chi incominci a meditare, e comunque non va abbandonato nemmeno da chi ha più esperienza.
Non si tratta comunque di forzare il respiro, come succede in certi esercizi di pranayama, ma di seguirlo senza interferire.
       Tuttavia non bisogna confondere il mezzo con il fine. Quando si indirizza l'attenzione al respiro si ottengono due scopi: si interrompono i pensieri e ci si riporta al presente. Ma il vero scopo è risvegliare la consapevolezza generale, è rendersi conto della condizione in cui ci si trova in quel momento e in ogni momento. È come dare un taglio netto, è come svegliarsi da un sogno, è come fare un riepilogo, è vedersi per un istante così come si è.
       Essere consapevoli, essere sempre più consapevoli, è lo scopo ultimo della meditazione, anzi dell'essere umano. Comunque, ha poco senso insistere a lungo su questo esercizio, sperando di ottenere chissà quali risultati. Infatti, dopo qualche minuto, l'attenzione si disperde di nuovo. È invece preferibile ripetere l'operazione più volte al giorno. Lo si può fare in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Queste continue "prese di coscienza" sono molto utili a riportarci al presente e a far tacere le ruminazioni mentali.


giovedì 28 marzo 2019

Non negare l'evidenza


Quando si leggono testi buddhisti, si ha l'impressione di un pensiero pessimista. Ma l'insistere sugli aspetti negativi dell'esistenza nasce da uno sforzo di superarli. Soltanto che il metodo è diverso da quello che seguiamo di solito.
Quando le cose ci vanno male, noi neghiamo l'evidenza della sofferenza, ci ripetiamo che tutto va bene e cerchiamo di massimizzare il piacere - proprio per annegare la negatività. Invece il metodo buddhista non è basato sul trucco dell'evitamento. Cerca innanzitutto di esaminare attentamente il problema, di sviscerare la questione, nella convinzione che solo se prendiamo coscienza della sofferenza e dei suoi meccanismi potremo uscirne.
Va tutto bene, va tutto bene... ma se vi muore una persona cara, se perdete il lavoro o se vi ammalate, non va bene per niente, e la sofferenza è inevitabile. Per superare il problema, dobbiamo per prima cosa ammetterlo e guardarlo bene in faccia, non negarlo o cercare di annegarlo in qualche supplemento di piacere. Noi soffriamo, noi abbiamo spesso a che fare con qualche aspetto negativo dell'esistenza. Non si tratta dunque di pessimismo, ma di realismo. Il metodo per uscire dalla sofferenza sta nello studiarla, nel cercarne le cause.
       Meditare non significa scegliere solo le cose belle e costruirci un immaginario positivo (che cadrebbe rovinosamente alla prima difficoltà portandoci alla disperazione), ma significa puntare l'attenzione su ogni cosa, bella o brutta che sia. Se soffriamo, ci conviene entrare profondamente nel dolore, e cercare di capirne le cause. Dobbiamo guardarlo da vicino, senza tentativi di addolcimento.
Il vero metodo per superarlo è l'attenzione concentrata, non la rimozione. Vediamo troppe persone naufragare nell'alcool, nelle droghe, nel sesso, nel conformismo o nelle fedi religiose. Si spengono a poco a poco, si suicidano volontariamente... tutto pur di non guardare in faccia la realtà della loro sofferenza.

Fede e intolleranza


L’imperatore Costantino è noto per aver concesso la libertà di culto. Infatti, con l'editto del 313 d.C. stabilì di "concedere ai cristiani, come a tutti, la libertà di seguire la religione preferita." Fu senza dubbio un primo esempio di tolleranza religiosa.
Ma come fu utilizzata questa libertà? Sappiamo tutti che i cristiani divennero del tutto intolleranti e si misero a perseguitare le altre religioni e a distruggere i templi pagani. Insomma, fine della tolleranza e inizio di una brutta storia che sfociò nell'Inquisizione, nelle crociate, nelle guerre tra cattolici e protestanti, negli scismi, nelle scomuniche, ecc. E non dimentichiamo che solo pochi decenni fa, nella "civilissima" Europa cristiana, furono varate "leggi razziali" contro gli ebrei e fu progettato il loro sterminio, nel totale silenzio della Chiesa. Non ci raccontiamo allora la storia che con il cristianesimo si inaugurò una nuova era di tolleranza religiosa. Fu tutto il contrario. L'idea di tolleranza fu mantenuta viva non dai religiosi, ma dai pensatori laici.
       D'altronde, non esiste una sola religione teista che non abbia come corollario l'odio verso le altre concorrenti. Il mondo musulmano è lì a testimoniarlo. Ma che dire degli ebrei ortodossi o degli induisti? Tutte le religioni predicano l'amore e la pace, ma in realtà seminano odio e guerra verso chi non la pensa come loro.

La legge interiore


Indro Montanelli scriveva che "anche quando avremo messo a posto tutte le regole, ne mancherà sempre una: quella che dall'interno della coscienza fa obbligo a ogni cittadino di regolarsi secondo le regole". Questo è il punto: nessuna regola tiene se non si è sviluppata una coscienza sociale - coscienza che sembra mancare a troppi italioti, cresciuti all'ombra del moralismo piccolo-borgese della cultura cattolica, tutto incentrato sulla sessualità.
Purtroppo, quando si crede che Dio stia in cielo e non nella propria coscienza, nasce una società del moralismo formale, esteriore, ipocrita. Ed è quello che è successo in Italia. In questo paese ci è mancata la riforma protestante con il suo richiamo alla responsabilità individuale. Dov'è finita la coscienza dei tanti farabutti che considerano la politica solo un modo per arricchirsi? Certo, credono in un Dio che li perdonerà con qualche Ave Maria. Molto comodo. Anche certi mafiosi sono in tal senso cattolici,
Qualche straniero si è anche domandato se negli italiani alberghi una vera e propria coscienza. Qualcuno ce l'ha, ma si tratta di una minoranza. Urge introdurre nelle scuole corsi di sviluppo della consapevolezza... al posto di quelli dannosi sulla religione.

mercoledì 27 marzo 2019

Unioni e divorzi


“L’uomo non divida ciò che Dio ha unito” proclama Gesù, il quale era evidentemente convinto che L’Assoluto si occupasse dei nostri miserabili matrimoni. Ma quali matrimoni Dio proteggerebbe? Se io mi sposassi in Chiesa per una questione di soldi o per qualche altro sordido motivo, l’Assoluto proteggerebbe anche questo matrimonio? No, visto che anche la Chiesa ammette la possibilità in questi casi di annullamento.
Come si vede, tutto dipende non da Dio, che non è un notaio, ma dalle intenzioni delle persone stesse. Sono le persone che decidono. E, se a un certo punto decidono di divorziare, anche questo fatto è protetto da Dio.
In tal caso, come dice Wolfgang Pauli, “l’uomo non unisca ciò che Dio ha separato.”

Ritrovare il senso della vita


Ogni tanto, nel corso dell'esistenza, smarriamo il senso della vita - magari c'è stata una perdita affettiva, magari c'è stato un cambiamento improvviso, magari ci ritroviamo soli, magari abbiamo perso il lavoro, magari dobbiamo vivere con chi non ci piace, magari non possiamo vivere con chi vorremmo, e così via. Allora ci sentiamo persi, inutili, vuoti, stanchi, senza prospettive per il futuro; si è spenta una luce e non sappiamo come riaccenderla.
       Prima o poi, capita a tutti, perché l'esistenza è un cambiamento continuo, perché è un passare da una crisi all'altra, perché niente dura a lungo, perché stiamo invecchiando... Dov'è il nuovo senso, la nuova direzione? E dov'è finita la nostra voglia di vivere?
       Il problema è che cerchiamo questo senso al di fuori di noi; e, se ci aspettiamo che le cose cambino grazie a circostanze esterne o ad altre persone, potremmo attendere a lungo. In fondo, la vita non ha un senso razionale - l'unico suo senso è il vivere stesso. E la direzione è sempre la stessa: quella della vita di tutti i giorni, quella degli anni che passano...
       Il senso deve essere cercato dentro di noi. Noi abbiamo perso la strada (anche se non per colpa nostra), noi dobbiamo ritrovarla. Per ricominciare, bisogna ripartire dalle piccole cose: da una mattina di sole, da una nuova primavera, da un buon cibo, da una pianta che cresce, dalle parole di un amico o di un libro, ecc. Al di là dei grandi eventi, la felicità è sempre disponibile dentro di noi: è una questione di punti di vista, di saper guardare. Quando avremo sollecitato questo senso della felicità interiore, potremo affrontare anche i problemi esterni. Ma l'importante è riuscire a cambiare la prospettiva. Come diceva Ugo Ojetti, "la felicità è un modo di vedere".


La famiglia chiusa


Di fronte ad episodi di razzismo, ci si pone sempre più spesso il problema se gli italiani siano o meno razzisti. Ma la verità è che tutti gli uomini lo sono istintivamente.
Allevati in piccoli gruppi, vedono nei membri degli altri gruppi minacce o nemici.
Il problema è proprio quello dei piccoli gruppi. Di cui il più piccolo è la famiglia.

La famiglia si presenta come una fortezza chiusa che si difende dalle interferenze degli estranei.
Per difendersi dalla xenofobia e dal razzismo, bisognerebbe superare la famiglia. Sì, proprio quella che viene esaltata dal Papa e dai movimenti dell’estrema destra. Se poi volessimo creare uomini nuovi e aperti, dovremmo anche superare gli stereotipi del maschile e del femminile e invitare tutti a fare esperienze diversificate. Solo così potremmo distinguere ciò che è la nostra vera natura da ciò che ci viene imposto dalle varie istituzioni sociali, che vogliono creare per i loro interessi una certa immagine dell’uomo e una certa immagine della donna, certamente false e deleterie.

"Famiglie, vi odio! Focolari chiusi, porte serrate, geloso possesso della felicità"
André Gide



martedì 26 marzo 2019

Identikit degli esseri terrestri


Secondo la legge orientale del karma, ognuno rinasce in un pianeta o in un piano di realtà adatto alle sue capacità e al suo grado di evoluzione. L'anima viene attirata nella regione e nella famiglia che le è più affine.
Il comportamento tenuto e che terrà è ovviamente una conseguenza proprio del grado di evoluzione raggiunto. Orbene, quale sarà l'identikit delle anime che si incarneranno sul pianeta Terra?
Gli esseri umani devono essere abbastanza intelligenti, ma non molto - appena al di sopra delle scimmie: quindi hanno un grado di evoluzione minimo. La loro mente è confusa ed è incapace di vedere la realtà così com'è; più che altro proietta sogni, fantasticherie, avversioni e preferenze. Inoltre è dominata da un dualismo insanabile: crede davvero che il bene si contrapponga al male; ed è al continuo inseguimento di desideri insaziabili. Inutile dire che gli esseri umani hanno una scarsa consapevolezza di ciò che sono e che, anzi, si credono esseri divini.
E, infine, questa razza poco evoluta crede ancora in un Dio creatore, un Dio-Persona, che dispensi premi e punizioni e che mandi profeti e Messia come se fossero meteoriti. Insomma, si aspettano l'illuminazione dall'alto e non hanno ancora capito che ognuno deve cercarla in se stesso.

Il ciclo quotidiano della vita e della morte


Il buddhismo ci spinge ad uscire dal ciclo delle nascite e delle morti e ci fa immaginare un grandioso sistema di universi o di piani di realtà su cui possiamo transitare, avanzando o retrocedendo in base a come ci comportiamo. Questo può essere vero, ed è comunque una bella metafora.
Ma, nel frattempo, noi ci dobbiamo occupare del quotidiano - ed anche qui scopriamo che ci sono continuamente momenti in cui ci sentiamo vivi e momenti in cui ci sentiamo morti, momenti in cui siamo pieni di energia e momenti in cui siamo pieni di sconforto, momenti di speranza e momenti di delusione, momenti di pace e momenti di guerra, momenti di attrazione e momenti di avversione, momenti di lucidità e momenti di confusione, momenti di vivacità e momenti di noia, eccetera eccetera; insomma l'esistenza è un continuo morire e rinascere, qui o chissà dove, un continuo alternarsi di piaceri e di sofferenze, di alti e di bassi, nonché uno spostarsi di dimensioni, di piani, di mondi.
Mille volte moriamo, mille volte rinasciamo.
Questa è la vita - ci diciamo. Ed è vero: il nostro è un mondo di cambiamenti e di contrasti costanti. Però è possibile trascendere il proprio limitato punto di vista, guardando le cose con distacco e raggiungendo una visione più ampia e più profonda delle cose. Questo non eliminerà i cambiamenti, ma ci darà la possibilità di dare ad essi una direzione, un senso e una coerenza che ci porteranno a migliorare la qualità della nostra vita e ad allargare la nostra comprensione.


La presunzione religiosa


Chiunque conosca un po' di storia, sa quali conflitti ci siano stati in Occidente tra imperatori e papi per stabilire chi avesse la massima autorità. Gli imperatori sostenevano di essere loro i più potenti, ma i papi ribattevano che la loro autorità discendeva direttamente da Dio e che quindi tutte le autorità terrene dovessero sottomettersi. Questo per dire come il concetto di Dio sia sempre stato connesso a quello di potere. Perché, se si crede che Dio sia l' "Onnipotente" e che i papi siano i vicari di Cristo, inevitabilmente loro sono le massime autorità.
Ma, primo, bisogna credere che questo tipo di Dio esista e, secondo, bisogna credere che abbia scelto una religione sulla Terra che lo rappresenti. E questa è una gran sciocchezza, comunque la si metta. Dio è cristiano, musulmano, ebreo o indù ? Non facciamo ridere. Questa è d'altronde la grande presunzione degli uomini di religione - e non solo in Occidente. Per esempio, nell'India antica, i brahmani sostenevano di essere gli unici autorizzati mediatori tra gli uomini e Dio. Ed è così che si sono formate le caste politico-religiose, in tutto il mondo; è così che i sacerdoti hanno sempre rivendicato il loro potere. E i popoli superstiziosi, impauriti, sofferenti e sottomessi, sono diventati due volte schiavi: del potere del re e del potere del prete. In quei paesi, poi, in cui il re o chi ha il potere sostiene di essere stato prescelto direttamente da Dio, il centro del potere è ancora più forte, perché non c'è nemmeno un minimo di concorrenza fra Stato e religione.
        In realtà, il concetto di Dio si presta naturalmente a questi giochetti. Chi crede in Dio, crede anche di essere aiutato e sostenuto da un potere soprannaturale, anzi dal potere che ha creato il mondo. Dio e potere, Dio e presunzione vanno sempre a braccetto.
        Questo tipo di problema - e di strumentalizzazione - non si pone per il buddhismo, perché qui non si crede affatto in un Dio esterno, in un Dio creatore, in un Dio suprema autorità. Qui ognuno deve percorrere individualmente la propria Via e deve liberarsi o salvarsi da solo, con le proprie forze. Qui ciascuno è divino. Qui ciascuno è responsabile.
        Se perciò si mira a un salto di qualità nella religiosità umana, non si può che adottare un tipo di spiritualità in cui non c'è più un Dio centralizzatore, ma un'autorità diffusa, democratica e sostanziale. Finché non ci liberemo delle religioni teiste, che appartengono ad uno stadio infantile dell'evoluzione umana, non usciremo dalla schiavitù del potere e dei potenti. Lo pensava anche Albert Einstein che ebbe a dire: "La religione del futuro sarà una religione cosmica. Dovrebbe andare oltre il Dio personale ed evitare dogmi e teologia. Abbracciando sia il campo naturale sia il campo spirituale, dovrebbe essere basata sul senso religioso derivante dall'esperienza di tutte le cose, naturali e spirituali, in una significativa unità. Il buddhismo soddisfa questa descrizione. Se una religione dovesse rispondere alle necessità scientifiche moderne, senz'altro sarebbe il buddhismo."
        Purtroppo, anche il buddhismo, se ridotto a venerazione del suo fondatore, diventa una religione come tutte le altre. Con il suo “Dio” e i suoi interpreti ufficiali.
C’è qualcosa nell’animo umano che rende molto difficile la liberazione dalle strutture religiose tradizionali.



lunedì 25 marzo 2019

Il mondo là fuori


Le religioni orientali sono concordi nel dirci che il mondo è un'illusione, un'apparenza. Ma noi crediamo fermamente che là fuori ci sia una materia concreta e indipendente da noi che la percepiamo.
Ragioniamo. Per esempio, ciò che vediamo è un insieme di fotoni che entrano negli occhi e poi raggiungono attraverso i nervi il cervello. E il cervello elabora un'immagine. Dunque, ciò che vediamo non è un oggetto là fuori, ma un'immagine della mente. Tant'è vero che se vediamo una luce, non per questo il cervello si illumina. Il cervello resta buio, ma elabora un'immagine luminosa. La stessa cosa può ripetersi per gli altri organi dei sensi: ciò che vediamo, ascoltiamo, tastiamo, odoriamo, ecc., sono innanzitutto segnali dentro di noi. Il mondo, insomma, è tutto all'interno del nostro cervello.
Solo in seguito a questa esperienza inferiamo che là fuori ci siano oggetti.
       Anche il senso della distanza è un segnale del nostro cervello. Se vedo una stella e la penso lontana milioni di anni luce, in realtà percepisco semplicemente un'immagine all'interno del mio cervello. L'intero universo è dentro di me. Lo stesso vale per il mio corpo esteriore: io lo concepisco come qualcosa di esteriore, ma lui è dentro di me. Dunque, è un'illusione credere che la materia esista al di fuori di me, in un mondo oggettivo là fuori. Tutto ciò che percepisco è dentro di me. Se infatti taglio i nervi che portano i segnali al mio cervello non percepirò più niente. Oppure, se il mio cervello si ammala, percepirò cose completamente diverse.
       Hanno ragione le religioni orientali a dirci che il mondo è un'illusione. È un po' come un sogno. Nel sogno io credo di vivere in una realtà. E  solo quando mi sveglio mi accorgo che erano solo immagini prodotte dal mio cervello.
       Proprio questo è il punto. Noi ci accorgiamo che tutto è un'illusione o un sogno solo quando ci risvegliamo.
       Ma chi è che sogna? Chi è che percepisce? Chi è che elabora queste immagini? Non è certo il cervello come organo fisico, perché anche questo organo è un'idea della mente, un'immagine dentro di noi. Ciò che percepisce è un quid immateriale, la mente, la coscienza, che elabora queste informazioni.
       Ora si tratta di concentrarsi su questo quid immateriale al cui interno si trova l'intero universo: questo è lo scopo della meditazione. Ritrovare il soggetto primo, quel quid senza il quale il mondo non esisterebbe.

Vivere su un piano inclinato


Dal momento in cui nasciamo non possiamo fare a meno di andare avanti, di muoverci, di progredire – non nel senso però di un miglioramento continuo e ineluttabile, ma di un rotolare inevitabilmente. Viviamo infatti su un piano inclinato e si scivola sempre. Siamo sottoposti a forze più potenti di noi, come la gravità o il tempo, che ci trascinano dove vogliono loro.
Stando così le cose, un grande atto di ribellione e di auto-affermazione è (cercare) di stare fermi. È difficile, forse impossibile, perché tutto e tutti cercheranno di smuoverci.
Ma non siamo del tutto impotenti. Possiamo fare resistenza, anzi resilienza, in modo da non farci sbattere come bandiere al vento .Ora qua, ora là.
Lo stare fermi (nel doppio senso della parola: immobili e decisi) è un grande esercizio di meditazione, una rivolta dell’uomo che non si arrende al trascinamento cosmico. E può stabilire un punto fermo anche in mezzo alle peggiori tempeste.
Questo punto fermo è il suo centro stesso, ciò per cui ha una individualità. Le tempeste lo trascineranno dove vogliono. Ma l’individuo consapevole e coraggioso, anzi eroico, può rimanere spiritualmente fermo.
Non accetta dunque i luoghi comuni del pensare e del fare, è dubitativo e riflessivo, non cede alle opinioni correnti, non si comporta come la massa, medita, si configura in base alle proprie esigenze più profonde e rivendica se stesso anche di fronte a mille divinità feroci.
Nessun Dio può toccare un anima ferma.

domenica 24 marzo 2019

Le sei dimensioni della realtà


Secondo il buddhismo, esistono sei regni o dimensioni della realtà: i paradisi, il mondo degli esseri umani, gli inferni, il piano degli spiriti affamati, il regno degli animali e il piano degli Asura, i demoni combattenti. Si tratta comunque di sei regni dell'illusione, nessuno dei quali (per fortuna) è permanente. Al di là delle raffigurazioni mitologiche, questi sei regni sono certamente stati d'animo in cui transitiamo di continuo. Diciamo che i paradisi sono regni in cui gli esseri sono felici e non c'è insoddisfazione - ma qui sta il problema: poiché questi esseri sono contenti, non hanno nessuno stimolo a cercare qualcosa di meglio. Quando perciò moriranno, dovranno reincarnarsi in esseri umani. Perché? Perché gli esseri umani sono gli unici che hanno la possibilità di essere consapevoli del proprio stato e di aspirare a liberarsi dalla condizione in cui si trovano.
       Vengono poi i regni infernali, dove ovviamente tutti stanno male - ma a tal punto che non sono neanche in grado di pensare ad altro. Lo stesso vale per gli spiriti affamati che, come indica la loro definizione, sono sempre insoddisfatti, sempre avidi, sempre affamati di qualcosa senza potersi mai saziare. Quanto al regno degli animali, lo conosciamo e sappiamo bene che è inutile spiegare loro qualcosa: non capirebbero. Gli Asura, infine, sono dominati dall'ira, dalla rabbia, dalla furia, dalla competizione, dallo scontro e dalla guerra: combattono sempre contro qualcuno e, se manca l'avversario, anche contro se stessi.
       Come si vede, queste dimensioni ci appartengono tutte. Noi possiamo essere completamente felici (paradiso) o completamente infelici (inferno), possiamo essere profondamente insoddisfatti, famelici e avidi (spiriti affamati), possiamo diventare degli animali guidati soltanto dagli istinti e possiamo farci travolgere dall'ira, dalla rabbia, dall’egocentrismo, dall'avversione, dall'inimicizia, dal desiderio di combattere e di scontrarci contro qualcuno o contro noi stessi (Asura).
       L'essere umano, infatti, è caratterizzato dall'estrema mobilità, dal cambiamento continuo, e può passare in un istante dalla felicità all'infelicità, dalla soddisfazione all'insoddisfazione, dalla calma alla rabbia, dalla pace alla guerra, dall'esaltazione alla depressione, dall'amore all'odio: tutto dipende dalle circostanze esterne e dalla propria mente. Ma proprio questa estrema mobilità ci offre un'occasione che gli altri esseri, nella loro rigidità, non possono avere. Abbiamo la possibilità di vederci, di essere consapevoli di noi stessi e di intervenire per cambiare. Abbiamo soprattutto la possibilità di aspirare ad uscire da questo marasma continuo.
       Quando pensate di essere sfortunati ad essere nati come esseri umani, ricordatevi che, secondo la tradizione buddhista, le probabilità di nascere come uomini sono quelle che ha una tartaruga marina cieca di salire in superficie e di infilare il collo in un pezzo di legno che galleggia sull'oceano con un foro in mezzo.
       Pensiamoci. Quando mai ci si ripresenterà una simile occasione? Il più grande peccato in questa vita è sprecare il tempo in cose inutili.


sabato 23 marzo 2019

Sofferenza e piacere


Ogni tanto seguo l’insegnamento buddhista, perché mi sembra molto logico. Quando il Buddha afferma che la vita è dukkha (dolore) non intende dire che in questo mondo tutto è sofferenza, ma che non è possibile eliminare uno stato di insoddisfazione praticamente permanente.
Innanzitutto, ci sono le quattro fasi dell'esistenza da cui nessuno può sfuggire: la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. E poi ci sono varie forme di dolore: la sofferenza di essere separati da coloro che amiamo, la sofferenza di vivere con coloro che odiamo, la sofferenza di non poter avere quello che vogliamo e tutte le sofferenze del corpo. Vi risulta di essere stati risparmiati da qualcuno di questi dolori?
Ma se pensiamo che la sofferenza sia semplicemente una sensazione spiacevole e che sia eliminabile con una sensazione opposta di piacere, ci sbagliamo. È proprio questo che noi facciamo: cerchiamo tutta la vita sensazioni piacevoli, fisiche e mentali. Però sappiamo anche che questo non basterà a cancellare il dolore. E, in effetti, qualunque sensazione piacevole ha un aspetto per così dire negativo: non dura. Non dura, è fugace, è temporanea; e, quando sparisce, lascia un senso di mancanza e di insoddisfazione. È un po' come una droga: sul momento dà un senso di euforia, ma poi l'effetto sparisce e rimaniamo più scontenti di prima. E già questo ci dice che viviamo in un mondo duale, in un mondo effimero, in cui niente è stabile (per fortuna nemmeno la sofferenza).
       Ora, il Buddha ci dice che all'origine della sofferenza c'è il desiderio, ossia una specie di sete o di bramosia che non si accontenta mai. Desiderio di essere, desiderio di diventare, desiderio di crescere, desiderio di felicità, desiderio di amore, desiderio di figli, desiderio di perdurare, desiderio di essere ricchi, desiderio di potere, desiderio di riconoscimento... l'elenco è infinito. C'è anche il desiderio di non-essere quando le cose ci vanno male e pensiamo alla morte come via di liberazione. Insomma la vita è tutta un desiderare - è questo il suo carattere distintivo. Ma desiderare significa soffrire, perché chi desidera prova dentro di sé una mancanza.
       A questo punto, la logica suggerisce che la via d'uscita sarebbe sopprimere il desiderio. Ma qui bisogna stare attenti a non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Perché tra i tanti desideri c'è anche quello che animava il Buddha e tanti altri: il desiderio di sopprimere il desiderio, il desiderio di liberazione da questo ciclo ripetitivo e dualistico. Come quando diciamo: non ne posso più di questa situazione, voglio uscirne! È chiaramente un desiderio anche questo, e ben forte.
Ma bisogna arrivarci - e i più non ci arrivano affatto: continuano a inseguire le sensazioni piacevoli, continuano a sognare uno stato di felicità durevole, continuano a correre lungo questa riva del fiume senza tentare di andare oltre. Tutto sommato, anche sognare un qualche paradiso rientra tra i desideri meschini. Il Buddha lo ha previsto: secondo lui esistono altri piani di realtà o altri mondi popolati da esseri che si trovano in uno stato migliore del nostro (d'altronde, non ci vuole molto), ma - attenzione - neppure loro sfuggono alla morte e forse sono troppo instupiditi dalla vita facile; un po' quello che succede ai nostri ricchi, che a forza di essere serviti e riveriti diventano sempre più fragili e scemi. Ed è possibile che i nostri dèi appartenessero a questa categoria – perché, alla fine, come è evidente, sono defunti...
       Ma fra le tante nostre sventure, una fortuna ce l'abbiamo. Siamo in un mondo mediano, che proprio per le sue caratteristiche e per le sofferenze ben calibrate con le gioie, è il più adatto a tentare la via della liberazione. Abbiamo tutte le doti per farlo - ci manca solo un po' di consapevolezza e di buona volontà. Però, piantiamola di farci trascinare da desideri di bassa lega: liberazione non significa approdare in qualche terra beata, in qualche paradiso di idioti che stanno tutto il giorno a biascicare le lodi del Potente di turno. Ne abbiamo già troppi di questi lacché sulla terra. Almeno miriamo in alto. Sbarazziamoci di tutto il baraccone - vita, morte, paradisi, religioni e gerarchie comprese.
       E seguiamo non i dogmi, ma solo quelle vie che ci sembrano sensate e che possiamo verificare di persona.


venerdì 22 marzo 2019

Il Nirvana


Se il Samsara è il ciclo delle vite e delle morti che va avanti da quando esistono gli uomini e gli altri esseri viventi, se è la ripetizione di esistenze, senza soluzione di continuità, il Nirvana è la calma, la pace, l'estinzione... di che cosa? Di questa ripetitività.
Perché è vero che la vita è un cambiamento continuo, ma pur sempre delle stesse esperienze: nascite, infanzie, crescite, malattie, gioie, dolori, amori, matrimoni, divorzi, vittorie, sconfitte... e infine l'immancabile morte. Insomma, sempre la solita solfa. È un po' come il tempo meteorologico, che muta di continuo, ma sempre secondo determinate e limitate modalità: pioggia, sole, tempesta, sereno, caldo, freddo e così via.
Insomma, siamo tutti dei ripetenti ossessivi, degli zucconi che non imparano mai la lezione. Infatti tutti facciamo le stesse cose, tutti abbiamo le stesse speranze e tutti abbiamo le stesse illusioni e delusioni: pensiamo di fare chissà che cosa, di risolvere  i problemi dell'umanità o semplicemente di essere felici, ma poi ci avviamo rassegnati verso la vecchiaia e la fine. E tutti giriamo intorno al nostro ego. È l'ego che prova una insaziabile sete di ripetere queste esperienze, certamente mutevoli, ma pur sempre le stesse, fin dalla notte dei tempi.
Non c'è mai nulla di nuovo. Il film è sempre lo stesso. Se qualcuno ci guardasse dall'alto, si addormenterebbe per la noia mortale, per la prevedibilità della trama.
Tuttavia miliardi di individui si affannano da mattina a sera per ripetere le stesse esperienze - e non si stancano mai. Che cosa cercano? Sono assetati di vita e vorrebbero vivere ancora più a lungo. Che cosa sperano di ottenere e di raggiungere? Assomigliano ai levrieri che inseguono in un circuito una lepre di pezza che non raggiungeranno mai - ma loro non lo sanno e continuano a correre.
       Nirvana è la scoperta di quanto siamo limitati, condizionati e ripetitivi, di quanto siamo marionette dirette dai fili dell'istinto, della natura o di Dio. Nirvana è la decisione di interrompere il ciclo. Nirvana è l'affacciarsi di una nuova coscienza. Ce la faranno gli uomini a svegliarsi dal millenario sogno delle illusioni? Riusciranno una buona volta a vedere la realtà così com'è? O continueranno a correre in tondo, come gli stupidi levrieri?

Il grande orgasmo


Fuorviati da millenni di religioni repressive, abbiamo sviluppato la convinzione che la sessualità sia la nemica numero uno della spiritualità. Niente di più falso. La sessualità, al contrario, è l'energia fondamentale dell'esistenza che, primo, non può essere eliminata e, secondo, è propria alla base anche della spiritualità. Provate a rimanere a lungo casti - e domandatevi se siete diventati più religiosi e spirituali, oppure semplicemente più indifferenti, freddi e avidi in altri campi. Sì, perché la repressione lavora in questo modo: quando ostacolate il sesso, la sua energia si sposta in qualche altro settore; e così per esempio si diventa più avidi di denaro, di potere o di cibo, oppure si sviluppa una dipendenza dalle comunità religiose (che proprio per questo vietano i rapporti sessuali).
Se invece vi innamorate e fate sesso con la persona amata, alla fine vi sentirete molto più vicini al divino e capirete che cosa si intende per trascendenza. Da che mondo è mondo, la sessualità è stata usata come una metafora dell'unione con il divino; e non solo come metafora, ma anche come mezzo a disposizione dell'uomo per avere anticipazioni della beatitudine.
       Ora utilizzate il rapporto sessuale proprio a questo scopo. Vi accorgerete che tutte le nostre idee di gioie paradisiache provengono dall'esperienza sessuale. In essa, infatti, non solo vi è un superamento del dualismo io-altro, non solo si raggiunge l'unione con un altro essere, ma si supera il senso dell'io e del tempo. Nell'orgasmo in particolare scompaiono le divisioni, il tempo e la mente (è il modo più semplice per sperimentare il vuoto mentale). E si prova una grande gioia e un senso di liberazione, che è ciò che contraddistingue le esperienze estatiche del misticismo e del samadhi. Senza questa esperienza, in realtà, non avremmo l'idea di estasi.
       Oltretutto, se c'è un periodo in cui non si prova più nessun desiderio sessuale, è proprio il periodo che segue l'orgasmo. Non a caso esso è stato definito la "piccola morte" - ossia la morte gioiosa. Scompaiono i desideri e ci dimentichiamo di noi stessi e dei  nostri limiti. Perché non c'è niente di meglio che terminare la vita come un'esperienza di liberazione. Il che dimostra che non è la repressione sessuale che vi libera dal desiderio (i preti e i santi sono sempre ossessionati dal sesso), ma il suo soddisfacimento profondo. Se reprimete semplicemente il sesso, ne devierete l'energia altrove. Se invece lo utilizzate consapevolmente, la vostra evoluzione ne sarà accelerata e la vostra mente si aprirà ad una comprensione della dimensione della trascendenza. Il punto è questo: non si trascende il sesso soffocandolo, ma comprendendolo a fondo.
       D'altronde, che cos'è il Big Bang... se non un orgasmo cosmico? Ed è da lì che noi usciamo. Dall'orgasmo dei nostri genitori e di Dio.


giovedì 21 marzo 2019

Le voci interiori


Le persone religiose credono in certi momenti di pregare Dio. Ma, se Dio non esiste, che tipo di operazione mentale stanno in realtà compiendo?
Stanno cercando di meditare – senza saperlo.
Se uno prega, cerca di rivolgersi ad una divinità esterna. Cerca un dialogo e possibilmente una risposta al suo problema. Ma, se quella divinità non esiste, lui compie comunque uno sforzo di elevazione spirituale che lo porterà in un certo stato che noi chiamiamo “meditativo”.
È bene però che se ne renda conto. Così eviterà di scambiare il proprio dialogo interiore per un dialogo con un’entità esteriore. E cercherà di uscire dal puerilismo religioso.

La via del Dharma


Il Dharma nel buddhismo è la legge o la regola messa a punto dal Buddha, in cui sono indicate varie linee di condotta e vari principi: le quattro nobili verità, l'ottuplice sentiero, i cinque skandha, le tre seti, i tre tipi di sofferenza, i dodici anelli della coproduzione condizionata, i quattro stati sublimi, i quattro jhana, i cinque precetti fondamentali e così via. Tutto è classificato, suddiviso, analizzato e consegnato alla tradizione.
Tuttavia, pensare che il vero Dharma sia espresso in questo modo, attraverso discorsi e categorie generiche,valide per tutti, è un'illusione. La pratica è un'altra cosa: è mobilitare le proprie energie e la propria intelligenza in un percorso di liberazione che è diverso da persona a persona.     
       Non ti fidare dei canoni scritti o dei decaloghi incisi nella pietra. Il nostro spirito non è una pietra: è mobile e sensibile, ed ha la capacità di capire da sé, al di là delle parole e dei concetti prestabiliti, quale sia il percorso giusto - il suo Dharma.
Anzi, prima di tutto bisogna liberarsi delle regole, delle opinioni comuni e farsi una propria opinione, una propria regola, una propria esperienza.
Nel buddhismo, come nelle altre religioni, abbiamo tanti monaci o tanti preti che hanno le stesse idee e gli stessi comportamenti. Ma né Buddha né Gesù sarebbero diventati quel che sono diventati se si fossero limitati a seguire gli schemi dei loro predecessori. C’è un elemento creativo e anticonvenzionale che sfugge ai più.

mercoledì 20 marzo 2019

In religioso silenzio


In religioso silenzio
Mi piace molto l'espressione "in religioso silenzio" perché esprime un concetto fondamentale: che vi è un rapporto tra (autentica) religiosità e silenzio. Nessuna ha mai detto infatti che il rumore è religioso. Come mai allora c'è tanto chiasso nelle nostre società? Come mai, se apri la televisione o la radio, senti gente che litiga, che urla, che pontifica e tanta musica commerciale che è semplice spazzatura? Come mai sempre più gente cammina in strada parlando o ascoltando al telefonino? Come mai non si sta più in silenzio? Forse perché nessuno sa più che cosa sia la spiritualità? Neppure i preti e il papa che non fanno altro che predicare e parlare? In principio era il Verbo? Che idiozia! In principio c'era un emorme silenzio. E tutto era in pace. Poi qualche Divinità si intromise a rovinare il mondo con le parole. Creò questo, creò quello, semplicemente nominandolo... E fu la fine della tranquillità.
       Ancora oggi, quando si commemora qualcuno (per esempio negli stadi) si sta un minuto in silenzio - e già qualcuno scalpita. Oppure, nella messa cristiana, c'è un attimo di silenzio, in cui i fedeli dovrebbero rivolgersi a Dio; ma i più pensano ai fatti loro. E ancora oggi sopravvive a fatica qualche monastero in cui vige la regola del silenzio. Ma anche lì si vuole essere moderni e allora ci si collega ad Internet. Fine del "religioso silenzio".
       Certo, oltre al rumore dei mass-media e delle comunicazioni umane, c'è un altro chiasso di cui non si rende conto nemmeno chi sta in silenzio: quello della mente. E qui veramente incontriamo grosse difficoltà. La nostra testa infatti è permanentemente assillata da pensieri, fantasie, riflessioni, ricordi, dialoghi interiori e così via. Fateci caso. C'è un gran rumore nel nostro cervello, c'è una grande confusione. E noi andiamo in giro con questo filtro che ci isola dalla realtà, al punto che possiamo non notare un amico che ci passa vicino o un'auto che ci sta travolgendo. E, soprattutto, non riusciamo a gustarci più niente, non riusciamo ad avere uno sguardo limpido, non riusciamo a trovare pace.
       Per questo motivo, nelle religioni più serie, si cerca di recuperare il valore e l'uso del silenzio. Ma, al di là del suo valore spirituale, la pratica del silenzio, fisico e mentale, ha una funzione terapeutica. Ci libera dal peso e dall'oppressione dei pensieri compulsivi - pensieri che hanno un effetto deleterio sulla nostra salute. Perché la salute fisica dipende innanzitutto dalla salute mentale.
       Come ogni tanto bisogna stare a digiuno per riprendersi da qualche disturbo, così ogni tanto cerchiamo di fare un po' di silenzio mentale per depurarci dall'inquinamento da rumore. Credetemi, vi farà bene.


Addestrare la mente


Troppo spesso la nostra mente è in preda a una folla di pensieri incontrollati, a un rimuginio senza sosta, a un dialogo senza costrutto - spezzoni di frasi, ricordi, fantasie, persone immaginarie, situazioni irreali, pulsioni velleitarie, sogni ad occhi aperti, considerazioni amare, speranze illusorie... in un caos senza capo né coda. Questo è il primo problema della meditazione - ma anche la prima presa di coscienza. Tutta questa attività febbrile, tutti questi pensieri creano una specie di velo tra noi e la realtà.  È come quando si cammina telefonando: ciò che diciamo o ascoltiamo ci distrae dalla realtà esterna... e magari finiamo in un tombino.
       Ecco due metodi per uscire da questa situazione di alienazione. Considerare i pensieri come qualcosa che viene dall'esterno e alzare una barriera - di attenzione - per respingerli o ignorarli.
       Oppure considerare il nostro vero sé come un Testimone di una mente invasa dai pensieri. Anche in questo caso osserviamoli come corpi estranei e poi accantoniamoli o lasciamoli cadere, come se non fossero nostri. Noi siamo il Testimone, non i pensieri.
       Lo scopo è costituire un nucleo incontaminato al nostro interno, un centro di consapevolezza che non venga toccato dalle ondate delle attività mentali. Ritrovare la quiete e il silenzio mentali.
       Questo vuoto mentale non deve trasformarci in idioti inconsapevoli, ma deve rendere la nostra mente ancora più chiara e lucida. È un esercizio di pulizia, di purificazione.

I femminicidi


Ogni giorno apprendiamo di uomini che uccidono le donne da cui sono stati respinti. Lo chiamano femminicidio. Ed è un aspetto dell'eterna guerra tra i sessi (appena velata dall'amore), dove non mancano i morti e i feriti. Certo, si tratta di individui psicolabili, allevati da famiglie in cui la donna è la madre che concede tutto al figlio maschio, facendolo sentire un re.
Ma la realtà è diversa, e un giorno il giovane maschio si scontra con un rifiuto. Come è possibile? Quella è una donna cattiva, che va uccisa! La verità è che viviamo in un mondo maschilista, in cui l'uomo ha da sempre controllato la donna e non sopporta che non sia a sua disposizione.  I valori che consideriamo più alti sono di segno maschile e tutto è predisposto per dare la preminenza al maschio. Un rifiuto dunque lo sconvolge: è un elemento che manda in crisi il suo mondo di certezze e di impunità.
       Pensate che nella nostra cultura abbiamo immaginato perfino un Dio Maschio. Ma che c'entra il sesso con Dio? Perché dovrebbe essere di genere maschile e non di genere femminile? In realtà non ha niente a che fare né con il maschile né con il femminile. Ma chi lo dice ai nostri credenti? L'infantilismo delle religioni lo ha ridotto a un uomo, a un misero maschio, che tutt'al più ha una Madre... vergine. Ed ecco i risultati.
       Ora non possiamo più rivelare ai credenti che Dio non è il Padreterno in cui confidavano: il trauma sarebbe terribile, e andrebbero a uccidere qualcuno... magari una donna. Perché si sa che le donne sono colpevoli di tutto: non fu Eva a corrompere l'ingenuo Adamo? Lo dice il vero fondatore del cristianesimo, san Paolo, un tipo che andrebbe psicoanalizzato: "Non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione!" (Prima lettera a Timoteo 2,14). Perciò "la donna impari in silenzio, con tutta sottomissione" (ibid. 2,11). Infatti "la donna deriva dall'uomo" (Prima lettera ai Corinzi 11,12) e "capo della donna è l'uomo" (ibid. 11,3).
Se questi sono i vostri maestri spirituali, non vi lamentate di quel che succede alla donne.
Quel che è incomprensibile è perché le donne accettino tutto questo e prestino fede a religioni che le considerano inferiori.
Fra pochi giorni si terrà a Verona un convegno, con il patrocinio del governo e l’appoggio della Chiesa (che ne apppoggia la sostanza ma non i metodi), che intende rimettere in riga le donne e costringerle e rientrare nei ranghi. Non vorranno mica essere pari all’uomo?




martedì 19 marzo 2019

Samsara


Dovremmo tutti riuscire a chiudere gli occhi per l'ultima volta con una sensazione di soddisfazione e di sazietà, dovremmo arrivare alla fine dell'esistenza dopo aver provato tutto, dopo aver esaurito ogni possibilità... proprio come ci si alza da tavola dopo aver mangiato in abbondanza.
Ma le cose non vanno così: la maggior parte delle persone è infelice, è insoddisfatta, è piena di pentimenti e di rimorsi, e muore con il desiderio di avere quel che non ha avuto, di rifarsi delle privazioni e delle sconfitte, o di ripetere e amplificare i piaceri provati.
Questo stato d'animo fa sì che la vita non possa essere lasciata con serenità, con la determinazione di passare oltre, di saltare su un altro piano; e fa sì che la vita non possa essere lasciata cadere, così come la farfalla lascia cadere la pupa e diventa un altro essere E dunque viene posta in essere una spinta profonda, inconscia, che informa di sé quel ciclo delle nascite e della morti, delle felicità e delle infelicità, che in Oriente si chiama Samsara. Cedendo a questa spinta noi veniamo in essere con l'illusione di potere essere sempre felici, escludendo la sofferenza. E in tal modo alimentiamo un mondo di infelicità.
Dobbiamo dunque lavorare sui nostri desideri insoddisfatti, dobbiamo portare la forza della consapevolezza su questa spinta prepotente, disinnescando il suo inganno. Dobbiamo lasciare l'esistenza con la convinzione di aver esaurito le nostre potenzialità e di non aver perso niente di importante. Questo fa l'uomo saggio, ormai distaccato.

Il valore del desiderio


La causa di ogni attaccamento, e quindi di ogni sofferenza, è il desiderio. Ma bisogna comprendere che il desiderio è la spinta che ci fa andare avanti e che senza desideri finiamo solo depressi.
Tutto è sorretto da qualche desiderio: anche la ricerca dell'illuminazione. Inoltre certi desideri sono programmati dagli istinti per la sopravvivenza e altri sono indotti dalla società. Quelli indotti dalla società (essere ricchi, essere importanti, comprare determinate cose) possono essere padroneggiati con un’adeguata consapevolezza. Non possiamo però non provare il desiderio di mangiare, perché senza cibo moriremmo in breve tempo. Anche il desiderio sessuale è voluto dalla natura per far sopravvivere la specie.
Tuttavia anche nei desideri naturali entrano in gioco valori sociali, psicologici e culturali, per esempio mangiare determinati cibi o in determinati modi, oppure essere ossessionati da determinati rapporti sessuali o da una compulsività senza limiti.
L'ascetismo antico si illudeva che digiunando o astenendosi dal sesso, si potessero ottenere grandi meriti.  Ma la verità è che non si raggiunge l'illuminazione attraverso i digiuni o la castità. Se eliminassimo questi desideri, semplicemente la vita sulla terra finirebbe, però nessuno entrerebbe nel Nirvana. Se bastasse digiunare o astenersi dal sesso, sarebbe relativamente facile diventare illuminati. Il regno dei cieli sarebbe pieno di anoressici e di impotenti.
Ma non è così. Chi combatte i desideri e i bisogni naturali in realtà soffre ancora di più. E diventa non un santo, ma un mostro. Capita di vedere alcuni pseudo “santi” divorati - senza la minima autoconsapevolezza - da ambizione, da invidia o da orgoglio. Dunque, in campo spirituale, non è il desiderio naturale ciò che ci rovina, ma il desiderio che proviene dall'interiorità, dalla psiche egocentrica.  Lo dicono chiaramente i Vangeli: “Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia…” (Mc 7,21-22). Insomma i desideri da combattere non sono quelli naturali, ma quelli che nascono dall'animo pervertito o inconsapevole.
       Il desiderio è ambivalente: è ciò che ci lega alla vita, ma è anche ciò che ci spinge a trascenderla. Finché si è in vita non è possibile, e neppure auspicabile, reprimere i desideri naturali. Ma si può lavorare a comprendere il meccanismo del desiderio, in modo da ridurre quelli che danneggiano lo spirito – quelli che ci legano ad un'esistenza deteriore.
Comunque sia, è evidente che l'illuminazione, il risveglio, ha più a che fare con una comprensione che con un atto del corpo, è più un'apertura della mente che una chiusura fisica. Anzi, in alcuni casi i piaceri sono più vicini alla spiritualità che alla materia.

La reincarnazione


L'idea che un'anima, sola soletta, si reincarni da una vita all’altra non ci sembra credibile. Ma non bisogna ricorrere a queste interpretazioni semplicistiche e popolari. Basta pensarci un po'... ognuno di noi viene da altre vite, quelle dei genitori, i quali a loro volta venivano da altre vite... Andando indietro nel tempo, arriviamo ai primi ominidi, e poi ancora più indietro, alle scimmie, ai pesci, agli anfibi, eccetera. Questo significa che ognuno di noi personifica un'eredità, una linea evolutiva, cui hanno partecipato migliaia, milioni di individui. Dunque, in tal senso, in ognuno di noi rivivono innumerevoli altre persone - i nostri predecessori. Siamo davvero reincarnazioni.
Da un'esistenza all'altra, qualcosa si è reincarnato: un principio vitale che possiamo chiamare come vogliamo - e che ora si trova in noi, è noi. È come una fiaccola che si è trasferita da una mano all'altra, da una persona all'altra, da un'epoca all'altra.
Ecco il principio della reincarnazione, interpretato non in maniera elementare, ma intuito da tante culture. Siamo e non siamo sempre gli stessi. Veniamo comunque da lontano. Siamo tutti in relazione con il “nostro” passato.