venerdì 29 marzo 2019

Parole e silenzi


"Un uomo è prigioniero delle proprie parole e padrone dei propri silenzi": questa antica massima ci dice che le parole ci preesistono, perché sono state inventate da altri e veicolano determinati significati, oltre ai quali noi stessi non riusciamo ad andare. Quindi, in tal senso, noi ne siamo prigionieri. Se per esempio dico "ti amo", uso una formula comune che, per convenzione, significa un certo stato d'animo; ma, essendo troppo usata, troppo standardizzata, può anche non significare niente o significare qualcosa di diverso.
Lo stesso succede con la parola “Dio”, che può avere mille significati.
Insomma il linguaggio si presta ad ogni manipolazione ed esprime comunque un luogo comune in cui anche noi dobbiamo rientrare. Siamo tutti prigionieri delle parole. Se mi devo esprimere, se devo comunicare un concetto o una sensazione, sono costretto ad usare quelle vecchie parole. Per fortuna abbiamo altri mezzi per esprimere e verificare gli stati d'animo - mezzi concreti... intuito, gesti, espressioni del corpo e del viso, osservazione, azioni, ecc.
Però, in tanti casi, come facciamo a sapere se ciò che qualcuno ci dice è vero o non è un semlice luogo comune? E come facciamo ad esprimere qualcosa di personale, di unico? Come faccio a dire "ti amo" in maniera personale? Se non sono un poeta, sarà molto difficile.
       Nel silenzio sono più libero. Non perché anche il silenzio non possa essere a sua volta una forma di linguaggio convenzionale (in alcuni casi lo è: per esempio se taccio per assentire), ma perché non sono costretto a incanalare in strumenti preesistenti il mio pensiero o le mie emozioni. Certo, finisco per non comunicare più.
       Questo ci dice la difficoltà di essere autentici. Se tutto deve essere espresso in termini convenzionali, io chi sono veramente? Ci crediamo esseri unici, ma come facciamo a dimostrarlo? Solo gli artisti o i geni ci riescono. E tutti gli altri? Non ripetono forse formule prestabilite? E dunque sono individui autentici o automi creati, dalla cultura generale?
Per rispondere alla domanda, provate a portare il problema dentro voi stessi. Riuscite a pensare o a provare qualcosa che non riuscite ad esprimere, che sentite di non riuscire ad esprimere? Se è così, è già qualcosa: forse riuscirete un giorno ad essere voi stessi, a pensare con la vostra testa, a distinguervi dagli altri, a non essere soltanto "uno del branco".
       Ecco perché vi invitiamo a fare meditazione, ossia a fare il silenzio dentro di voi. Questo silenzio significa fare piazza pulita delle parole, dei pensieri e delle emozioni abituali, convenzionali, di tutti. È dunque una forma di purificazione e di liberazione.
Provate a vedere se ci riuscite. Non è facile, perché il potere della mente convenzionale e pubblica si insinua anche dentro di voi. Ma solo così, uscendo da questo silenzio, potrete dire parole autentiche e potrete scoprire chi siete, al di là dei ruoli che vi sono stati assegnati dalle convenzioni sociali.
       Immergetevi periodicamente in questo bagno purificatore e vedere se ne salta fuori qualcosa di autentico, se riuscite a uscire dalla corazza delle convenzioni. Non sarà il nirvana, ma servirà allo scopo ultimo della liberazione spirituale, che non è un lavoro facile.

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