giovedì 7 marzo 2019

TAV



Il treno ad alta velocità (TAV) per cui si sta discutendo accanitamente non è, come dicono i detrattori, un semplice collegamento Torino-Lione, ma un’intera linea europea che parte dalla Spagna, attraversa l’Europa e arriva in Ucraina: un collegamento internazione che sarebbe utilissimo per i porti e le industrie italiane che trovano sempre nelle Alpi un grande ostacolo, una strozzatura. Si tenga presente che questo corridoio, se non passasse per l’Italia, proseguirebbe comunque a Nord delle Alpi tagliandoci fuori.
I Cinquestelle sono in realtà contrari per motivi ideologici, ma non tengono conto dei benefici che questa linea rappresenterebbe per l’Italia. La loro è una pregiudiziale negativa verso qualsiasi grande opera. Il che è un assurdo, visto che siamo in piena recessione e che loro non hanno nessun piano di sviluppo del lavoro. Anzi, sono il partito della decrescita. Sono per fermare tutto.
Non si tratta di fare i conti della serva, ma di avere una visione complessiva dello sviluppo dell’Italia.
Da che mondo è mondo, dalla recessione si esce velocemente, come insegna Keynes, facendo grandi investimenti pubblici. E il TAV sarebbe come manna dal cielo.
Viceversa, fermare il TAV e le altre grandi opere ci porterebbe ad una regressione mai vista in Italia, con una disoccupazione a cui il reddito di cittadinanza non potrebbe portare rimedio.
Infine, con la TAV noi ci siamo impegnati con la Francia e con l’Europa. E, se bloccassimo tutto, confermeremmo lo stereotipo secondo cui siamo un popolo infido e disonesto, senza principi, cialtroni che non hanno mai finito una guerra con quelli con lui l’avevamo cominciata. La stessa idea potrebbe ora trasferirsi in campo economico e nessuna farebbe più accordi con noi.
C’è chi vuol favorire il progresso e chi lo vuol fermare. E ognuno si assuma le proprie responsabilità. Ma sia chiaro agli elettori chi è in Italia che rema contro.
I Cinquestelle dicono che l’opposizione alla TAV fa parte della loro origine identitaria. Ma che identità può mai essere quella di un partito che si fonda sul “non fare” anziché sul fare? Può stare al governo un partito del “non fare”?


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