martedì 30 giugno 2020

L'attaccamento


Quando il male si abbatte ingiustamente su una persona o sulla terra, noi ci domandiamo: “Tutto ciò non si concilia con l’esistenza di un Dio buono!”
Già, ma chi ci ha messo in testa l’idea che Dio sia buono? Prima ci facciamo un’idea sbagliata e poi ci domandiamo perché la nostra idea non vada d’accordo con la realtà.
Ogni volta che i conti non tornano, tiriamo fuori spiegazioni assurde, come quelle del peccato originale o della reincarnazione. Cerchiamo di giustificare l’ingiustificabile. Eppure la realtà è chiara e semplice.
Perché non vogliamo rinunciare ad idee manifestamente infondate? Perché vorremmo che la realtà si piegasse alle nostre idee.
Ma non è così che succede.
L’attaccamento ai beni è una delle cose più brutte dell’essere umano, ma l’attaccamento alle idee è ancora peggio.

Al Dio sconosciuto


Se io dico: “Dio è questo o quello,” lo faccio entrare in categorie duali che non gli appartengono, perché l’Origine è al di là dell’essere e del non essere. Di lei non si può dire nulla.
Perciò tutte queste religioni, questi culti, questi templi… che cosa sono se non il tentativo di ridurre Dio a dimensione umana? Avevano ragione i greci che all’Areopago di Atene avevano dedicato un altare al “Dio sconosciuto”, ossia inconoscibile. E quanto volgari furono i cristiani, con san Paolo, ad abbassare Dio a fantoccio umano! Loro lo conoscevano, sapevano i nomi dei genitori e dei fratelli, sapevano dove era nato, sapevano anche il numero dei suoi sandali, era un uomo… finalmente!
Fu così che incominciò la morte del Dio trascendente.

domenica 28 giugno 2020

Religione e potere


Pochi si rendono conto di quanto la religione abbia a che fare con il potere. Eppure, per i credenti, Dio è il supremo potere, ed è ovvio che chi crede di interpretarlo e servirlo voglia di per sé ogni potere.
Da una parte il credente si sottomette a un immaginario Dio, ma dall’altra vuol comandare agli altri uomini, perpetuando così la struttura gerarchica che è alla base di ogni potere.
È difficile separare la idea di creazione da quella di dominio. Anche una madre o un padre pretendono di esercitare un proprio dominio.
Per questo il Dio trascendente non ha niente a che fare con il potere.

La mente trascendente


In fondo, un Dio che creasse sarebbe ancora all’interno della nostra logica duale. Ma un Dio che fosse ogni parte e il tutto, sfuggirebbe alla nostra logica.
Ed è evidente che il mondo non è stato “creato” in base alla nostra stessa logica.

La parte e il tutto


Quando hai a che fare con un motore complesso, capisci benissimo come ogni parte, anche la più umile, sia fondamentale; ma ti rendi anche conto come il motore consista nella totalità dei suoi pezzi e dei suoi funzionamenti. Lo stesso vale per noi che siamo sì parti di un motore unico, ma anche il motore stesso. Ogni rotellina, ogni ingranaggio, ogni componente può dire lo stesso. Pur essendo parti, noi siamo l’insieme, la totalità… se solo sappiamo guardare.
In fondo, per amore verso l’individualità, ci perdiamo il tutto.

giovedì 25 giugno 2020

La glorificazione della sofferenza


Ciò che mi colpisce di più nel mito cristiano è la sua struttura sado-masochista. Non solo esalta la spaventosa pensata di un Dio che crocifigge suo “figlio” per salvare l’umanità, ma anche i vari santi e beati si gloriano di stimmate e dolori come di un grande segno della benevolenza divina.
Quello che non può nascondere è la convinzione – comune anche al buddhismo - che la vita sia comunque sofferenza. Da qui non si sfugge.
Per il cristianesimo, però, la sofferenza serve anche a redimere le anime; per il buddhismo è solo il segno di un mondo sbagliato e irredimibile: le anime non si possono salvare, e l’individualità deve essere superata per una visione universalistica.

Gerarchie più o meno angeliche


Per vivere, non bisogna essere troppo consapevoli della morte. O ci si blocca. Ma, se non si è minimamente consapevoli della morte, non si può neppure valutare la tragica inconsistenza dell’esistenza e si compiono errori madornali, dando troppa importanza a cose che non ne hanno.
I ricchi e i potenti, che hanno da perdere anche tutto ciò che hanno accumulato, devono necessariamente inventarsi un aldilà in cui potranno far valere la loro importanza terrena. Nascono così certe ridicole fantasie su paradisi, purgatori e inferni e l’intera struttura gerarchica in cui si possano ristabilire le distanze fra chi conta e chi non conta.
La mente umana non smette mai di lavorare proiettando schemi e fantasie di ogni genere. Non sa – anzi non vuol sapere – che la morte spazzerà via questo enorme castello di carte.

lunedì 22 giugno 2020

Superare i maestri e se stessi


Nel buddhismo zen si dice che, se incontri sulla tua strada il Buddha, devi ucciderlo. Si tratta ovviamente dell’uccisione simbolica del padre/maestro, colui che ti ha guidato fino a quel punto.
Il fatto è che, se vuoi crescere spiritualmente, devi andare oltre ogni insegnamento e lasciarti alle spalle anche la guida. Fino a quel punto ti è stata utile; ma, se vuoi andare avanti, devi fare da te.
Del resto il Buddha è colui che dice: “Io ti indico la via. Ma la via devi percorrerla da solo”.
In sostanza, se vuoi crescere, devi diventare completamente te stesso e assumerti ogni responsabilità dando fondo ad ogni tua potenzialità. Non puoi limitarti a seguire le orme di qualcun altro. Non devi assolutamente rinunciare a te stesso già in partenza. Per rinunciare a te stesso, devi prima esserlo del tutto.
Nel giudaismo si dice: “Se non sarò me stesso, chi lo sarà per me? E, se non ora, quando?”
Non puoi essere una copia del maestro/padre né scegliere un’identità che qualcuno ti ha messo in testa. Devi oltrepassare gli insegnamenti precedenti, le tradizioni, le sedicenti autorità, i dogmi e i modelli precostituiti.
Diventare se stessi è un lavoro complesso e richiede una gran dose di critica e di autocritica. Tutti i grandi della Terra e le persone autentiche e creative hanno seguito lo stesso percorso: hanno utilizzato il sapere degli altri, ma poi sono andati oltre.
Questo però non significa esaltare l’individualismo. Perché l’ultima fase del processo di crescita consiste nel superare il proprio ego, comprendendo che siamo non solo frammenti di totalità, ma anche la totalità stessa che si è per un po’ autolimitata.

sabato 20 giugno 2020

Prima e dopo la morte


Quando pensiamo a che cosa ci succederà dopo la morte, le risposte sono più o meno sempre le stesse: c’è chi ripete quello che ha imparato da qualche religione e c’è chi ammette di non avere certezze e lascia perdere.
Noi non facciamo né l’una cosa né l’altra cosa. Ma non accettiamo le risposte stereotipate delle varie religioni. Ci sembra che la nostra ragione, la nostra intuizione e la nostra esperienza ci guidino comunque in una direzione precisa.
Lasciando perdere il solito Dio che arbitrariamente prima crea e poi distrugge, ci basta l’osservazione. Domandarsi che cosa succederà dopo la morte è come chiedersi che cosa eravamo prima della nascita. In effetti il nostro io non esisteva o esisteva solo in potenza nei nostri progenitori. Ma anche nei primi mesi di vita noi non abbiamo una coscienza e non sappiamo chi siamo. Solo col tempo “apprendiamo” di essere degli individui, con una forma, un nome, una famiglia e una provenienza.
Non appena però sorge la coscienza di essere un io e di avere una coscienza, sorge la domanda: che fine farà tutto questo e perché deve scomparire? Ed ecco le risposte convenzionali delle religioni – che accrescono i dubbi anziché diminuirli.
Stando all’osservazione e alla logica, noi usciamo dal nulla, esistiamo per un po’ e poi scompariamo. Ma dove finiamo? E che cos’è questo nulla?
In realtà dobbiamo concludere che ritorniamo là da dove veniamo. Questo nulla, però, non è né un antro oscuro (se non per la ragione) né una mancanza. Al contrario, è qualcosa di molto potente e fecondo; è niente di meno che l’Origine prima dell’essere e della coscienza.
Il nostro problema è che non vogliamo rinunciare né all’io né alla coscienza, e vorremmo portarceli dietro. Dobbiamo invece abituarci a pensare che c’è qualcosa (per ora indefinibile) che sta prima e dopo lo stato di esistenza cosciente, qualcosa che non è né parziale né individuale, ma molto di più. Un di più, non un di meno. Il di meno era lo stato di esistenza che abbiamo abbandonato.
Questo è ciò cui arriviamo con i nostri poveri mezzi conoscitivi. Le religioni, invece, inventano e fantasticano.

venerdì 19 giugno 2020

Oltre le gioie e i dolori


Nel nostro ottuso ottimismo, noi crediamo che l’essere nati sia una fortuna, come aver vinto una lotteria. Uno spermatozoo su un milione è giunto alla meta e ha fecondato un ovulo! Ma, prima di nascere, prima di essere un io, avevamo forse qualche bisogno o qualche sofferenza? E, dopo, quante ne abbiamo?
Si dirà che, se non c’erano sofferenze, non c’erano nemmeno gioie, esperienze e coscienza, ed è vero. Ma ciò che c’era prima è esattamente lo stato eterno - da cui esce come una gittata lo stato della manifestazione con il suo dualismo.
Se dunque cercate l’immortalità e l’eternità, sapete da che parte andare. Ma, se cercate la “vita eterna”, sappiate che non esiste, che è una contraddizione in termini.
Il giochetto poi di dividere l’esperienza in due – quella buona e quella cattiva – sperando di accaparrarsi solo la parte che ci piace, è una pura illusione. Come sperare di separare la luce dal buio.

mercoledì 17 giugno 2020

Il peso della vita


Qualcuno sostiene che certe religioni sono ottimistiche perché promettono una rinascita o una resurrezione dopo la morte fisica. Ma, a parte il fatto che non danno nessuna prova di queste affermazioni (nessuno è mai tornato a riferire), resta il fatto che prima bisogna morire.
Si può dunque essere ancora più ottimisti scoprendo che, in quanto parte del tutto – e anzi essendo il tutto, la totalità delle cose che si è isolata in un corpo e in un io – non è proprio possibile morire. Ciò che muore è il restringimento, la limitazione, lo strozzamento.
La nascita, la morte e l’esistenza stessa non sono che un gioco, un’illusione, un’apparenza, una tragicommedia allestita dalla coscienza, che è come una macchina da proiezione di immagini, di luci, di colori, di ombre, di movimenti e di suoni. Se ci aggiungiamo il tatto e l’odorato, abbiamo la nostra realtà.
Ma non si tratta di un altro gioco di parole? Purtroppo morire si deve: non possiamo essere assunti direttamente in cielo, così come sognava san Paolo. E finché la morte, con le sue sofferenze, resta un dato di fatto, ci è lecito dubitare.
Se al posto dell’ombelico avessimo un bottone, premendo il quale potessimo sparire dalla Terra, sarebbe tutto più semplice. Ma, forse, qui non rimarrebbe più nessuno, a riprova che la vita non è solo una cosa meravigliosa, ma anche un enorme peso da trascinare.

domenica 14 giugno 2020

Dall'astrazione alla realtà


Siamo sempre alla ricerca di nuovi concetti, di nuove parole, di nuove interpretazioni, di nuove visioni, di nuove idee… che ci illuminino di colpo.
Ma la verità, anzi la realtà, non sta in qualche nuova idea. Sta nella fine di ogni idea.
In effetti, ogni idea contiene errori, ogni idea è un’interpretazione, ogni idea è limitata, ogni idea è impotente. È come quando vogliamo riprodurre su un foglio piatto un oggetto tridimensionale.
Come ci dice un famoso apologo zen, l’unico modo per sapere o spiegare che cosa sia una brocca non è descriverla a parole o rappresentarla in qualche modo, ma… prenderla in mano. Oggi si dice che la mappa non è il territorio, giustamente.
Niente può sostituire l’esperienza diretta.
La meditazione, a differenza delle religioni, vorrebbe essere un’esperienza diretta sia del nostro stato sia del “quarto stato” – quello della dimensione ultima senza definizioni.

sabato 13 giugno 2020

Il gioco delle religioni


Da quando esiste il mondo, il gioco delle religioni è sempre lo stesso: promettono qualcosa in un aldilà fantomatico se ti sottometti ai loro dogmi e rituali. Nessuno però ha mai potuto dimostrare che ci sia qualcosa di vero in quello che dicono. E poi a chi credere? Al paradiso dei cristiani dove saremo tutti angeli o a quello dei maomettani con tante vergini a disposizione dei maschi? Senza contare che esiste anche la controparte: l’inferno.
Insomma, quella delle religioni è la truffa perfetta. Nessuno può tornare a dire: “è vero” o “non è vero”. Perché allora la gente ci crede? La gente vuole crederci perché ha bisogno di rassicurazioni e di regole. Tant’è vero che queste religioni della sottomissione sono sempre alleate politicamente dei partiti che promettono ordine e legge.
Il loro Dio (immaginario) è in fondo ciò che garantisce l’ordine cosmico.
Ma, lasciando perdere coloro che promettono ciò che non possono dimostrare, lasciando perdere le religioni che pomposamente e presuntuosamente si definiscono “rivelate”, lasciando perdere le caste sacerdotali assetate sempre di soldi e di potere, lasciando perdere coloro che vogliono ingannare e coloro che vogliono farsi ingannare, lasciando perdere i grandi profeti, i “figli di Dio” e i salvatori, che sono passati su questa terra ma in realtà non hanno cambiato nulla di sostanziale nell’esistenza umana, è la nostra esperienza che deve dire la parola ultima. La nostra esperienza, non una fede che è sempre una proiezione dei nostri piccoli desideri.
Dobbiamo osservare, dobbiamo cercare, dobbiamo sfatare mille miti, dobbiamo saper distinguere tra fantasie e realtà. E l’unico modo per farlo è stare attenti alle attività della nostra coscienza, della nostra mente, della nostra stessa attenzione. Non ci dobbiamo fidare né delle idee degli altri, né delle etichette, né delle sedicenti autorità, né delle tradizioni.
La verità non sta in questa o quella tradizione, ma in ciò che sta al di fuori di tutte le tradizioni e di tutti gli schemi. Perché anche la coscienza è una grande creatrice di forme e di credenze; anzi, si può dire che tutto ciò che vediamo è una sua creazione. Noi viviamo non in un mondo reale, ma in un mondo immaginario… che finirà con la dissoluzione della nostra coscienza.
La realtà è ciò che sta prima della coscienza: è qualcosa che per la nostra mente è inimmaginabile. E quindi non servono a niente le religioni e le teologie, fatte di concetti e parole. Solo quando tacciono concetti, fantasie, fedi e chiacchiere, solo allora per qualche istante intuiamo ciò che sta “oltre” e che non ci racconta storie.

giovedì 11 giugno 2020

La via della non conoscenza


Per capire qualcosa del mistero che ci avvolge non servono né le religioni né le filosofie né le scienze: bisogna tornare alla sorgente.
Tornando indietro, si trova prima un infante che non sa niente di sé e del mondo e poi il buio più totale. Siamo nel campo della non conoscenza e della non coscienza, da cui evidentemente proveniamo.
Da questa ignoranza abissale, si formano a poco a poco la conoscenza e la coscienza, e noi arriviamo a sapere chi siamo. Ma è una conoscenza derivata e limitata, che si è allontanata temporaneamente dall’Origine.
Ecco perché in meditazione si cerca di porre il proprio essere in contatto con la sorgente attraverso un processo di deliberata non conoscenza che metta tra parentesi i costrutti intellettuali e rientri nella grande non-conoscenza originale.
All’Origine non c’è né una Super Intelligenza né una Grande Mente che tutto crea, distrugge, vede e provvede (il Dio delle tradizioni religiose), ma una Non-manifestazione, un’Ignoranza caotica (in termini umani) che comprende ogni possibilità, ogni contrasto, ogni dualismo, ed è l’unica realtà eterna.

martedì 9 giugno 2020

Nuovi punti di vista


Noi crediamo che, senza l’identificazione con un corpo, non ci sarebbe nessuna possibilità di esperienza. Mentre è esattamente il contrario: tutto è più vivo e reale. Sono i sensi fisici che ci offuscano la realtà e ci fanno vedere un mondo opaco e doloroso. È l’ “io sono” che ci rimpicciolisce e immiserisce tutto, facendoci credere che siamo individui separati.
Associandoci a un corpo fisico, siamo convinti che, con la sua morte, tutto sparirà, mentre è esattamente il contrario. È l’identificazione con una forma che ci ha già fatto morire alla totalità dell’esperienza introducendo lo spezzettamento del tempo, dello spazio e dell’io.
La meditazione è l’allargamento e il superamento della visuale ego-centrica e formo-centrica. È addestrarsi a disidentificarci dal corpo e dalla coscienza egoica: “Io non sono questo, io non sono quello…”. Io sono la totalità che non nasce e non muore e che talvolta si restringe creando centri isolati e sofferenti.
Ma la mia vera identità, la mia origine, è la totalità.
Dobbiamo dunque cambiare prospettiva, imparare a esistere senza forma. Chi si autolimita, perde il tutto.

venerdì 5 giugno 2020

Bisogno di Dio



Ci hanno insegnato che prima esiste un Dio e poi Dio crea il mondo e l’uomo con il suo io cosciente. Ma è esattamente il contrario: senza la presenza di un io cosciente, chi sentirebbe il bisogno di un Dio?
Quello che c’era prima non aveva nessuna necessità di un Dio. Era al di sopra di qualsiasi divinità.

“Ti sei inventato un Dio per poter implorare qualcuno e avere un conforto, per potere mendicare qualche grazia e sentirti protetto” Nisargadatta Maharaj

Ma in fondo tutto ciò corrisponde ad un offuscamento della Coscienza.

La vera coscienza originaria almeno sa che si tratta di proiezioni proprie.

Samsara


La morte riguarda ovviamente ciò che è nato nel tempo. Ma ciò che siamo veramente non può essere nato, perché c’è sempre stato. Se non partiamo da questa convinzione e andiamo alla ricerca di una nuova vita, qui e/o altrove, non usciremo mai dal ciclo delle nascite e delle morti, il samsara.
È difficile capirlo. Perché noi siamo sempre affamati di essere e guardiamo con spavento ciò che non è vita individuale.
Eppure c’è qualcosa al di là della vita e della morte – quel qualcosa da cui esce tutto, autolimitandosi e definendosi.
La realizzazione è liberarsi delle strettoie per accedere alla totalità.

martedì 2 giugno 2020

Una conoscenza diretta


Prima di essere battezzati, che nome avevamo? Evidentemente nessuno. Ma sapevamo benissimo di essere. Lo sapevamo intuitivamente, senza nomi né concetti, senza neppure coscienza.
In realtà, i nomi e i concetti aggiungono qualcosa, ma non ci possono dare nessuna verità, nessuna realtà. La realtà sta comunque prima. E noi possiamo coglierla solo se ci districhiamo dagli strumenti mentali che abbiamo adottato e ci approcciamo direttamente e nudamente alle cose.
La verità metafisica sta prima del nostro pensare, non dopo. E non può essere raggiunta, dal momento che è lei che ci sostiene.

Scegliere il tutto


Dalla antica saggezza delle Upanisad proviene il messaggio: “Tu sei Quello!” Che significa: non perder tempo ed energie a inseguire manifestazioni, divinità o forze particolari: tu sei Quello, ossia la totalità della manifestazione.
Tu sei proprio Quello; la tua prima e ultima identità è proprio Quella.
Liberati dei piccoli “io sono”, non ti limitare. Perché prendere la parte quando puoi prendere il tutto?
Ciò cui assisti è un’enorme rappresentazione del potere proiettivo e illusorio della Coscienza. E ti sei identificato con la parte debole, effimera, cangiante e temporanea.
Dunque, prima di proclamare la verità: “Io sono Quello!”, convinciti dell’altra: “Io non sono quello, i tanti quello.” Scarta come in una cipolla tutti gli strati superficiali. Ciò che rimane sarà Quello!