mercoledì 17 giugno 2020

Il peso della vita


Qualcuno sostiene che certe religioni sono ottimistiche perché promettono una rinascita o una resurrezione dopo la morte fisica. Ma, a parte il fatto che non danno nessuna prova di queste affermazioni (nessuno è mai tornato a riferire), resta il fatto che prima bisogna morire.
Si può dunque essere ancora più ottimisti scoprendo che, in quanto parte del tutto – e anzi essendo il tutto, la totalità delle cose che si è isolata in un corpo e in un io – non è proprio possibile morire. Ciò che muore è il restringimento, la limitazione, lo strozzamento.
La nascita, la morte e l’esistenza stessa non sono che un gioco, un’illusione, un’apparenza, una tragicommedia allestita dalla coscienza, che è come una macchina da proiezione di immagini, di luci, di colori, di ombre, di movimenti e di suoni. Se ci aggiungiamo il tatto e l’odorato, abbiamo la nostra realtà.
Ma non si tratta di un altro gioco di parole? Purtroppo morire si deve: non possiamo essere assunti direttamente in cielo, così come sognava san Paolo. E finché la morte, con le sue sofferenze, resta un dato di fatto, ci è lecito dubitare.
Se al posto dell’ombelico avessimo un bottone, premendo il quale potessimo sparire dalla Terra, sarebbe tutto più semplice. Ma, forse, qui non rimarrebbe più nessuno, a riprova che la vita non è solo una cosa meravigliosa, ma anche un enorme peso da trascinare.

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