sabato 31 dicembre 2016

Liberarsi di ogni problema

Sembra che vedere che tutte le cose, compresi noi e l’universo, siano fondamentalmente vuote, ossia prive di un sé, prive di una vera sostanza, sia qualcosa di negativo
Ma c’è il rovescio della medaglia.
Vedere che tutti i nostri problemi sono fondamentalmente vuoti e inconsistenti è una gioia, una liberazione. È come il tizio che credeva di vedere nell’oscurità del suo giardino un terribile serpente velenoso, per poi accorgersi che era un tubo di gomma.
Insomma, se tutto è vuoto, anche i nostri drammi lo sono – anche le perdite, anche le sconfitte, anche le morti. Si tratta sempre di fenomeni inconsistenti, di film, di pure apparenze, destinate a sparire come neve al sole.
Ora che ci siamo dentro, ci sembra tutto vero e tutto grave, ma una volta fuori… è come svegliarsi da un sogno. In un attimo tutto sparisce.

Comprendere chi siamo – comprendere che non siamo – ci esime da ogni dovere, compreso quello di sopravvivere in eterno… un altro incubo, tra paradisi, inferni e reincarnazioni.

venerdì 30 dicembre 2016

I veri esseri umani

Noi tutti ci affanniamo per diventare dei Buddha, ma, prima, dovremmo diventare dei veri esseri umani. Siamo sicuri di esserlo? Siamo sicuri di non essere ancora dei piccoli animali, pieni di presunzione, di istinti, di irriflessività, di vecchi convincimenti, di reazioni condizionate e di mancanza di autocoscienza?
La premessa per essere degli illuminati è essere prima dei autentici esseri umani. E pochi lo sono. Per lo più sono maschere.
Noi tutti vorremmo svegliarci e vedere le cose con chiarezza. Ma dovremmo renderci conto, prima, che siamo addormentati nei nostri ruoli, nei nostri schemi mentali, nei nostri pregiudizi, nella nostra piccola mente. E pochi sono in grado di farlo.
Prima di scoprire chi siamo, dovremmo scoprire ciò che ci manca. E ci manca molto.
         Prima di conoscere e affrontare gli altri, dovremmo conoscere e affrontare noi stessi. E invece continuiamo a fuggire, ad evitare, ad essere alienati.
Prima di vedere la luce, dovremmo riconoscere che ci troviamo in un tunnel.

Solo dopo questo riconoscimento, potremo uscir fuori a rivedere il sole e le altre stelle.

giovedì 29 dicembre 2016

Discutere Dio

Almeno, nell’Antico Testamento (Giobbe, i Salmi, Qoelet, ecc.), ci sono tentativi di discutere con Dio, di contestargli preferenze, ingiustizie e cose che non vanno – atteso che sia lui il creatore di tutto. Ma tutto questo si perde nel Nuovo Testamento, nei Vangeli e nelle Lettere di san Paolo.
Qui non si discute più nulla, si accetta tutto. Cade il senso critico. Si esalta solo la sottomissione e la fede.
Proprio come succede anche nel cattolicesimo, una religione dove la ragione viene messa a tacere. È così e basta. Chi sei tu per discutere?
L’esempio primo viene da Gesù stesso, che accetta una sorte orribile, non osando dissentire.
Dio dovrebbe essere come quei padroni egocentrici che vogliono essere circondati da servi sciocchi e da cortigiani ipocriti, che non gli dicono mai la verità, ma lo adulano soltanto?
Eppure la gloria e la funzione dell’uomo è proprio questa: sviluppare una coscienza, criticare, discutere… se stesso e Dio. Essere di aiuto anche a Dio.

Quando non c’è più nessuno che contesti Dio, vuol dire che Dio è definitivamente morto.

mercoledì 28 dicembre 2016

Il trauma originale

Il disturbo da stress-postraumatico è quello che si prova in seguito a qualche trauma e che, anche a distanza di anni, produce paura, panico, senso di oppressione e di angoscia, depressione, stress, disagio, incubi, reazioni dissociative, derealizzazione, fuga da evitamento, pensieri distorti, senso di colpa, ansia, esplosioni di rabbia, comportamento spericolato autodistruttivo, insonnia, amnesie, compromissione del funzionamento in ambito sociale e comunque sofferenza.
I manuali di psicologia ci dicono che questo disturbo è frequente nelle persone che hanno subito o sono state testimoni di atti di violenza, di crimini, di guerre, di disastri naturali, di torture, di minacce, di malattie gravi, di lutti, di maltrattamenti, di abusi, ecc.
Ma, a pensarci bene, questa è la storia dell’uomo, di qualsiasi uomo che è stato esposto alla nascita. E non mi riferisco solo al parto, che è già traumatico in sé, ma all’incarnazione, cioè all’uscita dal grembo del nulla (o di Dio) per entrare in questo mondo – il mondo della violenza.
Siamo tutti traumatizzati. E tutti soffriamo di quei sintomi, in forma più o meno pesante.
Di questo dovrebbe ricordarsi chi inneggia alla vita e addirittura celebra l’ “incarnazione di Dio”.
Se la sofferenza è inevitabile, se vogliamo veramente uscire dalla sofferenza, dobbiamo ripensare il nostro rapporto con l’essere – e non pensare che sia solo una fortuna.
Ricordare, meditare, essere consapevoli, significa mettere in dubbio la vita stessa, lo stato dell’arte. Non stiamo scherzando. Abbiamo a che fare con il trauma fondamentale, con il trauma estremo.

E, se vi sembra di essere stati risparmiati finora dai traumi maggiori, aspettate. Dovrete veder morire i vostri genitori, i vostri cari, voi stessi.

Preti mafiosi

Dunque, un parroco del barese ha celebrato una messa in onore di un boss della ‘ndrangheta ucciso lo scorso maggio in Canada, con tanto di manifesti esposti in paese per invitare i fedeli a partecipare.
Quando la Chiesa sbandiera i preti uccisi dalla mafia, io mi domando sempre se siano più quelli che la combattono o quelli che la benedicono.


martedì 27 dicembre 2016

Caos e cosmo

Tutto cambia. Ognuno di noi cambia. Ma nessuno di noi sa in che direzione andiamo.
Ci illudiamo di essere padroni della nostra vita e di dirigere il cambiamento secondo la nostra volontà e i nostri desideri. Ma il mondo è complicato: non siamo padroni del tempo, non possiamo controllare il divenire.
Noi cambiamo gli atri come gli altri cambiano noi. E nessuno comanda veramente. Non c’è un centro di comando.
Anche gli uomini potenti di questo mondo sono potenti solo in apparenza. Alla fine, anche loro cambieranno e saranno cambiati differentemente da come volevano.
Il mondo è esattamente questo: un gigantesco processo di interrelazioni e di influenze reciproche.

Forse neppure Dio sa esattamente dove stiamo andando: si è confuso pure lui. Andiamo e basta. Il processo non è nelle mani di nessuno, ovvero è nelle mani di tutti.

Feste natalizie

In questi giorni natalizi, le televisioni sono piene di film su Gesù e di film per bambini.
In fondo, non c’è differenza - sono sempre storie per menti infantili.
Che differenza c’è tra la storia di Biancaneve e i sette nani e la storia della grotta di Betlemme, del bue e dell’asinello, dei re Magi, dell’angelo che svolazza sulla Terra, della madre vergine, della cometa e compagnia bella?

Favole per bambini.

lunedì 26 dicembre 2016

Esami di coscienza

A Natale, papa Francesco ricorda i cristiani perseguitati e uccisi, e precisa che anche Gesù fu odiato.
Già, ma perché fu odiato? Perché il popolo scelse Barabba? Perché non riuscì a riscuotere tante simpatie? Perché fu tradito?...

Io mi farei un esamino di coscienza.

Dio e le pecore

Ma perché pensare sempre che Dio sia qualcosa di benefico?
In fondo, se pensassimo che Dio sia il peggior nemico dell’uomo, non cambierebbe nulla della nostra realtà. Avremmo proprio questo mondo.
O forse basterebbe pensarlo come un padrone che alleva pecore non perché gli piacciono, ma per mangiarsele.

Non finiamo tutti in pasto al grande Moloch?

Sistemi difensivi

Se volete costringere l’universo a svelare i suoi segreti, rimanete fermi, fisicamente e mentalmente.
Resistete alla tentazione di alzarvi e di fare qualcosa d’altro.
Vi viene voglia di muovervi? Provate noia?
La noia è proprio lo strumento con cui viene chiusa la serratura di sicurezza.

Certo, dovete andare controcorrente.

domenica 25 dicembre 2016

Trovare riposo

È bello trovare il proprio riposo, il proprio piacere e la propria distensione in mezzo alla natura, in ambienti meravigliosi o con certe persone.
Ma se non trovi il tuo riposo, il tuo piacere e la tua pace dentro te stesso, tutto il resto durerà poco – un battito di ciglia.

Dove, se non in te?

Vecchie fedi

Chissà perché la fede viene assimilata a qualcosa di positivo. La gente, quando sente parlare di uomini di fede, rimane ammirata.
Ma avere fede non significa nulla. Bisogna vedere quale fede. Anche i terroristi islamici che ammazzano gli “infedeli” lo fanno per una fede distorta.
In realtà certe fedi del passato sono arnesi vecchi e superati. È come se continuassimo a usare il tam-tam invece del cellulare.
Prodotti di mentalità arcaiche.

Chi ha dubbi è più avanzato – se non altro più intelligente. Usa uno strumento più moderno.

sabato 24 dicembre 2016

Gli invasati

Ascoltando o leggendo certi uomini che si ritengono “religiosi” o anche politici o anche uomini che hanno una loro ideologia in qualche campo, mi accorgo che non ci sono solo le persone che si fanno di droga; ci sono anche quelle che si fanno di fede.
Sono iper-convinti che ciò che ci raccontano sia vero. Non hanno dubbi. Vanno avanti come treni, senza tentennamenti.
No, non vogliono vedere la realtà. Vogliono sovrapporre alla realtà la loro convinzione, la loro fede.
È la realtà che continua pervicacentemente a non corrispondere alle loro idee.
Un giorno irrompe con tutta la sua violenza e in un istante li annichila.

Noi non siamo per l’esaltazione, per il fanatismo, per la certezza assoluta, ma per una chiara e calma conoscenza, per un avvicinamento progressivo e prudente alla verità. Facciamo ipotesi, ma attendiamo che la realtà le confermi. Non sbandieriamo ai quattro venti la nostra verità.

venerdì 23 dicembre 2016

Il fiume della vita

Forse non ce ne accorgiamo, ma l’essenza della vita è il  movimento. Dobbiamo muovere di continuo non solo il corpo, ma anche la mente e i desideri. Niente può essere stabile, fisso e immobile troppo a lungo.
Ma perché questo instancabile movimento? Perché questo ci impedisce di prendere coscienza della realtà. È come una difesa, uno scudo – e una forma di alienazione.
Se ci fermiamo, infatti, cambia tutto.
È per questo che l’essenza della meditazione è l’immobilità, fisica e mentale.
Noi siamo dei guastafeste, dei ribelli. Andiamo controcorrente. Sappiamo che, per raggiungere la fonte, bisogna risalire il fiume della vita.
Proviamo a tener fermo il corpo, il respiro e in particolare gli occhi. Vi è un rapporto diretto fra il movimento degli occhi e i movimenti della mente. Fermando gli occhi si ferma la mente.
Lo yoga lo sa.
E, fermando la mente, si vede all’improvviso tutto diverso. Si esce dalla tirannia degli schemi condizionati, di ciò che qualcuno vorrebbe impedirci di vedere.
Per diradare il mistero che ci avvolge, dobbiamo fare il contrario di ciò che facciamo abitualmente. 

Atei

Al cospetto degli orrori di questo mondo, in fondo molti non credono in Dio per… salvargli la faccia.
Come giustificare, infatti, i tanti orrori del mondo, non solo quelli provocati dall’uomo (che sarebbe comunque anche lui un prodotto divino), ma anche quelli provocati dalla natura?
Se ci fosse un unico autore di tutto ciò, sarebbe sua la responsabilità.

Dunque, non credere in un Dio creatore e Signore del cosmo è un modo per salvare la reputazione della trascendenza. 

giovedì 22 dicembre 2016

I memores Domini

Dunque “il celeste” Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, è stato condannato a sei anni per corruzione e associazione a delinquere. Non male per uno che veniva dalla Democrazia Cristiana e faceva parte del movimento cattolico di Comunione e Liberazione. Non male per uno che si vantava di essere vergine.
Con i suoi amichetti, anch’essi condannati, godeva alle spalle della Regione di benefit di lusso, tra cui viaggi ai Caraibi e barche con champagne a bordo. In tal modo, lui e il suo gruppo di memores Domini (“coloro che si ricordano sempre del Signore”) ha sperperato 70 milioni di euro di denaro pubblico.
Chissà che cosa ne pensa il Signore.
Sugli yacht c’erano “cabine riservate” e “marinai” a disposizione, e si era comprato una villa in Sardegna con uno sconto di 1,5 milioni di euro. E non parliamo dei conti correnti “silenti” per milioni di euro.

Non male per chi aveva fatto voto di povertà e di castità.
Un altro da aggiungere alla lista degli ipocriti di cui parlava Gesù.

Amore incondizionato

Qualunque cosa facessi, mi amava.
Ma chi? Forse il cane.
Tra gli uomini non è così. Il mito dell’amore incondizionato è fasullo.
L’amore umano è molto condizionato e basta poco a distruggerlo.

D’altronde, vorremmo essere come i cani? Sono intelligenti, sì, ma non troppo. Sono un po’ stupidi, come tutti quelli che amano incondizionatamente.

Salti quantici

Noi consideriamo la coscienza il massimo dell’evoluzione, ma bisogna stare attenti. In fondo la coscienza nasce come una divisione, un’escussione, un’esplosione al di fuori dell’ordinario. In natura è molto limitata.
Ha tanto l’aspetto non dico di un errore, ma di uno stravolgimento, di una ribellione, di un salto eccessivo, imprevisto e imprevedibile.
Ecco perché bisogna stare attenti. Spesso l’intensificazione della coscienza non porta pace, ma terrore, panico. Ci spaventiamo di saltare troppo in alto. Dove atterreremo?

Prima di saltare, è bene addestrarsi, un po’ alla volta; è bene fortificarsi.

mercoledì 21 dicembre 2016

La mente e la realtà

In che modo la mente influenza la realtà?
Se una sera, nel buio, vi pare di scorgere un serpente nel giardino, vi spaventate, andate a prendere un bastone e vi avvicinate molto circospetti. Poi vi avvicinate e scoprite che è il tubo dell’acqua.
Ora credete perché vedete. Ma prima?
Vedevate quel che credevate – e le sensazioni erano reali, così come sono reali anche quando sognate.
Quante volte vediamo non le cose, ma ciò che crediamo noi?
Figuriamoci ciò che succede, come nel caso delle religioni, quando non abbiamo possibilità di verifica. Qui crediamo e proiettiamo ciò che vogliamo, letteralmente.

Se fossimo onesti, dovremmo sospendere il giudizio. Guardare senza giudicare. Stare aderenti alla realtà.

Le fantasie

Quando vogliamo essere ottimisti, tutti noi ci immaginiamo una qualche forma di vita dopo la morte. Rivedere i parenti, le persone care, vivere in un bel posto, incontrare dei maestri spirituali o delle grandi anime del passato… Tutte cose molto terrene. Di più non sappiamo immaginare.
Ma quando mai le cose corrispondono veramente a ciò che ci eravamo immaginati?
Senza contare che qualche guastafeste tira fuori anche immagini di inferni e purgatori. Anche questo molto terreno.

Insomma, meglio lasciar perdere le fantasie e ritornare alla realtà – che non sa nulla di queste cose.

martedì 20 dicembre 2016

L'identità ultima

L’io può dissolversi perché è una creazione della mente umana. Ma ciò che non è mai nato non può nemmeno morire.
Non può morire proprio perché non è mai nato.
Questo quid è una consapevolezza priva di forma. È priva di forma perché può assumere tutte le forme.
Dunque, qualcosa muore, qualcosa non muore.

Sta a noi distinguere, qui e ora, in modo da non sbagliare l’identificazione ultima.

lunedì 19 dicembre 2016

I limiti dell'autoconsapevolezza

L’autoconsapevolezza, la consapevolezza di sé, è un’arma a doppio taglio. Se diventiamo troppo consapevoli di noi stessi, del nostro ego, perdiamo spontaneità e fluidità e siamo dominati dall’egocentrismo. Ci sentiamo ambiziosamente al centro del mondo. Siamo come palloncini gonfiati.
L’eccessiva consapevolezza, infatti, è ciò che ci blocca: non possiamo più essere in armonia con gli altri e con il mondo. Nella vita reale, quanto più siamo consapevoli di noi stessi, tanto più ci irrigidiamo e creiamo barriere.
La consapevolezza di sé è utile per conoscere se stessi. Ma, quando si irrigidisce nell’illusione di essere un sé a se stante, accentua ogni separazione.
Allora, ci sentiamo isolati, estranei, fuori posto, magari “figli di qualche onnipotente Dio”. Ci sentiamo importanti e perdiamo ogni saggezza.
Questo è il peccato originale di una coscienza piena di orgoglio.
La saggezza è proprio il contrario. È essere aperti, spaziosi, rilassati, spontanei.
Il paradosso è questo: che siamo tanto più noi stessi quanto più ci dimentichiamo di noi stessi e non prendiamo sul serio l’artificiosa e avida coscienza egoica.
Il sé autentico non è un sé separato, ma qualcosa che si sente parte (insignificante) del tutto. Solo così può interagire e fluire nella vita.
La nostra consapevolezza deve essere così saggia da capire che, dopo esserci divisi e isolati dal tutto per conoscerci, dobbiamo rientrare nell’essere totale e fluire con esso.

Teologie infantili

Ascoltavo le parole di un discorso di Papa Giovanni in cui descriveva Dio come un padre amorevole che è lì pronto ad accoglierci, pieno di amore di comprensione e di perdono… e compagnia bella.
Come si può continuare a parlare in questi termini della trascendenza?
Una teologia per bambini, con padri, madri e figli più o meno amati.
Sì, perché non tutti hanno lo stesso destino. E i poveretti che nascono con malattie genetiche orribili o quelli che rimangono schiacciati sotto un terremoto, che cosa dovrebbero dire al Padre?

Forse avrebbero da fare qualche recriminazione. E non mi meraviglierei se si armassero di bastoni nodosi.
A tali ridicolaggini si arriva se si crede che Dio sia un padre.

domenica 18 dicembre 2016

Liberarsi

La nostra storia, la nostra epigenetica, è che, invece di essere aperti, spaziosi e rilassati, ci contraiamo nel chiuso, nel limitato e nel teso. Ci congeliamo, ci pietrifichiamo da soli, erigendo a difesa i muri dell’io che ci devono isolare dai nemici, dagli altri, dal mondo.
A questo punto non ci resta che compiere il cammino inverso, almeno in meditazione: aprirci e rilassarci attraverso la consapevolezza del nostro stato.
Sono la chiusura e la contrazione che ci fanno irrigidire e soffrire tanto.

La via della liberazione - e della gioia - è riaprire in noi ciò che era stato solidificato. Sciogliersi. 

sabato 17 dicembre 2016

Farsi isola

Quando le cose ci vanno male è meglio ascoltare l’invito del Buddha a rifugiarsi in sé, a farsi isola. Non si tratta di un semplice togliersi dalla circolazione e di chiudersi in casa. Ma di un rientrare in sé per calmarsi, isolarsi dalle influenze estranee ed indagare se stessi e la situazione. Questa è già meditazione.
Se ci stacchiamo dalla confusione esteriore e ci concentriamo – per esempio sul respiro -, siamo in grado di vedere con più chiarezza che cosa succede.
Rimanere calmi e concentrati ci permette di armonizzare corpo e mente e di esaminare i cinque skandha: corpo, sensazioni, percezioni, mente e coscienza, per vedere in che stato sono e come reagiscono.
La respirazione consapevole, unita a questo lavoro di osservazione, ci permette di calmarci (qualunque sia la situazione) e di recuperare chiarezza ed energie.
Se ci sono problemi nella vita quotidiana, è certo che si rifletteranno sui cinque skandha, dal corpo in poi. Portare la consapevolezza su tutto il complesso psicofisico ci permette di avere un rifugio e di eliminare a poco a poco la tensione.
Inspiriamo ed ispiriamo nel qui e ora, ritrovando il nostro equilibrio e una visione chiara di noi stessi e degli altri. Dall’isola si vede bene, in un unico sguardo, l’ampio panorama del continente. Laggiù c’è la confusione e il marasma abituale. Qua c’è la calma, la concentrazione, la consapevolezza e la tranquillità.
         Contiamo i respiri o seguiamoli semplicemente. Svuotiamo la mente.
Non è difficile meditare, non è complicato.
La pratica è semplice, ma i benefici sono enormi. Non c’è bisogno di aspettare i momenti di crisi. Anticipiamoli e fortifichiamoci ogni giorno attraverso la pratica del respiro consapevole. Portiamo l’attenzione al corpo e alla mente, calmiamoli e superiamoli entrambi.

Al di là c’è la pace.

venerdì 16 dicembre 2016

L'albero della vita

Diventando sempre più consapevoli, aprendo la mente, per prima cosa si vede l’unità di tutte le cose. Nessuna è autonoma o indipendente: ognuna dipende dalle altre.
Prendiamo un tavolo. Il tavolo non esiterebbe senza l’albero. Ma l’albero non esisterebbe senza il sole, la pioggia e la terra. A loro volta, il sole, la pioggia e la terra non esisterebbero senza questo pianeta, e questo pianeta non esisterebbe senza il sistema solare, e il sistema solare non esisterebbe senza la galassia in cui ci troviamo, e la galassia non esisterebbe senza le altre galassie e senza l’intero universo. Dunque in questo tavolo è presente l’intero universo.
Il ragionamento può essere ripetuto per ogni cosa e per ciascuno di noi.
Ecco ciò che si chiama interdipendenza. Ogni ente è connesso agli altri e tutti insieme formano un’unica unità. La realtà, l’universo è un flusso unitario.
La conseguenza è che io dipendo da tutto, come ognuno di noi. Ma anche il tutto dipende da questo ente infinitesimale che sono io.
Un tempo si parlava di albero genealogico, perché s’immaginava che ogni persona fosse un ramo di un unico albero, il cui tronco era il capostipite della famiglia. In realtà, però, anche il capostipite aveva un suo albero – e dunque alla fine l’albero dell’umanità era unico.
Nell’antichità si paragonava il cosmo proprio ad un albero con le sue varie fronde: l’albero della Vita, l’axis mundi.
Tutte immagini per indicare l’unità del tutto.
In questo albero unico, i rami e le fronde emergono dall’interno, per gemmazione, e restano comunque collegate al tutto. Se ogni tanto qualche ramo si stacca e muore, l’albero resta vivo. Ciò che muore è una sua piccola parte che faceva parte dell’albero.

Finché noi ci identifichiamo con quel rametto, possiamo morire. Ma se ci identifichiamo con l’albero, ossia con la forza universale da cui è scaturito il rametto, non moriremo mai. Sta a noi capire e identificarci con la parte giusta.

giovedì 15 dicembre 2016

Contemplare la non-nascita

Contemplare la non-nascita significa accorgersi che le cose non nascono mai. Infatti quella che noi chiamiamo nascita è solo un momento specifico di un processo che non ha avuto inizio qui e che non finirà qui. Siamo noi che separiamo e isoliamo astrattamente i vari momenti.
Quando dal latte si estrae il burro, non possiamo dire che il burro è nato in quel momento e che prima non ci fosse. C’era già prima, anche se in un’altra forma. Quando dall’acqua si forma il ghiaccio, non possiamo dire che il ghiaccio sia nato in quel momento: c’era già prima, e, quando ci sono state le condizioni adatte, si è palesato.
Lo stesso per noi. Ognuno di noi sembra apparire all’improvviso, ma c’era già prima e, quando ci sono state le condizioni propizie, si è manifestato. Quello che c’era prima in parte lo conosciamo: i nostri genitori e i loro genitori e i loro genitori, ecc. Quello che ci sarà dopo non lo sappiamo, ma sarà qualcosa di simile. Il processo infatti non si interrompe, non può essere interrotto.
La nostra vita, la nostra nascita, non può essere un’eccezione.
Per quanto si vada indietro, non c’è nessuna vera nascita: tutto è già nato e si limita a trasformarsi, ad assumere – quando ci sono le condizioni – forme diverse.

Contemplare questo flusso che coinvolge tutto e tutti è contemplare la non-nascita e, in realtà, anche la non-morte.

mercoledì 14 dicembre 2016

Il potere degli altri

Siamo noi che diamo agli altri un potere che in sé non avrebbero. Quel potere è in realtà una nostra proiezione.
Se ci innamoriamo di qualcuno, quella persona avrà su di noi un enorme potere, che noi stessi le abbiamo conferito. Basta un sua parola o un suo sguardo per renderci felici o infelici. Mentre non è così per le altre persone.
Quando poi ci disamoriamo, ritorniamo alla realtà. Vediamo quella persona priva delle nostre proiezioni. E ora non ha più potere su di noi.
Ebbene, dovremmo guardare la realtà così come guardiamo una persona i cui ci siamo prima innamorati e poi disamorati. Il che non significa che debba essere orribile: è semplicemente diversa. Passare dall’infanzia alla maturità dello sguardo. Passare da una visione romantica o mitica ad una visione il più possibile obiettiva della realtà.
Solo così la vediamo per quello che è e non per quello che le attribuiamo noi.

Stiamo dunque attenti a come guardiamo, ai sentimenti che proviamo mentre guardiamo.

Saper guardare

Guardare è difficile. Guardare oggettivamente. Perché noi proiettiamo sempre qualcosa di noi stessi su ciò che vediamo.
Quindi, se vogliamo conoscere la realtà, dobbiamo cercare di guardare il più possibile con distacco.
Però, dobbiamo tener conto che il mondo è già, in parte, una nostra proiezione. Cioè, si è solidificato così com’è perché noi lo abbiamo guardato in un certo modo.
Dunque, cerchiamo di non proiettare ulteriori proiezioni.

Guardare non è mai innocuo. 

martedì 13 dicembre 2016

Più distacco

Il problema dell’odio, della rabbia, del rancore e del risentimento è che le prime vittime siamo noi. Diceva il Buddha che è come lanciare in alto una manciata di polvere – ci ricadrà sulla testa.
Se odiate qualcuno, siete voi che soffrite.

Vedetela così, e pensate se non convenga più distacco nella vita. E' anche una questione di salute, oltre che di intelligenza.

Raccontare favole

Quando ci muore una persona cara o si annuncia la nostra stessa morte, noi andiamo fuori di testa. Il fatto è che ci credevamo solidi e immortali, come se tutto intorno a noi non cambiasse continuamente, come se tutto non dovesse prima o poi morire.
Certo, c’è una differenza tra “il prima e il poi”. Come tutti, pensiamo che sia meglio il “poi.” Ma si tratta di qualche anno in più o di qualche anno in meno.
L’idea che il mondo sia un’apparenza temporanea non ci sfiora neppure. La allontaniamo subito. Noi vorremmo che le cose fossero solide e immutabili, e invece la vita è un palcoscenico su cui tutti entrano, recitano per un po’ e se ne vanno… prima o poi.
Dobbiamo continuamente raccontarci la favola dell’immortalità, per far passare la nottata, per sognare il contrario della realtà.

È logico che, quando scopriamo che era tutta una favola per bambini, lo shock sia tremendo.

lunedì 12 dicembre 2016

Cercare l'essenziale

Soffriamo perché crediamo che tutto sia reale, solido e auto-esistente. E, allora, ci attacchiamo alle cose, alle persone e a… noi stessi, ignorando che ogni ente durerà un momento e poi sparirà per sempre.
Quando vediamo un meraviglioso arcobaleno, sappiamo che durerà pochi minuti e che non possiamo né possederlo né conservarlo. Tutt’al più possiamo fargli una fotografia, che è soltanto un’immagine – un’altra immagine.
Ebbene, non c’è niente in questo universo che non sia come quell’arcobaleno – perfino un’enorme montagna, perfino la Terra, perfino l’universo. Un’immagine temporanea.
Questo dovrebbe indurci non a deprimerci, ma ad apprezzarla ancora di più e, soprattutto, a non attaccarci alle cose e a… noi stessi. Questo dovrebbe indurci a non perderci dietro alle stupidaggini sociali, ai loro inutili e vuoti rituali.

La consapevolezza dovrebbe indurci a cercare le cose semplici, vere ed essenziali.

domenica 11 dicembre 2016

Uscire dalla mente

Se stessimo attenti per una giornata a tutto ciò che ci passa per la mente, ci accorgeremmo del gran numero di fantasticherie. Si tratta per lo più di fantasticherie di compensazione. Se sono povero, sogno di essere ricco. Se conduco una vita grigia, sogno una vita avventurosa. Se sono solo, immagino grandi amori e così via.
Poi ci sono le fantasie negative. Per esempio penso di avere una grave malattia, credo di essere tradito, immagino incidenti o sciagure, e così via.
Il risultato è che per molto tempo non siamo affatto in contatto con la realtà, ma con fantasticherie della mente. Ci creiamo in continuazione mondi e avvenimenti immaginari, proprio come se girassimo un film nella nostra testa. Siamo drogati di evasione mentale.
In meditazione cerchiamo di riprendere il contatto con le cose reali, per esempio con il respiro, che ci riporta a qualcosa di concreto che avviene proprio in questo momento.
Ma certamente non basta. Dobbiamo passare al livello successivo e renderci conto che, spesso, ciò che ci sembra reale è anch’esso un prodotto della mente.
Al limite, il mondo intero non è che una fantasticheria.

Ecco perché cerchiamo la vacuità. Se fermiamo la mente, fermiamo il mondo. Ed è tutto un altro discorso.

sabato 10 dicembre 2016

Immobilizzare la mente

Probabilmente un pesce non sa di vivere immerso nell’acqua; per lui è l’ambiente naturale. Nemmeno noi ci rendiamo conto di vivere immersi nel regno della mente, con i suoi desideri, le sue fantasticherie, le sue illusioni e la sua ignoranza.
Ogni tanto un pesce fa un balzo fuori dall’acqua e allora si accorge per un attimo che c’è un altro ambiente, un’altra possibilità di vita. Esclama: “Ohooo..!” Ma subito rientra nell’ambiente che gli è familiare e non ci pensa più.
Anche a noi succede la stessa cosa. Non siamo consapevoli di vivere in un certo mondo - che non è l’unico. Siamo ciechi. Non vediamo che questo ambiente perché è quello per cui sono stati fatti i nostri occhi.
Il risultato è che non vediamo proprio ciò in cui siamo immersi; sembra che non ci sia alternativa.
E non è solo la natura che ci condiziona. Anche la cultura e l’educazione ci spingono a muoverci solo in determinati ambiti, che sembrano gli unici e non modificabili.
Quando in meditazione ci dicono di restare fermi non è per amore dell’immobilismo, ma per riuscire a vedere come ci muoviamo abitualmente, sia fisicamente sia mentalmente.
Immobilizzarci significa immobilizzare la mente che proietta quest’unico ambiente. Infatti, come siamo indotti a muoverci solo in certi modi, così siamo indotti anche a pensare in certi modi. Così il nostro mondo si è ristretto e non può cambiare.

Se non vediamo cose nuove non possiamo pensare a cose nuove. E restiamo confinati in un mondo asfittico.

venerdì 9 dicembre 2016

La paura e la gioia

La paura nasce essenzialmente dall’ignoto, da ciò che non conosciamo. Se per esempio conoscessimo già l’esito di un esame, non ne avremmo paura.
In tal senso la paura è un segnale importante. È un segnale di allarme, qualcosa che ci induce a stare più attenti e concentrati. Se camminiamo in una strada di notte, abbiamo paura perché non sappiamo dove andiamo e che cosa potremmo incontrare. Ma, in tal modo, teniamo gli occhi bene aperti e i sensi all’erta.
Dunque, più che scappare dalla paura, dobbiamo interrogarci sulla via che ci indica. Nell’ignoranza, sulla strada buia, è come avere delle pietre miliari che ci dicono: vai qui, non andare là.
Ma, per andare avanti, non basta.
La via è segnata da due forze opposte, due diverse pietre miliari: ciò che ti dice la paura e ciò che ti dice la gioia. Dobbiamo tenerle presenti entrambe. Nel buio, sono come segnali di un radar che segnano il percorso. E ci dicono ciò che possiamo fare e ciò che non dobbiamo fare.
Siamo noi che dobbiamo ascoltare noi stessi, i sentimenti e le emozioni che proviamo.

Più si conosce, più diminuisce la paura.

giovedì 8 dicembre 2016

L'allargamento della comprensione

Quando saliamo su una montagna, la vista si fa a mano a mano più ampia e noi vediamo molte più cose. Anche quando pratichiamo la meditazione, ampliamo a poco a poco la nostra visuale e comprendiamo sempre più cose.
Si tratta di un processo di ascesa e di allargamento, un processo di trascendenza.
In realtà tutta la vita è così. La visione del mondo che abbiamo a dieci anni è più ristretta di quella che abbiamo a cinquanta. Volenti o nolenti, capiamo più cose. E guardiamo alla nostra precedente prospettiva infantile come a qualcosa di limitato.
Se però lasciamo fare solo alla natura, la crescita sarà molto lenta.
La pratica della meditazione, insieme a quella delle riflessione, serve ad accelerare e a potenziare la nostra comprensione. Allora consideriamo le nostre vecchie credenze come qualcosa di infantile che abbiamo per fortuna superato.

Di solito pensiamo all’illuminazione come ad un flash che illumini di colpo la scena e ci faccia capire tante cose. Ma un lampo è troppo breve per farci vedere tanti particolari. Dobbiamo o moltiplicare i flash o aumentare a poco a poco, quotidianamente l’intensità della luce.

mercoledì 7 dicembre 2016

La consapevolezza senza forma

Quando ci sediamo in meditazione, la prima cosa che immobilizziamo è il corpo. Naturalmente rimangono attive le funzioni cardiache, il respiro, i processi metabolici e i sensi.
Comunque, rimanendo fermi, ci sembra di non avere più il corpo, che si fa silenzioso. E possiamo anche sospendere per brevi periodi il respiro.
A questo punto, abbiamo a che fare con le attività mentali (pensieri, ricordi, dialoghi interiori, ecc.) che sembrano diventare ancora più vivide. Ma, a poco a poco, rimanendo fermi e concentrandosi sul respiro, su mantra o sulla vacuità stessa, queste attività incominceranno a rallentare.
Con ciò, noi non spariamo. Rimane il senso dell’io, la nostra coscienza.
Ma è possibile procedere oltre. Si può abbandonare anche il senso dell’io e avviarsi verso la consapevolezza senza forma - ciò che soggiace a tutto, il fondo dell’essere.

Questo è il processo della meditazione. Che è anche il processo del morire. Sì, perché alla fine – alla fine della meditazione e alla fine della vita - ci troveremo ad essere solo questa pura consapevolezza.

martedì 6 dicembre 2016

La sveglia

Il Buddha visse 29 anni in un palazzo dove tutti i suoi desideri venivano immediatamente esauditi. Ma, quando mise la testa fuori dalle mura, ebbe uno shock.
Si accorse per la prima volta che, al di fuori del palazzo, cioè nel mondo normale, c’erano vecchiaia, malattie e morte. Ebbe insomma una rivelazione: che tutto è impermanente.
Questa storia è l’allegoria di una scoperta che tutti facciamo quando usciamo dal mondo protetto dell’infanzia e della giovinezza, quando dobbiamo aprire gli occhi sulla realtà, quando diventiamo consapevoli della durezza della vita.
Intorno a noi, tutti invecchiano, si ammalano e muoiono. Intorno a noi e in noi, tutto cambia continuamente ed è diretto verso la distruzione. È un flash di terrore che ci illumina la mente. È come una bastonata.
Il nostro destino non è l’indistruttibilità, ma la trasformazione continua… fino ad un esito che tutti conosciamo.
Trasformarsi è crescere, trasformarsi è doloroso, trasformarsi è inevitabile.
La meditazione fondamentale è rendersi conto di questo processo, che nessuno può fermare. Inutile cercare di non pensarci o di darci all’evasione.
Se non meditiamo adesso, dovremo meditare dopo – e sarà più difficile.
Il terrore si supera meditando sul fatto che, proprio perché questo processo è inarrestabile, non si fermerà nemmeno dopo la morte.

lunedì 5 dicembre 2016

Re-ligio

Sembra che la parola “religione” derivi dal latino re-ligio: lego di nuovo.
Ma a che cosa mi ricollego?
Al ricordo che vivo abitualmente in uno stato di alienazione e disattenzione e che deve recuperare la presenza mentale, l’essere presente a me stesso.
Per ravvivare questo ricordo, si può ricorrere a qualche metodo. Cerco per esempio di ricollegarmi al mio respiro o ad un mantra, che mi ricorda, appunto, che ho perso il contatto con me stesso.

Non sono qui per vivere a casaccio e distrattamente. Devo recuperare la mia consapevolezza.

Motivazioni profonde

Conosciamo tanto poco noi stessi che possiamo confondere un tentativo conscio di trascendere l’ego con un tentativo inconscio di rafforzarlo.
Succede per esempio a certi individui che si credono religiosi o spirituali, ma che sono alla ricerca, anche attraverso rinunce e privazioni, di un rafforzamento del proprio io ideale, di una superiorità sugli altri. Vogliono essere dei santi, vogliono essere i primi anche nei sacrifici.
Ma sono ancora più egocentrici di prima.

Se non si esamina onestamente la propria motivazione più profonda, si finisce in questa trappola.

domenica 4 dicembre 2016

La forza in noi

L’antica idea di Dio è quella di un Essere che un giorno si sveglia e dice: “Oggi ho voglia di creare qualcosa”, e dal nulla dà origine al cosmo. Il cosmo dunque è il suo creato e lui ne resta il padrone, il Dominus. In tal modo egli sarebbe responsabile delle cose che non vanno e resterebbe sempre distinto e separato da ciò che ha creato.
Ma esiste un’altra idea. Che non ci sia questa separazione tra la Forza che crea e il cosmo creato. Tutto è uno, e tutto e infinito. Non c’è quindi né un inizio né una fine, e il cosmo è l’evoluzione o il gioco di un’Energia che è presente in ogni ente creato. Il divino non è quindi più rintracciabile come un Essere a se stante. Tutto è essere, tutto è divino. E tutto è corresponsabile.
La presa di coscienza che il divino è in ogni essere vivente cambia il nostro rapporto con il mondo. Non esiste più un Dominus, il Signore, ma ognuno ha la sua parte di responsabilità.
Non c’è più un contrasto tra spirito e materia. Perché tutto è spirito, seppure a livelli differenti.

Non dobbiamo più pregare un Dio-Padre-Padrone. Ma dobbiamo risvegliare la forza che è in noi.

sabato 3 dicembre 2016

Abusi

Grillo vorrebbe denunciare Renzi per “abuso della credulità popolare”.

È meglio che non si metta su questa strada. Perché l’ “abuso della credulità popolare” è il pane quotidiano di ogni politico. Come di ogni prete.

Il soggetto come astrazione

Quando ci sforziamo di conoscere il mondo, in realtà lo schematizziamo: facciamo entrare le cose in concetti, in schemi precostituiti.
Uno di questi schemi è la contrapposizione fra mente e corpo, fra noi e il mondo.
Si tratta di schematismi astratti, perché noi non sappiamo dove finisca l’uno e incominci l’altro. Le cose non sono affatto così distinte.
La realtà è unitaria. La mia mente e il mio corpo non sono affatto separati, ma sono l’uno parte dell’altro. Sono un tutt’uno.
Avendo però bisogno di inquadrare le cose, noi le distinguiamo. E distinguendole, le separiamo.
Ora, in meditazione, compiamo il cammino inverso.
Invece di distinguere, riunifichiamo.
Non è la mia mente che sente e pensa. È l’unione corpo-mente che sente e pensa. E non sono neppure “io” che pensa e sente. È un pezzo di mondo che sente, pensa ed è consapevole.

Così, quando il soggetto muore, dobbiamo renderci conto che muore la nostra astrazione. Le cose esplodono in un nuovo ordine.

Nei momenti di crisi

Quando le cose ci vanno molto male, ci mettiamo a pregare o cerchiamo qualcuno che ci salvi. Ma se non succede niente di positivo e non arriva nessun salvatore, che fare?
La meditazione può aiutarci. Invece di cercare una salvezza esterna, cerchiamo di andare più a fondo dentro di noi. Invece di tentare di trovare un anestetico, guardiamo ancora più chiaramente che cosa ci fa soffrire.
Non fuggire, ma affrontare.
Pensiamo che quelle avversità possono farci crescere, pensiamo che da quel caos può nascere un nuovo ordine, ad un livello superiore, pensiamo che possiamo capire più cose.
In meditazione non si cerca mai di evadere. Ma si entra sempre più dentro.


venerdì 2 dicembre 2016

L'insoddisfazione

Il fatto che noi tutti cerchiamo la felicità ci indica che alla base abbiamo un senso di insoddisfazione. La realtà che viviamo è per lo meno insoddisfacente, soprattutto perché è impermanente e spesso dolorosa.
Questa presa di coscienza va resa sempre più chiara. Non ci illudiamo di poter sfuggire alla sofferenza. Ma proprio da una simile consapevolezza parte il nostro processo di risveglio.
Dobbiamo entrare in pieno contatto con questo senso di insoddisfazione anziché cercare di cancellarlo con la ricerca ossessiva di sensazioni piacevoli.
La nostra insoddisfazione di fondo esige attenzione. Non dobbiamo rimuoverla subito, dobbiamo approfondirle e capirla. Ci mettiamo alla ricerca del risveglio quando ci rendiamo conto che l’attuale condizione è dolorosa e che non può essere cancellata con un piaceruzzo oggi e un piaceruzzo domani (come diceva Nietzsche).
Quando dormiamo e abbiamo un incubo, l’unico modo per uscirne è risvegliarsi. Dobbiamo dunque avere consapevolezza che ci troviamo in qualcosa di spiacevole.

Il problema deve essere fatto emergere e deve essere ben presente alla mente. Ecco perché la presenza mentale deve essere attiva non solo nelle esperienze positive ma anche in quelle negative.

giovedì 1 dicembre 2016

Diventare qualcuno

Ai nostri figli insegniamo a “diventare qualcuno”. Questo è l’imperativo dell’educazione contemporanea.
Al contrario, la meditazione ci insegna a diventare nessuno – nel senso che ci aiuta a toglierci la corazza dell’io sociale, a spogliarci delle maschere, dei ruoli convenzionali e delle apparenze.
Anziché indurci ad avere ambizioni, ci spinge a non avere desideri illusori.

Ci induce a guardare in faccia la nostra realtà più profonda.

mercoledì 30 novembre 2016

Corpo e coscienza

Noi siamo convinti che, dopo la morte del corpo e della mente, scompaia ogni traccia di coscienza. Questo nel presupposto che la coscienza sia un prodotto dell'evoluzione e quindi della materia.
         Poiché, però, non riusciamo a spiegare come dalla materia possa nascere questa nostra straordinaria consapevolezza, può darsi che sia il contrario: che il corpo e la mente nascano dalla coscienza.
         La coscienza sarebbe una specie di sostanza universale che permea tutto e dà origine al corpo-mente.
         In tal caso, alla morte, la coscienza personale, la coscienza modellata ormai in un corpo-mente, potrebbe sopravvivere e continuare a esistere o in qualche altro luogo dell'universo o in qualche altro universo o in una diversa dimensione.
Questa è la tesi di un noto scienziato, Robert Lanza, che ha scritto un libro intitolato Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the Nature of the Universe. In realtà si tratta di idee molto antiche.

Il problema sta nel dimostrarle. Come possiamo provare che la consapevolezza venga prima e non dopo, e che possa sopravvivere alla morte? Dovremmo fare esperimenti, per esempio annullare in meditazione le sensazioni fisiche (cioè il corpo) e poi i pensieri stessi. Avete una prova che la vostra consapevolezza possa esistere anche così?

martedì 29 novembre 2016

Il potere della meditazione

La meditazione non è un passatempo psicologico o una semplice ricerca di quiete. È pur sempre una ricerca di potere, anche se di un potere speciale.
Di solito, chi cerca potere mira alla ricchezza, alla fama, al successo o al potere politico e sociale. Vuole essere più importante, vuole essere riconosciuto, vuole poter fare tante cose, vuole poter comandare. Si tratta dunque della ricerca di un potenziamento dell’ego.
Il potere della meditazione, invece, va al di là dell’ego. Anzi, meno ego c’è, più la meditazione ha avuto successo.
Se, per esempio, mi mantengo tranquillo, equilibrato, equanime e indipendente in mezzo ad una società frenetica, corrotta e violenta, piena di convenzioni, di luoghi comuni e di opinioni che vanno per la maggiore, certamente ho acquisito un potere spirituale.
Se ottengo il potere attraverso il denaro, la politica o la speculazione finanziaria, una volta che perda il denaro o la carica, perdo tutto. Ma, se mantengo la calma, l’autonomia di giudizio e la presenza mentale, il mio potere non dipende più da dati esterni, da condizionamenti e dalle opinioni altrui.

Sono diventato una forza che può essere messa al servizio del mondo.

Il non-desiderio

Tutti noi siamo sempre rosi dal desiderio di ottenere qualcosa, e siamo quindi in continua tensione, “protesi a”. Tutti, per esempio desideriamo essere felici e pensiamo che ci serva a questo scopo una serie di cose: i soldi, una bella casa, una determinata partner, una bella auto, una seconda casa…e così via.
Di conseguenza, se non otteniamo queste cose, ci sentiamo infelici. Ma, anche se le otteniamo, può darsi che non le riteniamo abbastanza o che ci deludano. In conclusione, ci manca sempre qualcosa. Se abbiamo denaro, ne desideriamo più. Se abbiamo una donna, ne desideriamo altre. Se abbiamo una macchina o un computer, ne vogliamo uno migliore, e così via.
La verità è che non siamo mai soddisfatti, perché non sappiamo dove dobbiamo fermarci. Quando è abbastanza?
Ciò che non capiamo è che la vera felicità non è desiderare, ma essere liberi dal desiderio.
Per essere liberi dal desiderio, però, è necessario fermare la mente, smettere di creare immaginari oggetti del desiderio. Dobbiamo dunque allenarci a restare presenti.

Fateci caso. Se siamo presenti, in qualunque situazione, smettiamo di desiderare e ci sentiamo più sollevati e liberi. E questa è l’autentica felicità.

lunedì 28 novembre 2016

Affrontare le avversità

Ci sono due modi per considerare le avversità che prima o poi tutti incontriamo. Il primo - quello abituale - consiste nel vederle come ostacoli, incidenti, danni, perdite irrecuperabili o maledizioni incomprensibili.
Il secondo – rivoluzionario – consiste nel vederle come opportunità sulla via, modi per trasformarsi e migliorare. In fondo, non si può diventare un buon pugile se non si lotta contro un avversario. Se non avessimo questo avversario che ci riempie di botte, non potremmo mai migliorare.
Non si tratta di sciocco ottimismo, perché si può anche soccombere, ma di un modo per trasformare la sofferenza in un propellente virtuoso, in una forza di progresso.
Certo, sarebbe meglio imparare senza prender botte. Ma il mondo è fatto così. Tanto vale farsene una ragione.
L’atteggiamento giusto dovrebbe essere il seguente: “Ecco il problema! Ecco l’ostacolo! Ecco l’avversità!...Proviamo ad utilizzarla per crescere.

Lo so, non è facile. Ma sarebbe più utile mettersi a inveire contro la sorte e auto commiserarsi?

I luoghi dell'anima

Noi non siamo separati dall’ambiente che ci circonda; al contrario ne facciamo parte. E ogni ambiente ha una sua particolare influenza, e noi a nostra volta lo influenziamo.
Ognuno ha un luogo preferito, un posto in cui si sente a proprio agio. Può essere una spiaggia, una costa rocciosa, una collina, una montagna, un lago, una campagna, un fiume, un paese, una città, un quartiere, un giardino… o un insieme di queste cose. Per lo più è il luogo della propria infanzia, se questa è stata felice.
Si tratta di ambienti magici, con un loro particolare potere di rilassarci.
Perciò, quando abbiamo problemi, quando incontriamo avversità, quando vogliamo meditare più a fondo, ci conviene tornare in quel luogo, fisicamente o mentalmente.
Questo “ritorno” ci aiuta a fermare la proliferazione dei pensieri negativi, a conciliare cuore, corpo e mente, a sentire la magia della vita, a recuperare energie e sperimentare la bellezza.
La bellezza ha sempre il potere di calmarci, di distenderci e di farci uscire dall’ordinario, dalla routine e dalle abitudini. C’è una coincidenza fra la magia di un luogo e la parte migliore e più felice di noi stessi.
Quando ritorniamo o incontriamo questo luogo, allora il mondo non ci appare più un posto ostile e triste, ma il nostro piccolo paradiso.

Per alcuni, questo “posto” magico è una persona o un gruppo di persone, dato che un ambiente – come dicevamo prima – non è mai disgiunto dalle persone che lo abitano.

domenica 27 novembre 2016

La pratica della benevolenza

La pratica buddhista della benevolenza consiste nell’augurare la felicità a tutti. Primo, si augura la felicità a se stessi. Secondo, la si augura a qualcuno cui si vuol bene. Terzo, la si augura a una persona che ci è indifferente, verso cui non si prova né un particolare interesse né una particolare antipatia. Quarto, si arriva al passo più difficile: augurare di star bene a qualcuno che si odia o che ci è antipatico. Infine, si augura la felicità a tutti gli esseri viventi.
Questo esercizio può sembrare una pratica ingenua e velleitaria, perché è illusorio pensare che si possa far felice qualcuno con un metodo così semplice.
Ma, in realtà, si tratta di un esercizio con cui creiamo in noi stessi calma e benessere.
Infatti, la rabbia, l’odio o il disprezzo che proviamo per qualcuno finiscono per rivoltarsi contro di noi, provocandoci uno stato di agitazione, di tensione e di malessere.
Visualizzando la persona prescelta, possiamo pensare o dire: “Che tu sia felice”.
Per trovare la calma, dunque, potremmo prima riportare l’attenzione al respiro e poi eseguire l’esercizio della benevolenza.


La direzione dello sguardo

Forse non ce ne accorgiamo, ma, quando guardiamo, quando mettiamo a fuoco lo sguardo, in realtà ci tendiamo, ci stressiamo; e, oltretutto, aggiungiamo a ciò che inquadriamo una nostra personale interpretazione. Infatti, nessuno sguardo è innocente, nessuno sguardo è neutro.
Ecco perché in meditazione facciamo esattamente il contrario. Nella ricerca della calma e della non-interferenza interpretativa, non fissiamo più nulla, ma lasciamo che lo sguardo rimanga non-focalizzato.

Non focalizzando lo sguardo, rilassiamo la mente. Rilassando la mente, ci calmiamo noi stessi.

sabato 26 novembre 2016

Il vero coraggio

Non c’è solo il coraggio fisico di affrontare un avversario o una situazione difficile. C’è anche quello di affrontare la voce assillante del condizionamento sociale, la capacità di vincere i preconcetti e gli schemi convenzionali della mente altrui e della mente nostra.

È più facile combattere un nemico fisico che nemici così insidiosi come il luogo comune, il pensiero e il comportamento della maggioranza, il “così fan tutti”, nonché i propri pregiudizi.