martedì 31 luglio 2018

Parlare a vanvera


L’uomo che parla di Dio è un presuntuoso. Non sa neppure di che cosa stia parlando. Parla di una propria fantasia, di un proprio schema mentale, non di un’esperienza diretta.
       Quando qualcuno afferma di credere o di non credere in Dio, a quale Dio si riferisce? A che cosa se non ad una propria congettura?
Non può provare nulla, non può essere sicuro di nulla. Meglio sospendere ogni giudizio: questo sarebbe l’atteggiamento giusto.
Occupiamoci piuttosto di ciò che è reale, delle nostre esperienze. Di quelle almeno siamo sicuri.
Incominciamo ad essere consapevoli di ciò che proviamo o pensiamo. Non perché si tratti di esperienze vere, ma perché sono la nostra realtà.
Sono poche le cose cui possiamo aggrapparci, anzi nessuna. E, allora, non aggrappiamoci.

       I problemi vengono tutti dal nostro volerci aggrappare a qualcosa di fisso e di rassicurante. 

Seguire il respiro


Quando s’incomincia a contare i respiri, ci si accorgerà che non è affatto un compito semplice. Innanzitutto, facendo convergere l’attenzione su un meccanismo naturale, in qualche modo lo si influenzerà – e quindi cambierà il nostro modo di respirare. E poi, riuscire a contare per esempio fino a dieci senza distrarsi, è più difficile di quanto si creda. In genere, dopo tre o quattro respiri, s’incomincerà a pensare a qualcos’altro, e dovremo ricominciare da capo. Questo ci dice quanto la nostra mente sia mobile e continuamente distratta; in Oriente viene paragonata a una scimmia che saltella di continuo da un ramo all’altro e non è capace di stare mai ferma a lungo in un solo posto. Non dobbiamo però preoccuparci; con l’esercizio diventeremo sempre più bravi.

Per meditare, un minimo di concentrazione è sempre necessario. Ma non dobbiamo sforzare la volontà; dobbiamo sempre agire con gentilezza verso noi stessi. In realtà la meditazione adotta sia la concentrazione sia la consapevolezza ricettiva. La prima si focalizza su qualcosa ed esclude tutto il resto; la seconda si apre ed accoglie un po’ tutte le esperienze che si presentano all’attenzione. Si raggiunge una buona capacità di meditazione quando si adottano entrambi gli atteggiamenti. Prima ci si concentra (per esempio sul respiro o su una mantra) e poi si rivolge un’attenzione consapevole a ciò che ci succede intorno e alla nostra stessa esperienza interiore. Partendo da una calma concentrazione, si incominciano ad osservare le cose come dall’alto. Ed è tutto un altro discorso rispetto al caotico funzionamento ordinario della mente.

lunedì 30 luglio 2018

Iniziare a meditare


Se non sai come incominciare a meditare, sappi che non ci vuole molto. Basta formulare l'intenzione di meditare, interrompere per un po' qualsiasi attività, trovare una posizione comoda (seduti, in piedi, sdraiati, ecc.) e volgere l'attenzione all'interno. In che modo? Per prima cosa conta i tuoi respiri da uno a dieci (dieci inspirazioni o dieci espirazioni), senza cercare di influenzarli. Puoi farlo in ogni momento della giornata, perché bastano pochi secondi. Stai già meditando...
A cosa serve? A trovare lo stato più profondo e calmo dentro di te, là dove si vede tutto più chiaramente.
Serve a tutto, anche ai problemi della vita quotidiana. Non solo alla salute dello spirito.

Il cielo e la mente


Come il cielo può essere oscurato dalle nuvole, ma, sotto, rimane sempre chiaro e limpido, così la mente può essere oscurata dai vari stati d'animo (ira, depressione, eccitazione, desiderio, ecc.), ma il suo fondo rimane sempre incontaminato. Con la meditazione ci proponiamo di ritrovare questo fondo calmo e quieto, che è l'origine della mente.
       Si può anche utilizzare la metafora del mare. Che alla superficie può essere molto agitato, ma nel fondo…

domenica 29 luglio 2018

La preghiera di Gesù


Che cosa dice Gesù a proposito della preghiera? Ecco le sue parole: “Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6, 5-6).”
       Come si vede, non si parla né di chiese né di rituali né di mediatori, ma semplicemente di chiudersi in una stanza, di raccogliersi, di non sprecar parole e di rivolgersi con una intensa aspirazione a Dio; cosa che d’altronde Gesù faceva allontanandosi ogni tanto dalla folla e isolandosi in qualche luogo deserto.
Gesù però usava un linguaggio molto semplice, dovendosi rivolgere a gente molto semplice. Se avesse potuto andare più a fondo, avrebbe riconosciuto che questa “camera chiusa” è in realtà sempre presente in noi, ed è la nostra interiorità. E avrebbe ammesso che quel “Padre” esterno cui pensava di rivolgersi è in realtà il punto più profondo del nostro essere.
D’altronde, solo così possiamo attenderci che ci risponda. Un altro, per quanto divino, potrebbe non rispondere affatto.

Le sacre famiglie


Un tempo si portavano in giro le statue di Venere o di qualche altra dea così come oggi si portano in processione le statue della Madonna. Ma anche in altre religioni politeiste, come per esempio l’induismo, troviamo divinità maschili e femminili.
Il problema è sempre lo stesso: all’uomo non basta concepire un Dio maschile, con le qualità di dominio e di aggressività tipiche dei maschi, ed ha anche bisogno di una divinità femminile, con le qualità di comprensione e di accoglienza delle donne. E allora ecco nascere le varie dee.
       Il cristianesimo, derivato dal giudaismo, era nato come una religione patriarcale. Ma, a furor di popolo, fu necessario instaurare anche una divinità femminile. Ed ecco nascere il culto della dea Madre. Così, gli dei, gettati fuori dalla porta, rientrarono dalla finestra. Ora regnava in cielo una sacra famiglia, con tanto di padre, di madre e di figlio – un po’ sul modello della religione egizia.
       In sostanza il cristianesimo si presenta come l’ultima incarnazione del paganesimo, con tutta la sua sfilza di dei. Anche il buon vecchio Zeus aveva l’abitudine di accoppiarsi ogni tanto con qualche femmina terrestre, dando origine a semidei. Nel cristianesimo l’antico Dio degli ebrei ritorna sulla terra per inseminare una Vergine e per dare origine a un Figlio metà uomo e metà dio.
       Alla fine il popolo ha quello che vuole: un Dio Padre, una dea Madre e un dio Figlio; ce n’è per tutti i gusti e per tutti i bisogni. E ognuno si rivolge in cuor suo a chi gli è più congeniale. Il cristianesimo, incapace di concepire un Dio senza volto, non si accontenta di immaginare gli dei in senso antropomorfo, ma proietta addirittura in cielo la famiglia, circondata da innumerevoli santi.
       Resta dunque confermata l’impossibilità dell’uomo medio di uscire dai propri condizionamenti psicologici, e il desiderio di avere una divinità fatta a propria immagine e somiglianza. Sono pochi, anche tra i mistici, coloro che sono riusciti a uscire dall’infantilismo teologico.

sabato 28 luglio 2018

Lo sgambetto del demonio


“Il demonio mi ha fatto lo sgambetto” confessa il prete pedofilo settantenne che è stato trovato in macchina con una bambina di 11 anni nuda. Questo demonio deve aver fatto parecchi sgambetti se, dopo tanti scandali in ogni paese del mondo, l’intera Chiesa cilena è sotto accusa per lo stesso vizio. E il Papa che fa?
Insabbia, insabbia… Ma ormai non ci sono più abbastanza spiagge, in tutto il mondo.
        

Contemplare il paesaggio


C’è una corrispondenza tra ciò che siamo dentro di noi e l’ambiente che preferiamo, l’ambiente in cui ci sentiamo “a casa nostra”. A volte non lo troviamo mai, a volte è là dove si trova una certa persona, a volte è una semplice stanza.
L’ambiente, la località, il paesaggio, non è soltanto qualcosa di esterno, perché noi non possiamo essere in astratto, al di fuori di un luogo e di un tempo. Noi siamo anche quel luogo e quel tempo.

In un certo modo la terra medita, l’atmosfera medita, il cielo medita, le acque meditano, le montagne meditano.
                      Chandogya Upanisad

       Osserva il paesaggio che preferisci. Fonditi con esso, dimenticandoti di te stesso. Ogni luogo amato è un paesaggio dell’anima. Ti piace e ti attira perché è una parte di te, perché fa risuonare qualcosa che è dentro di te.
       Un paesaggio che ti colpisce è qualcosa che evoca antiche o future corrispondenze, il quadro arcano della tua vita, un riflesso di un mondo da cui provieni o che ti attende.
       Contempla il paesaggio fuori di te e poi, di colpo, prendi in considerazione ciò che sei, lì in quel momento. Scoprirai che c’è qualcosa in comune, un’affinità elettiva.

Egli si riconosce identico al cosmo.
                      Chandogya Upanisad

       I luoghi hanno un proprio spirito, esattamente come i tempi. E da loro si sprigionano influssi che possono accordarsi con la tua interiorità. Chiediti dunque perché ti piaccia quella certa località. Ma non cercare di verbalizzare la risposta. Aspetta invece che la risposta venga da ciò che provi.
       Se provi armonia, se ti senti in pace, se ti senti a tuo agio, quello è il tuo posto. In un mondo migliore, ognuno dovrebbe poter cercare il proprio posto, che non è detto sia quello in cui nasce o vive.
       Le leggende antiche, i racconti biblici, le fiabe, i miti sono pieni di storie di peregrinazioni, più o meno piacevoli, di gente che cercava una “terra promessa”.
Da qualche parte essa è lì che ti attende. È un luogo esterno cui finalmente corrisponde la tua interiorità. Perché non c’è pace in nessun posto, nemmeno in un paradiso, se non c’è pace dentro di te.
       Se hai la fortuna di poter viaggiare, non esitare! Raggiungi quella terra e immergiti in essa.
       Puoi anche darsi che si tratti del luogo in cui già vivi – ed è comunque uno stato dell’anima.

Chi ha raggiunto il Sé che tutto penetra, penetra nel Tutto.
                      Sankara

       Stai a lungo seduto, immobile, a contemplare ogni particolare del luogo.
       Lascia cadere le tensioni, i problemi. Lì la contemplazione assume il suo senso più importante: ridona luce, non solo agli occhi – in un istante di illuminazione.

Infinita è la mente. E con essa si conquista il mondo che è infinito.
                      Brhadaranyaka Upanisad

venerdì 27 luglio 2018

Il lavoro su di sé


Come nasciamo e nei primi anni di vita, siamo totalmente condizionati: siamo dominati dagli istinti, dai genitori e dalla società. Siamo come i piccoli degli animali.
Il nostro compito è decondizionarci, liberarci… per essere noi stessi.
Tutto ciò non è un invito alla rinuncia (parola negativa), ma alla creazione – anzi alla ricreazione – di noi stessi.
Il sé non è qualcosa che ci venga dato già tutto formato, ma è qualcosa che prendiamo in consegna e che dobbiamo trasformare a poco a poco, prima attraverso un lavoro di spoliazione e poi di ricostruzione. Prima il distacco e l’osservazione di sé e poi l’impegno fattivo.
È come un legno grezzo che debba essere lavorato.
È come se ci venisse dato un progetto, che spetta a noi realizzare. Questo è il compito della vita.
Se non svolgiamo questo lavoro, rimaniamo piccoli animali, non realizzati. Un’occasione mancata.
Il lavoro su di sé, infatti, è rivolto alla fioritura di sé, alla presa in consegna e alla formazione del nostro essere.
E l'ultima realizzazione è che questo sé dovrà essere trasceso, diventando sempre più saggio, impersonale, universale.

giovedì 26 luglio 2018

La ricerca della trascendenza


Non si tratta di credere in qualcosa in modo cieco, non si tratta di trovare un nuovo idolo definito da adorare, ma si tratta di cambiare il proprio punto di vista rispetto ad ogni risposta prefabbricata. Non sì e neppure no.
La trascendenza è al di là della nostra logica duale. E quindi siamo più vicini ad essa quando non ci accontentiamo di parole e concetti, quando compiamo questa operazione mentale di rimando infinito, quando non riposiamo sugli allori di semplici conclusioni “razionali”: questo è Dio.
La razionalità (da ratio, “misura”) vuole misurare, vuole definire. Ma come fa un cerchio più piccolo a “comprendere” un cerchio più grande? 
Dobbiamo ammettere che la nostra mente è limitata per una ricerca di ciò che la trascende. E già questa ammissione è intelligenza. Il cane che ammettesse che la mente umana ne sa di più, sarebbe già al di sopra della propria natura canina.
L’uomo che afferma di sapere che cosa sia la trascendenza, identificandola con qualcosa di conosciuto, non sale affatto al di sopra di se stesso. Ma resta lì, bloccato dai propri limiti.

mercoledì 25 luglio 2018

Fondamentalismo cattolico


Fondamentalismo cattolico
Cambiano i partiti, ma, quando qualcuno in Italia vuole imporre un regime autoritario, cerca di utilizzare il crocifisso.
La Lega propone con un disegno di legge che il crocifisso sia obbligatoriamente installato in tutte le aule scolastiche, nelle università, negli uffici pubblici, negli enti territoriali, nelle regioni, nei comuni, negli enti territoriali, nelle circoscrizioni, nelle comunità montane, nei seggi elettorali (proprio così!), nelle carceri, negli uffici giudiziari, negli ospedali, nelle stazioni, nei porti, nelle sedi diplomatiche e negli uffici consolari all’estero.
Ci manca solo che vogliano stampigliarcelo anche sulle chiappe e nei gabinetti.
Ci sono anche sanzioni per chi lo togliesse.
Questa gente ignorante e rozza, che oggi purtroppo ci governa, ignora cosa sia la laicità dello Stato e brandisce il crocifisso come elemento identitario. E per chi non si sentisse cattolico, ritornerebbe la Santa Inquisizione.
La Chiesa tace. Forse è contenta. Il suo sogno è sempre stato quello di imporre la fede con il manganello, così come è successo ai tempi del Concordato con il fascismo.
In fondo l’autoritarismo della Chiesa appoggia l’autoritarismo dello Stato e viceversa.
E che sia esposto “in un luogo elevato e ben visibile”!
Come dico sempre, ci sono religioni che vogliono liberare l’uomo dall’oppressione sociale e ci sono religioni che vogliono aumentarla.

martedì 24 luglio 2018

Il vizio d'origine



Il vizio di origine
Sentiamo continuamente parlare della bontà di Dio, del suo amore per l’uomo, tanto che, quando le cose ci vanno male o vediamo tragedie irrimediabili, rimaniamo scioccati. Che cosa è successo? Dov’è quel Dio di cui ci hanno parlato? Forse la colpa è nostra che non abbiamo pregato bene?
In effetti nessuno ha mai visto il braccio di Dio scendere dal cielo a salvare gli ebrei nei campi di sterminio, i migranti che affogano nel mare o i bambini che muoiono di fame, di malattie o di bombardamenti. Gli uomini possono aiutare. Ma Dio? Quel Dio che sarebbe tutto amore e bontà?
Allora le delusione e lo sconcerto sono tanti e non si capisce più nulla. Tutto ciò che ci hanno detto risulta falso.
Ma la disillusione è proporzionale all’illusione di cui le religioni ci avevano nutriti, con le loro favole sul Dio buono. Lo stesso Gesù, per cui Dio era amore, lo pregò caldamente per essere risparmiato. Ma la risposta fu la crocifissione.
Quando qualcuno prega e le cose gli vanno bene, attribuisce quel successo a Dio. Ma quando le cose gli vanno male, dovrebbe, per essere coerente, attribuirgli anche quel male.
Se ci togliamo dagli occhi le fette di salame delle religioni, dobbiamo riconoscere la violenza della creazione, dove ogni essere deve mangiare gli altri per vivere. E avete mai visto un leone che si mangia viva una gazzella? Forse la gazzella non soffre? Anche noi facciamo lo stesso.
E anche noi dobbiamo ammalarci, invecchiare e morire – tutte cose altamente dolorose, cui non ci sottrarrà nessun Dio.
Ora non siamo noi che abbiamo creato questo meccanismo infernale, la selezione naturale e gli incontrollabili impulsi sessuali. È proprio la Forza creatrice che lo ha fatto. E dunque non può essere tanto buona e amorevole.
Con questo non vogliamo dire che sia cattiva. Ma feroce e indifferente sì. Non c’è nessuna pietà per il più debole, il malato o il vecchio. Deve morire, spesso atrocemente.
Se noi insegnassimo questi principi ai giovani, forse eviteremmo tante delusioni, tante amarezze. Sono loro - gli ottimisti, i falsificatori della realtà, i religiosi - che raccontano balle spaziali, che prima o poi produrranno sofferenze e disperazione incalcolabili, da aggiungere a quelle naturali.
Dobbiamo aprire gli occhi, dobbiamo guardare in faccia la realtà, dobbiamo insegnare ai giovani le cose giuste – non i miti consolatori e falsi dei credenti. Se per sopportare la vita, dobbiamo indorare la pillola, vuol dire che stiamo spacciando false illusioni.
La vita non è un dono. La vita è un pesante fardello.
I cristiani, per giustificare questo stato di cose, che prima o poi salta all’occhio anche del più ingenuo osservatore, parlano di peccato originale, ributtando la colpa sulle spalle degli uomini. Ma si tratta di fandonie inventate per spiegare perché mai questo Dio amorevole abbia creato un mondo così duro. La verità è che non si tratta di un fantomatico peccato dell’uomo. Ma di un vizio, di un difetto di Dio. Il vero difetto sta nell’Origine.

lunedì 23 luglio 2018

Il concetto di salute


Quando ci ammaliamo, ci rendiamo tutti conto che la cosa più importante nella vita è la salute.
Ma l’uomo non è un animale qualsiasi che, una volta soddisfatti i bisogni primari, si senta bene, sia soddisfatto e non chieda altro. L’uomo ha in testa mille pensieri, ansie e preoccupazioni che possono farlo star male, anche se sta bene materialmente.
La salute dunque non può ridursi a un semplice star bene fisicamente. Bisogna star bene anche mentalmente.
E, per star bene mentalmente, sono utili una meditazione e una saggezza, che ci aiutino ad allontanare i pensieri nocivi che ci torturano e ad apprezzare ciò che già abbiamo.
Ci vuole insomma un’ecologia della mente, che andrebbe curata almeno quanto il corpo.

domenica 22 luglio 2018

Contemplare la vastità


Lo spazio che è all’esterno dell’uomo è lo stesso che si trova al suo interno, e lo spazio che è all’interno dell’uomo è lo stesso che si trova dentro il suo cuore.
                      Chandogya Upanisad

“Guardare lontano” significa allargare l’orizzonte visivo e, in tal senso, com-prendere più cose.
Per lo più, si guarda a breve distanza e si guarda sempre per un interesse specifico. Si guarda qui o là, questo o quello, o non si guarda affatto. Siamo talmente immersi nelle faccende e nei pensieri quotidiani, siamo talmente sprofondati dentro noi stessi che assomigliamo a tanti muli costretti a tirare la carretta con i paraocchi. Guardiamo in un’unica direzione e osserviamo soltanto il nostro stretto sentiero.
       La realtà di tutti i giorni ci costringe a prendere in considerazione i problemi, le cose e le persone che ci stanno immediatamente davanti. Il risultato è che spesso diventiamo “miopi”.
A poco a poco, non riusciamo più a vedere l’insieme dei problemi, non riusciamo più a vedere noi stessi all’interno del mondo. Ci restringiamo così in una visuale di breve periodo, di corto raggio,  incentrata sui problemi immediati.

Ciò che cerchi è in realtà te stesso.
                      Maitry Upanisad

       Dunque, ora rialza la testa e guarda dove di solito non guardi: in alto e lontano.
       Guarda l’orizzonte, guarda in fondo al viale, guarda le montagne, guarda il mare, guarda la distesa dei tetti...guarda lontano, possibilmente senza batter ciglio. Guarda non per osservare qualcuno o qualcosa, ma per sgombrare la vista dal noto e dal risaputo. Guarda per ripulirti la mente.
Ogni tanto all’improvviso, davanti a una finestra o in strada, solleva la testa,  tira un ampio respiro e guarda davanti a te, il più lontano possibile. Prendi le distanze dal piccolo mondo quotidiano.
      
Quello che percepirai quando andrai al di là del pensiero è l’anima infinita, illimitata e senza tempo.
                      Osho, Il lungo, il corto, il nulla

       Guardando lontano, ci sarà un momento in cui la tua mente si farà più spaziosa…Pochi istanti, un istante, ma, se penetrerai in quella fessura, al di là scoprirai lo splendore.

Il Sé conosce tutto in un unico atto.
                      Maitry Upanisad


sabato 21 luglio 2018

La reincarnazione come metafora


Che in un certo senso la reincarnazione sia qualcosa di reale è dimostrato dal fatto evidente che ogni essere, per vivere, deve nutrirsi di altri esseri viventi, animali o piante. Perché il nutrimento è proprio questo: introiettare, assorbire la sostanza di ciò che si mangia. Ogni anima è dunque la reincarnazione di altre anime, su su lungo la catena alimentare.
Il mondo è dunque una mescolanza di esseri viventi, tutto è in tutti. In ognuno di noi ci sono parti di altri esseri.
Anche la sessualità rientra in questo schema: ogni essere deve entrare o essere penetrato dal proprio partner.
La carne è sempre reincarnata.

Gli inutili rituali


“Misericordia voglio, non sacrifici!” questa frase di Osea ripetuta da Gesù, che invita i suoi seguaci a realizzare cose concrete e non cerimonie sacrificali, avrebbe potuto fare del cristianesimo una specie di zen. “Fatti e non rituali, realtà concrete e non fantasie…”
Purtroppo, il messaggio di Gesù è stato tradito dai cristiani. Che hanno trasformato la loro religione in un grande rituale del sacrificio del loro Maestro - la Messa o Sacrificio.

venerdì 20 luglio 2018

La sopravvivenza dell'anima


Anche il buddhismo ha le sue contraddizioni: da una parte afferma che non esiste nessun sé immortale, capace di sopravvivere alla morte, e dall’altra sostiene che comunque esiste qualcosa che si trasmette da una vita all’altra. Il problema è che accoglie senza sottoporre a critica il principio della reincarnazione, così come il suo grande avversario: l’induismo.
Per l’induismo, è facile affermare che esiste un sé immortale, che si trasferisce da un’esistenza all’altra, dato che sostiene da sempre che esiste un’anima (atman) immortale, che è parte del divino stesso (brahman).
Le religioni indiane accettano senza discuterlo il principio della rinascita, che non è poi tanto diverso dalla fede nella sopravvivenza dell’anima delle religioni occidentali. D’altronde molti cristiani credevano e credono al principio della reincarnazione.
Se infatti ammettiamo che la rinascita possa avvenire non solo sulla Terra, ma anche in altre dimensioni, eccoci approdare ai nostri paradisi, purgatori e inferni. Ed ecco anche una spiegazione del male che colpisce il bambino o l’innocente.
L’uomo in sostanza non vuole finire nel nulla, ma spera che qualcosa di lui possa sopravvivere alla morte. È un’esigenza umana. Più difficile accettare l’estinzione postulata dal Buddha.
In teoria, le contraddizioni del buddhismo potrebbero essere risolte e le sue idee potrebbero essere conciliate con le altre religioni sostenendo una visione evoluzionistica, in cui l’anima continua a vivere sotto altre forme, finché non realizza che anche tutte queste forme non sono definitive e che il punto d’arrivo è davvero lo scioglimento dell’ego stesso.
Questo per venire incontro al bisogno di una coscienza che, dopo esseri aperta, non intende retrocedere e pretende di continuare ad evolversi sotto altre forme… almeno fino a un certo punto.
In realtà esistono già idee di un “corpo sottile” o di un “corpo astrale” (materia oscura?) capace di sopravvivere alla morte del corpo fisico. Sarebbe un corpo energetico, non più limitato dalla materia, ma capace di ottenere istantaneamente ciò che pensa o di andare laddove desidera.
Sembra il sogno di tutti. Ma anche qui c’è un pericolo. Non più limitato dalla materia, il corpo energetico, che non fosse allenato all’autocontrollo e purificato, potrebbe in un istante di debolezza o di immaginazione negativa finire in situazioni infernali. Insomma, l’agognata “pace eterna” forse è più difficile e pericolosa di quanto non si creda.

giovedì 19 luglio 2018

Contemplare nel bosco


Ritirati in un bosco, ai piedi di un albero, in un luogo solitario; lì siediti con le gambe incrociate, il corpo eretto e fissa l’attenzione davanti a te.
                      Buddha

Raccogliti nel folto di un bosco, dove non c’è traccia del mondo umano. Puoi contemplare i cespugli, gli alberi, le foglie, gli insetti; puoi metterti all’ascolto dei suoni del bosco: un fruscio, uno scricchiolio, il canto di un uccello… 
       Sei solo, circondato dalla natura. Sotto di te, la terra fertile; sopra, il cielo che intravedi appena. Intorno, mille esseri, mille presenze.
       Sei un uomo senza tempo, circondato da forze che percepisci ma che non puoi controllare. Il bosco ti incute un senso di paura: potresti essere assalito e nessuno potrebbe aiutarti.
       Tutti i sensi sono all’erta, devi essere vigile come un animale che si gioca a ogni istante la vita, predatore o predato. Sei consapevole di essere lì. Aguzza la vista, tendi l’orecchio. Sei più vivo che mai.
       Tutti proveniamo da un bosco del genere, tutti l’abbiamo alle spalle e davanti a noi, tutti abbiamo dentro una “selva oscura”.

Chi medita solitario nella foresta, costui è per me un uomo nobile.

Dhammapada


       Per orizzontarti, devi accendere la tua stessa luce.
       In quell’attimo di grande attenzione, fai convergere la consapevolezza su te stesso. Realizza la tua presenza, il fatto di essere lì in quel momento. Intensifica la percezione fino al limite estremo – fino al fondo di te stesso.

Sedendo solo, dormendo solo, errando solo senza provare fatica, dominando se stesso, l’asceta è felice nella foresta.
                      Dhammapada

mercoledì 18 luglio 2018

Veder chiaro


Che cos’è questo universo colmo di meraviglia?

                      Vijnana Bhairava Tantra             

Ci sono momenti di massima intensità percettiva in cui rialziamo la testa da ciò che stiamo facendo, ci dimentichiamo per un po’ dei nostri problemi e guardiamo il mondo e noi stessi con occhi nuovi. Per qualche attimo vediamo le cose con stupore e con chiarezza, mettiamo da parte i pensieri ed emergiamo dal sonno di una visione abitudinaria.
È stata proprio una delle tradizioni buddhiste – lo zen – a mettere in evidenza come tutte le azioni più comuni dell’esistenza – mangiare, bere, lavare, cucinare, stare seduti, camminare, arrampicarsi, dipingere, coltivare la terra, ascoltare musica, guardare, leggere, danzare, tirare con l’arco, ecc. – possano condurre a esperienze di grande intensità percettiva. E lo stesso sostiene il tantra, in cui i metodi per giungere a stati contemplativi includono attività quotidiane come muoversi, avere rapporti sessuali, assistere a spettacoli, vedere cose belle, ricordare qualcosa all’improvviso, degustare un cibo, bere e così via.

Che cos’è la vera contemplazione? È ogni cosa: tossire, deglutire, agitare le braccia, muoversi, stare fermi, parlare, agire, il male e il bene, successo e vergogna, guadagno e perdita, giusto e ingiusto, in un unico koan.
                      Hakuin

Purché si sappia entrare nello spirito giusto, la vita quotidiana è il luogo e il momento di una “chiara visione”.
La contemplazione – uno dei piaceri fondamentali dell’esistenza, che non termina mai, neppure quando tutti gli altri si sono esauriti – è godere dello spettacolo del mondo, e si differenzia dal comune guardare perché è un osservare con interesse e con stupore, un osservare in cui aderiamo il più possibile all’oggetto contemplato, dimenticandoci per un po’ di noi stessi e dei nostri problemi.
Il senso di stupore e la comunione con l’oggetto contemplato ci permettono un’uscita (ex-stasis) sia dai limiti dell’ego sia dalle abituali categorie conoscitive e innestano quella diversa consapevolezza che può essere considerata una forma di “piccola illuminazione”.
Quando contempliamo un tramonto o un’opera d’arte, i nostri sensi si acuiscono e la nostra mente è rapita. Quando guardiamo negli occhi una persona come non avevamo mai fatto prima e sentiamo all’improvviso chi abbiamo di fronte, quello è un momento di “chiara visione”. È come togliersi all’improvviso un paio di occhiali scuri e ritrovare la luminosità delle cose; oppure è come mettere a fuoco qualcosa che vedevamo in modo superficiale e sfocato.
Questo può succedere sia per gli “oggetti” sia per le persone e ovviamente per noi stessi. Infatti l’ “esterno” e l’ “interno” non sono affatto separati, ma sono un tutt’uno.
Pochi identificherebbero queste esperienze con l’illuminazione dei mistici, ma, se usciamo dal pittoresco, scopriamo che “illuminazione” significa essenzialmente “veder chiaro” – un veder chiaro che può essere spontaneo oppure ottenuto attraverso tecniche meditative, un veder chiaro in cui ritroviamo la nostra unione con il tutto.



martedì 17 luglio 2018

Il Dio dalle innumerevoli facce


Molti pensano che credere in Dio renda gli uomini migliori, più buoni, più sensibili. È un’ingenuità.
Bisogna vedere in quale Dio si crede. Se sono rozzo e violento, crederò in un Dio rozzo e violento, come quello che appare in diversi passi della Bibbia.
Diceva Goethe: “Come ognuno è, così è il suo Dio”.    
Perciò, quando dovete giudicare una persona, non domandatevi se crede o non crede in Dio, ma in quale Dio crede o non crede.

Verificare di persona


Noi occidentali dobbiamo prendere dall’Oriente tutte le idee che ci sembrano più valide, ma senza rinunciare mai alla nostra razionalità e al nostro senso critico. Non credere per fede, ma credere perché un’idea ci sembra vera.
Diceva il Buddha: “Come un orafo saggia l’oro, strofinandolo, tagliandolo e bruciandolo, così dovete esaminare le mie parole, non accettandole solo per fede verso di me”.
Non fede, ma verifica sperimentale e personale.
Quando diciamo per esempio che le cose non hanno un sé permanente, facciamo un’affermazione astratta che sembra essere dogmatica, dal momento che è impossibile fare un’esperienza della vacuità.
Però possiamo fare esperienza della mutevolezza, del cambiamento, del dinamismo e della scarsa consistenza degli enti: l’io, l’uomo, gli esseri viventi, il mondo, l’universo…
Ora, se tutto ciò fosse immutabile e sempre uguale a se stesso, non potrebbe cambiare. Avremmo a che fare con monadi eterne, immodificabili e incomunicabili.
In altri termini, se penso al mio io, non lo vedo vuoto. Ma vedo che cambia nel tempo. Ciò che sentivo e provavo a 10 o 20 anni non è lo stesso di ciò che provo a 50 o 60 anni.
Tutto cambia – e anch’io.
Tutto si disgrega – e anch’io.
Ma il cambiamento è legato ad una certa dose di vacuità.
Il mio “io” non è totalmente se stesso, per il semplice fatto che cambia e si evolve. Il mio “io” non è un blocco immodificabile, perché contiene in sé una vacuità che gli permette di trasformarsi e cambiare. Il mio “io” non ha limiti definiti, ma può espandersi o contrarsi. Il mio “io” contiene altri io, tanti collegamenti che lo rendono vitale.
La vacuità non va intesa come “assenza di”, ma come possibilità di cambiamento.

lunedì 16 luglio 2018

La contemplazione dell'infinito


Annienta il tuo io

o dilatalo all’infinito.
                      Sankara


Non puoi identificare l’infinito. Perché non è niente di ciò che vedi. Eppure è esattamente in tutto, anche nelle cose più piccole. La conoscenza o l’esperienza dell’infinito può dunque incominciare dovunque, esprimersi mediante qualsiasi cosa.

La beatitudine sta nell’infinito.
                      Chandogya Upanisad

L’universo ha tanti difetti, ma non è né meschino né piccolo. Osserva la grandezza, l’abbondanza, la vastità, lo spreco di tutto ciò che è. Non c’è un solo fiore, ce ne sono milioni; non c’è un solo pianeta, ce ne sono miliardi – di cui molti senza vita, apparentemente inutili.
       Ma l’infinito è anche dentro di te. Come dicono le Upanisad, l’anima individuale è, da un lato, la centesima parte di un capello diviso in cento parti e, dall’altro lato, è grande quanto l’infinito.
       Tradizionalmente l’infinito è assimilato al cielo, allo spazio, ma in realtà non è mai visibile: la mente non può coglierlo. Per contemplarlo, essa deve aprirsi lasciando perdere i propri punti di riferimento. L’immensità del sé individuale deve contemplare l’immensità del Sé universale.

Infinita è la mente. E con essa si conquista il mondo che è infinito.
                      Brhadaranyaka Upanisad

In un giorno limpido, recati su una collina. Cerca un punto da cui poter contemplare a perdita d’occhio la distesa di colli e di valli; e lì fermati.
       Dopo aver guardato i particolari del paesaggio, osserva il suo contesto, quello spazio in cui è posta ogni cosa visibile; e ascolta i suoni.
       Attendi un colpo di vento che faccia stormire le fronde. È un suono che emerge dal nulla: prima non c’era, ora c’è e fra un attimo non ci sarà più.
       Quando il suono si spegne, riporta l’attenzione al silenzio, allo spazio.
       Da questo silenzioso infinito, sei emerso tu. Ci sei tu, qui ed ora. Ci sei tu, con tutto il tuo passato, con tutti i tuoi ricordi. Ma anche tu sei come quel soffio di vento, che passa in un attimo.
       Mentre la piccola mente si annienta in una specie di “dolce naufragio”1, in quello stesso momento irrompe una grande gioia.

Quello che percepirai quando andrai al di là del pensiero è l’anima infinita, illimitata e senza tempo.
                      Osho

La preghiera secondo Gesù


Che cosa dice Gesù a proposito della preghiera? Ecco le sue parole: “Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6, 5-6).”
       Come si vede, non si parla né di chiese né di rituali né di mediatori, ma semplicemente di chiudersi in una stanza, di raccogliersi, di non sprecar parole e di rivolgersi con una intensa aspirazione a Dio; cosa che d’altronde Gesù faceva allontanandosi ogni tanto dalla folla e isolandosi in qualche luogo deserto.
Gesù però usava un linguaggio molto semplice, dovendosi anche rivolgere a gente molto semplice. Se avesse potuto andare più a fondo, avrebbe riconosciuto che questa “camera chiusa” è in realtà sempre presente in noi, ed è la nostra interiorità. E avrebbe ammesso che quel “Padre” esterno cui pensava di rivolgersi è in realtà il punto più profondo del nostro essere.
Se poi leggiamo che Gesù aggiunge: “Non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venir ascoltati a forza di parole (Mt 5, 7)”, ecco che ci avviciniamo molto alla meditazione. Del resto, i teologi hanno sempre distinto, fra i vari tipi di preghiera, quella contemplativa, dove ci si avvicina al Creatore in totale silenzio di parole e di richieste.

Le sacre famiglie


Un tempo si portavano in giro le statue di Venere o di qualche altra dea così come oggi si portano in processione le statue della Madonna. Ma anche in altre religioni politeiste, come per esempio l’induismo, troviamo divinità maschili e femminili.
Il problema è sempre lo stesso: all’uomo non basta concepire un Dio maschile, con le qualità di dominio e di aggressività tipiche dei maschi, ed ha anche bisogno di una divinità femminile, con le qualità di comprensione e di accoglienza delle donne. E allora ecco nascere le varie dee.
       Il cristianesimo, derivato dal giudaismo, era nato come una religione patriarcale. Ma, a furor di popolo, fu necessario instaurare anche una divinità femminile. Ed ecco nascere il culto della dea Madre. Così, gli dei, gettati fuori dalla porta, rientrarono dalla finestra. Ora regnava in cielo una sacra famiglia, con tanto di padre, di madre e di figlio – un po’ sul modello della religione egizia.
       In sostanza il cristianesimo si presenta come l’ultima incarnazione del paganesimo, con tutta la sua sfilza di dei. Anche il buon vecchio Zeus aveva l’abitudine di accoppiarsi ogni tanto con qualche femmina terrestre, dando origine a semidei. Nel cristianesimo l’antico Dio degli ebrei ritorna sulla terra per inseminare una Vergine e per dare origine a un Figlio metà uomo e metà dio.
       Alla fine il popolo ha quello che vuole: un Dio Padre, una dea Madre e un dio Figlio; ce n’è per tutti i gusti e per tutti i bisogni. E ognuno si rivolge in cuor suo a chi gli è più congeniale. Il cristianesimo, incapace di concepire un Dio senza volto, non si accontenta di immaginare gli dei in senso antropomorfo, ma proietta addirittura in cielo la famiglia, circondata da innumerevoli santi.
       Resta dunque confermata l’impossibilità dell’uomo medio di uscire dai propri condizionamenti psicologici, e il desiderio di avere una divinità fatta a propria immagine e somiglianza. Sono pochi, anche tra i mistici, coloro che sono riusciti a uscire dall’infantilismo teologico.
In realtà, concepire Dio come un Padre è quanto di più lontano ci sia dalla realtà. La Forza che ha voluto il cosmo è tutto meno che un padre sul modello terreno.

domenica 15 luglio 2018

Amore e compassione


Il cristianesimo invita ad amare il prossimo, ma si sente che in questo precetto c’è una grande difficoltà: le resistenze sono forti, perché ciò che prevale comunemente è l’egocentrismo; è un po’ come andare contro natura.
Anche il buddhismo invita alla compassione per i poveri esseri incatenati alla ruota del samsara, ma usa un ragionamento forse più astuto, perché, dato il gran numero di reincarnazioni, non c’è nessuno che non ci sia stato almeno una volta fratello, madre o padre; dunque, aver compassione degli altri dovrebbe essere più naturale. Siamo tutti già imparentati.
Comunque, un conto è partire dall’idea che siamo tutti anime individuali, distinte e separate, create da un Padre eterno, e un conto è partire dalla convinzione che siamo tutti interdipendenti, un’unica grande anima, perché abbiamo la stessa origine.
Il cristianesimo ha sempre bisogno di padri, madri, fratelli e figli che rimangono tali perché garantiti e bloccati da un Padre; il buddhismo vuole superare queste distinzioni, andando al di là dei legami famigliari.
Ma io penso che dobbiamo aver compassione di questa umanità per il semplice fatto che ci troviamo in un gran brutto mondo, un passo doloroso della nostra evoluzione, una specie di purgatorio.

L'apocalisse prossima ventura


Fa orrore vedere dopo un terremoto tanti morti allineati nelle loro bare: giovani, vecchi, bambini, buoni e cattivi, credenti e non credenti...senza nessuna distinzione. Ma a ben vedere la fine capita a tutti, e ogni giorno muoiono migliaia di persone. Perché allora non ci fanno tanto effetto?
Solo perché non muoiono tutte nello stesso tempo. È la contemporaneità dell’accaduto che ci disorienta. Da qui nasce l’idea religiosa dell’apocalisse, della fine del mondo. Questa fa molto effetto: la morte di tutti insieme. Ma resta il fatto che tutti dobbiamo finire, prima o poi, anche se non insieme. Per tutti c’è un’apocalisse sicura.
Ci fa orrore il condannato a morte nel braccio della morte...come se non fossimo tutti nel braccio della morte.

L'utilità del pessimismo


Ci vogliono convincere che un atteggiamento ottimista sia più utile di uno pessimista. Ma la famiglia che, avvertendo le prime scosse del terremoto, è andata a dormire in macchina e si è salvata prevedendo il peggio, non è finita meglio degli ottimisti che si sono fidati e sono morti sotto le macerie?
Confidare può essere pericoloso, diffidare è più sicuro.
Noi non viviamo in un mondo dove qualcuno ci protegge. Meglio prevedere che il peggio è sempre possibile.

sabato 14 luglio 2018

Disintossicarsi dalle droghe


Se gli uomini non fossero sotto il potente influsso degli ormoni sessuali, non si riprodurrebbero istintivamente come gli altri animali. Perché si domanderebbero, di volta in volta, se ne vale la pena.
Ora gli ormoni non sono che droghe che vengono prodotte dalla natura per costringerci ad avere un determinato comportamento.
In sostanza non siamo liberi, ma è come se venissimo drogati.
L’uomo più evoluto sa come regolarsi. Ma l’uomo rozzo si riproduce come un coniglio, senza pensare al domani e provocando la distruzione del pianeta.
E, poiché le droghe naturali spesso non bastano, ecco che ci siamo inventati un sacco di droghe artificiali che vengono spacciate in tutte le nostre città. E non basta. Noi vi aggiungiamo anche le droghe mentali, le droghe ideologiche, come la religione,la ricchezza, il potere, il successo, la fama, ecc.
Infatti le religioni vogliono la schiavitù dell’uomo, tanto che combattono la diffusione degli anticoncezionali, per esempio in Africa, da dove poi vengono ad assediarci folle di miserabili.
Tutti i tipi di droghe, naturali, artificiali e mentali, perseguono lo stesso scopo: stordirci il cervello, farci perdere lucidità, per assoggettarci meglio ai voleri della natura e di chi comanda questo mondo.
“Crescete e moltiplicatevi”… così sarete sempre degli schiavi.
Se volete capire come stiano le cose, provate a guardare il mondo senza la distorsione di tutte queste droghe. E accorgetevi come siamo giocati non solo dalla natura ma anche da chi ci vuole sottomessi.
Lo scopo della meditazione è liberarci dalle varie schiavitù, è farci disintossicare dalle varie droghe per veder chiaro. Perché l’illuminazione, come indica la parola stessa, è un vedere chiaro.

venerdì 13 luglio 2018

Contempla l'autunno


Come il sole brilla in autunno, libero da nubi,
così egli, beato, raggiunse un’immensa felicità.
                      Buddha


Anche se non te ne accorgi, sei legato strettamente al tempo e al ciclo delle stagioni, che influenzano il tuo stato d’animo. La natura non è qualcosa che sta al di fuori di te, come una scenografia, ma è un tutt’uno con le scene del tuo spirito, e tu ne fai parte.
       Il primo autunno è la stagione più contemplativa dell’anno, per il suo carattere di pacatezza e di medietà.      

Tutto intorno è autunno e cielo limpido e pomeriggio. Guardate quale pienezza ci circonda! E dalla sovrabbondanza è bello guardare verso mari lontani.
                      Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

In una mattina di sole, magari dopo una pioggia, siediti in un parco. 
       Contempla la luce e i colori, tra il verde, il giallo e il marrone. Crogiolati al sole ancora tiepido. Osserva gli uccelli che becchettano qua e là, i cani che scorrazzano con i padroni, le farfalle che ti passano all’improvviso davanti. Ascolta le grida dei bambini che giocano lontano, aspira l’odore delle foglie cadute.
       Sei come su un crinale: da una parte puoi guardare il cammino percorso, la calda estate appena passata, il tempo trascorso, e dall’altra parte la nuova stagione.
       Davanti ai tuoi occhi c’è la vita e c’è la morte, come dappertutto, come in ogni momento; c’è la giovinezza e c’è la vecchiaia. In ogni istante c’è la felicità e c’è il dolore, l’uno accanto all’altro. Il paradiso e l’inferno, il sereno e le intemperie, l’uno accanto all’altro.
       Realizza lo scorrere del tempo e la percezione di essere anche tu parte di questo spettacolo, caduco, impermanente, mortale, terribile e gioioso, ma meritevole di essere contemplato.
Renditi conto che sei lo spettatore per il quale esso esiste. Ricordati della totalità, di cui sei una minima parte; ricordati dell’eternità, di cui ti è assegnato un breve e momentaneo intervallo.
       Sei in un intervallo. Sei anche tu un intervallo. E ora puoi osservare l’attimo di passaggio.
       Un attimo prima eri in una stagione, fra un attimo sarai in un’altra. Ma ora sei qui e le contempli entrambe.
       Mantieniti immobile, come sulla cresta di un’onda. Per qualche istante, ti trovi in un equilibrio perfetto, al di sopra del cambiamento.
       In questi istanti, riempiti della luce autunnale. Guarda i due versanti.
E penetra nella chiarezza.

Si apre il cielo d’autunno:
nel sereno si alza
il fumo di qualcosa.
                      Masaoka Shiki






giovedì 12 luglio 2018

Cuore e cervello


Non basta la bontà, il cuore o l’altruismo. Ci vuole anche il cervello.
Prendiamo il caso dell’immigrazione selvaggia. Se in una barca è fatta per cinque persone ma ne metto cinquanta, la barca affonderà.
La bontà può essere molto stupida.
Naturalmente, anche il cervello da solo può far sbagliare per un eccesso di aridità. Ma resta il fatto che la ragione – in quanto fusione di cuore e cervello – ha sempre ragione.
Si tratta di banalità. Ma ogni tanto è bene ricordare i principi più elementari, perché gli uomini sono spesso squilibrati.