domenica 30 marzo 2014

L'armonia del mondo


Diceva Cicerone: “L’uomo è nato per contemplare e imitare il cosmo e, pur essendo lontano dall’essere perfetto, è pur sempre una piccola parte di ciò che è perfetto”. E Platone affermava: “Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto col cosmo e un orientamento ad esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vita sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica”.

       L’ultima frase andrebbe corretta, perché in questo atto di immobile e silenziosa contemplazione ci si accorge che il mondo non è semplicemente dato come un oggetto immutabile da osservare, ma è anche il prodotto del nostro atto di conoscenza. Vedere è creare, è instaurare nello stesso tempo il soggetto e l’oggetto; anzi, conoscere è già questa relazione soggetto-oggetto. Non c’è un io che contempla il mondo, ma un processo conoscitivo che pone contemporaneamente il soggetto e l’oggetto.

       Quanto più questo processo è contratto, teso e nevrotico, tanto più l’io e il mondo sono in conflitto, disarmonici e sofferenti. Quanto più questo processo è disteso, armonico e riposato, tanto più l’io e il mondo sono in sintonia e gradevoli l’uno all’altro.

Gli alienati


Venire allevati in una cultura religiosa cattolica significa andare sempre alla ricerca di un Padrone, di un Padre, di un Creatore divino. Ma esisterà o non esisterà?

       No, il mondo non ha origine, non ha fine, non ha né un padrone né un padre. Il mondo è un gigantesco processo d’interrelazione. Non c’è inizio, non c’è fine: il processo è eterno e infinito. Può finire questo mondo, ma non il cosmo. Può ridursi di nuovo ad una palla di energia informe, ma poi tutto riprenderà di nuovo.

       Perché questo bisogno di una Causa prima? È nato prima l’uovo o la gallina? ci domandiamo. E crediamo che ci sia tra i due un rapporto di causa-effetto, di prima-dopo. Non capiamo che sono nati l’uno in funzione dell’altro.

       La verità è che sentiamo il bisogno di un Dio cui appellarci, cui chiedere favori, sconti, grazie, perdoni, e che assuma sulle sue spalle la responsabilità di aver creato un mondo del genere. Bisogno di sottomissione, di delega. Paura di essere se stessi, di essere autonomi e corresponsabili.

       Ma è la nostra stessa mente che è corresponsabile di questo mondo che conosciamo. Non ce lo scordiamo. Piccoli dei alienati.

giovedì 27 marzo 2014

I corrotti

Ha fatto bene il Papa a sostenere che la corruzione è uno dei peggiori peccati, perché non può essere perdonata. Questo è in effetti il problema dell’Italia: la corruzione delle sue classi dirigenti e politiche. Ma devo rilevare che il senso etico degli italiani è il prodotto di secoli di cattolicesimo. Anche i preti fanno parte della classe dirigente. E hanno dato un gran brutto esempio. Troppi personaggi corrotti hanno infestato la Chiesa cattolica. Siamo arrivati al punto che la Banca del Vaticano riciclava capitali mafiosi e tangenti di ogni tipo. E non parliamo dei preti affaristi o pedofili.
Insomma è facile fare la morale agli altri. Più difficile è riconoscere le proprie responsabilità.


Invocazione ed evocazione

Quando si parla di invocare, ci si riferisce a qualcuno o a qualcosa di esteriore, e, quando si parla di evocare, ci si riferisce a qualcuno o a qualcosa di interiore. Naturalmente una cosa non esclude l’altra, e in alcuni casi coincide. L’uomo che crede di invocare una divinità, mobilita inconsapevolmente la propria forza interiore; e l’uomo che evoca una propria forza, muove inconsapevolmente anche altri poteri.

       Il fatto è che la distinzione esterno-interno è una delle tante di una mente duale che deve contrapporre per conoscere. Ma, nella realtà, la contrapposizione non esiste o è molto più sfumata. Che cos’è infatti l’interiorità dell’uomo se non un pezzo del tutto, come un sasso o un pensiero? Questo per dire che chi fa meditazione si pone sempre al confine tra evocazione e invocazione,tra interiorità ed esteriorità, tra soggetto ed oggetto. Forse al soggetto appartiene di più la decisione di dare inizio alla meditazione, ma poi il processo va avanti per così dire autonomamente - soggettivo ed oggettivo nello stesso tempo.

martedì 25 marzo 2014

Conversioni dell'ultima ora

Il teatrino cattolico delle conversioni in punto di morte. Prima sono cattolici, poi sono peccatori e si dimenticano di ogni comandamento, e quindi, alla fine, ritornano all’antica fede. Qualcuno ci fa anche un calcolo: prima me la spasso e poi, all’ultimo, mi pentirò. Non c’è un Padreterno che perdona ogni peccato?
       Ma diciamo la verità: se, invece di morire, vivessero altri vent’anni, ritornerebbero a dimenticare e a peccare. Perché, quando si tratta del rapporto con qualcun altro, sia pure con un Essere superiore, l’idea di imbrogliare, di fare i furbi, di fingere o semplicemente di trattare con lui si affaccia sempre alla mente. Tutt’altra cosa sarebbe se dovessimo fare i conti solo con la  nostra coscienza; lì non si potrebbe fare la commedia e, soprattutto, bisognerebbe conoscersi…

       E non c’è in questa mentalità atavica, creata dalla religiosità cattolica, tutta la teatralità del popolo italiano, la sua insufficiente familiarità con la coscienza, la sua scarsa propensione alla responsabilità e la vocazione a recitare sempre una parte nella commedia della vita?

domenica 23 marzo 2014

Il valore della sofferenza

Il valore della sofferenza
È  difficile che ci sia un parto senza dolore. E infatti dobbiamo soffrire non solo quando nasciamo la prima volta ma anche ad ogni nuova nascita, ad ogni nuova comprensione, ad ogni nuovo scatto evolutivo. Insomma la sofferenza ci accompagna ad ogni svolta nella vita.
       Ma la sofferenza serve, è utile. Nessuno vorrebbe uscire da una prigione se non ci stesse male. È la sofferenza che ci incita alla liberazione.
       Il problema è che non dobbiamo identificarci con l’io che soffre. Dobbiamo sempre tener presente che quella sofferenza non è una punizione, un ostacolo o qualcosa di inutile, ma uno stimolo a trasformarci. Accettiamo, teniamo duro e intanto lavoriamo a migliorarci. In che modo?
       Essendo presenti, non cercando di evitare, di nasconderci o di reprimere.
       Agli effetti dell’evoluzione, tutto serve: cose piacevoli e cose spiacevoli. Ciò che non serve è essere inconsapevoli.


sabato 22 marzo 2014

La meditazione non egoica

Un maestro zen, Katagiri Roshi, diceva: "Quando fate zazen, voi non dovete essere più. E' lo zen a fare zazen".
Questo è il punto di ogni forma di meditazione. Non siamo noi, il nostro ego, che fa meditazione, ma è un centro, una forza che nasce dall'interno, un potere che si sveglia ed opera da sé, non egoico. Noi dobbiamo solo togliergli gli intralci delle nostre mire, ossia della nostra volontà di essere in un certo modo.

mercoledì 19 marzo 2014

L'altra faccia della luna

Quanto più cerchiamo di inquadrare la realtà nelle nostre categorie conoscitive, tanto più dobbiamo sfrondare, semplificare, ridurre e togliere ogni ambiguità e contraddizione. Alla fine, ciò che conosciamo è una realtà impoverita, che lascia fuori tanti elementi – come guardare con occhiali insufficienti.
Questo succede anche per il nostro sé. Come diceva Jung, “il Sé è per definizione il concetto di un’essenza più ampia della personalità conscia. Di conseguenza, quest’ultima non è in grado di emettere un giudizio che abbracci il Sé.”
Non è dunque possibile “conoscere” per intero ciò che veramente siamo. Ciò che comprendiamo è solo una parte. Ma il più ampio Sé, il soggetto che conosce, ci resta ignoto – resta al di fuori della conoscenza razionale e duale.
Per oltrepassare i nostri stessi limiti, è necessario desistere dagli sforzi di razionalizzazione e porsi su una strada “negativa”, di ciò che il sé non è. Occorre mettersi sulla via del non sé, di quel sé che era stato escluso per conoscere l’ego impoverito. L'altra faccia della luna.
La via della non-mente è la via del rilassamento, del non sforzo, della liberazione dalla tensione, del lasciar essere, dell’abbandono, dell’ “autoannientamento provvisorio” (Jung). Solo così ci si può oltrepassare.
Come scriveva Karl Jaspers, “la vita ragionevole del giorno è fondata su questa notte, senza la quale il giorno stesso non sarebbe.” È la “notte dello spirito” di cui parlava anche san Giovanni della Croce.


martedì 18 marzo 2014

All'origine di sé

Oggi i fisici cercano le particelle prime, quelle apparse nei primi istanti del big-bang, e trovano anche l'eco della primitiva esplosione. Ma lo stesso dobbiamo fare noi: toglierci tutti gli strati sociali, psicologici e culturali e andare indietro, anzi nel profondo, così come si tolgono le sfoglie di una cipolla, alla ricerca del nucleo originale.
Se vi fermate, chiudete gli occhi e vi concentrate fortemente, magari premendo una mano sulle sopracciglia, vi dimenticate per qualche istante di chi siete e di che cosa fate, smettete di pensare e trovate un istante di consapevolezza pura.
Questo nucleo di consapevolezza, al di sotto o al di là della coscienza abituale, è molto vicino all'origine di sé. Non è condizionato dal tempo, nel senso che è lo stesso di vent'anni prima e sarà lo stesso fra vent'anni; e non è condizionato dallo spazio, nel senso che rimane lo stesso indipendentemente dal luogo in cui vi trovate.
E' così che si solidifica la propria anima.


Trovarsi

Tendiamo ad identificarci con i ruoli sociali e familiari, con le professioni, con le classi, con le bandiere, con i simboli, con le insegne... proprio perché dentro di noi sappiamo di non avere una vera identità. Se togliamo al giudice la sua toga o al militare la sua divisa, sanno di perdere un pezzo del proprio ego. Se togliamo ad un uomo la sua famiglia o il suo lavoro, si sente perduto: non sa più chi è - e qualcuno si suicida. Povere identificazioni.
Ricordati che sei al di là di queste identificazioni. Ricordati che il tuo essere, il tuo sé, è ciò che rimane quando togli tutti questi ruoli. Se a quel punto senti di non essere più niente, vuol dire che non hai costruito la tua anima, non l'hai solidificata.
Il tuo vero sé appare quando ti liberi di queste sovrastrutture.

lunedì 17 marzo 2014

Mistici odierni

Molti pensano che un mistico sia un individuo che ha travolgenti visioni dell'aldilà, dei santi, degli angeli, di Gesù o di Dio. Ma il mistico, più che vedere, penetra nel buio e nel silenzio della mente, in quella "nube della non-conoscenza che corrisponde ad un liberarsi delle varie attività mentali e ad un trascendere la coscienza comune, con le sue immagini. Ciò che cerca è il superamento della divisione fra sé e l'oggetto, fra sé e la natura, fra sé e la trascendenza.
Ma trascendere è trasgredire le regole, è procedere con le proprie forze, è cercare da soli le risposte. Per questi motivi il mistico è guardato con sospetto dalle religioni, che invece vivono di regole, di classificazioni, di comandamenti, di decaloghi delle leggi, di distinzioni e di dogmi.
Il mistico cerca la solitudine e il silenzio, e  quindi non lo troverete in televisione a predicare o a convertire. Cerca un'esperienza di unione che lo costringe ad essere defilato. Cerca più di annullarsi che di esibirsi nei salotti.
Anche oggi esistono mistici. Ma non li troverete nelle chiese e nei conventi. Li troverete in luoghi solitari o nascosti nelle nostre città, dove si è più soli che nei deserti.
Si può essere più mistici osservando l'erba, gli animali, il mare o i tramonti che pregando nelle chiese con parole convenzionali.


Guardonismo religioso

L'arcivescovo di Granada Francisco Javier Martìnez consiglia alle cattoliche: “Donne, praticate il sesso orale a vostro marito ogni volta che ve lo chiede. Ricordatevi che non è peccato se quando lo si fa si pensa a Gesù”.
Una religione che si riduce a dare consigli del genere è ormai degenerata - e rivela soprattutto il suo desiderio di dirigere uomini e donne in ogni atto, anche nel più intimo: una vera e propria volontà di dominio e di prevaricazione.
Ci sono quindi uomini di "religione" che si sono messi a pensare a tutti i possibili atti sessuali e a inquadrarli in qualche categoria: permesso-vietato, peccato grave- peccato lieve e così via. Sono veri e propri maniaci.
Questi meschini ometti sono convinti che Dio, la trascendenza, l'infinito, l'eterno, ecc., si occupi del modo in cui noi facciamo sesso qui su questo pianetino.
San'Agostino diceva: ama  e fa' quel che vuoi! Questa è l'unica regola valida. Le altre, quelle inventate dai casuisti religiosi, sono perversioni della religione.

venerdì 14 marzo 2014

Trascendenza e Dio

Ridurre la trascendenza al concetto di Dio è quanto di più semplicistico ci possa essere, addirittura un atto primitivo, un atto da scimmia antropomorfa che ricerca il capo-branco.
            Il problema è che la nostra mente ha già operato una riduzione di senso quando ha pensato Dio. Tutto sommato, quando gli dei erano numerosi e rappresentavano forze della natura o caratteristiche umane, con tutta la loro ambiguità, si era più vicini alla realtà. Ma poi si è introdotta una specie di dittatura della ragione, che ha voluto “misurare” l'Origine di tutto e darle un'interpretazione umana. Ci si è dimenticati che – come diceva il Tao Te Ching - “il cielo e la terra sono inumani”.
Così è nato il Dio delle religioni monoteistiche, sempre più lontano dalla trascendenza.
            La trascendenza non può avere un senso definito, chiuso, delimitato. Ma è piena di ambiguità, di ambivalenze, di incertezze, di contraddizioni, è dinamica, mossa... non segue per niente la nostra logica dittatoriale. Non è un padre, non è un dittatore, che si è fissato una volta per tutte in modo univoco. Se fosse così, che creatore sarebbe? Sarebbe un piccolissimo Dio.

            La stessa operazione di riduzione e di imposizione di un senso definito e univoco è stata fatta sull'io, che ha perso così la sua multi-valenza per fissarsi in un ego roccioso, che è una vera e propria prigione nella quale ci siamo chiusi.

Estranei al mondo

Se in certi casi ci sentiamo spaesati, estranei alla massa che ci circonda, se cerchiamo di sfuggire al rumore del mondo, e cerchiamo di starcene soli per un po’, non ce ne facciamo una colpa. Non è un difetto, non è un'anomalia, non è una malattia. Se ci sentiamo a disagio in una compagnia di stolti o di ignoranti, non è una nostra mancanza. Ma è un merito – il segno che siamo chiamati a recuperare la nostra identità perduta tra le chiacchiere del mondo, fra le false identificazioni sociali. 
            Stiamo cercando la nostra anima, il nostro vero sé.

            Quando perciò proviamo questa esigenza, non ci vergogniamo, non ci sentiamo dei mostri. I mostri sono gli altri, gli uomini sociali, gli uomini-massa, che hanno perso se stessi e che trovano una loro identità soprattutto nel reciproco riconoscimento.

Le maschere

Ogni cosa è se stessa e non un'altra: questo è il principio di non contraddizione che presiede la nostra mente – e quindi il nostro mondo. Ma si tratta di un arbitrio, di una finzione, perché ogni cosa è in realtà tante altre cose: noi stessi siamo un fascio di personalità.
            Non a caso la parola “persona” significa in latino maschera.
            Di volta in volta mostriamo una faccia, ma, per far questo, dobbiamo rimuovere o comunque nascondere le altre facce, gli altri aspetti, che si ripresentano quando meno ce l'aspettiamo, per esempio nei sogni. Allora ci rendiamo conto che possiamo essere questo e quello, possiamo essere noi stessi – ma anche altri; e che il volto che mostriamo di solito non è che uno dei tanti.

            Qual è dunque il nostro vero volto? Nessuno di questi – si tratta di maschere, di vestiti indossati per l'occasione. Può essere un'occasione che dura cinque minuti o tutta la vita. Ma, alla fine, andrà tolta.

martedì 11 marzo 2014

Cattolici per inerzia

Si può essere cattolici per inerzia - ma anche musulmani, ebrei, induisti, buddhisti, ecc. Il credente per inerzia è colui che non si pone alcun problema sulla fondatezza o sulla veridicità della propria religione ed aderisce semplicemente al complesso di credenze che gli sono state tramandate. Una persona del genere non è curioso, non è veramente interessato, non compie alcuna ricerca.
Ma possiamo dire che sia un vero credente?
No, un vero credente è colui che sceglie consapevolmente ciò in cui crede, colui che è o che è stato pieno di dubbi. Chi non lo fa è in realtà un automa, poiché esegue meccanicamente ogni azione, anche quelle del cuore. Dunque, non ha un'anima. In fondo, una religione del genere è il risultato di un condizionamento ben riuscito.
La vera fede viene, non da una tradizione né da una cultura, ma da una frequentazione assidua, da una familiarità, con la propria essenza più profonda, con la propria anima, che da sola dice che cosa seguire o non seguire.

domenica 9 marzo 2014

Oltre l'umano


Qualcuno dice di non credere a Dio perché non si capacita di come Dio possa aver creato il male. Ma questa è una visione antropomorfa della trascendenza.
Bene e male sono solo le due facce di una stessa medaglia, poiché non esiste né un bene separato dal male né una male separato dal bene. Chi li distingue è la mente umana, che per conoscere deve contrapporre.
Ma all'origine non c'è né bene né male: c'è un'unica realtà ancora non differenziata.
Dio non può essere un Dio etico. Dio, come hanno capito alcune spiritualità, è al di là della distinzione. E, in effetti, nella natura non esiste questa distinzione: il leone che sbrana la gazzella si limita a mangiare; non è cattivo, non fa del male. È l'osservatore umano che fa la distinzione. L'etica si pone solo a livello umano.
Questo significa che non dobbiamo giudicare o che è indifferente scegliere tra bene e male? No, ma se vogliamo capire la trascendenza, dobbiamo anche noi andare al di là. Altrimenti rimaniamo solo all'interno della dimensione umana.
Dobbiamo saper distinguere i due piani. Non applicare alla trascendenza categorie umane.

sabato 8 marzo 2014

Consolidare l'anima

Noi non siamo la persona che osserviamo, ma colui che osserva. Questa è la nostra vera identità, l'unica che ci porteremo dietro dopo la morte.
Colui che osserva è il soggetto, il sé, che, standosene silenzioso e calmo, è Testimone di ogni cosa.
Il soggetto che osserva non può essere fatto oggetto di osservazione. Bisogna piuttosto far tacere l'io empirico, con tutte le sue attività fisiche, intellettuali e immaginative, in modo che la distanza fra soggetto e oggetto  si annulli, fino a che i due coincidano o si identifichino.
Potremmo dire che si tratta di cogliere la nostra anima, l'atman delle Upanishad. Ma in realtà è l'anima che, mettendo fra parentesi tutto il resto, ritrova se stessa.
A questa operazione diamo vari nomi: essere presenti, essere consapevoli, ricordarsi di sé, risvegliarsi, meditare, ecc.
"Io sono qui, io sono presente, io sono consapevole..." non deve essere un semplice pensiero, ma un'esperienza concreta. Proviamo a farlo adesso - e mille volte al giorno.
Sembra che non succeda niente. Ma stiamo cogliendo, alimentando e consolidando la nostra anima, l'unica realtà che ci resterà sempre.




giovedì 6 marzo 2014

La nostra vera identità


Quando ci domandano o ci domandiamo chi siamo, rispondiamo descrivendo il nostro ruolo sociale o la nostra psicologia. Questa è l'identificazione.
Ma la nostra vera identità, al di sotto del ruolo sociale e della psicologia, non è quella; e possiamo trovarla soltanto se ci liberiamo della identificazione sociale e psicologica.
Dobbiamo gettare ogni maschera per scoprire il nostro volto nudo.
È necessario distinguere tra identità e identificazione per capire che ciò cui tendiamo non è un io eternamente individualizzato, ma una coscienza che si fa sempre più universale. Dobbiamo allargare, non restringere, i confini del nostro ego. Ed è questo che avviene in meditazione.
Sì, attualmente io sono Tizio o Caio. Ma al fondo sono un pezzo di coscienza cosmica.

mercoledì 5 marzo 2014

Il ricordo di sé

Il ricordo di sé non è il ricordo del proprio io empirico: sono Tizio, sono Caio, sono fatto così e così... ma la consapevolezza di essere presenti in un momento che è sempre "questo".
Il ricordo di sé non è un ricordare qualcosa di passato, né una rievocazione che si fa, per esempio, in psicoterapia, in vista di una comprensione razionale e di un cambiamento.
No, il ricordo di sé è diventare consapevoli di essere.

Meditazione, spazio e tempo

La meditazione non ha tempo, nel senso che viene fatta sempre nell'attimo presente, in un' "ora"; non è neppure né un ricordare né un prevedere. E non ha spazio, nel senso che non è localizzata in un luogo specifico, né tanto meno in un cervello.
Dunque la consapevolezza della meditazione è ciò che rimane quando, con la morte, scompaiono lo spazio, il tempo e il corpo.

martedì 4 marzo 2014

Santi e mascalzoni

Un lettore del Venerdì di Repubblica propone di revocare la santità al cardinale Roberto Bellarmino, che fu il principale responsabile della condanna e del rogo di Giordano Bruno, uno dei migliori pensatori del cattolicesimo.
Non se la cosa sia tecnicamente possibile. Ma questo ci deve indurre a diffidare delle patenti di santità rilasciate dalla Chiesa. In effetti, sono stati dichiarati santi fior di mascalzoni e di mistificatori, rozzi individui che hanno incitato alla violenza e alla repressione d'ogni dissenso, d'ogni altra religione.
Insomma, un santo per la Chiesa può essere, per noi, tranquillamente un farabutto.

Venti di guerra

Oh, era da un po' che non si minacciava qualche guerra! Ne sentivamo la mancanza. Come mai con tutti i nostri valori di fratellanza e di bontà, con tutte le nostre religioni che predicano l'amore, con tutta la nostra strenua difesa della vita (anche in embrione!), con tutte le nostre costituzioni che ripudiano l'uso della violenza, con tutti i nostri filmetti che esaltano gli eroi positivi... poi, in un attimo, diventiamo così bellicosi? E per che cosa? Per qualche pezzo di terra e per il solito nazionalismo fasullo?
Umanità incorreggibile. A parole sosteniamo la pace, ma nei fatti i nostri valori più radicati sono ancora quelli dell'aggressività, della competitività, della terra, del sangue e della nazione. Sono questi i valori che inculchiamo nelle giovani scimmie che alleviamo.
Al di là delle chiacchiere, come insegniamo ai nostri figli a vincere dentro di loro l'aggressività e la volontà di potenza e a trovare la non-violenza, la pace interiore? Con le prediche dei preti?

Le due facce della medaglia

Il mondo è meraviglioso. D'accordo. Ma è anche terribile. E lo stesso si può dire di tutto.
Ogni cosa ha due aspetti. Bene e male, positivo e negativo... sono sempre intrecciati, compresenti e complementari.
Se ci si abitua a ragionare così - osservando contemporaneamente le due facce della medaglia -, la finiremo con questa sciocchezza del pessimismo/ottimismo, e vedremo finalmente la realtà. Questa è una prima forma di trascendenza, al di là del dualismo mentale. E spetterà a noi far pendere il piatto della bilancia in un senso o nell'altro.
Negli stati d'animo, nei giudizi, ogni volta, bisogna ritornare all'origine del continuum soggetto-oggetto e decidere quale oggetto avere, quale visuale adottare. La responsabilità è tutta nostra.

Un Papa schizoide

Papa Francesco invita a non condannare le persone che "nella vita hanno avuto la disgrazia di un fallimento nell'amore". Ma a chi lo dice? Sono lui e la sua Chiesa che condannano i divorziati. Sono loro i nuovi Farisei che, utilizzando la casistica clericale, licenziano per esempio gli insegnanti divorziati nelle scuole cattoliche.

Tipico di questo Papa: parla agli altri per convincere se stesso.
La stessa cosa l'aveva fatta con i gay: "Chi sono io per giudicare...?"
Ma sono sempre lui e i suoi preti che giudicano e condannano. Non siamo noi.

Dio e anima

«Io e il Padre siamo un sola cosa»... i cristiani hanno equivocato questa frase del Vangelo di Giovanni. Qualunque uomo può dire la stessa frase. Significa semplicemente che il fondo dell'anima e Dio coincidono. Altri mistici hanno detto la stessa frase, in tante religioni. Secoli prima di Cristo, le Upanishad avevano stabilito che il punto più profondo dell'anima (l'atman) era il Brahman (Dio). Ecco la semplice verità. Ognuno è Dio, tutti sono Dio... solo che gli uomini, fuorviati dalle religioni, hanno creduto in una certa immagine di Dio, in un Dio che se ne sta lassù in cielo e, ogni tanto, manda qualcuno a ricordare che c'è. Un ben misero Dio, un padroncino divino che tira i fili del mondo - peraltro con esiti disastrosi.
Naturalmente qualcuno potrebbe domandarsi: ma se siamo Dio, perché siamo capaci di far così poco?
Perché siamo il Dio che, nelle sue tante manifestazioni, ha scelto questa limitazione. Un Dio alienato, un Dio che si è perso nella propria creazione.
Sta a noi, superare questa limitazione... trascenderla, per recuperare una condizione più elevata - e più potente.

domenica 2 marzo 2014

Calma e distensione

Calma e distensione non possono essere comandati a volontà, perché ci sarebbe una contraddizione psicologica, nel senso che, se mi sforzo di distendermi, otterrò il risultato contrario: mi tenderò e mi agiterò. E allora bisogna non volere (questo stato d'animo), ma lasciar andare tutto quanto, compresa la mia volontà di essere in un certo modo. Questa è già meditazione.
Tutti gli altri stati d'animo possono essere indotti con più facilità (la paura, la rabbia, il desiderio...), ma non questo, perché non può essere forzato o condizionato, essendo il senza-sforzo e il non-condizionato.
Ecco perché con la meditazione bisogna lavorare per così dire d'astuzia, come il gatto con il topo. Non volere, ma propiziare, favorire, sfruttare l'occasione... senza però mai perdere di vista l'obiettivo. Più che fare, bisogna lasciar fare... alla natura, fuori e dentro di noi. Più che dirigere, bisogna lasciarsi andare.
Tutto questo è complicato da descrivere. Ma in pratica significa sapersi rilassare, riposare, distendere, calmare, stando fermi e rimanendo in silenzio.
In campo psicologico non possiamo avere le cose a comando. Per questo si parla di "pratica": addestramento, allenamento, ripetizione, pazienza... creare o sfruttare le condizioni e aspettare. Capire i vantaggi.
Bisogna inoltre tener conto che in certi casi, in certi momenti, in certi giorni, non è possibile raggiungere il risultato, perché i pensieri e le preoccupazioni sono troppo forti. Ma, col tempo, la situazione migliorerà e l'esigenza meditativa saprà farsi sentire anche nei momenti più difficili.

sabato 1 marzo 2014

Attività e meditazione


Tra attività è meditazione ci deve essere un'alternanza naturale. Il riposo porta al bisogno di attività, l'attività porta al bisogno di riposo. Non c'è contrasto.
    La meditazione rende calmi, equilibrati, sensibili, profondi e lucidi, e queste qualità, trasferite nell'attività quotidiana, ci daranno enormi vantaggi, pratici oltreché psicologici e spirituali.
    Non ci vuole molto per praticare la calma. Basta mettersi seduti di fronte ad una finestra, restare immobili e silenziosi (soprattutto mentalmente), e osservare...  tutto e niente, fuori e dentro di sé. O sedersi in una spiaggia, in un giardino o in qualunque altro ambiente naturale.
    La meditazione ha una sua durata spontanea. Prima si dilaterà e si approfondirà, e poi lascerà il posto ad una nuova esigenza di attività. Se vi capita di addormentarvi, poco male; quando vi risveglierete sarete più riposati e più lucidi.
    Sembra incredibile, ma per molti anche starsene seduti in questo modo è difficile. Purtroppo sono malati, e fanno ammalare il mondo.
    Se non riuscite a starvene per un po' seduti, tranquilli e silenziosi, siete come inseguiti da un cane rabbioso - solo che il cane ce l'avete dentro di voi. Dunque, soffrite.
    C'è anche da dire che vivere in una famiglia o in una comunità significa spesso non trovare mai un po' di privacy, di silenzio e di riposo. Si è continuamente stimolati a fare qualcosa.
    Ribellatevi. Siete soltanto macchine produttive e riproduttive, non esseri umani. State sprecando la vostra vita in troppe attività, state sprecando l'opportunità che vi è stata data di essere voi stessi. Siete sempre di qualcun altro.
    Ognuno ha diritto ad avere un proprio spazio inviolabile. A meno che non vi troviate in qualche carcere.
    Ma il carcere in questo caso ve lo siete creati o ve lo siete conservati da soli. E, se ve lo siete creati voi stessi (magari non reagendo), potete liberarvene. Questa è la buona notizia.

La pace interiore e la pace esteriore

La calma, la quiete, la pace, la tranquillità - l'intero complesso di questo stato d'animo - è la base della meditazione. Ma, a pensarci bene, potrebbe essere la base di un vero vivere civile. Se tutti si dedicassero - come prima cosa - alla ricerca della calma e della pace, vedremmo come d'incanto un altro mondo.
    Poiché, però, la società (dominata dall'ignoranza) vive in uno stato di conflitto continuo, dedichiamoci almeno noi a questa pratica.
    Almeno, il nostro mondo personale ne trarrà beneficio. E in qualche modo aiuteremo gli altri.