mercoledì 31 agosto 2016

Riempire il vuoto

Quando andiamo in vacanza, finalmente ci liberiamo dalle routine giornaliere che soffocano la vita. Ma, a quel punto, non avendo più né orari né impegni, ci troviamo di fronte ad un vuoto che non sappiamo più come riempire. E allora ci inventiamo visite, giochi, passatempi, nuovi impegni e nuovi orari. Ciò che ci spaventa è non aver niente da fare.
Questo vale anche per la meditazione. Quando ci liberiamo dagli abituali schemi e attività mentali, ci troviamo di fronte ad un vuoto che ci atterrisce e che non sappiamo come gestire.

La meditazione è un metodo che ci insegna a stare con il vuoto, che, a pensarci bene, è la nostra natura più profonda.

Quando stiamo perfettamente immobili, quando nessun pensiero si agita in noi, quando siamo seduti tranquilli, quando i nostri impulsi e desideri sono acquietati, quando non siamo attaccati né al male né al bene, né all’io né al mio, quando siamo consapevoli con pura e totale concentrazione, allora siamo vuoti, siamo liberi da ogni dipendenza e ci troviamo al massimo del nostro benessere, risvegliati.

Profonde connessioni

Se prendiamo un sasso, vediamo che ha una propria individualità: ha una certa forma, certe dimensioni, certi materiali, certi colori, ecc. Pur essendo simile a tanti altri, è unico. Ma un tempo era un tutt’uno con la montagna e quindi con la Terra – proprio come ogni cosa, proprio come ognuno di noi.
Il sasso ha assunto un’individualità staccandosi dalla montagna. Ma non possiamo dimenticare che ha una profonda connessione con essa.

È nel fondo che si trovano queste connessioni, queste radici. E diventarne consapevoli fa parte del processo di meditazione.

Combattere l'ignoranza

Non bisogna rompersi la testa e arzigogolare filosoficamente per raggiungere l’illuminazione. Anzi, è molto meglio interrompere e sospendere ogni schema mentale, in modo da ritrovare un contatto più genuino con la realtà.

Ma, una volta che si è raggiunta una certa chiarezza di visione, è bene applicarla per criticare le visioni comuni, che sono per lo più basate su tradizioni, convenzioni, superstizioni, confusione e ignoranza.

La seconda freccia

Come dice il Buddha, la vita spesso ci scaglia addosso una freccia.
Ma, se noi incominciamo a chiederci da dove venga e perché abbia colpito proprio noi, come succede in certe malattie o in certi incidenti, aggiungiamo alla prima freccia materiale una seconda freccia mentale.
Mentre la prima freccia ci procura un inevitabile dolore, la seconda vi aggiunge una sofferenza mentale che peggiora la situazione e che potrebbe essere evitata.

Tuttavia, poiché tutti gli avvenimenti sono interconnessi, talvolta è necessario utilizzare come un bisturi questa seconda freccia per conoscere ed estirpare la prima. Un bisturi, certo, fa male; ma serve a curare.

martedì 30 agosto 2016

Saper meditare

Quasi tutti incominciano a meditare con lo scopo, più o meno esplicito, più o meno chiaro, di raggiungere l’illuminazione – intesa come un’apertura della mente in cui verranno rivelate certe verità fondamentali.
L’approccio giusto, però, è un altro. Non utilizzare la meditazione come un mezzo per raggiungere uno scopo, ma per essere ciò che siamo in un dato momento – uno stato, questo, da cui ci allontana proprio la concettualizzazione.
Si tratta dunque di raggiungere la piena naturalità, la completa aderenza con la realtà.
Ovviamente, scrivendo queste cose stiamo facendo la cosa sbagliata: stiamo concettualizzando. Ma è difficile non usare le parole per trasmettere un messaggio.

Bisognerebbe sedersi a meditare e basta, come fatto spontaneo e piacevole, come tutti gli altri momenti in cui siamo pienamente vivi. E imparare, più che dai libri, da chi si comporta così, da chi è un esempio vivo.

Imparare a distendersi

Come è evidente, dai neonati che piangono non appena entrano in questo mondo, nascere è entrare in tensione. Ma, entro certi limiti, non se ne può fare a meno. E, come è evidente dai volti dei morti, morire è abbandonare ogni tensione – e anche qui non se ne può fare a meno.

La saggezza è imparare a vivere in modo rilassato, spontaneo e flessibile… tra la tensione eccessiva di certe esistenze e l’eccessiva distensione di chi è morto.

Il successo

Avere successo nella vita sociale è importante. Ma bisogna vedere a che prezzo.
Bisogna vedere come ci sentiamo noi interiormente. C’è chi, anche avendo successo, soffre di tensioni, di ansia, di stress e deve prendere pillole  medicinali per tirare avanti.

Il vero successo è avere la pace nel cuore, nel corpo e nella mente. 

lunedì 29 agosto 2016

Alleviare l'agitazione collettiva

Quando ci troviamo in una situazione generale difficile, quando tutti intorno a noi sono agitati, impauriti e stressati, possiamo sempre dare un contributo personale per alleviare le pene.
Dobbiamo calmarci noi per primi, magari inspirando ed espirando consapevolmente. Una sola persona tranquilla è già un elemento importante di acquietamento collettivo.

Come un solo individuo può creare agitazione in un gruppo, così un solo individuo può creare pace.

Odi religiosi

Pare che, accanto agli attentati maggiori dei fanatici musulmani, vi siano migliaia di attentati minori su cui si stende un velo di silenzio.
Parlo dell’uso di entrare nelle chiese cattoliche e di “sputare sulle immagini sacre, defecare sugli altari, orinare nelle acquasantiere, profanare l’eucarestia, insultare i fedeli, bruciare e sfasciare immagini ed edicole sacre” (Filippo di Giacomo, Il Venerdì del 26-08-2016).
E poi Papa Francesco sostiene che non si tratta di una guerra di religione.

Il fatto è che i fedeli di una religione disprezzano e considerano dei cretini i fedeli delle altre.

Sfilate vip

Dopo ogni sciagura, assistiamo a sfilate di personaggi importanti, come politici, vescovi e Papi. Gli tocca, e loro lo fanno volentieri, perché incoraggiano i sopravvissuti e si fanno pubblicità.
Stavolta Papa Francesco è stato preso in contropiede: di solito è tra i primi a inaugurare la passerella convenientemente ripresa dalle televisioni.
Ma capisco le sue esitazioni.
È difficile andare a parlare dell’amore e della bontà del Signore a chi ha perso parenti, amici e case per un terremoto.
Ma ci andrà certamente, seppur controvoglia. Bisogna pur re-illudere le persone che hanno appena avuto una rivelazione.

Sì, perché un terremoto è la rivelazione istantanea dell’inconsistenza di quella immagine di Dio che il Papa pubblicizza.

domenica 28 agosto 2016

Orogenesi

Quando vediamo un terremoto, assistiamo semplicemente all’orogenesi – alla genesi del mondo, della Terra, della vita. Una vita che non sta mai ferma, che è in continuo divenire, che è necessariamente violenta.
Ogni parto è un evento violento. Benvenuti in questo mondo…
Questa è la verità-realtà. Tutto è precario, tutto è impermanente, tutto finisce per essere distrutto – noi stessi, il mondo e l’universo.
Per noi che siamo dotati di coscienza, è una vertigine, la paura delle paure. E facciamo di tutto per non crederci. Allora ci inventiamo Iddii protettori e altri mondi.
Questo non significa che tutto sia nulla e che finisca qui. Significa piuttosto che ogni individualità è una formazione temporanea.
Il terremoto ci dà una grande insegnamento. Ci scuote dal sonno della mente, ci toglie ogni illusione e ci riporta al presente e al reale. Privandoci di tutto, ci dice che cosa sia essenziale  e quanto sia violento il mondo in cui viviamo.

“Ecco il suo insegnamento: ‘Il grido «Ah!» Che si esclama allorché balena il lampo e si chiudono gli occhi.” 
Kena Upanishad

Cani senza padrone

Gli individui che continuano a pregare il loro “Signore” dopo un terremoto che ha distrutto le loro case e ucciso i loro cari sono come i cani che continuano a leccare la mano del padrone che li ha bastonati.
Non hanno altro punto di riferimento, non sanno a chi altro rivolgersi, non possono restare senza padrone.
Si erano illusi che il loro Signore fosse buono e li avrebbe protetti. Un errore.
Se fin dall’inizio si fossero liberati di questa superstizione, non si sarebbe affidati ciecamente al suo volere e si sarebbero preparati ad affrontare il peggio.

Non c’è nessuno che ci protegge – se non noi stessi. “Sii lampada a te stesso!” dice il Buddha.

sabato 27 agosto 2016

Il santo silenzio

Quando si scatena un cataclisma come il recente terremoto in Italia centrale, per un po’ tutti tacciono. Il disastro è troppo grande per utilizzare parole impotenti e inutili. Nessuno sa e si sente di dare spiegazioni “religiose.”
Ma passata qualche ora o qualche giorno, ecco che i preti riprendono le solite litanie, i soliti funerali, i soliti rituali. “Padre eterno, affidiamo a te l’anima di Tizio, Caio, Sempronio… pensaci tu”.
L’evento e l’ingiustizia sono troppo grossi per imbastire discorsi teologici. Ci si affida alle frasi fatte e alle cerimonie collaudate.
Qualcuno arriva a dire: “Ma, in fondo, noi non crediamo nella morte. Sappiamo che Dio premierà  e salverà …”.
Eppure, abbiamo appena avuto la dimostrazione che tutte quelle idee su un Dio che è giusto, caritatevole e protettivo, sono sbagliate, e che quell'immagine di Dio è crollata proprio come i campanili e le chiese.

Quale altra prova vogliamo? Siamo di fronte alla realtà di un universo che agisce come un  meccanismo insensibile alla sorte dei singoli.
Sono solo i singoli che possono capirlo e cercare di intervenire per cambiare il proprio destino. Ma se si affidano alle supreme Autorità...

Dominazione e liberazione

Non si possono tagliare le radici della rabbia (e degli altri sentimenti disturbanti) senza portare un’adeguata attenzione a ciò che avviene dentro di noi. Inutile credere o aver fede: occorre un atteggiamento di osservazione per capire che cosa si agita nella nostra psiche: “Questa è rabbia, questo è odio, questa è paura, questa è confusione, questa è agitazione, questa è ansia, ecc.”.
Tutto ciò non ha niente a che fare con le religioni. Siamo ben lontani dalla visione religiosa (cristiana, islamica, ebraica, ecc.) secondo cui saremo salvati (ovviamente da un Dio Altro) se avremo fede – un atteggiamento che rientra nel vecchio rapporto servo-padrone, dominato-dominatore.
Qui si tratta di guardare, di ascoltare, di osservare, di capire… non di essere cani fedeli.
Un cane fedele sarà ricompensato con un osso da rosicchiare o forse riceverà solo bastonate. Vive all’interno del rapporto schiavo-padrone. Deve solo sottomettersi e affidarsi completamente al suo signore. Non potrà mai essere autonomo, non potrà mai diventare padrone di sé… a meno che si trovi abbandonato e ritorni ad essere un animale selvatico.

Che etica può esserci in un cane? Semplicemente quella del recinto dei suoi istinti o dei voleri del padrone. Ma non sarà mai un essere responsabile, libero.

venerdì 26 agosto 2016

La felicità come discrimine

In questo mondo costruito da una mente bipolare, non c’è niente che sia buono o cattivo di per sé. Anche la consapevolezza, per esempio, può avere un influsso negativo se viene concentrata solo sui nostri difetti e sulle nostre mancanze, perché finisce per produrre complessi di inferiorità, di sfiducia e di sottovalutazione.
Lo stesso per la concentrazione: se viene diretta verso il potenziamento dell’ego, chiude e isola; se viene diretta verso l’allargamento e l’interconnessione, produce espansione spaziosità.
Consapevolezza e concentrazione, se convenientemente dirette, portano ad una visione profonda di sé e del mondo e favoriscono la saggezza.
Occorre dunque saper osservare e discriminare, in base ad un determinato criterio.

Il criterio di base è lo stato del nostro benessere: se consapevolezza e concentrazione aumentano la nostra felicità, sono ben dirette. Se invece non riusciamo ad uscire da uno stato di tensione e di sofferenza, siamo sulla strada sbagliata.

giovedì 25 agosto 2016

Disastro colposo

La nostra magistratura intende indagare alcuni costruttori nelle zone terremotate per scoprire come mai certi edifici appena costruiti siano crollati come i vecchi. Cemento difettoso, violazioni delle leggi antisismiche, risparmi sulla pelle altrui, truffe?
Ovviamente i giudici fanno bene a indagare. Ma bisognerebbe alzare il tiro e accusare il responsabile ultimo di questa terra tremolante, pericolante e violenta: il Grande Architetto – quello che invece molti adorano e ringraziano.
Insomma c’è un costruttore che vuole ucciderci tutti, e prima o poi ci ucciderà.
Indaghiamo. Istruiamo un processo contro il Grande Criminale.

Ma, vi avverto, sarà difficile beccarlo. Anche perché è nascosto laddove nessuno pensa di cercarlo: nelle menti degli uomini.

Teologia del terremoto

Arriva il terremoto, gli edifici si sbriciolano e le persone muoiono: un copione che in Italia si ripete spesso. La natura (nella sua veste non benigna) si scrolla di dosso le opere umane e gli uomini come se si trattasse di fastidiosi parassiti – nell’indifferenza cosmica.
Non c’è pietà, non c’è distinzione: vengono travolti buoni e cattivi, bambini e vecchi, credenti e non credenti, chiese e alberghi. Molti muoiono, qualcuno si salva.
Preti a Papi balbettano le loro vuote parole, le loro inutili consolazioni, le loro favole su un Dio che ci ama e ci protegge.
D’accordo, la natura non è Dio, ma è pur sempre il suo marchio di fabbrica. E la natura non guarda in faccia nessuno: nasce dalla violenza e muore nella violenza.
Naturalmente ci sono anche periodi di pace e di tranquillità, in cui gli uomini - le formichine - possono costruire e ricostruire. E ci sono anche persone che scampano al disastro, forse per fortuna, forse per caso, forse per meriti o forse per poteri personali.
Sta a noi investigare se sia possibile influire positivamente sui nostri destini e se sia possibile, almeno individualmente, scampare là dove i più vengono travolti.
Certamente, l’abilità maggiore è non farsi trasportare dalla corrente comune, è non farsi travolgere dalla tensione prevalente che – nella natura e nell’uomo – deve esplodere, prima o poi, in maniera catastrofica.

Un tempo certi personaggi saggi o santi venivano tenuti in grande considerazione e venivano coccolati dalle popolazioni locali proprio perché con la loro stessa presenza proteggevano il territorio dai disastri peggiori.

mercoledì 24 agosto 2016

La vera religione

Quando beviamo consapevolmente un bicchiere d’acqua, dobbiamo riconoscere che là dentro c’è la nuvola che un tempo era stata in cielo. La nuvola è scomparsa, ma qualcosa di lei è rimasto – ed ora è nel nostro bicchiere.
Se c’era la nuvola, c’era la Terra con i suoi fiumi e i suoi mari, c’era l’ossigeno e c’era il Sole che ha fatto evaporare l’acqua. E se c’erano la Terra e il Sole c’era un sistema solare, e se c’era un sistema solare c’era una galassia, e se c’era una galassia ce ne erano altre, e se c’erano tante galassie c’era un universo … e così via.
Tutto questo è nel nostro bicchiere – un concentrato dell’universo.
Quando beviamo, l’acqua entra nel nostro organismo, si mescola nel nostro sangue e fa funzionare il corpo e il cervello. Dunque la nuvola è anche finita nei nostri pensieri e nella nostra coscienza – un sublimato dell’universo.
Non sappiamo chi ha creato tutto questo processo. Possiamo dargli un nome – Dio, Allah, Brahman, Tao, ecc. – ma si tratta di etichette per indicare qualcosa che non capiamo, che non sappiamo spiegare.
Una cosa però la sappiamo: che questo Principio, questa energia, è in noi, è dentro di noi – come la nuvola che un tempo era in cielo e poi ha dato vita a tante cose.
Questo Principio non chiede né religioni né rituali di adorazione. Vuole piuttosto contemplazione, ossia un esercizio di immedesimazione e di consapevolezza.
La consapevolezza è il divino che riconosce se stesso. Ed essere consapevoli è l'unica spiritualità.


martedì 23 agosto 2016

Vita e morte: il gioco infinito dell'universo

Crediamo che vita e morte siano contrapposti e si escludano a vicenda, al punto che quando c’è l’una non può esserci l’altra.
Ma non è così. Non vediamo l’interconnessione, la complementarità delle due.
Non vediamo come nel primo istante di vita penetri anche il primo istante di morte. Non vediamo poi come la morte ci accompagni durante tutto il giorno e vada via via fortificandosi.

Perciò non capiamo come nel primo istante di morte sia presente il primo istante di vita, che sarà il germoglio della rinascita e si andrà via via fortificandosi – fino a riprodurre una nuova esistenza.

Il potere della mente

Se stessimo attenti, ci accorgeremmo di quanto i nostri pensieri influenzino prima di tutto il nostro corpo e poi il mondo esterno.
Il pensiero, che è un prodotto del mondo, influenza a sua volta il mondo, nel bene e nel male. Certi pensieri, certi atteggiamenti psicologici a lungo andare ci fanno ammalare  - oppure guarire. Sta a noi scegliere.
Ma, per scegliere, dobbiamo essere consapevoli di ciò che si agita dentro di noi, e dobbiamo imparare a correggerti e a discriminare: scegliere la serenità anziché l’agitazione. Per il bene nostro e del mondo.
Non solo. Anche le nostre convinzioni e i nostri schemi mentali influenzano gli eventi, interni ed esterni.

Stiamo dunque attenti a ciò che si ripete e alle nostre fedi più o meno inconsce. Perché, in realtà, tutti questi atteggiamenti modellano sia il nostro mondo interiore sia quello che riteniamo esteriore.

lunedì 22 agosto 2016

Esterno e interno

Fra i vari dualismi mentali, c’è quello fra esterno ed interno. L’esterno sembra essere il mondo e il mio stesso corpo. E l’interno sembra essere la mia interiorità, fatta di percezioni, sensazioni, emozioni, pensieri, ricordi, ecc. - in una parola la mente.
Ma l’interiorità non potrebbe esistere senza un cervello fisico e senza organi fisiologici, cioè senza un apparato esterno, che si occupi di mediare fra esterno ed interno.
Viceversa, l’esterno non potrebbe esistere senza una mente che lo percepisca. Per esempio, l’universo sarebbe oscuro e invisibile senza un organo che si chiama occhio e che capta determinate forme di particelle.
Come al solito, i due estremi contrapposti non sono per niente separati, ma complementari. L’uno non potrebbe esistere senza l’altro.
La luce non potrebbe esistere senza un occhio che la veda e l’occhio non potrebbe esistere senza particelle luminose.
Nasce prima l’uovo o la gallina?
Nascono insieme – l’uno per l’altro, l’uno in funzione dell’altro.

Quando diciamo che la mente influenza il mondo, ci sembra un’affermazione teorica. Anzi, ci sembra impossibile. Può un pensiero muovere la materia?

In realtà l’influenza è già avvenuta nel momento in cui ci poniamo la domanda. Perché la materia è tale solo in funzione di un pensiero che la pensa e il pensiero esiste solo in funzione di una materia che si ponga come esterno.

Una forma di illuminazione

Nel mondo dello spirito, non s’illumina solo un sé separato, un ego che dice: “Io sono io e nient’altro che me stesso,” ma un sé che dice: “Io sono parte di questo e parte di quello, sono i miei famigliari, i miei antenati, i miei connazionali, l’umanità intera, gli animali, le piante, i minerali… Io sono un po’ di tutto, io sono perché c’è tutto il resto”.
Quando ci si illumina, si illumina tutto ciò che ci ha portati a illuminarci.
È come un atleta che, nel momento in cui vince una medaglia d’oro mondiale, riconosce: “Ho vinto io, d’accordo; ma con me hanno vinto tutti coloro che mi hanno preparato, coloro che mi hanno sostenuto, il paese che mi ha dato questa possibilità, i campioni del passato e così via.
C’è sempre un concorso di cause. L’individuo è un collettore e il punto finale di tanti sforzi.
È un io che trascende se stesso e si sente parte del tutto.

E queste stesse considerazioni sono già una forma di illuminazione.

domenica 21 agosto 2016

Il volto della saggezza

Noi crediamo che la verità sia una certa idea, un certo pensiero che sorge all’improvviso, come una luce che si accenda.
Ma la verità non è un concetto – è la cosa.
Se la verità ultima fosse soltanto un’idea, ci sarebbe subito il suo contrario. E, invece, la verità è al di là dei contrari, al di là del dualismo mentale.
Noi viviamo di queste contrapposizioni. Alto e basso, giusto e ingiusto, bene e male, maschio e femmina, destra e sinistra, vero e falso, essere e non essere, vita e morte, identità e alterità, immanenza e trascendenza… Però la verità-realtà è un continuo miscuglio di questi opposti, che non sono affatto contraddittori, ma complementari.
Per esempio: siamo abituati a pensare che il maschile e il femminile siano contrapposti e che si escludano a vicenda. Ma poi vediamo che gli uomini hanno i seni e le donne un piccolo pene. Non parliamo del livello psicologico e del comportamento sessuale, dove si possono avere tante gradazioni e sfumature. A dimostrazione che il maschile-femminile, al di là delle nostre astrazioni e distinzioni, è un continuum unico.
Non dobbiamo fermarci al dito, ma cogliere la luna – e la luna ha una faccia illuminata e una oscura, contemporaneamente.
Capire che uno dei due poli opposti è già inserito nell’altro, ed è indispensabile all’altro, è avere una visione di saggezza – la vera trascendenza.
La saggezza si accende, sì, ma come una candela che brucia se stessa. Vede i contrasti, ma comprende la loro profonda complicità.
Ovviamente non dobbiamo cogliere tutto questo come una nuova idea. Dobbiamo esperirlo nella realtà.


sabato 20 agosto 2016

Bikini e burkini

Purtroppo, a chi si occupa di religione e spiritualità tocca anche parlare di costumi da bagno. Così tutti vedono a quale grado di insipienza  giungono le religioni quando pretendono di normare ogni aspetto della vita.
Prima si parla di Dio, Infinito, Eterno, Trascendenza… e poi ci si riduce a discutere di burkini. Ma per milioni di credenti la religione si riduce a queste scemenze: come vestire, che cosa mangiare…
Questo succede sia per la ristrettezza mentale dei fedeli sia per la pretesa totalitaria delle religioni di regolare ogni più piccolo dettaglio della vita umana.
Già ai tempi degli antichi romani, le donne portavano il costume a due pezzi, così come si vede anche nei mosaici di Piazza Armerina. Ma poi prese il potere il cristianesimo e subito subentrò la repressione dei costumi. Perché le tre religioni che dominano e insanguinano il mondo, avendo una radice comune, hanno la stessa idea maschilista del “Signore” e delle donne. Se leggete quello che dice san Paolo delle donne, ritrovate le stesse idee dei fanatici musulmani o ebrei. L’ignoranza e la pretesa di sottomettere le donne sono le stesse.
In Occidente, ci eravamo appena liberati, dopo secoli di lotte, delle concezioni repressive di preti, vescovi, cardinali e papi, ed ecco che ci tocca fronteggiare le stesse idee arcaiche e maschiliste di imam, ayatollah, mullah e compagnia bella.
E non possiamo che ripetere che tutti i veli e i paludamenti imposti dai religiosi alle donne nascono sempre da una volontà di dominare e di sottomettere.

Ma che cosa succede a questi maschi musulmani quando vedono un centimetro di pelle di una donna? Saltano in aria da soli senza l’aiuto di una cintura esplosiva?

venerdì 19 agosto 2016

Il banchiere divino

Il filosofo Diego Fusaro sostiene che questa non è una guerra di religione, ma una guerra contro la religione. Secondo lui, è il capitalismo che attacca le religioni, perché vuole annientare l’idea di trascendenza e renderci tutti schiavi.
Come se le religioni teiste ci volessero tutti liberi e padroni della nostra vita.
Mi sembra, invece, che il mostro del capitalismo sia proprio un prodotto delle religioni.
Basterebbe esaminare alcune parabole di Gesù, dell’ebreo Gesù, per accorgerci che sono piene di padroni cattivi ed egoisti (“il regno dei cieli è simile a un padrone…”), di amministratori che chiedono i rendiconti, di re che dicono: “Qua comando io e faccio quel che mi pare senza dover rendere conto a nessuno” e addirittura di banchieri e di interessi bancari (“avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri”).
“A chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”: non è questo il manifesto dell’attuale capitalismo finanziario dominato dai banchieri?
D’altronde, tutti dovrebbero sapere quale sia stato il contributo dato dal cristianesimo allo sviluppo del capitalismo e aver letto magari L’etica protestante e lo spirito del capitalismo di Max Weber, dove si sottolinea il nesso fra spirito religioso e spirito economico.

Dunque, non c’è nessun contrasto fra rapacità del capitalismo e rapacità delle religioni teiste, tutte animate da volontà di conquista, di potenza e di dominazione totalitaria. 

Il macellaio divino

Se in un paese si aggirasse un pericoloso criminale, chi sarebbe più utile? Chi vuole metterci in guardia dicendoci di non fidarci, di stare attenti e di essere guardinghi, o chi ci dice: “Non vi preoccupate, andrà tutto bene, non c’è pericolo, c’è qualcuno che vigila per tutti”?
Quest’ultimo atteggiamento è quello delle religioni teiste che vogliono farci credere che lassù c’è chi vede e provvede, una specie di padre amorevole e soccorrevole. Fidatevi: lassù c’è un paradiso per voi, dove vivrete felici.
Noi, però, diciamo: non fidatevi, guardatevi in giro e siate consapevoli. Vi pare che questo sia un mondo costruito da un siffatto personaggio?
Chi ha stabilito che ogni essere, per vivere, debba uccidere altre vite?
C’è qualcuno che vuole addormentarvi, cloroformizzarvi.

Svegliatevi!

giovedì 18 agosto 2016

La divina Singolarità

Dobbiamo capire che all’idea di Dio non corrisponde niente di reale, ma è la semplice proiezione di schemi mentali.
La mente infatti è costretta, per comprendere, a dividere, a separare, a contrapporre, a isolare. Ma la realtà non è fatta da monadi isolate. È un tutt’uno, un flusso continuo, in cui non c’è né un inizio né una fine. Ogni cosa si muove, cambia, si trasforma e, soprattutto, è collegata a tutto il resto. La vita, per esempio, è presente in tutto l’universo, e passa da un corpo celeste all’altro, attecchendo là dove ci sono le condizioni favorevoli.
È solo la nostra mente che ha bisogno di separare, di isolare e di concepire principi e fini. Ma si tratta di convenzioni artificiali.
In questi giorni si parla di buchi neri, e si dice che potrebbero essere passaggi verso altri universi. Naturalmente, in questi altri universi, ci sarebbero passaggi verso altri universi e così via, all’infinito.
Come si vede, l’idea che ci sia un unico universo, uscito da una Singolarità, è vecchia e superata, più o meno come l’antica idea dell’universo tolemaico.

Un’idea proveniente da una mente limitata, un’idea che sta alla base delle nostre infantili religioni.

Un Dio arcaico

A tutti (tranne ai diretti interessati) è evidente che l’ideologia sottostante il fondamentalismo islamico sia l’eredità di un passato arcaico, violento e patriarcale in cui la donna era ritenuta di proprietà del maschio e in cui un profeta veniva incaricato da Dio a veicolare i suoi messaggi (un difetto notevole di comunicazione per il Signore del mondo!). Ma esiste una religione teista che non sia il rozzo costrutto di tempi oscuri?
L’idea di un Dio che un giorno si sveglia e crea l’universo è semplicistica e infantile, e non spiega nulla. Non ci dice soprattutto da dove sia saltata fuori questa strana Singolarità, così come la chiamano i fisici quando non sanno spiegare che cosa ci sia stato all’origine.
In realtà, l’idea stessa di Singolarità, in fisica, è il riflesso di concezioni teologiche, in cui non sono previste né discussioni né dubbi, ma solo obbedienza e sottomissione all’Autorità.

Invece, noi dobbiamo essere come scienziati per i quali esistono solo ipotesi da verificare e non dogmi senza spiegazione.

mercoledì 17 agosto 2016

Prigionieri della mente

Il passato ci blocca e ci fa soffrire con i suoi ricordi, le sue ferite, i suoi rimorsi, le occasioni perdute, il tempo che passa… E il futuro con le sue paure e le sue preoccupazioni.
Solo il presente, il qui e ora, ci fa uscire dalle mura della mente.
Ecco perché concentrarci sul presente – il respiro, il battito del cuore, il passo che compiamo, il contatto con la natura, l’immagine che ci sfila davanti agli occhi, ecc. – è un modo per evadere dalla prigionia della mente e trovare momenti di sollievo.

Certo, all’inizio sono solo momenti. Ma insistendo…

Verso la guarigione

Di solito non viviamo nella realtà – viviamo nella mente.
Di solito non viviamo nel presente: viviamo nel passato o nel futuro.
Il fatto è che la mente, con i suoi pensieri, con i suoi ricordi, con i suoi principi, con i suoi giudizi, con i suoi schemi, con le sue ansie, con le sue preoccupazioni, con i suoi valori… è in gran parte immersa nel passato e nel futuro.

Avere una mente fresca, agile e innovativa significa liberarsi per un po’ del passato e del futuro, cioè della mente, e ritrovare il contato con la realtà del momento.

Piani inclinati

Ogni esistenza può essere paragonata ad un fiume che, scendendo dalla sorgente montana, può prendere varie direzioni. L’acqua scorre sempre dall’alto in basso, ma la direzione dipende dall’inclinazione del terreno.
Ora, questa inclinazione è individuale e può essere cambiata, se solo siamo capaci di osservare, di concentrarci e di vedere a fondo.
Qual è l’inclinazione attuale? Possiamo correggerla? Possiamo prendere in mano la nostra vita, anziché lasciarci andare all’inclinazione naturale?

Perché si tratta della nostra esistenza, e spetta a noi darle la direzione. A chi altri spetterebbe questo compito?

martedì 16 agosto 2016

Elogio della quiete

La cessazione della sofferenza non porta di per sé alla felicità. Può portare ad uno stato di calma e di quiete che, talvolta, è preferibile ad ogni altro stato.
La felicità, infatti, non è garanzia di non-sofferenza. Se per esempio mi innamoro, sono certamente felice. Ma quanti amori finiscono in cocenti sofferenze?
Mentre la felicità, insomma, può portare all’infelicità, la quiete non ha quasi contrari. È vero che esistono l’inquietudine, l’ansia e l’angoscia, ma si tratta di stati che non sono una conseguenza della quiete. Sono piuttosto irruzioni di altri stati, dato che tutto il sistema è instabile.
Il fatto è che la quiete si situa al centro o nel mezzo di un asse che è molto lungo. E mentre nel mezzo l’oscillazione è minima, alle estremità può essere enorme.
Noi però non ci accontentiamo della quiete e vogliamo emozioni forti.

Saremo però così forti da sopportarle?

lunedì 15 agosto 2016

La fede negli opposti

Una delle nostre fedi ed una delle nostre esperienze più radicate – ciò che dà forma al mondo – è il dualismo. Siamo fermamente convinti che essere e non essere, destra e sinistra, alto e basso, bene e male, pace e guerra, ecc., siano nettamente separati e indipendenti l’uno dall’altro.
Perciò, quando pensiamo che un giorno moriremo, vediamo la morte come il contrario della vita. Prima c’è la vita, poi la vita scompare e compare la morte.
Ma vita e morte, come tutti gli opposti, non sono affatto contrapposti. Sono complementari e l’uno non potrebbe esistere senza l’altro.
Il che significa che nella vita è presente la morte e nella morte è presente la vita. Nessuno dei due ha mai il sopravvento.
Guardiamo i sessi: sono opposti? Ma l’uno non potrebbe sopravvivere senza l’altro, tant’è vero che all’inizio, prima della differenziazione cellulare, il modello sessuale è unico; e in effetti anche i maschi hanno i seni.
Qui abbiamo perfino una dimostrazione logica della complementarità degli opposti. Ma, nonostante questo, continueremo a pensare a maschile e femminile, vita e morte o a bene e male, come contrapposti ed escludentisi a vicenda.

Il problema è che, come nei koan, è necessario avere un’esperienza dell’unità degli opposti. Ecco uno degli scopi della meditazione.

domenica 14 agosto 2016

La parabola del pesce affamato

Un pesce scorge un bel verme che ondeggia nell’acqua torbida ed ha un soprassalto di gioia. È convinto di aver finalmente trovato ciò che soddisferà la sua fame. È talmente felice che non sta più nella pelle. Così compie un balzo con la bocca aperta e zac… resta infilzato nell’amo!
Nell’acqua poco chiara, non vedendo bene, spinto dalla fame, si è buttato sull’esca e ha segnato la sua rovina.
Perché è caduto in trappola? Perché ha lasciato perdere la sua abituale prudenza?
È evidente che due cose lo hanno spinto alla morte: la fame e l’acqua torbida. Se avesse guardato bene, se non fosse stato affamato, si sarebbe accorto che in quell’esca c’era un tranello.
Lo stesso succede a noi. Annebbiati dal desiderio, convinti che la nostra soddisfazione si trovi in un certo oggetto o soggetto che intravvediamo appena, perdiamo lucidità, non riusciamo più a guardare con chiarezza, a vedere il pericolo e cadiamo nella trappola.
Dobbiamo dunque allenarci a riflettere, a guardare il lato oscuro delle cose, a guardare bene, con acutezza e chiarezza.

Come sempre, è tutto una questione di visione corretta.

sabato 13 agosto 2016

Il cibo

Il cibo è ambivalente come ogni altra cosa in questo mondo fondato su un dualismo feroce. C’è un cibo che nutre e un cibo che uccide. Ciò che nutre può anche uccidere.
Questo vale per ogni tipo di nutrimento. Non solo quello fisico, ma anche quello delle impressioni, delle sensazioni, delle emozioni, dei desideri e della coscienza collettiva.
In ognuno di questi campi, si possono assumere cose buone e salutari e cose che avvelenano il corpo, la mente e il mondo intero.
Non può esserci un criterio fisso che stabilisca in anticipo cosa sia buono e cosa sia cattivo. A volte è la stessa cosa, assunta in quantità o in modalità sbagliate.
È il livello della nostra sofferenza che ci dice se ci cibiamo bene o male. Se ci viene mal di pancia, sappiamo che abbiamo mangiato qualcosa di inadatto o di contaminato. E, se soffriamo interiormente,

sappiamo che abbiamo consumato impressioni, sensazioni, immagini, idee o spettacoli sbagliati. Intossicanti.

Donne e monoteismo

È talmente smaccata l’inferiorità assegnata alle donne dalle principali religioni monoteistiche (giudaismo, cristianesimo ed islam) che non si capisce la devozione femminile - se non come una forma di masochismo.
Forse è questa la vera colpa di Eva.
Per queste fedi, Dio resta una figura maschile. Il che rende ridicole le loro teologie.

Ma è praticamente impossibile togliere dalla mente dei fedeli l’idea paternalistica di Dio… potere dei condizionamenti culturali. Tutt'al più si aggiunge una figura femminile, come la Madonna, per tentare di riequilibrare il gruppetto delle divinità, così come si faceva anche nel paganesimo.

La terza gamba

Arianna Huffington, regina del giornalismo digitale, nel lasciare la direzione del suo giornale, afferma: “Soldi e potere sono soltanto due gambe dello sgabello. Per restare in piedi, lo sgabello della vita ha bisogno di serenità”.

Ben approdata sulla spiaggia della saggezza.

venerdì 12 agosto 2016

Calma e chiarezza

Nell’attuale momento storico siamo immersi in tragiche situazioni si sofferenza e violenza: terrorismo, migrazioni di popoli, crisi economica, disparità sociali, povertà, carestie, fame, corruzione, razzismo, ecc. E non di può dire che le principali religioni, attive ormai da millenni, siano in grado di migliorare il quadro; anzi si potrebbe dire, come nel caso del terrorismo, che lo peggiorano.
Ora, si può incolpare Dio, il Diavolo, il peccato originale o la reincarnazione, ma resta il fatto che nessuna religione, con tutto il suo apparato di miti e di norme, ha mai scalfito il male.
Il problema è che non bastano le tradizionali ideologie religiose a spiegare e quindi a trasformare il male e la sofferenza.

Ognuno deve osservare e capire individualmente. E, per comprendere e guarire, occorre approntare gli strumenti mentali più efficaci. Che sono la calma e la chiarezza dell’animo, oltre ad una visione profonda.  

La visione profonda

In meditazione si distinguono due fasi. Prima bisogna fermarsi, calmarsi e concentrare il più possibile la mente, fin quasi a fermarla (samatha). E poi bisogna approfondire il più possibile la visione (vipassana).
La necessità di fermare la mente (o di rallentarla il più possibile) serve proprio a chiarificarla. A questo proposito si fa l’esempio dell’acqua che, quando è agitata è torbida, mentre, quando si calma, diventa limpida.

In effetti, quando l’acqua-mente si calma e diventa più chiara, si può finalmente guardare più a fondo.

giovedì 11 agosto 2016

Gare dello spirito

Assistendo alle gare olimpiche con l’arco o con armi da fuoco, ci accorgiamo che qui non si tratta di un’atletica del corpo, ma di un’atletica della mente. Non a caso un bel libretto sullo zen s’intitola Lo zen e il tiro con l’arco (di Eugen Herrigel, Adelphi).
In effetti, non si tratta tanto di lottare contro un avversario, ma contro se stessi – contro le proprie ansie, le proprie paure, le proprie incertezze e le proprie distrazioni. “L’arciere affronta se stesso fin nelle ultime profondità” dice il testo.
Non dobbiamo né irritarci per un tiro sbagliato né esultare per un tiro indovinato. Dobbiamo imparare a starcene al di sopra con distacco. Dobbiamo imparare l’imperturbabilità.
Solo mettendoci al di sopra delle oscillazioni emotive, possiamo arrivare a far sì che il colpo parta e arrivi al centro da solo.
Non siamo più noi che tiriamo, ma siamo un tutt’uno con l’arco, la freccia e il bersaglio. Il tiro non dipende più dalla volontà, ma dallo spirito.
È questo tipo di concentrazione che si richiede anche in meditazione, quando ci si libera sia dall’angoscia della vita sia dalla paura della morte.
Per ottenere questa condizione spirituale, bisogna dimenticarsi del proprio ego e di tutti i suoi secondi fini.
Dobbiamo far sì che il tiratore si liberi di se stesso e che la coscienza si accordi con l’inconscio.


Il paradiso immaginario

Molti immaginano il paradiso come un posto di sola felicità. Ma, se ci si pensa bene, come potrebbe esistere la felicità senza l’infelicità?
Come potrebbe esistere il fior di loto senza il fango?

Insomma, se scomparisse del tutto l’infelicità, anche il paradiso che ci immaginiamo non avrebbe più un senso. Ergo, o il paradiso non esiste o anche lì dovremo soffrire.

mercoledì 10 agosto 2016

Per un'etica autentica

Finché gli uomini saranno convinti che basti adeguarsi a norme etiche prestabilite, non c’è speranza di una vera moralità. Finché penseranno che il giusto e lo sbagliato possono essere definiti da giuristi, preti, imam o rabbini, non c’è possibilità di un salto di qualità. Finché crederanno che basti passare sotto una porta “santa” o toccare una pietra nera o una statua per ricevere una grazia o per vedere cancellati i propri peccati, saranno dei creduloni e delle marionette eterodirette.
Rinunciando a pensare e a sperimentare individualmente, affidandosi ad autorità esterne, si può essere indotti a compiere scelte sbagliate. Anche i terroristi che uccidono o si uccidono per seguire dettati esterni, credono di essere individui religiosi.
Non c’è speranza di salvezza senza comprensione e consapevolezza personali. Non c’è norma esterna che possa dirci sempre e in ogni occasione che cosa sia bene e che cosa sia male.

Senza la comprensione individuale, non c’è possibilità di saggezza. Rimaniamo ad un semplice livello sociale e convenzionale.
         L’etica è un’altra cosa. 

martedì 9 agosto 2016

Il mondo della mente

Possiamo mettere insieme una serie di intuizioni avute dagli uomini in varie epoche e in varie culture per ottenere un quadro più "realistico" della condizione umana.
Quando Nietzsche scrive che non ci sono fatti, ma solo interpretazioni, sembra riprendere l’idea di Marco Aurelio, il quale sostiene che tutto ciò che proviamo non sono fatti ma opinioni.
E come non citare il Buddha quando afferma che, più che cercare la verità, dobbiamo smettere di nutrire opinioni? Perché, di fatto, come dice Shakespeare in Amleto, non c’è nulla di buono né di cattivo se il pensiero non lo considera tale.
Dovremmo avere la forza di guardare il mondo con questa diversa prospettiva che esclude l’idea di un’oggettività dei sensi e della mente.
Poiché viviamo in un mondo di impressioni, di opinioni e di interpretazioni, applicando un differente modo di vedere, abbiamo la possibilità di cambiare noi stessi e le cose.

Infatti il mondo è in gran parte il prodotto della nostra mente.

Pietre rotolanti

Dal momento in cui nasciamo, dobbiamo andare avanti senza sapere dove dirigerci. 
Il fatto è che non ci è data scelta. Anche la Terra è un grossa pietra che rotola nello spazio trasportando il suo carico di esistenze.
Rolling stones: questo è il divenire, cui nessuno può sottrarsi.
Se rimaniamo abbarbicati a qualcosa desiderando che non cambi, partiamo con il piede sbagliato.

Molto meglio addestrarsi ad apprezzare il piacere del mutamento 

lunedì 8 agosto 2016

Le piccole cose

Nessuno guarda mai certe piccole cose: un fiore, un insetto, una pietra, una nuvola, un passero, un ruscello, una giornata di sole, una nuvola, un’espressione fuggevole, una persona umile, un senso di sollievo, il suono del respiro, un sorriso, ecc.
Siamo in genere troppo indaffarati per perderci in simili particolari. Dobbiamo guardare le cose grandi e importanti. Dobbiamo farci strada, dobbiamo cercare la felicità.
Ma è proprio così che perdiamo il contatto con la realtà e ci sentiamo sempre più insoddisfatti.

In ogni caso, chi ha stabilito che si tratta di piccole cose? Come scrive lo scrittore statunitense Robert Brault, un giorno potremmo guardarci indietro e scoprire che erano grandi.

Finestre

Una finestra serve a stabilire un ponte fra il dentro di una casa e il fuori. E, soprattutto, serve a convogliare la luce all’interno.

Ogni uomo è una finestra.

La ricerca della felicità

Quando cerchiamo accanitamente la felicità, quando ci poniamo l’obiettivo di essere ad ogni costo felici, siamo talmente presi dalla tensione e dall’impegno che non possiamo esserlo.
Meglio gustare le piccole cose che già abbiamo, certi momenti di quiete e di pace: un buon pasto, una bella giornata, un bel libro, un tè…
Ma la mente non si accontenta e decide di ottenere determinato risultati, senza i quali non si ritiene felice.

Il problema è che, come diceva Nathaniel Hawthorne, la felicità è come una farfalla: se la insegui non riuscirai mai ad afferrarla, ma se ti siedi tranquillo potrebbe posarsi su di te.

domenica 7 agosto 2016

Critiche e difetti

Ciò che critichi negli altri, il difetto che noti subito, è ciò a cui sei più sensibile. E sei più sensibile a quel difetto perché è il tuo stesso punto debole.

La lingua batte dove il dente duole.

Famiglia e individuo

Ci crediamo individui separati e autonomi. Ma, quando nasciamo, entriamo in un ecosistema famigliare che ci fa essere in un certo modo in risposta alle esigenze, alle caratteristiche e ai comportamenti degli altri membri della famiglia.
Nasciamo dunque tutti molto dipendenti.
E, se questo è vero per ogni gruppo famigliare, lo è a maggior ragione per l’insieme di questi gruppi, organizzati a loro volta in comunità sempre più ampie, paesi, città, regioni, Stati, continenti, ecc.
Dobbiamo riuscire a vedere l’interdipendenza e il condizionamento generale, universale. E capire che il vero individuo, l’individuo autonomo, si trova non all’inizio, ma alla fine di un percorso di distacco, come una gemma enucleata dalla roccia circostante.

Tuttavia, l’individuo intelligente, dopo essersi distaccato, capisce di essere stato creato dal tutto e per il tutto.


sabato 6 agosto 2016

Seguire la nostra via

Ciascuno ha una propria strada da seguire. Per trovarla, dobbiamo scoprire la nostra natura interiore, senza nasconderci i lati negativi.
Dobbiamo lavorare con la materia grezza che abbiamo a disposizione – nient’altro che noi stessi.
San Francesco d’Assisi diceva: “Inizia con ciò che è necessario, quindi fai ciò che è possibile e, d’un tratto, starai facendo l’impossibile”.
Non abbiamo che questa nostra natura, unica, effimera, contraddittoria, instabile, in continuo mutamento e preziosa, preziosissima.
Siamo responsabili di ciò che ci è stato affidato. Come sosteneva anche Joseph Campbell, il vero privilegio dell’esistere è essere ciò che siamo.
In fondo, solo noi siamo i padroni di noi stessi. Chi altri dovrebbe essere il nostro padrone?
“Per noi non c’è altro che tentare” scriveva T.S. Eliot.


[da 365 giorni, National Geographic, 2014]

venerdì 5 agosto 2016

L'ineffabile

“Ineffabile”… bellissima parola. Può significare ciò che non si riesce a cogliere, a definire. Può indicare Dio, la Realtà Ultima, l’Assoluto.
Possiamo parlare a lungo dell’ineffabile e magari scriverci un libro. Ma la cosa migliore per “parlare” dell’ineffabile è starsene in silenzio cercando di centrarlo  con il pensiero, anzi no – con la semplice presenza.
Non possiamo parlarne, ma possiamo tentare di sentirne la presenza.
Certo, dovremo partire comunque dalla parola o dal concetto. E possiamo coglierne il senso. Che non è il significato, ma la percezione.
Tutto ciò che è comprensibile è circondato dall’ineffabile.
Puntiamo dunque sul comprensibile, e poi guardiamo con la coda dell’occhio ciò che lo avvolge: l’ineffabile.
Ecco un bell’esercizio di meditazione.


giovedì 4 agosto 2016

Viaggiare

In questi periodi di vacanza, è naturale provare l’impulso di mettersi lo zaino in spalla e di andare a scoprire il mondo. Va bene. Anche i luoghi hanno un loro spirito, che può essere fonte di ispirazione.
Ma, se si cerca di conoscere l’uomo, andare in giro servirà a poco. Anzi, potrebbe essere motivo di distrazione e di fuga. Come diceva Seneca, è inutile spostarsi da un posto all’altro se ti porti dietro i tuoi problemi.
L’uomo è sempre lo stesso, al di là delle diverse culture e tradizioni.
E, per conoscere l’uomo, non c’è che da guardare se stessi.






I maestri

Il nostro miglior maestro è la luce che abbiamo dentro di noi. Il maestro esteriore non può che essere un pallido, imperfetto e parziale riflesso di questa luce.
Il problema è che bisogna saperlo. Il problema è che ci insegnano ad essere sempre dipendenti da qualcuno.
Un buon maestro sarebbe utile, ma ha sempre un limite: crea dipendenza.
Per capire se una persona è un buon maestro, dobbiamo vedere se rifiuta quegli allievi che cercano in realtà di dipendere da qualcuno.
Maestri possono anche essere i libri, la natura, l’arte, il lavoro, la solitudine, la sofferenza, le ispirazioni, i sogni, le persone più comuni e, soprattutto, la continua consapevolezza.

Comunque, il principio della meditazione non è la scoperta di un maestro, ma la scoperta della propria natura illuminata.

mercoledì 3 agosto 2016

Conformismo di massa

Che dire di quelle persone che partecipano ai raduni papali o ai pellegrinaggi, e che vanno a pregare madonne, santi vari, reliquie o pietre nere – e poi, nel viaggio di ritorno, hanno un incidente o muoiono?
Che si leggano prima quel passo del Vangelo di Matteo dove Gesù dice: “…Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo, nel segreto”.
Loro, invece, sono simili a coloro che, “amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini.”
Ma non si tratta solo di ipocrisia.

La gente crede che, se si è in molti a fare o credere una certa cosa, quella cosa sia vera. Non è detto. Anzi, la maggioranza delle persone, proprio perché si muove in massa, è semplicemente conformista.
In campo spirituale, il conformismo diventa una religione.  E' la religione di massa.

L'esprerienza diretta

La meditazione ci spinge a conoscere e a sperimentare in prima persona - non a credere. E questo deve essere fatto non solo per le cose più evidenti, ma anche per quelle più sottili, compreso ciò che sta al di là dell’onnipresente dualismo.
Chi crede non è mai sicuro di ciò in cui crede: ha sempre dubbi e la paura di riporre male la propria fiducia. Perciò, quando qualcuno mette in crisi questa sua fede, attraverso critiche o atteggiamenti di indifferenza, reagisce in modo ansioso e astioso. Il dubbio dell’altro risveglia il proprio dubbio.
Chi invece conosce le cose per esperienza diretta, è sicuro di sé – e non reagisce scompostamente a chi critica.
Si può ottenere una esperienza diretta anche di cose molto dibattute ed astratte: Dio, l’anima, la religione, ecc.. Purché non si pretendano risposte da manuale scolastico o da catechismo.


Consapevolezza e vuoto mentale

Si potrebbe identificare il vuoto mentale con la stupidità. Ma chi si esercita nel vuoto mentale, lo fa in piena consapevolezza. Al contrario, il vero stupido non ha nessuna consapevolezza.
Un vuoto di pensieri. Ma un pieno di consapevolezza.

Una consapevolezza non più condizionata, non più ingombrata, ostacolata. Senza forma – proprio come quella che sta alla base di tutto.

martedì 2 agosto 2016

L'immensità e la piccolezza

Quando parliamo di amore, ci viene in mente la nostra piccola esperienza affettiva: è inevitabile che sia così.
Ma che cosa possono significare questi nostri schemi affettivi, queste nostre meschine possessività, con la realtà dell’incondizionato, dell’infinito, dell’eterno?
Lo stesso vale per la teologia trinitaria, che ci vorrebbe far credere che l’assoluto sia composto di un padre, di un figlio e di una madre en travesti, lo spirito santo. Che cosa possono significare questi nostri schemi famigliari con un’immensità che neppure capiamo?
Il moscerino che si trova di fronte un computer, cercherà di scoprire se c’è qualcosa di appiccicoso sui tasti o sullo schermo. Non cerca e non vede altro.

Il problema è che non solo sono limitate le nostre parole e i nostri pensieri, ma anche le nostre esperienze.

La guerra religiosa

Inutilmente, Papa Bergoglio e molti governanti mondiali, che vogliono tener buona la gente, ripetono che non ci troviamo in una guerra di religione.
Questa è una guerra di religione. Questa è l’espressione negativa di religioni che adorano un certo tipo di Dio, il “Dio di Abramo”, e che aspirano al dominio delle coscienze.
I monoteismi non sono attrezzati alla tolleranza e alla convivenza. Vogliono tutti conquistare il mondo - vogliono convertire, nella presunzione di avere il monopolio della verità.
In tutta la loro storia, queste religioni si sono fatte la guerra: è un dato di fatto. Cristiani contro cristiani, musulmani contro cristiani, cristiani contro ebrei, ebrei contro musulmani…
Tutti dovrebbero riflettere sul fatto che queste religioni, queste forme di adorazione di un Dio, non sono affatto le uniche possibili.
Per esempio, la meditazione non è una religione senza Dio.
È una religione senza un Dio precostituito, perché riconosce che tutte le forme storiche di Dio sono maschere concepite dagli uomini.
Diceva giustamente Meister Eckhart che tutto ciò che pensiamo di Dio, non è Dio.
Finché la nostra immagine di Dio resta a questo livello elementare, non potrà che essere strumentalizzata e dare origine alla guerra.
La guerra religiosa non è che lo scontro fra piccoli uomini che pretendono di sapere che cosa sia Dio.


lunedì 1 agosto 2016

La mente intelligente

Nella mente e nella vita comune, saper usare intelligentemente il pensiero è di fondamentale importanza.
Nella mente e nella vita illuminata, di fondamentale importanza è non usarla.
L’uomo intelligente dovrebbe sapere quando è meglio usare la mente comune, con i suoi distinguo, le sue sottigliezze, la sua ambiguità e il suo dualismo, e quando è meglio cercare il vuoto mentale, che è capace di proiettare lampi di una realtà superiore.
La luce c’è sempre. Ma di solito è coperta da una coltre di pensieri e di stati d’animo che le impediscono di filtrare.

La meditazione è la mente che disattiva se stessa per ricevere direttamente la luce e le ispirazioni.

L'altra mente

Noi crediamo che l’illuminazione debba essere il frutto di enormi sforzi. Mentre è il contrario, è lo stato naturale.
Ciò che invece è il prodotto di grandi e continui sforzi è la mente comune, quella che costruiamo e manteniamo istante per istante.
Ed è quando lasciamo perdere lo sforzo e la tensione della mente ordinaria, si aprono squarci di quella mente naturale che di solito è nascosta dall’altra.

Come dire: la luce del sole esiste sempre anche quando ci sono molte nuvole. Infatti, quando si apre uno spiraglio fra le nuvole…

La vacuità meditativa

La vacuità di cui si parla in meditazione non è il nulla. Al contrario, è uno stato molto fecondo, ciò da cui nasce tutto.
A livello mentale, la vacuità consiste nell’assenza di pensieri e di altri atti mentali.
Ma, quando raggiungiamo la vacuità, l’assenza di pensieri, la non-mente, non siamo alla fine del percorso. Ci troviamo nella spaziosità dell’essere da cui emerge l’energia, sotto varie forme.

Raggiungere la vacuità non è dunque un desiderio di annullamento, ma il desidero di porsi all’origine delle cose, per vedere come e quando scaturiscono.