giovedì 31 marzo 2016

Le convinzioni

Il saggio sa che, prima, deve passare molti anni della vita a formarsi delle convinzioni e dei valori. E che poi deve passare molti anni a metterli in dubbio.

Quando sarà del tutto confuso, allora sa che incomincerà a capire.

Amore e compassione

Nel cristianesimo si invita all’amore e nel buddhismo alla compassione. Ma simili appelli possono sembrare stucchevoli e ipocriti, formule solo retoriche.
Dovremo allora capire che non si tratta di auto-imporci doveri sociali o buone maniere, ma di diventare consapevoli che gli altri sono come noi e noi come gli altri. Si tratta di riconoscere la comune natura umana.
Tante crudeltà, tante gelide malvagità – che vediamo oggi sotto i nostri occhi - nascono proprio dall’aver chiuso questo canale di comunicazione.
Si uccide l’altro proprio perché ci si è isolati dagli altri in noi stessi: non riconosciamo la comune umanità. 
Come anime morte, abbiamo eretto muri dentro di noi che diventano muri verso gli altri.

Amore e compassione non possono che nascere da forme di comprensione, di consapevolezza, di immedesimazione, di empatia.

Il mozzo della ruota

Lo spirito rifulge nel silenzio, nella calma e nella quiete. Ma questo non vuol dire che l’azione, il rumore e il divenire siano il frutto di una qualche degenerazione.
Si tratta più che altro di un dispositivo dialettico che passa dall’immobilità al movimento per ritrovare, ogni volta, il suo contrario con cui confrontarsi e riconoscersi.
Se rimanessimo solo nell’immobilità, alla fine ci estingueremmo. Se rimanessimo solo nel movimento, alla fine ci perderemmo.
Dobbiamo saper gestire, come ci insegna l’universo, il rapporto fra il perno immobile al centro e la ruota che gira.


mercoledì 30 marzo 2016

L'autodeterminazione

Noi abbiamo la convinzione di essere individui separati, ma, quando in una famiglia o in un gruppo sociale particolarmente unito, qualcuno si sente male, anche gli altri ne soffrono. E lo stesso avviene in casi di gioie e di successi di un membro; allora ci si accorge che siamo tutti uniti.
Il fatto è che l’essere umano è relazione, e ogni individuo è costituito da molti altri individui.
Più che di soggetti individuali, dovremmo parlare di una comunità o di un soggetto collettivo. È come un’Idra dalle mille teste: quando una viene ferita, tutte le altre ne soffrono. Ma, se una testa viene recisa, l’Idra continua a vivere con le altre. Oppure è come un fiume che avanza nel deserto: alcuni rami si perderanno nel nulla, ma non per questo il fiume cesserà di avanzare, almeno fino a quando l’Idra avrà energia.
In effetti, l’universo è un tutto indissolubile, una gigantesca rete di rapporti di causa ed effetto.
Purtroppo, noi vediamo i rapporti di causa ed effetto che agiscono nel mondo fisico, mentre facciamo fatica a riconoscere quelli che agiscono nel mondo mentale, morale e spirituale.
Il caso non esiste; è solo un nome che diamo alla nostra ignoranza, alla nostra incapacità di vedere l’insieme.
È tuttavia vero che, con lo sviluppo della consapevolezza, aumenta la capacità di svincolarsi dalle leggi deterministiche e di trovare, a scatti, a salti, uno spazio di vera autonomia.

La libertà, l’autodeterminazione, non sta all’inizio, ma da un certo punto in poi.

Lo sviluppo della consapevolezza

Che cosa significa sviluppare la consapevolezza o essere più consapevoli?
Esistono due possibilità: essere consapevoli di più cose ed essere più intensamente consapevoli di una cosa.
Nel primo caso si tratta di un aumento delle nostre conoscenze che ci porta a comprendere molte più cose, del mondo, degli altri e di noi stessi. L’aumento di conoscenza si traduce in un aumento della consapevolezza. Se per esempio visito una mostra di pittura, ma non conosco nulla di storia dell’arte, capirò meno cose di chi visita la stessa mostra dopo aver studiato. Sarò più consapevole di tanti aspetti.
Come si vede, si tratta di un allargamento orizzontale delle nostre conoscenze e della nostra consapevolezza.
Nel secondo caso abbiamo invece un’intensificazione dell’attenzione su qualcosa, come se la mettessimo sotto un microscopio o la illuminassimo con un fascio di luce. Questa seconda modalità è più caratteristica delle pratiche meditative che si basano sulla concentrazione.
L’equilibrista che cammina su una corda tesa sopra un abisso ha certamente una concentrazione superiore di quando attraversa una strada. Ma è comunque questo tipo di attenzione-concentrazione che ci fa passare dallo stato ordinario di consapevolezza ad uno stato più intenso.
L’evoluzione dovrebbe portarci ad un ulteriore livello, così come è già successo in passato. Se per esempio paragoniamo la nostra consapevolezza con quella di un cane, abbiamo un’idea di cosa possa essere un aumento evolutivo.
Nella natura, abbiamo vari gradi di consapevolezza e tutto ci fa pensare che il nostro non sia affatto l’ultimo.

Meditare significa lavorare in tal senso.

martedì 29 marzo 2016

Salti evolutivi

Ogni volta che abbandoniamo una reazione abituale, ossia ogni volta che ne diventiamo consapevoli, operiamo in noi stessi una trasformazione.

Perché rilasciamo un’energia che era rimasta a lungo intrappolata e che, ora, ci farà fare un salto evolutivo.

I co-creatori

La vecchia teologia sosteneva che Dio avrebbe creato il mondo e gli individui per amore, per gratuità, per effusione, per sovrabbondanza o per gioco, tanto per allietarsi alla visione di questa moltitudine di esseri. Ma in tutto ciò sembra che la creazione sia superflua e che Dio ne potrebbe fare a meno.
Può darsi però che la Forza primordiale abbia necessità degli esseri viventi per diventare cosciente di sé. Può darsi che all’inizio non ci sia una Mente superiore che vede e prevede tutto, ma una Forza oscura e involuta che segue anch’essa un percorso evolutivo e che ha bisogno dell’altro-da-sé per meglio individuare se stessa. Questo corrisponderebbe al nostro stesso percorso evolutivo, che consiste nell’acquisizione di una sempre maggiore consapevolezza.
In tal caso non saremmo individui accessori, che potrebbero essere buttati via in ogni momento. Saremmo necessari a Dio, saremmo valori aggiunti: co-creatori.
Fra le varie ipotesi, potremmo essere dunque il laboratorio del Divino, non una creazione contingente. Potremmo essere ciò per cui l’Origine riconosce se stessa.

Avremmo così una grande responsabilità. Ognuno di noi potrebbe fare la differenza: potrebbe far fallire la creazione o darle una mano a svilupparsi.

Omaggi al boss

Ci meravigliamo che in certi paesi del sud, durante le processioni religiose, si facciano ancora i cosiddetti “omaggi al boss” locale, portando la statua del santo fin sotto casa sua e fermandola.

Ma, a pensarci bene, l’essenza delle religioni teiste è proprio questa: rendere omaggio al Boss.

lunedì 28 marzo 2016

Sorella morte

Se la morte esiste, non è per farci un dispetto, per azzerare tutto e per farci tornare ogni volta al punto di partenza, come in uno stupido gioco dell’oca.
La morte non è un nemico da vincere. Ma è stata concepita per rinnovarci.
Proprio come il corpo deve lasciar morire le vecchie cellule per rinnovarsi continuamente, così anche il corpo deve poter morire per rinnovare lo spirito. E ricominciare con nuove energie.

Se il seme non muore – c’è scritto nei Vangeli - come può far germogliare una nuova vita?

Riappropriarsi della propria vita

Nei momenti di maggior affanno, ritrovare e rimanere in contatto con il respiro può essere un metodo semplice per ritrovare e rimanere in contatto con la mente superiore, con la supercoscienza.
Se non siamo capaci di stabilirci nel qui e ora, non siamo liberi. Siamo schiavi, dominati da paure, da preoccupazioni, da rabbia, da odio, da reazioni abitudinarie e da impulsi distruttivi e autodistruttivi.
Per interrompere un simile stato di schiavitù, il nostro destino, il nostro karma, dobbiamo interrompere il flusso condizionato della nostra vita, rimanendo immobili e meditando.

Qui può avvenire lo stacco e incominciare il cambiamento, la riappropriazione della propria vita.

La crescita spirituale

La vita come gioco di Dio, la vita come errore, la vita come peccato, la vita come illusione..?
L’unica via d’uscita sembra allora l’auto-annullamento, il rientro nel grembo del tutto.
Ma, così pensando, sembra che la vita non abbia un senso positivo, non abbia nulla da proporre.
C’è però un’altra idea: la vita come tappa di un percorso, di un viaggio, di un’evoluzione che deve raggiungere il suo compimento e che, quindi, deve proseguire dopo la morte.
Dalla nascita delle particelle alla formazione delle stelle e dei pianeti, dall’emergere delle prime forme di vita elementari alla comparsa di organismi sempre più complessi, fino alle piante, agli animali e agli esseri coscienti… qui vediamo qualcosa che cresce di gradino in gradino, non un semplice ciclo ripetitivo.
La liberazione di cui parliamo non è dunque un semplice disfarsi del fardello della vita o di un ritorno all’origine, ma l’uscita dal magma della materialità, il dispiegamento di potenzialità sempre maggiori, lo sviluppo della consapevolezza.

Il viaggio continua…

Armi spuntate

Noi ci interessiamo di terrorismo solo quando riguarda l’Europa. Ma se succede in paesi lontani…
Ieri, per esempio, c’è stato un attentato a Lahore, in Pakistan, che ha fatto più di 70 vittime. Ma per i nostri telegiornali non merita che pochi commenti.
E il Papa che dice?
Parla dal balcone di amore e di perdono. “Riempiamo di amore le voragini di odio del nostro tempo.”
Belle parole. Ma come si fa a riempire d’amore le menti degli assassini?

Ciò che manca alla religione, ma in realtà all’intero genere umano, è un vero potere spirituale capace di imporsi alla materialità più brutale del mondo.

Vecchi e nuovi dei

Quali sono i vostri dei?
Il denaro, il potere, la fama, la bellezza, la salute..?
O forse la felicità, la realizzazione, l’illuminazione, il piacere, l’amore..? Un tempo tutti questi erano dei e avevano un nome. Perché tutti gli dei sono proiezioni di desideri e di aspettative.
Quali sono i vostri desideri più profondi?
Ciò che in cui credete vi svela chi siete e come siete fatti.
Ma forse voi credete anche in altri dei: Gesù, la Madonna, Maometto, Krishna, Jahvè…
Anche questi però sono espressioni delle vostre esigenze e sono ormai personaggi mitologici. Gli uomini, infatti, idealizzano e mitizzano ciò in cui credono.
Allora in che cosa credere?
Neppure più ai sensi si può credere, perché sono tutti condizionabili e inaffidabili.

Non resta che la vostra consapevolezza, la quale può essere applicata a tutto, anche agli dei.

domenica 27 marzo 2016

La risurrezione di Gesù

È il più bell’esempio del materialismo umano, di come un evento spirituale venga immediatamente trasformato in un fatto fisico. Come se potessimo portarci dietro il corpo grossolano.

La posizione del testimone

C’è un modo di vivere completamente identificati con l’esperienza, immedesimati in sentimenti ed emozioni. Qui non c’è nessuno stacco. Voi vi sentite e siete ciò che provate in quel momento. Le ondate vanno e vengono, e voi venite trascinati avanti e indietro.
Ma ora ponetevi nella posizione del testimone o dell’osservatore. Ciò che provate non è più ciò che siete.
Vi mettete al di sopra di questi movimenti. Siete in un punto da cui osservate senza essere toccati. Siete come uno specchio che riflette le cose senza esserne influenzato.
Non siete più in mezzo al mare, all’oceano del samsara, ma su uno scoglio. Lo scoglio è immobile e non viene mosso dalle onde.
Quando trovate questa posizione, psico-fisica, sia nei confronti degli altri sia nei confronti di voi stessi, il mondo vi appare come uno scenario in cui c’è rumore, confusione, agitazione, riti ripetitivi e un senso di futilità.
Anche voi siete uno dei tanti attori che si agitano sulla scena.
Ma ora vi guardate da una posizione diversa.
Avete già compiuto un bel salto e avete acquisito una diversa visione.

Siete nella dimensione successiva.

Qui potete incominciare a lavorare in una maniera più “produttiva” per la vostra salvezza.

sabato 26 marzo 2016

Il ciclo delle rinascite

Basta che qualcuno si comporti male per dannarlo in eterno? Magari per fatti avvenuti a vent’anni?
Pare impossibile. Troppo breve il lasso di tempo di questa esistenza.
E un bambino che nasce in un paese dove viene indottrinato per uccidere, e non ha avuto nessuna possibilità di evolversi, e muore a quindici anni, sarà condannato per sempre?
Pare incredibile.
È chiaro che questa vita è un breve percorso, pochi fotogrammi di un film, in cui non c’è il tempo sufficiente per crescere.
Ci vogliono ben altri tempi per decretare il destino di un’anima.

È per questo che occorrono più esistenze e che, in qualche modo, ci deve essere un lungo percorso di rinascite.

L'interrelazione universale

Il soggetto che osserva influenza l’oggetto?
E come potrebbe non essere così: ogni cosa influenza le altre. Tutto si tiene.
Ciò che avviene in una piccola stella, lontana migliaia di anni luce, ci influenza qui e ora… chissà in quali modi.
Tutto influenza tutto, tutto è connesso. È per questo che riusciamo a capire così poco.
Ci ritagliamo un pezzetto di terra e di cielo e crediamo di conoscere. Ma, per conoscere veramente, dovremmo tener conto di tutto l’insieme.
Per esempio, ognuno di noi è influenzato dai genitori, dai parenti, dagli amici, dagli insegnanti, ecc. Ma questi a loro volta sono influenzati da mille altre persone e dai noi stessi.

Siamo tutti piccole stazioni ricetrasmittenti che non possono esistere da sole. Tutti diamo e tutti riceviamo.

La resa a Dio

Crediamo in un Dio creatore e organizzatore solo perché siamo troppo ignoranti per capire a fondo le cose.
Come dire che tocchiamo, con questa idea, il limite delle nostre capacità intellettive e intuitive.

Ci arrendiamo troppo presto.

La certezza della verità

Le grandi religioni sostengono con certezza (e presunzione) di possedere la verità.
Ma le basilari differenze che le dividono dimostrano, se non altro, che nei loro insegnamenti c’è sempre un elemento di parzialità di soggettività e di interpretazione che le rende creazioni umane, troppo umane, da guardare con diffidenza.


Umiliati e offesi

Se qualcuno ti umilia, consideralo il tuo maestro, diceva il monaco tibetano Tokmé Zongpo nel 13° secolo.
Come mai? Si tratta di masochismo?
No, l’umiliazione, giusta o sbagliata che sia, ti fa render conto di quanto illusorio e fragile sia il senso della tua identità e ti aiuta a capire chi sei veramente.

Chi ci umilia o ci offende ci costringe a fare questa verifica.

Mente ed esperienza

Siamo tutti convinti che la mente sia ciò che ci permette di fare esperienza. E, quindi, ci domandiamo che cosa sia e dove stia.
Ma in realtà la nostra mente è l’esperienza.
Dove sta, dunque?

Sta proprio qui.

I tiranni

D’accordo, ci sono tante tirannie contro cui lottare.

Ma la tirannia peggiore è quella dei nostri condizionamenti, di cui nemmeno ci rendiamo conto.

La meditazione del gatto

Qualcuno potrebbe pensare che la ricerca del rilassamento sia poco adatta alla vita moderna che richiede che si debba stare continuamente all’erta (dando così origine allo stress).
Però pensiamo al gatto, il quale è capace di rilassarsi completamente, ma è, nello stesso tempo, pronto a scattare in un istante.
Non c’è dunque una contraddizione fra questi due atteggiamenti. Al contrario, più siamo rilassati più siamo presenti nella vita e pronti a reagire.
Come diceva il famoso maestro zen Dogen, “se incontri un gatto nel tuo giardino, onoralo come tuo maestro.”

Proprio così, possiamo imparare da tutti, anche da un gatto.

venerdì 25 marzo 2016

La reincarnazione

Quando parliamo di karma, di trasmigrazione, di reincarnazione o di metempsicosi, non si va oltre un’idea materialistica di questi processi. Da una parte, immaginiamo un’anima che si sposta da un corpo all’altro, e, dall’altra, obiettiamo che non esiste una memoria delle vite passate.
Eppure la nostra memoria vale poco. Se non ricordiamo neppure come eravamo a sei mesi o a sei giorni, o dentro l’utero materno, come possiamo pretendere di ricordare ciò che è avvenuto nelle vite precedenti?
Chi si ricorda di essere stato una scimmia o un pesce? Eppure la scienza ci dice che lo siamo stati, che abbiamo attraversato tutte le fasi evolutive.

Qualcosa si è dunque reincarnato. Ma è dovuto crescere e svilupparsi a poco a poco: una scintilla che è diventata una luce e che dovrà diventare un fuoco.

I conservatori dello spirito

I fedeli delle varie religioni s’illudono che la verità sia qualcosa di dato.

Non capiscono che non può che essere il frutto di una ricerca.

Il paradiso

Chi sogna uno stato perenne di felicità, sogna in realtà un paradiso. Ma se il paradiso fosse una condizione di assenza di variabilità, sarebbe molto simile al regno della morte.

Solo nella morte, infatti, non si cambia.

Gli astronauti dello spirito

Tutti cerchiamo di essere felici e di evitare il dolore: è umano. Ma resta il fatto che ogni stato di felicità – compreso quello spirituale – dura poco ed è destinato a svanire lasciando il posto al suo opposto. Questa è una legge di natura.
Noi non siamo affatto padroni delle circostanze e, in ogni momento, possiamo imbatterci in fatti dolorosi o spaventosi che cancellano ogni traccia di gioia.
Allora, cosa cercare veramente?
Ovviamente uno stato che sia al di là delle alterne vicende della vita, la possibilità di osservare la dialettica degli eventi standone per così dire al di sopra. Un po’ come succede agli astronauti che sorvolano la Terra osservando sotto di loro sia le tempeste sia le bonacce.

Si dirà che sorvolare non è stare dentro. Ed è vero. Ma gli astronauti sanno benissimo che cosa significhino le tempeste e le bonacce, perché è di là che provengono – ed hanno scelto di starsene al di sopra.

giovedì 24 marzo 2016

I dieci respiri

Durante la giornata, ci dimentichiamo facilmente sia del nostro corpo sia del nostro stesso essere. Diventiamo delle persone alienate che agiscono in base a impulsi inconsci, desideri primari, risposte automatiche e condizionamenti di ogni tipo.
Per uscire da questa condizione di alienazione e automatismo, si consiglia di eseguire più volte durante il giorno l’esercizio dei dieci respiri.
Consiste semplicemente nel contare dieci respiri.
Lo scopo non è quello di fare un esercizio di respirazione, ma di ricordarci sia del nostro corpo, che continua a funzionare da solo, in automatico, sia della realtà di alienazione in cui ci troviamo. Dobbiamo uscire dalla modalità compulsiva e diventare consapevoli di ciò che stiamo facendo.
È uno stacco netto rispetto alle solite abitudini, una ripresa di consapevolezza. È come dire: “Io sono qui e sto facendo questo”.

Si tratta di tornare coscienti in maniera deliberata, anziché continuare a vivere inconsapevolmente, quasi a nostra insaputa.

L'amore equanime

Per la maggioranza delle persone, l’amore è l’attaccamento a determinati individui. Tutti hanno le loro preferenze. Si ama il partner, si amano i figli, si amano i genitori, si ama il proprio paese, si ama la propria casa… e, poi, ci si ferma lì.
Non è che queste cose siano sbagliate. Ma sono solo il punto di partenza.
Bisogna capire che in realtà l’amore ha un altro livello. Non è giudicante e non ha preferenze. E non coincide con un legame particolarmente stretto solo con qualcuno. È un’estensione dall’amore-per-qualcuno all’amore-per-tutti.
Certo, sembra essere più a livello idealistico o astratto che realistico e concreto. Ma è un buon esercizio per capire le nostre limitazioni e le nostre possibilità di universalizzarci, di ampliare i confini dell’io.
Accettare, abbracciare, lasciar essere, essere aperti, essere inclusivi: questo è un tipo di amore che si distingue da quello che sceglie, si chiude, preferisce, discrimina ed è esclusivo.

Mentre il primo tipo di amore permette ad ogni cosa di essere ciò che è e corrisponde alla consapevolezza non giudicante, il secondo è l’amore dell’ego, che è sempre condizionato e dunque limitato.

mercoledì 23 marzo 2016

Concentrarsi sul presente

Essere nel presente non è facile. Noi siamo quasi sempre nella modalità pensiero-preoccupazione, che ci crea come un velo. Anche il meno intellettuale degli uomini è dedito a pensare, a ricordare, a fantasticare, a prevedere, a parlare, ecc. Sono pochi i momenti in cui fermiamo questa attività mentale e accogliamo il presente senza filtri.
È come seguire un sentiero stretto fra alti dirupi e poi, all’improvviso, giungere su una spiaggia da cui si vede la vastità del mare.
Sono pochi i momenti come questo, quando smettiamo di pensare e contempliamo.
In meditazione, noi cerchiamo di farlo passando da una modalità all’altra, per esempio aprendo e chiudendo gli occhi, seguendo il respiro, ascoltando un suono, ecc.

In altri termini, cerchiamo di uscire dalla solita modalità dispersiva per concentrarci sul presente.

La benevolenza

Nel buddhismo abbiamo la pratica della benevolenza, che consiste nell’inviare pensieri di affetto a qualcuno, a noi stessi e al mondo intero. Ma, detta così, sembra una pratica stupida, forse un modo per sentirsi migliori di ciò che siamo.
Invece di inviare pensieri di amore, cerchiamo di non avere preferenze, di non avere attaccamenti.

Saremo molto più utili… a tutti.

Senza attaccamento

Dobbiamo allenarci ad essere consapevoli senza attaccamento. Ossia osservare le cose e gli stati d’animo che vanno e vengono, senza cercare di trattenerli o di prolungarli.
È importante imparare a lasciar andare.
Perché un giorno dovremo lasciar andare anche la nostra vita, la nostra mente, il nostro io.

A quel punto che cosa resterà? La nostra consapevolezza, che non nasce e non muore.

Momenti meravigliosi

Siamo tutti alla ricerca di momenti meravigliosi, di esperienze straordinarie. Ma poi, nel tran tran quotidiano, sembra non esserci niente del genere.
E, tuttavia, per chi sa meditare, ogni momento può essere meraviglioso. Bisogna saper apprezzare anche le cose più semplici. Per esempio, utilizziamo il respiro e diciamoci:
“Inspirando, questo è un attimo di vita.
Espirando, dimoro nella vividezza del presente.
Inspirando, mi svuoto dei pensieri.
Espirando, mi sento in pace.

Inspirando, sono consapevole, senza un oggetto particolare, proprio di questo istante - ed è meraviglioso”.

Entrare nel fiume

“Entra nel fiume senza bagnarti i piedi” dice un famoso koan zen.
Sembra impossibile. Ma, in realtà, allude alla posizione del testimone, il quale entra e osserva il fiume della vita… senza però farsi trascinare dalla corrente.

È la posizione psicologica che deve tenere chi medita.

martedì 22 marzo 2016

Le religioni del terrore

La gente discute se il terrorismo attuale abbia o no una matrice religiosa. Ma i recenti attentati a Parigi, a Bruxelles e in altri luoghi del mondo, mettono in evidenza ciò che ho sempre sostenuto.

Che niente meglio delle religioni si presta a produrre organizzazioni criminali.

La coscienza universale

La consapevolezza all’origine non è individuale: è un campo universale di energia.
Gli esseri viventi se ne ritagliano un poco. E quel poco fa loro sentire o dire: “Io sono”. Ma è un fraintendimento.
Noi crediamo di impossessarci di qualcosa cui ci attacchiamo con tutte le forze. Ma basta sciogliere (con il rilassamento, il distacco e l’attenzione un po’ di questo attaccamento per tornare alla consapevolezza originale, non più personale.

Noi crediamo che il cervello dia origine alla coscienza. Però, c’è qualcosa che ha permesso di dare origine al cervello. E che è una forma di consapevolezza. Infatti, ci sono forme di vita che sono in qualche modo coscienti (piante, cellule, microbi, ecc), ma non hanno un cervello.

La natura del tempo

La consapevolezza è sempre rivolta all’attimo presente.
Non esiste coscienza che non sia nell’istante in cui si vive.
Quando siamo consapevoli siamo nel qui e ora. Anche quando pensiamo al passato o al futuro, siamo in realtà nell’adesso.
Se proviamo a cogliere l’attimo prima o l’attimo dopo, non ci riusciremo.
Questo significa che siamo sempre nel presente.
Ciò che scorre, ciò che chiamiamo tempo, è un’illusione ottica, l’effetto di un disallineamento mentale.
Proviamo ad essere coscienti in questo stesso momento. Dove siamo? Siamo nel presente.

Se poi cerchiamo di essere consapevoli di questo intero meccanismo, siamo addirittura al di fuori del tempo.

Il testimone distaccato

Quando siamo tristi, addolorati o confusi, la nostra mente è sofferente.
Ma ciò che è consapevole di questo stato d’animo non viene toccato né da tristezza né da dolore né da confusione. Lo stesso avviene per stati d’animo che noi riteniamo positivi.
C’è un livello della nostra consapevolezza che testimonia le emozioni, le cose e i pensieri, ma non ne viene influenzato, non ne viene coinvolto.

È questo il livello a cui ci dobbiamo allenare a risiedere.

Livelli di comprensione

Noi cerchiamo di razionalizzare, definire con parole e capire in termini concettuali, perché questa è la nostra forma abituale di comprensione.
Ma, con le parole e i concetti, in realtà dividiamo, contrapponiamo e isoliamo.
Ecco perché dobbiamo addestrarci ad accedere ad un altro tipo di comprensione: quello dell’attenzione, dell’essere svegli, dell’essere consapevoli in modo intuitivo, senza l’uso di parole e di concetti.

È questo il livello ulteriore di comprensione. 

lunedì 21 marzo 2016

La malattia dell'ottenimento

Non c’è niente da fare. Non si scappa a questa malattia.
Sia che si tratti di ottenere ricchezze o onori, sia che si tratti di ottenere conquiste spirituali, non sfuggiamo a questa tentazione.
Dobbiamo conquistare, dobbiamo acquisire, dobbiamo progredire, dobbiamo espanderci…
E pensare che avremmo già tutto se ci scrollassimo di dosso l’impulso dell’ottenimento.

Riposiamo una volta tanto nello stato di non-ottenimento.

Lo straniero

Non sai più chi sei? Ti senti straniero dappertutto?
Bene, questo è il momento per trovare la tua vera dimora.

Sii rifugio per te stesso.

La giornata mondiale della felicità

Il 20 marzo è stato proclamato dall’Onu Giornata mondiale della felicità.
La ricerca della felicità, se rettamente intesa, rientra nella cultura della meditazione. In effetti, se si esaminano i veri suggerimenti dati dalla psicologia, dalla filosofia e dalla spiritualità, uno dei primi requisiti è meditare ogni giorno per alcuni minuti: rilassare i muscoli, chiudere gli occhi, seguire il respiro, lasciar andare i pensieri.
Tra gli altri suggerimenti troviamo:

1)   Cercare momenti per non far nulla, in modo da potersi rilassare e riflettere.
2)   Circondarsi di persone affini.
3)   Trovare un posto dove ci si trova a proprio agio e si è tranquilli.
4)   Trovare momenti di solitudine, per stare con se stessi.
5)   Sdrammatizzare, esercitare l’umorismo.
6)   Esprimere la propria creatività attraverso l’arte o gli hobby.
7)   Imparare a perdonarsi.
8)   Sorridere sia interiormente sia alla gente.
9)   Trovare motivi di gratitudine per le piccole gioie dell’esistenza e anche per gli insuccessi, che sono scuola di vita.
10)         Non smettere di fare progetti concreti.
11)         Dedicarsi alla ricerca del senso della vita.
12)         Gratificarsi con piccole ricompense. Festeggiare i successi.
13)         Muoversi, fare ginnastica, camminare.
14)         Immergersi ogni tanto nella natura.
15)         Imparare sempre qualcosa di nuovo.
16)         Non essere duri con se stessi.
17)         Essere gentili con se stessi e con gli altri.
18)         Cambiare le cose che non ci piacciono o che ci ostacolano.
19)         Mettersi alla prova, non rimandare.
20)         Stare più tempo nel presente, anziché nel passato (con la memoria) e nel futuro (con le fantasticherie).
21)         Non dare la colpa agli altri per i propri insuccessi. Analizzare la propria responsabilità.
22)         Non autocommiserarsi.
23)         Avere una propria spiritualità, una propria filosofia.
24)         Non essere ossessionati dalla felicità. I periodi di infelicità sono inevitabili, ma passano come ogni altra cosa.
25)         Trovare la tranquillità dell’animo come fondamento di una vita soddisfacente.

Queste sono indicazioni per una felicità spicciola, quotidiana, sempre variabile. Ma esiste anche la possibilità di trovare uno stato di soddisfazione che sia al di là delle dinamiche dialettiche.

Qui occorre la meditazione più avanzata.

domenica 20 marzo 2016

Il rilassamento

Rilassarsi non è cosa da poco. Non è solo lasciar andare un po’ i muscoli.
È placare la tensione che ci tiene incollati a noi stessi, è aprire un varco in un ego monolitico, è creare uno spazio creativo, è far emergere la dimensione della consapevolezza.
Non è solo distensione fisica. Ma la distensione di quel grumo di tensioni e di forze centripete che costituiscono l’io.
Essere tesi o contratti è essere chiusi.

Essere rilassati è essere aperti, sensibili, ricettivi. È lasciar spazio allo spirito.

Modelli religiosi

Se ci affidiamo ad un maestro autorevole, a una religione e a una struttura precostituita, questa ci dirà che cosa fare nelle varie circostanze. Ci darà un inquadramento e una certa sicurezza.
Tutto molto comodo.

Però il nostro scopo ultimo non è ubbidire o uniformarci a un modello, ma liberarci.

Vincitori e vinti

O si è agiti, diventando delle marionette in mano a forze altre, o si agisce prendendo in mano la propria vita.
Questo non significa diventare superuomini, ma decidere di non sottostare alla volontà altrui, costi quel che costi.
Anche a costo di sbagliare, anche a costo di perdere la partita.
D’altronde, non si è nobili solo se si vince, ma perché si combatte coraggiosamente.

Quanto a morire, moriremo tutti, vincitori e vinti.

Corpi eterici

Cosa faranno i cristiani quando nell’aldilà saremo corpi eterici?

Andranno ancora alla ricerca della carne, del sangue, delle ossa?
Sarà per loro un bel supplizio.

Orfani di realtà

La miseria del cristianesimo nasce dall’attaccarsi all’esistenza concreta di un individuo. Senza quell’uomo, per i cristiani non esiste più niente.
Come? Il messaggio di Gesù non sarebbe più valido se Gesù non fosse mai esistito o se fosse stato solo un personaggio di fantasia?
Ecco perché i cristiani sono sempre alla ricerca di prove dell’esistenza di Gesù: pezzi della croce, chiodi, lenzuoli, immagini, sangue e carne nell’ostia, ecc.
Non esiste religione più materialista: credono addirittura di recuperare un giorno i loro corpi in carne e ossa. Non si fidano dello spirito. Sono sempre legati a forme grossolane di realtà.
Cercano un individuo, non il suo messaggio.
Sono sempre dipendenti da un uomo che vorrebbero ritrovare almeno nell’aldilà. Insomma, senza il pastore, le pecore si sentono perdute.
Ma le pecore si liberano solo quando crescono, si rendono autonome e possono fare a meno del pastore.

E poiché Gesù è solo un ricordo lontano e molto incerto, passano all’idolatria di Papi e di santi. In mancanza di meglio, devono sempre adorare qualcuno, anche se molto grossolano.

Perché Francesco su Instagram?

Perché il cristianesimo è una religione delle immagini, una religione d’immagine.
Superficiale.
Va per linee orizzontali, anziché verticali.

Dipinti, statue, cattedrali, messe, cerimonie, rituali, processioni, sindoni… 

sabato 19 marzo 2016

Prendere le distanze

L’ansia, lo stress, la preoccupazione, il dolore… tutti stati d’animo che sono negativi non solo per la dose di sofferenza che ci procurano, ma soprattutto perché ci fanno precipitare in una totale identificazione con il nostro ego. È come essere incollati alla nostra personalità.
Non c’è spazio per fare un’interposizione, per creare uno spazio riposante, per prendere le sane distanze dal mondo… e da noi stessi.
Più non siamo immedesimati in queste identificazioni (o identità), più abbiamo modo di rilassarci e di far crescere la consapevolezza che ha una funzione rasserenante e vivificante.

Allora non siamo più sugheri sballottati dalle onde, ma riprendiamo in mano la nostra vita.

Il bisogno del capo

C’è una differenza abissale tra pensare che ci si salva se si crede a qualcuno e il pensare che ci si salva (e si sta bene) se ci si rilassa e ci si rasserena, già qui, in questo mondo.
La prima è una forma di sottomissione in cui la cosa più importante è trovare il giusto capo e la giusta gerarchia: solo così ci si sente più sicuri. Ma è una sicurezza sempre minacciata e minacciosa.
La seconda è una forma di essere, in cui ci si sente più tranquilli, non perché si è trovato un capo, ma perché ci si è già distesi. Anzi, qui il capo è sentito come una limitazione.

Anche questa sicurezza può essere minacciata, ma non è minacciosa.

La fame di vita

Vediamo questi vecchi miliardari, i potenti del mondo, che, magari in carrozzella, continuano a comandare, a fare affari, ad arricchirsi. Qualcuno continua anche a risposarsi. Come fanno a non vedere che sono alla fine e che di loro non resterà più niente?
Già, ma in realtà tutta la loro attività serve proprio a questo: a non pensare alla morte, a spremere tutto dalla vita, a riaffermare senza tregua il loro esistere, il loro ego.
Come pensare che questa enorme tensione esistenziale, questa fame di vita non possa lasciare qualche residuo qui nel mondo?
Dovranno rinascere. E non è una buona notizia. Continueranno a rivoltarsi nel samsara, finché non ne avranno abbastanza.
Ma lo stesso succede ai poveri in canna, a quelli che non hanno avuto mai niente. Moriranno con il desiderio insoddisfatto. E dovranno in qualche modo rinascere.

Pochi muoiono dicendo: spero di non ritornare mai più.

venerdì 18 marzo 2016

Trovare la consapevolezza

Non siamo mai pronti, rimandiamo sempre, in attesa dell’attimo perfetto in cui saremo forti, calmi, saggi… e così passano gli anni e la vita.
Non ci sono mai le condizioni giuste. Perché le condizioni giuste sarebbero quelle in cui non ci sono condizioni, condizionamenti.
È proprio in mezzo alla tempesta, magari tra un’onda e l’altra, che dobbiamo esercitarci non ad aderire ai vari stati d’animo, alle oscillazioni dell’io, ma alla nostra consapevolezza di tutto ciò.

Il punto di partenza è sempre il disagio, perché siamo sempre in ballo. Ma può darsi che, in certi momenti, anche il mare si calmi un po’. Approfittiamone.

Il suono del silenzio

È quello che si rende percepibile quando un pensiero, dopo essersi presentato e svolto, se ne va e scompare.
In quel momento la mente si fa silenziosa e vuota, ed emerge la consapevolezza.
È come il breve intervallo tra due note.

Ma bisogna esercitarsi a percepirlo.

Un centro di stabilità

In mezzo a tutti i continui cambiamenti della nostra esistenza, una sola cosa non cambia.
Se in un certo momento ci sentiamo euforici, lo è il nostro io, ma non la consapevolezza. Quest’ultima non ne viene influenzata. Se un momento dopo, ci sentiamo depressi, lo è il nostro io, ma non la consapevolezza. Quest’ultima non ne viene influenzata.
La consapevolezza è come uno specchio che non cambia al mutare di ciò che rispecchia.
Lode/biasimo, amore/odio, successo/fallimento… il nostro stato d’animo è come un sughero sballottato dalle onde: su e giù…

Ma, se impariamo ad essere attenti al nostro stato d’animo, se prestiamo attenzione, se siamo consapevoli di ciò che proviamo e di come ci sentiamo, troviamo un centro di stabilità, un punto di pace che non oscilla.

giovedì 17 marzo 2016

Il momento del risveglio

Nella vita di tutti i giorni quando ci svegliamo?
Quando abbiamo dormito abbastanza.
O quando non riusciamo più a dormire perché abbiamo dei problemi.

Allora, i problemi, le difficoltà, sono il combustibile della nostra evoluzione.

L'attenzione risvegliata

Di fronte agli orrori della vita, la strategia più comune è chiudere gli occhi, anestetizzarci e addormentarci. Se poi siamo dei credenti, ci immaginiamo addirittura un Dio che sia solo bontà e amore – la massima negazione della realtà.
Il problema è che il risveglio, con tutta la sua violenza, comporta un crollo delle illusioni e dei sogni. Ecco perché preferiamo dormire e non guardare mai in faccia la realtà.

Ma noi dobbiamo fare come il chirurgo che, per estirpare la parte malata, deve illuminarla e guardarla con la massima attenzione.

La pura consapevolezza

Siamo abituati a pensare che senza un io e senza una mente pensante non possa esserci consapevolezza. Ma non è così.
Quando la nostra mente in pace, quando è vuota di pensieri e di preoccupazioni, quando è come un vetro trasparente, siamo perfettamente consapevoli. Anzi, lo siamo molto di più di quando pensiamo ai nostri problemi e alle nostre fissazioni.
L’obiettivo è proprio questo: rimanere pura consapevolezza, senza un ego, senza una mente che rimugina. Perché, di fatto, la pura consapevolezza non ha un ego.
Diamo troppa importanza alla mente egoica.
Ma quando, per esempio, diventiamo consapevoli di essere coscienti, chi è il soggetto di questa esperienza? È l’io che è consapevole, oppure è la consapevolezza più ampia che si affaccia?

Fate la prova e verificate di persona.

La forza delle convinzioni

Noi distinguiamo tra il dentro e il fuori, tra il soggettivo e l’oggettivo. Siamo convinti che là fuori ci sia una realtà oggettiva, che viene captata dalla nostra mente attraverso i sensi.
In realtà possiamo dire che tutto è dentro di noi, dato che, senza il nostro cervello e la nostra mente, niente potrebbe essere percepito. Le cose esistono perché c’è qualcuno che le percepisce.
La mia mente contiene me, te, voi e tutto il mondo. Nello stesso tempo, la tua mente contiene te, me, voi e tutto il mondo. Ogni mente è un universo completo. Quando muoio io, muore il mio universo. Quando muori tu, muore il tuo universo.
Ma esistono allora tanti universi? Potremmo dire così, o potremmo dire che c’è un unico universo mentale di cui ogni mente si ritaglia una piccola parte: l’io separato, l’io che si crede separato.
La mente è unica, ma ognuno se ne ritaglia un pezzetto.
Il problema è proprio questo: la convinzione di essere un io separato. È questa convinzione che tiene in piedi un piccolo universo personale con tutti i suoi problemi di isolamento.
Se superassimo questa convinzione, il nostro piccolo universo confinato si allargherebbe fino a identificarsi con l’intera e unica mente universale.
Ecco perché è necessario espandere la nostra mente, la nostra consapevolezza, erodendone i limiti, i confini, le chiusure.

Si tratta di un processo di allargamento che coincide con la nostra evoluzione. 

mercoledì 16 marzo 2016

Le "quattro" nobili verità

Ma perché le quattro verità enunciate dal Buddha vengono definite “nobili”? Se la prima verità è che la vita comporta sempre sofferenza, dov’è la nobiltà? Sarebbe una triste notizia, vivremmo in un mondo orribile, un mondo in cui sarebbe meglio non entrare o uscire al più presto.
In effetti, chi crede in Dio si domanda spesso: “Ma perché Dio ha creato un mondo del genere? Non poteva fare qualcosa di meglio? Non poteva eliminare tanta sofferenza?”
Il punto è questo. Non è la verità che è nobile, è l’uomo che può assumere un atteggiamento nobile, eroico.
Non dobbiamo sposare un atteggiamento di rifiuto e di negazione, che in realtà non serve a niente. Non dobbiamo lamentarci, non dobbiamo compiangerci. Questa è la nostra nobiltà. L’uomo nobile riconosce e accoglie coraggiosamente la realtà. Non se la prende né con Dio né con il destino, non prova avversione per come vanno le cose.

Riconosce e non si lascia abbattere. Sa che ha un’occasione preziosa per essere consapevole. E la sfrutta.