martedì 31 maggio 2016

Dal respiro all'impersonalità

Non possiamo pensare che l’esercizio preliminare di seguire il respiro ci porti diritto a grandi risultati. Ci porta in realtà ad uno stato di tranquillità, ci aiuta a calmare la mente e a concentrarci.
Ma, una volta generato questo stato d’animo, dobbiamo compiere un salto di focalizzazione. Passiamo dalla focalizzazione sul respiro alla focalizzazione su questo stato d’animo di tranquillità e di pace Dall’esperienza del respiro all’esperienza della calma. E dall’esperienza della calma all’esperienza del conoscere la calma e tutti gli altri stati d’animo che si presentino.
Non dobbiamo preoccuparci di eventuali pensieri o sensazioni che non siano in armonia con questo schema di sviluppo. La funzione della mente è proprio questa: pensare. Ma, da un certo punto in poi, possiamo riunificarci e concentrarci sulla consapevolezza stessa.
L’importante è far cadere l’identificazione con i pensieri e gli altri stati d’animo, rimanendo nella pura consapevolezza. Nella nostra mente passano vari scenari, che osserviamo però con distacco, come se non ci appartenessimo.
Ma la consapevolezza dove sbocca?

Può essere uno spazio vuoto molto intimo. Tuttavia, non è detto che l’intimità sia soltanto soggettività. Scavando a fondo, si trova ciò che è comune a tutti – qualcosa di impersonale.

lunedì 30 maggio 2016

Pace e desiderio

Tutti vorremmo sapere chi siamo, tutti cerchiamo il nostro sé. Ma ciò che cogliamo è solo qualche aspetto della nostra personalità, qualche sfoglia della cipolla che rappresenta il nostro io. Non riusciamo però a coglierne il nucleo. “Chi sono io in essenza?”
Non sappiamo rispondere a questa domanda anche perché tutto muta di continuo. Ma non è un male, tutt’altro.
Quando ci poniamo la domanda e non troviamo la risposta, scopriamo in realtà la natura vuota e consapevole del nostro sé.
Non trovando nulla di solido e di immutabile (una specie di anima), arriviamo comunque a conoscere qualcosa, anche se non è quel che ci aspettavamo. Se non altro, troviamo uno stato di pace. In quel vuoto, infatti, in quella consapevolezza, la nostra ansia si placa.
In un famoso dialogo tra Bodhidharma e Huike, il suo futuro successore, questi domanda al maestro:
“La mia mente è angosciata. Ti prego di darle pace”.
“Portami la tua mente e io le darò pace.”
“L’ho cercata. Ma non l’ho trovata.”
“Allora, è già in pace.”

Che cosa significa essere in pace? Lo sappiamo da brevi esperienze. Trovarsi in un momento senza domande, senza ansie,senza paure, senza ricordi, senza pensieri, senza progetti futili, senza aspettative e, soprattutto, senza desideri.
Il desiderio è il tormento - e la gloria - dell’uomo, un essere che non smette mai di aspirare a qualcosa, se non altro alla conoscenza.
Siamo continuamente immersi in stati mentali che agitano le acque della nostra mente.

Ma, se per un volta smettiamo di pensare e di desiderare e ce ne stiamo fermi nell’attimo presente, se siamo soltanto consapevoli e se lasciamo andare tutto, proprio tutto… che ci rimane da ottenere?

domenica 29 maggio 2016

La coscienza incondizionata

La mente normale è condizionata dall’ignoranza di sé. Non però nel senso che si potrebbe credere: non conoscere la propria identità, non sapere bene chi si è, non conoscere il proprio sé; il che presuppone che lo si possa conoscere. Ma nel senso di non capire che questo “sé” o “senso di sé” è un costrutto mentale, una semplice illusione.
Questa illusione fa parte della grande beffa della vita che ci porta a credere di avere un io solido. Mentre crediamo di essere dei soggetti definiti che agiscono, non siamo che parti infinitesimali di un solo soggetto che non ha niente di individuale. Siamo attori che recitano un canovaccio scritto da altri. Questi “altri” sono in realtà tutti, l’insieme del mondo.
Quando scopriamo di non essere io isolati, sparisce la paura che ci confina nel piccolo sé e nasce il sollievo della liberazione dai limiti auto-imposti.
La coscienza pura che si può raggiungere già ora non ha nessun senso di sé, poiché non ha né desideri né sofferenze, ma si trova finalmente in pace.

La coscienza di sé, la coscienza condizionata, esce da sé, dai propri limiti, per ritrovare la propria natura universale.

sabato 28 maggio 2016

L'asceta e il gaudente

Un verso del Dhammapada dice: “Se rinunciando ad una felicità minore se ne ottiene una maggiore, una persona saggia rinucerà alla prima per avere la seconda”.
È una questione di buon senso e di convenienza. Ed è il criterio da utilizzare quando abbiamo a che fare con i desideri.
Ogni desiderio, infatti, mira al proprio soddisfacimento immediato. Ma siamo noi che dobbiamo fare un calcolo di convenienza.

Non si tratta di moralismo, ma di intelligenza. Non si tratta di repressione, ma di massimizzazione. Si lascia perdere il piccolo per ottenere il grande. 
In tal senso, un asceta può essere un vero gaudente.

La nuda presenza

Interrompere il flusso di pensieri e di altri stati d’animo è difficile perché nella nostra mente c'è una continua proliferazione.

Ma qualcosa possiamo fare: addestrarci a non riferire ogni evento mentale all’io e al mio, in modo da riornare alla nuda presenza del momento presente, in modo da vederci in modo impersonale.

Samadhi

Gli ingenui pensano che si possa arrivare al risveglio con un’unica potente esperienza estatica, in cui si apre la mente e si capisce tutto.
Ma, se anche ciò avvenisse, sarebbe comunque necessario un lungo processo di cambiamento, la vera e propria trasformazione dell’individuo. Alla fine deve uscir fuori un uomo completamente nuovo; altrimenti, ci troveremmo nella situazione di un circuito elettrico a bassa tensione in cui passi all’improvviso un fulmine: salterebbe tutto o, comunque, lo strumento non potrebbe adattarsi, non sarebbe idoneo a far passare tanta verità.

Insomma bisogna crescere a poco a poco. D’altronde, avete mai visto un bambino si sette anni che abbia la saggezza di uno di settantanta?

venerdì 27 maggio 2016

Addestrarsi al risveglio

Tutti possono addestrarsi. Basta semplicemente diventare consapevoli dello stato di distrazione in cui ci troviamo di solito.
Dobbiamo renderci conto che ci eravamo allontanati dalla realtà presente facendoci trasportare da fantasie, monologhi o dialoghi interiori, ricordi, previsioni…
Ci trovavamo immersi in una specie di sogno ad occhi aperti.
Ma ora non più. Ora abbiamo interrotto il sogno e ci siamo risvegliati… almeno per un po’.

Questo ritorno alla presenza mentale va ripetuto il più spesso possibile. È l’addestramento al grande risveglio: quello in cui ci si risveglia dal sogno della vita.

Processioni del Corpus Domini

La conferma che il cristianesimo è l’ultima espressione del paganesimo e non una religione spirituale.
Queste processioni, sotto altro nome, si facevano anche al tempo dei greci e dei romani antichi. Si prendeva una statua e la si portava in giro facendo credere alla presenza reale del dio.

Sila: la moralità

In meditazione, il rispetto delle norme etiche non ha uno scopo morale. Ha lo scopo di non agitare e non inquinare la mente con desideri inutili o sbagliati. Anche l’etica, insomma, viene messa al servizio del risveglio.
Se, a questo scopo, fosse necessario infrangere qualche norma etica convenzionale, allora una simile violazione non sarebbe più qualcosa di immorale.
In realtà, nessuna virtù morale porta di per sé al risveglio. È questo che differenzia la meditazione dalle religioni.
Le religioni vi dicono che, se vi comportate bene, se siete obbedienti all’Autorità, verrete premiati. La meditazione vi dice che non basta: dovete essere consapevoli, dovete capire. Quando capirete, potrete sapere autonomamente che cosa sia giusto e che cosa no.
Oltretutto, quando parliamo di norme morali, ci riferiamo di solito a certi sempliciotti decaloghi più o meno universali: non uccidere, non rubare, non mentire, non drogarsi, non fornicare, ecc. Ma in questi elenchi di leggi mancano sempre le cose più importanti: non competere, non desiderare il potere, non voler primeggiare, non voler essere famosi, non invidiare, non voler arricchirsi, non disprezzare gli altri, non essere egocentrici, ecc.

Queste caratteristiche del carattere e del comportamento possono essere ben più devastanti, ben più corrosive del far sesso, del dire qualche bugia. Come succede a certi moralisti che, all’apparenza sono virtuosi, perché non infrangono le leggi comuni e fanno beneficenza, ma, nel profondo, sono rosi da ambizioni e avidità.

Sonno e meditazione

Per addormentarci non abbiamo bisogno di metodi artificiali: di solito ci addormentiamo in modo naturale e, se compiamo qualche sforzo, faremo più fatica a dormire e dovremo utilizzare, magari, mezzi chimici. Più che utilizzare questi mezzi o delle tecniche, dobbiamo lasciar cadere ogni intervento artificioso, dobbiamo liberarci di ogni impegno mentale.
         Lo stesso vale per la meditazione, dove dobbiamo trovare la nostra natura originaria. Ogni intervento mentale, tende ad allontanarci da essa, introducendo qualcosa anziché liberandoci da ogni artificialità.
Ma, come succede nell’arte, per imparare ad essere spontanei, c’è bisogno di molto esercizio.

Dobbiamo esercitarci finché meditare diventerà una seconda natura, anzi la prima.

giovedì 26 maggio 2016

Lo sviluppo della saggezza

È evidente che tutti cercano di essere felici. Ed è altrettanto evidente che la felicità trovata con tanta fatica sparisca velocemente lasciandoci insoddisfatti, delusi e di nuovo alla sua affannosa ricerca.
Dobbiamo darci per vinti e concludere che la felicità sia sempre qualcosa di breve durata e che sia destinata a dar vita al suo contrario?
Il problema è che cerchiamo la felicità in cose, persone, attività e posti sbagliati.
Se per esempio cerco la pace in un ambiente molto rumoroso, sarà difficile che la mia pace duri molto; prima o poi ritornerà ciò che vi sta sotto: il fastidioso rumore. Analogamente se cerco la felicità in pasti pantagruelici, in una vita complicata e piena di impegni, nell’esaudimento di tutti i miei desideri, in molteplici relazioni sessuali, nell’uso di droghe, nell’accumulo di denaro, nel potere, nella vittoria, nel predominio, nella competizione, nell’eccitazione sensuale, ecc., la soddisfazione durerà poco e sarà sempre minacciata dal suo contrario. In questo tipo di ricerca c’è già una contraddizione, il seme della rovina successiva.
La verità è che dobbiamo far luce sul rapporto che abbiamo con i desideri.
L’uomo è un essere desiderante, nel senso che non può fare a meno di desiderare qualcosa. Ma bisogna distinguere tra un desiderio e l’altro. Non tutti i desideri portano la pace, cioè la vera felicità. Molti portano con sé i semi della successiva infelicità o insoddisfazione.
Allora dobbiamo porci come sentinelle alle porte dei desideri e chiederci a che cosa porterà a lungo andare il soddisfacimento di quel desiderio. Si tratta di avere una consapevolezza lungimirante.
Tutti i desideri si presentano sotto buoni auspici e gradevoli apparenze. Tutti ci sussurrano: “Esaudiscimi e sarai beato”. Ma alcuni sono come cibi che, pur essendo buoni, sono deleteri per la salute. Se sono goloso di  dolci e me ne ingozzo, sul momento potrò certamente godere, ma alla fine mi sentirò male.
È incredibile vedere come tutti gli uomini mirino alla felicità, ma si comportino come bambini irragionevoli che fanno esattamente il contrario di ciò che sarebbe necessario.
Bisogna in sostanza sviluppare una vigilanza adeguata, non con intenti moralistici, ma con intenti eudemonici, in vista cioè della felicità stessa.

Questa presa di coscienza in vista di fini ultimi superiori si può ben definire saggezza.

mercoledì 25 maggio 2016

Identità ed io

Tutti noi ci identifichiamo con un corpo e con una mente. “Queste due cose, messe insieme, sono io!” ci diciamo.
Ma il corpo è quello che sentiamo o che vediamo – una sensazione ed una immagine che variano di continuo. Da vecchi, siamo ben diversi da ciò che eravamo da bambini. Inoltre, ogni corpo in questo mondo è fatto per lo più di vuoto; se togliessimo il vuoto da un corpo resterebbe a stento un granello di polvere. Poco per attaccarvisi.
Quanto alla mente, è un flusso continuo di pensieri, di sensazioni, di emozioni, ecc., che cambiano di momento in momento. Fra i vari pensieri, c’è anche l’idea di essere un “io”, un io che consideriamo la nostra vera identità e a cui siamo attaccatissimi.
Purtroppo, si tratta soltanto di un’idea, che è quanto di più evanescente ci sia – un fenomeno elettro-chimico.
Insomma, la nostra preziosa identità è ben poco consistente, è una realtà che non ha quasi sostanza. A che cosa aggrapparsi?
A un Dio, a un’anima? Ma anche qui si tratta di idee e di ipotesi.
Eppure, in questa situazione di incertezza, facciamo una scoperta. Nel momento in cui, per sapere chi siamo, ci osserviamo e quindi di disidentifichiamo dal flusso mobile di sensazioni, percezioni, emozioni, pensieri, ecc., che compongono il nostro “io”, abbiamo come un attimo di risveglio.
Nel riconoscere che siamo poco più di granelli di polvere, dotati di una coscienza temporanea, ci distacchiamo dal flusso caotico di stati d’animo e dalla paura di dover perdere un giorno tutto quanto, e ci troviamo in una posizione di una nuova consapevolezza.
Capiamo che è inutile aggrapparci a presunte sostanze o a cose durevoli, facciamo cadere l’illusione di poterci attaccare a qualcosa di solido.
Questo è un primo risveglio e un primo sollievo dalle infelicità della vita. Che cosa abbiamo da perdere se non impressioni, immagini ed idee?

Se l’idea di “io” si basava su convinzioni sbagliate, abbandonando queste convinzioni, avremo una nuova esperienza di noi stessi, più vicina alla realtà, meno soggetta alla paura.

martedì 24 maggio 2016

La perdita dell'io

Quasi nulla ci toglie dalla testa l’idea di essere degli io che possiedono un corpo e una mente. Infatti diciamo: “Io cammino, io penso, io sono…”. Nello stesso tempo siamo dominati dalla paura di perdere questo organismo psico-fisico. Il pensiero della morte ci scatena angoscia e sgomento.
Ma se riflettessimo che il soggetto è un costrutto mentale, addirittura grammaticale, questa paura scomparirebbe. Non c’è nessuno che possiede un corpo e una mente. Ci sono azioni, ci sono movimenti, ci sono pensieri, ci sono stati d’animo, ma il soggetto non c’è. Quando lo cerchiamo non lo troviamo.
Non siamo diversi da un carro. Se togliamo le ruote, se togliamo la stanga, se togliamo il fasciame di legno, non troviamo l’essenza del carro: non troviamo niente.
Siamo noi che crediamo alla consistenza di questo soggetto, siamo noi che gli diamo un nome e una forma, e siamo noi che siamo terrorizzati dall’idea di perderlo. Ma, al di fuori di queste pretese, non c’è niente; ossia ci sono processi senza un soggetto.
Dalla credenza dell’io nasce poi la credenza del mio. E qui si allarga il campo dell’attaccamento e dell’identificazione. Questo è il mio mondo - e questo è il mio Dio, che deve garantire, per così dire, il gigantesco castello di carte che abbiamo costruito.
Ma il gigantesco castello di carte può crollare da un momento all’altro a causa di un semplice soffio. Le cose e le persone cui sono attaccato possono sparire in un istante. E anche il mio io può sparire in un istante. Rimane allora un attonito orrore, una rancorosa delusione, come se qualcuno ci avesse rubato ciò che possedevamo.
Ma in realtà ci rubano solo delle illusioni, le nostre illusioni. Non avevamo capito che niente è nostro, nemmeno noi stessi.

A questa nuova consapevolezza dobbiamo addestrarci: a vedere l’impersonalità del tutto.
Fra l'altro, questo ci permette di vivere senza paura.

lunedì 23 maggio 2016

Il Testimone

Dobbiamo assumere la posizione di una sentinella che osserva chi entra e chi esce.
Si chiama anche posizione del Testimone.
Ma qui c’è un problema: l’idea che il Testimone sia qualcosa di permanente. Eppure, una sentinella ha un senso e una funzione proprio perché osserva chi passa; quando non passa più niente, a che cosa serve? E siamo sicuri che il Testimone sia lo stesso io che viene osservato e concettualizzato?
C’è veramente un io che osserva tutto o anche questo io è il prodotto di un processo non personale?
Non c’è motivo per trattare e considerare noi stessi in modo diverso da come trattiamo e consideriamo ogni altro ente. Processi transitori all’interno di un gigantesco processo di interrelazione.
È vero che noi siamo i soggetti dell’osservazione, ma nel momento in cui siamo anche gli oggetti dell’osservazione, rientriamo nel destino comune di apparenze temporanee, di attori che cercano invano il proprio autore.

Perdere la testa sembra una perdita irreparabile. Ma ciò che si perde era un’illusione, un’idea sbagliata. Non perdiamo nulla, perché ciò che credevamo di possedere, anzi di essere, non lo eravamo affatto.

La fluidità del mondo

A noi sembra che le cose, le persone e i fatti siano tutti sostanziali e non ci rendiamo conto che si tratta, invece, di concetti cui attribuiamo una certa continuità. Quando diamo un nome ad una percezione e ad un insieme di concetti, ci sembra di aver riconosciuto la sostanza alla realtà.
Ma la realtà è fatta da una danza di particelle che solo per un po’ assumono determinate configurazioni. Si tratta in verità di processi, di flussi e di fenomeni in continuo mutamente. Ora appaiono come il sole fra le nubi e poi scompaiono.
La prova è che qualsiasi “cosa” dura per un po’, si mantiene per un po’ in un instabile equilibrio e poi ritorna a smembrarsi perdendo la configurazione iniziale.
Questo comportamento vale per tutto, anche se ci è difficile applicarlo a noi stessi, al nostro io. Ci sembra che sia stabile e che debba durare in eterno, chissà perché.
Ma, in effetti, il nostro io è un costrutto mentale, al pari di tutte le altre “sostanze”.

Non c’è solo la “società liquida”: siamo tutti liquidi, flussi di particelle atomiche.

Disturbo da stress postraumatico

Si tratta di un disturbo, fatto di paure, di sofferenza, di disadattamento, di confusione, di incertezza, di autolesionismo, di violenza e di panico, che è la conseguenza di un evento traumatico.
Insomma, la storia della nostra vita - dopo l’evento traumatico della nascita. Un trauma che lascia i suoi segni per tutta l’esistenza.

Ma un’esperienza che nasce con un trauma  non nasceva sotto una buona stella, forse era un errore.

domenica 22 maggio 2016

Le forme della concentrazione

Sembra che in qualche modo la meditazione passi per la concentrazione. Ma che cosa intendiamo con questa parola? In realtà esistono varie forme di concentrazione.
Di solito si pensa alla concentrazione su un oggetto, che può essere interno (il respiro, una sensazione, un mantra, un suono, un’immagine, ecc.) o esterno (un oggetto, un movimento, il camminare, ecc.). Qui non sempre la distinzione fra interno ed esterno è certa, dato che esistono oggetti che sono sia esterni che interni (per esempio un suono).
Poi esiste una concentrazione che non è focalizzata, in due sensi: nel senso che si rivolge a tutto ciò che cade sotto la nostra attenzione (oggetti multipli) o nel senso che non si rivolge a niente di preciso. Se mi concentro sul fatto che sono presente in questo momento (la presenza mentale) non ho un oggetto preciso, ma sono comunque focalizzato.
Ma, a questo punto, si presenta un’ulteriore distinzione: posso essere concentrato sul fatto di trovarmi qui in questo momento o sullo stesso processo con cui sono consapevole. Ci spostiamo dall’oggetto alla funzione.
Questo spostamento è molto importante, perché è l’unico che ci garantisca alla fine il risveglio.
Infatti, se guardo un oggetto (di qualsiasi natura sia), rimango all’interno del rapporto soggetto-oggetto e di certe convinzioni/convenzioni. Se invece mi sposto dall’oggetto alla funzione e vedo chiaramente come si svolge il processo della conoscenza stessa, posso saltare ad un livello successivo.
Dobbiamo arrivare alla realtà delle cose. Se mi limito a pensare di essere, questa è soltanto un’opinione. Ma potrebbe essere un’opinione infondata, un’opinione basata su una presunzione.
Pretendere di essere non è la massima presunzione? E non è su questa opinione che si basa ogni nostra paura, la paura del non essere?
La paura primaria è proprio quella ad un certo punto di non essere più. Prima ero e poi non ci sono più.
Ma tutto questo scenario è vero o è una costruzione della mente?
Dobbiamo concentrarci sulla nostra funzione conoscitiva e sulle sue illusioni, sui suoi errori di valutazione.
Siamo veramente sicuri di essere?

Dobbiamo mettere in dubbio proprio questa convinzione. 

sabato 21 maggio 2016

Lo sguardo oggettivo

Di solito il nostro guardare non è affatto distaccato. O guardiamo con desiderio o guardiamo con repulsione.
La sfida è proprio questa: guardare senza questi due opposti impulsi. Guardare e basta, senza pre-giudicare.
Non basta neppure guardare in questo modo il mondo esterno. Dobbiamo guardare così anche noi stessi e il nostro mondo interno. È così che nascono la vera conoscenza e la saggezza.
Finché pre-giudichiamo, non siamo obiettivi. Siamo abituati ad accompagnare ogni nostra osservazione con un giudizio: “Questo è bene, questo è male”.
Ma il giudizio non vede l’unità degli opposti. E così noi pregiudichiamo non comprendendo.
Uno specchio non giudica, escludendo o includendo. Riflette e basta.

Il giudizio può venire dopo, non prima.

L'amnesia umana

Diceva un maestro tibetano del secolo scorso, Dilgo Khyentse Rinpoche: tra i miliardi di esseri umani che popolano il mondo, quanti sono consapevoli della rarità di una nascita umana? Quanti di costoro pensano che sia necessario sfruttare questa occasione? Quanti lo fanno realmente? E quanti persistono?
In effetti, se capiamo quale straordinaria occasione ci sia stata data, come possiamo esimerci dal cercare di essere consapevoli?
Siamo venuti al mondo a mani vuote e ce ne andremo nello stesso modo. Ciononostante sprechiamo il nostro tempo ad accumulare beni che non potremo portarci dietro.

Sembra che soffriamo di un’amnesia, di un deficit d’attenzione e consapevolezza. Mentre pensiamo al futuro, dilapidiamo il presente.

venerdì 20 maggio 2016

La meditazione di apprezzamento

Ogni tanto, nel corso della giornata, dovremmo fermarci per apprezzare semplicemente le cose che abbiamo la fortuna di avere. Dalla possibilità di essere vivi a quella di essere coscienti. Pensiamo a tutti gli animali che non hanno avuto la fortuna di nascere come esseri umani. E pensiamo anche alle piccole cose: abbiamo la fortuna di potere mangiare, di poter bere, di poter digerire, di poter respirare, di avere un tetto… fino al lavoro, alle amicizie, agli affetti, ecc.
Però questo senso di apprezzamento deve andare di pari passo con il senso di impermanenza; anzi, il senso di apprezzamento nasce proprio dalla consapevolezza che tutto è temporaneo, che niente si ripeterà più così come ci si presenta in questo momento.
Ogni istante è prezioso, come un sorso d’acqua in mezzo al deserto. Proprio perché tutto cambia di continuo, ogni attimo va gustato a fondo – cosa che invece di solito non facciamo, tutti presi da mille incombenze.
Il senso di apprezzamento serve anche a fermare la mente desiderante, che non è mai contenta, che vuole sempre di più – producendo tanta insoddisfazione e infelicità.

Meditare dunque sulle cose che abbiamo è un modo per uscire dai ricordi del passato e dalle fantasie sul futuro e per apprezzare il momento presente, che, a pensarci bene, è tutto ciò che abbiamo.

giovedì 19 maggio 2016

L'eccesso di pensiero

Ad un maestro zen fu chiesto cosa fosse lo zen. E lui rispose: “Mangiare quando si ha fame e dormire quando si ha sonno”.
Ma non è quello che fanno tutti?
No, perché la maggior parte delle persone, quando mangia e perfino quando dorme, continua a fare mille altre cose – e soprattutto continua a pensare ad altro. Non è presente.
Fra l’altro, questa mancanza di presenza mentale è fonte di stress, dato che la mente non trova mai tregua, non è mai presente in ciò che fa, continua a preoccuparsi e ingigantisce ogni paura.

Il pensiero, ovviamente, è il pregio dell’uomo. Nessun altro essere può pensare come lui.
Ma pensare ed essere cosciente comportano un prezzo (come al solito): ci provocano angoscia e ansia, che gli altri animali non hanno.
In tal senso, angoscia e ansia sono i prodotti di un eccesso di pensiero. Il quale si trasforma, da funzione sublime, a persecutore. È come una droga che all’inizio è piacevole, ma poi ti domina.
Il problema dell’uomo moderno (o dell’uomo tout court) è tutto qui: non riuscire a controllare il proprio pensiero e diventarne la vittima.
Qui entra in campo la meditazione, che è il tentativo di mettere sotto controllo la mente. Cosa che è d’altronde molto difficile. Perché fermare il pensiero con un altro pensiero è un controsenso.
Bisogna dunque mettere in atto una strategia di rallentamento, rilassamento, silenziamento  e svuotamento della mente che passi anche per una riequilibratura psiche-soma, dato che, quando si calma il corpo si calma anche la mente. Ecco perché si può ricorrere a certi metodi: seguire o controllare il respiro, assumere determinate posture o compiere determinati movimenti che ricostruiscano la sintonia tra l’aspetto fisico e l’aspetto psichico.
Rilassare la mente non significa spegnerla del tutto, ma trovare una nuova (o antica) pace perduta.


Il corpo della donna

I vescovi tornano all’attacco della legge sulle unioni civili, ingigantendo il pericolo dell’utero in affitto.
Notiamo tra l’altro che tutte le opposizioni politiche hanno sottolineato questa paura, tanto che c’è da chiedersi se non sia stata la Chiesa a dettarne la linea.
Come se il corpo della donna non fosse sempre stato il campo di scontro tra progressisti e reazionari, e non fosse sempre stato strumentalizzato.
Non è un caso che tutte le religioni paternalistiche battano su questo tasto: la sottomissione della donna al maschio dominante.
Quello che è cambiato oggi sono le tecniche di fecondazione, che possono essere disgiunte dall’unione sessuale.
Ma laddove la donna è considerata inferiore e costretta solo ad avere figli, che differenza c’è rispetto allo sfruttamento dell’utero in affitto? E quale sfruttamento del corpo della donna non hanno compiuto le religioni?
Dunque, di che cosa ci si lamenta? Che le si paghi un prezzo?

Già, vogliono continuare a sfruttarla sena nemmeno pagarla. Tutto per amore, s’intende – e gratis.

mercoledì 18 maggio 2016

Scegliere l'azione giusta

La meditazione svolge varie funzioni, alcune di tipo spirituale e altre di tipo psicologico. In tal senso può essere utile a tutti, anche a chi ha una propria religione o sposa altre visioni della vita.
Serve per esempio a calmare la mente, a trovare un equilibrio, a conoscere i propri schemi mentali, ad essere più consapevoli, ad essere più sereni, a sviluppare le proprie potenzialità e, più in generale, a veder chiaro in se stessi e nella propria vita.
Quando abbiamo dei problemi, dobbiamo prendere delle decisioni e non sappiamo che via scegliere, la meditazione può venirci in aiuto.
Il fatto di rimanere immobili, di stare in silenzio, di concentrarci sul respiro e di trovare uno stato di tranquillità è molto importante per potere decidere, per capire quale strada scegliere. Questo atteggiamento di raccoglimento ci permette di lasciar sedimentare gli inquinanti mentali, proprio come succede quando si lascia sedimentare il fango di un’acqua torbida.
Non si tratta tanto di ragionare o di analizzare, quanto di cambiare l’atmosfera che ci circonda rendendola più limpida. In effetti, la confusione e la torbidezza sono create dall’agitazione di una mente che non vede chiaro.
Ricordiamo a questo proposito le parole di Lao-tzu che si riferiscono proprio a una simile situazione di incertezza:

“Hai la pazienza di aspettare finché il fango non si depositi e l’acqua diventi chiara? Riesci a rimanere immobile finché la giusta azione non emerga da sé?”

martedì 17 maggio 2016

Lotte di potere

Papa Bergoglio dichiara che "la via che indica Gesù è la via del servizio, ma spesso nella Chiesa si ricercano potere, soldi e vanità".
In effetti, oltre alla ricerca del potere all’interno della Chiesa, c’è la ricerca del potere all’interno della società. Per esempio, i continui attacchi dei vescovi italiani alla legge sulle unioni civili sono esattamente questo: non accettare che esista uno Stato autonomo e laico, che decida delle proprie leggi, e volere imporre i propri punti di vista.
I vescovi capiscono che hanno perduta la presa, che avevano una volta, sulla società italiana e si oppongono rabbiosamente a ogni rinnovamento. Non si rassegnano ad essere ridimensionati e a dover contendere con altri soggetti laici il predominio sulle coscienze.
Nella Chiesa, questa volontà di potere si è sempre manifestata in due modi: uno violento, con l’imposizione di leggi di origine ecclesiastica, quando non addirittura con l’amministrazione diretta della giustizia (i tribunali ecclesiastici), e uno “morbido”: facendo la carità.

Quest’ultima forma subdola vuole accreditare la funzione sociale della Chiesa (scuole cattoliche, beneficienza, opere pie, ecc.), ma è anch’essa una lotta per il controllo delle anime. Non è infatti elargita gratuitamente per amore del prossimo, ma per imporre il proprio potere.

La pace dentro di noi

C’è un punto dentro di noi, al fondo, al di fuori degli stati d’animo mutevoli, al di fuori in particolare della paura e del desiderio – un punto in cui si sta in pace.
Quando ci tuffiamo in acqua e scendiamo verso il fondo, là in basso dobbiamo trattenere il respiro e non ci sono più rumori. C’è silenzio e tranquillità. Possiamo guardare verso l’alto la superficie mossa dalle onde, ma laggiù, nel punto in cui siamo, non si muove nulla: tutto è quieto e calmo.
Lo stesso avviene per la nostra psiche. Se ci immergiamo al fondo, troviamo un punto in cui si arrestano i pensieri e ci sentiamo in pace, lontani dai marosi della vita.
Lo scopo della meditazione è trovare questo punto, che è in realtà uno stato d’animo, e rimanerci il più possibile.
Da che cosa capiamo che lo abbiamo trovato? Dal fatto che la nostra mente è tranquilla, serena, appagata, equilibrata, armonica, auto-consapevole e saggia.
Non si tratta di uno stato tra gli altri, ma di uno stato da cui possiamo contemplare, con uno sguardo limpido, ogni altro stato d’animo e, in particolare, ciò che ci turba e ci fa essere agitati, senza pace.
Trattenersi in questa condizione non è facile. Basta un pensiero, un pensierino qualsiasi, talvolta un’emozione vaga, per distoglierci dalla tranquillità che abbiamo trovato. Potrebbe essere un senso d’ansia, una sensazione di incapacità, una paura minima, fondata o infondata. Bastano queste piccole sensazioni per avviare una valanga di emozioni negative che ci travolgono e ci riportano in un’arena di lotte, paure e desideri.

E quindi dobbiamo fare continuamente un’opera di rimozione e di igiene mentale per ritrovare la pace e, cosa molto difficile, conservarla anche nel mezzo del trambusto esistenziale.
Di tutto questo le religioni non sanno niente.

lunedì 16 maggio 2016

Il fondamento dell'io

Dobbiamo saper riconoscere i nostri stati d’animo: per esempio, in questo momento sono arrabbiato, triste, depresso, pauroso, invidioso, geloso, possessivo… E dobbiamo anche saper riconoscere quali di stati d’animo sono prevalenti, tali da connotare il nostro io: io sono iracondo, invidioso, competitivo, ecc.
Ma questo non significa che noi siamo solo così, solo quelli. Possiamo essere in mille altri modi, che si alternano di continuo. Non dobbiamo quindi identificarci, identificare il nostro io, soltanto in base a questi stati d’animo.
Anziché dire: “Io sono così”, diciamo: “Io sento, in questo momento, di essere così… Ma io, il mio vero sé, la mia natura più profonda, è qualcosa d’altro.
“Io non sono la rabbia, ma talvolta sono rabbioso. Io non sono l’avidità, ma talvolta sono avido…”
Se guardiamo bene, ci sono momenti in cui non sono né rabbioso, né avido, né…
Identifichiamoci con quello. “Quello sei tu!” dicevano le Upanishad.
C’è insomma un sé più profondo che non è coinvolto negli stati d’animo transitori, abituali e superficiali. È come il fondo del mare che resta calmo e sereno anche quando sulla sua superficie c’è la tempesta. “Quello sei tu,” il tuo sé più autentico.

Identificarsi con tale sé più profondo è importante primo perché è un luogo di calma e di gioia, e secondo perché ci permette di assumere una posizione del Testimone che riesce a trascendere il dualismo mentale, costruendo a poco a poco un uomo nuovo e molto, molto più consapevole.

domenica 15 maggio 2016

La durezza della vita

La vita non è un pranzo di gala né una faccenda delicata. Pensiamo a come si nasce: la mamma geme, piange e soffre, e anche il bambino piange e soffre, a causa del trauma che subisce – il primo di una lunga serie che lo attende. In ogni caso è tutta una faccenda di dolore, sudore, sangue, feci e rischi. Pensiamo a quante donne sono morte.
Qualcuno sostiene assurdamente che tutto ciò sia creato da un Dio benigno e amorevole. Ma si tratta di un carnaio da macellai, con nessuna considerazione per la sorte dell’individuo che, una volta espletata la sua funzione, viene abbandonato a se stesso per morire.
Questo ci dice che ogni salto evolutivo, ogni nuovo parto (anche in campo spirituale), non è un’impresa facile e gradevole. Ma deve essere strappato con sacrifici, lotte e sofferenze.

Ogni conquista va quasi rubata con violenza e astuzia. Non c’è niente che ci venga regalato. Questo vogliono farcelo credere le religioni, che lavorano per nascondere gli aspetti sgradevoli del loro Dio.

Successi e fallimenti

Agli occhi della gente, successi e fallimenti non sono che apparenze, non qualcosa di obiettivo. C’è sempre qualcuno che emette un giudizio e tira le sue conclusioni.
Ma il vero successo o il vero fallimento sono un’altra cosa: non riuscire a vivere appieno, non riuscire ad esprimere le proprie potenzialità. E questo lo sa solo il singolo, dentro di sé.

Ciascuno di noi sa se è realizzato o no, se è felice o no. Gli altri non sanno nulla.

Doppiezza papalina

Papa Francesco dichiara che si può studiare una forma di diaconato per le donne. Tripudio generale: sembra che la cosa sia già fatta.
Ma, per ora, si tratta di istituire una commissione che tra qualche mese o qualche anno, deciderà se è fattibile.
Non vi agitate, state calmi: nella Chiesa non succede più nulla di nuovo da più di duemila anni. Dormite sonni tranquilli. Non cambierà nulla, come al solito.
In ogni caso, le donne potrebbero svolgere solo ruoli secondari, non quelli principali che sarebbero comunque riservati ai maschi.
Da buon gesuita, Bergoglio è abituato alla doppiezza. Con una mano promette riforme e, con l’altra, le affossa. Come è successo sul riconoscimento delle unioni gay. In passato aveva detto: “Chi sono io per giudicare?” E, adesso, finito l’effetto annuncio, fa dichiarare al segretario della CEI che l’approvazione della legge sulle unioni civili è “una sconfitta per tutti.”
Che ci siano due schieramenti nella Chiesa? si domandano i vari vaticanisti.

No, tranquilli, sono solo i due volti di uno stesso Papa.

sabato 14 maggio 2016

Il percorso dell'evoluzione

È puerile pensare che la coscienza nasca all’improvviso nella storia evolutiva per qualche intervento divino o per un caso fortuito. Già nelle prime forme di vita è presente un principio di coscienza. Dagli aminoacidi all’ameba, dall’ameba al pesce, dal pesce all’anfibio, dall’anfibio al rettile, dal rettile al mammifero, dal mammifero all’uomo, l’evoluzione segue un percorso di progressivo potenziamento della consapevolezza. Se quindi trovassimo un altro pianeta in cui è fiorita la vita, anche lì ci sarebbero esseri dotati di una coscienza, maggiore o minore.
Nel nostro stesso mondo, attualmente convivono esseri viventi dotati di differenti livelli di consapevolezza.
Non possiamo dunque pensare che l’evoluzione finisca qui: ci dev’essere un ulteriore passo, quello che oggi tutti stiamo compiendo, anche se non in maniera lineare e non uguale per tutti.  C’è chi riuscirà a compiere questo passo e chi no.
Nei nostri metodi di meditazione tentiamo proprio questo sforzo, che consiste nell’essere sempre più consapevoli di noi stessi e dei nostri rapporti con il mondo, nell’uscire dai soliti schemi ripetitivi, nel superare il dualismo mentale, emozionale e psicologico, nell’acuire la sensibilità, nel rigettare il pensiero mitologico e nel trovare un nuovo senso della realtà.

Dobbiamo insomma essere consapevoli che stiamo contribuendo alla faticosa nascita di un nuovo livello di coscienza.

venerdì 13 maggio 2016

Scuola di saggezza

La scuola salernitana sosteneva che “se non hai un medico, la felicità, la quiete e la dieta sono i tuoi dottori.”
Questo significa che l’infelicità, l’agitazione, l’ansia e gli squilibri fisici sono i nostri veleni.

Dobbiamo pensare sia all’aspetto materiale sia all’aspetto spirituale. Non basta una buona dieta da un parte e non basta la felicità dall’altra. Dobbiamo unire le due cose.

Lo scandalo dell'esistenza

Lo scandalo di ciò che salta fuori dal nulla e ritorna nel nulla.
Andrebbe tutto bene se, ad un certo punto dell’evoluzione, non saltasse fuori un essere vivente che è dotato di consapevolezza. E per lui tutto cambia, perché sa con certezza che deve morire.
Sapendo di dover morire, soffre di qualcosa per cui non c’è rimedio.
Anche se crediamo che ci sia un’altra vita dopo la morte, ci rimane il dubbio che questa speranza sia un tentativo di esorcizzare la paura della morte.
Urge dunque un rimedio per riuscire a vivere sereni nonostante quello che si sa.
Anche per Platone lo scopo della filosofia era riuscire a morire con serenità.

La consapevolezza crea il problema, la consapevolezza deve risolverlo.

giovedì 12 maggio 2016

La spaziosità

Sappiamo che cosa sia la presenza mentale. È essere consapevoli dei nostri atti e stati mentali: pensieri, fantasie, ricordi, previsioni, emozioni, sentimenti, ecc.
In meditazione, dobbiamo imparare ad estenderla fino a diventare continuamente consapevoli di ciò che ci scorre dentro, sia che sia provocato da eventi esterni sia da stimoli interiori.
Ma, a questo punto, non dobbiamo diventare dei maniaci, dei fissati; non dobbiamo identificarci con queste attività mentali; non dobbiamo farci assillare.
La felicità non è tener tutto sotto controllo. Questo produce esattamente il contrario: l’ossessione infelice.
Dobbiamo piuttosto introdurre una qualità che si chiama “spaziosità.” Ossia imparare a distaccarci da questi stati e atti, in modo da vederli transitare come se scorressero su uno schermo.

Facendo questa operazione, ci allontaniamo dai nostri contenuti mentali e li vediamo per quel che sono: fenomeni transitori e mutevoli. In tal modo lasciamo emergere un nuovo centro: quello del Testimone silenzioso e trasparente che osserva tutto senza esserne coinvolto. È il sé.

mercoledì 11 maggio 2016

La vita nuova

Quando, attraverso la meditazione, entriamo in contatto con la nostra natura più profonda, di solito occultata da strati di abitudini e di automatismi, non si verificano fenomeni sovrannaturali, tipo visioni o rivelazioni. Ma si verificano fenomeni eccezionali che ci fanno uscire dai soliti schemi, dai pregiudizi, dai luoghi comuni, dalle fissazioni, dai muri rigidi che abbiamo edificato negli anni, dalle fedi inflessibili e dalla prigione del nostro io.
Entra una ventata di aria fresca e si aprono nuove prospettive. Questo è il vero miracolo, non la visione di esseri soprannaturali che sono semplici proiezioni mentali.
Sembra strano, ma entrare in rapporto con la nostra essenza, calma e silenziosa, porta proprio a questo genere di rinnovamento. Troviamo nuovi punti di vista, ci apriamo a diverse possibilità, ci immergiamo nelle fonti della vitalità, ristabiliamo l’armonia tra emotività e razionalità, usciamo dai comportamenti e dalle idee ingessate, diventiamo più tolleranti e più pazienti e giudichiamo di meno.
Si tratta di un rinnovamento profondo che coincide con un rilassamento profondo.




Il faro dei reazionari

Il segretario della Cei, Nunzio Galantino, rispolvera toni da crociata e sostiene che l’approvazione della legge sulle unioni civili sarebbe “una sconfitta per tutti.”
         In realtà sarebbe una sconfitta solo per la Chiesa e una vittoria per la società.
         Qui si vede perché in Italia, pervasa dai vecchi disvalori cattolici, sia così difficile migliorare la legislazione sociale. C’è sempre la Chiesa che rema contro e che si oppone ad ogni cambiamento.
E questo è proprio il significato della parola “reazionario”: opporsi a ogni cambiamento.

Ogni paese ha la sua palla al piede. Noi abbiamo la Chiesa, la grande ispiratrice dei reazionari.

martedì 10 maggio 2016

La mente avida

Nelle religioni si esalta la fede, e anche nell’opinione comune si dice che avere fede è una fortuna.
Ma, a parte il fatto che una fede può essere infondata e quindi nient’altro che un’opinione sbagliata, pochi si rendono conto che può essere il prodotto di una mente avida, di una mente attaccata, di una mente fissata e rigida.
Infatti una mente avida si attacca a tutto. E, quando l’attaccamento è eccessivo ed ossessivo, rivela solo un disturbo mentale.
Altro che fortuna: molti avrebbero bisogno dello psichiatra. Del resto, lo stesso Freud riteneva la religione, con i suoi riti, la “nevrosi ossessiva dell’umanità.”
Una mente aperta, fluida e flessibile non si attacca religiosamente a nessun opinione.
Quando si ha una mente sgombra (da tensioni, paure, preoccupazioni, idee fisse…) non si ha nessuna fede. Non ce n’è bisogno.
Aprire la mente e liberarla dalle sue ossessioni è liberare l’uomo.
Chi ha una mente rigida, dogmatica, fideistica è un prigioniero – prigioniero delle proprie opinioni.

Chi ha una mente aperta e agile è già libero.

lunedì 9 maggio 2016

Addestrare la mente

A volte ci sembra un sogno impossibile. Come si può indirizzare la mente in un senso o nell’altro? Come uscire dalle solite abitudini, dagli schemi di pensiero e di comportamento e dalle reazioni automatiche che ci fanno sempre ripetere le stesse cose?
Eppure c’è un modo. Pensiamo alla storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. C’è un momento in cui possiamo scegliere una delle due prospettive. E, cambiando la prospettiva, cambia il nostro mondo di vedere e di agire.
Oppure pensiamo alla paura preventiva, all’ansia e alle preoccupazioni che ci accompagnano perché non riusciamo a fermare il proliferare dei pensieri e delle previsioni più nere. Anche lì c’è un attimo in cui possiamo imboccare una via o l’altra, c’è un attimo di equilibrio prima di scivolare da una parte o dall’altra dell’onda. Prevedere che le cose vadano male o limitarsi a restare ancorati al presente in attesa di sviluppi.
Rendiamoci conto che noi scegliamo, che non possiamo fare a meno di scegliere e che siamo schiavi di vecchi circuiti, di antichi condizionamenti.
È come quando parliamo. Scegliamo certe parole, certi modi dire, certi solchi lessicali, grammaticali e sintattici, certi luoghi comuni, certi schemi di pensiero e dunque, più che dire le cose, ci lasciamo dire – magari non ciò che vogliamo o non esattamente ciò che avevamo intuito. Se ne fossimo consapevoli, potremmo compiere scelte diverse e dire cose diverse. Anziché farci guidare dalle regole convenzionali, potremmo scegliere concatenazioni diverse.
Il problema è se vogliamo sempre dire e fare le stesse cose, o se vogliamo cambiare.
Vogliamo essere banali, prevedibili, rigidi, pessimisti, tristi o autentici, sereni e sciolti? Ci va bene che tutto resti così?
Analogamente, possiamo scegliere se essere agitati, ansiosi, tesi o ipertesi, oppure calmi e distaccati.
         La differenza sta nel cogliere il momento di svolta e scegliere da che parte stare. Le mente può essere addestrata.

domenica 8 maggio 2016

Il potere della presenza mentale

Quando incontriamo problemi e difficoltà, dovremmo concentrarci su noi stessi? Sembrerebbe un’idea bislacca, un controsenso.
Ma il punto è capire che, di fronte alle inevitabili tempeste della vita, è più conveniente mantenersi calmi e consapevoli piuttosto che farci trasportare dai marosi.
La calma ci permette di essere consapevoli di ciò che ci ha attaccato e della nostra stessa reazione.
In certi casi l’evento negativo sembra venire dall’esterno e sembra incontrollabile. Se ci crolla la casa, se abbiamo un incidente stradale, se ci ammaliamo, se veniamo aggrediti…
Questo è vero, ma, se ci manteniamo calmi e consapevoli, possiamo registrare la nostra reazione e modificarla.
Possiamo dirci: questa è rabbia, questo è odio, questa è depressione, questo è sconforto… e prenderne più o meno le distanze.
Che cosa infatti ci è più conveniente? Quale reazione ci è più utile? Non sempre le risposte abituali sono le migliori, non sempre i vecchi schemi di reazione sono i più opportuni.
Possiamo quindi avere un diverso comportamento. A questo proposito, anche le neuroscienze hanno scoperto la neuroplasticità: è possibile creare nuove risposte, nuovi percorsi, nuove connessioni neuronali.
A tutto questo può portare la pratica della consapevolezza che è capace di portare la presenza mentale in ciò che proviamo.

Non è vero dunque che non abbiamo nessun controllo sugli eventi. Possiamo essere consapevoli degli effetti, possiamo cambiare le nostre reazioni e possiamo cambiare i nostri comportamenti. Infine, cambiando i nostri comportamenti, possiamo modificare, grazie al rapporto originario tra essere e mente, gli stessi avvenimenti.

sabato 7 maggio 2016

Ancorarsi al corpo

Quando rischiamo di perderci nell’astrattezza dei concetti e quindi nell’aridità mentale, è una buona cosa ritornare a ciò che ci àncora alla realtà: il corpo, il respiro. Senza tante teorie in testa e senza tante motivazioni particolari (essere felici, diventare illuminati, ecc.), sediamoci in una delle posizioni meditative tradizionali, con le gambe incrociate e con le ginocchia appoggiate a terra.
Al di là della posizione del loto, che è comunque difficile, l’importante è tenere le gambe piegate davanti a sé. Possiamo usare cuscini o altri spessori, sotto il sedere o sotto i piedi, e trovare una posizione di equilibrio, né chinata in avanti né pendente all’indietro o di lato. Questo equilibrio fisico è molto importante, perché influirà sull’equilibrio psichico.
Occupiamoci soltanto di star seduti bene, in una posizione non solo comoda ma anche confortevole. Dobbiamo trovare questa postura con un senso di sollievo, come quando calziamo comode pantofole o ci sdraiamo stanchi su un divano. È una postura di ristoro, ma anche di forza.
Al limite, se non riusciamo a star seduti a gambe incrociate, possiamo star seduti su una sedia senza appoggiarci allo schienale e appoggiando le piante dei piedi a terra. Possiamo anche rimanere in piedi, salvaguardando la verticalità.
Le mani devono appoggiarsi in grembo o sulle ginocchia, in modo da creare un sicuro appoggio in avanti. Manteniamo la posizione diritta, in modo che le vertebre siano idealmente impilate l’una sopra l’altra.
A questo punto, tiriamo indietro le spalle per raddrizzare bene le vertebre.
Poi facciamo rientrare il mento per darci una perfetta verticalità, secondo una linea ideale che unisce naso, mento e centro inferiore del corpo.
Gli occhi sono aperti o socchiusi, e guardano a una distanza tale da intravedere la punta del naso.
Rimaniamo così seguendo il respiro. Ogni tanto possiamo prolungare leggermente l’espirazione, lasciando che l’inspirazione consegua in modo naturale.
Sentiamo tutto il corpo, scoprendo che è comunque una parte della realtà che ci circonda. Il nostro corpo, infatti, è un frammento di materia che arriva anche là dove arrivano i nostri sensi ed è il prodotto dell’intero universo.
Non pensiamo alla mente, occupiamoci soltanto della postura e del respiro.
Siamo centri di energia in un oceano di energia.
La mente non è che un aspetto di questa energia individualizzata. E anch’essa non è che un altro aspetto dell’energia universale. Non si distingue da tutto il resto. E tutto ciò che pensa e sente sono correnti e campi energetiche.
Se noi troviamo un equilibrio e un senso di sollievo, è il mondo che trova equilibrio e sollievo.

venerdì 6 maggio 2016

La bontà sospetta

È possibile liberarci del nostro egoismo profondamente radicato? È possibile essere davvero buoni?
Esaminiamo per esempio le motivazioni di chi fa la carità a un poveretto. Perché lo fa? Per pietà, per toglierselo di torno, perché si sente ricattato, perché si sente in dovere di farlo, per evitare di sentirsi in colpa se non lo fa, per sentirsi buono, per accumulare meriti, per avere un contraccambio, magari nell’aldilà?
Dunque, non lo fa per bontà, ma per sentirsi lui stesso bene.
Anche il missionario che si sacrifica, perché lo fa? Per avere un’immagine nobile di se stesso, per sentirsi superiore, eroico, santo? E il padre o la madre perché si curano dei figli? Forse non lo fanno per la loro personale soddisfazione?
Non troviamo mai una motivazione veramente buona, altruistica. Se ci si pensa bene, non ci sono motivazioni non egoistiche.
Già, l’idea di “fare il bene” è qualcosa di egocentrico: io faccio il bene e, dunque, io sono buono.
In realtà, per essere buoni, non dovremmo avere né motivazioni né secondi fini né intenzioni. Ogni bontà è sospetta.
Ma chi è in grado di scavare così a fondo?
C’è un’unica possibilità: essere in armonia interiore, essere calmi, essere soddisfatti mentalmente. Tutti gli altri cercano qualcosa che non è la bontà.


Il favore dei potenti

I potenti li vediamo in azione tutti i giorni. Per esempio, i parlamentari che tagliano le pensioni altrui, ma non le proprie, o i banchieri che hanno stipendi e liquidazioni milionarie, ma lesinano un prestito a chi non ha beni.
La verità è che i potenti lavorano innanzitutto per se stessi, per arricchire e potenziare se stessi.
E pensare che qualcuno equipara Dio all’Onnipotente… come se ci fosse un potente che non serva se stesso.
Molto meglio non fidarsi dei potenti, non confidare nel loro aiuto.
I potenti sono tali solo perché ci sono i deboli.
Sono come il denaro. Poiché la quantità del denaro è limitata – diciamo a 100 -, se qualcuno ne ha 90, vuol dire che tutti gli altri devono spartirsi il 10 per cento. Ed è esattamente quel che succede nel nostro mondo.
Noi confidiamo nell’Onnipotente illudendoci che sia diverso da tutti i potenti che conosciamo. Illudendoci.
Ma sarebbe meglio che, anziché un mondo dominato dai potenti, ognuno avesse la propria potenza, in parti eque.


giovedì 5 maggio 2016

Il lavoro mentale

Esistono situazioni, luoghi e persone che producono in noi di primo acchito reazioni negative: fastidio, avversione, antipatia, irritazione, ostilità e così via. Se per esempio ci troviamo in compagnia di una persona sgradevole, diventiamo insofferenti e nervosi. In questo caso non si può negare che lo stato d’animo sia stato provocato da qualcosa di esterno.
Potremmo però lavorare su questa reazione e scoprire anche aspetti positivi della persona. Così, a poco a poco, la nostra risposta cambierebbe e noi potremmo restare calmi, indifferenti oppure passare da uno stato negativo ad uno positivo. Qualche volta, anche l’amore nasce così.
Che cosa è successo? Che la conoscenza e una diversa valutazione hanno cambiato la nostra reazione.
Si tratta di un cambiamento non di poco conto. Perché tutte queste reazioni hanno un impatto anche a livello fisiologico e addirittura neurale.
Non è dunque vero che i nostri schemi e i nostri comportamenti siano immutabili.
Naturalmente, può avvenire anche il contrario: che uno stato d’animo nervoso, ostile, agitato o depresso ci faccia vedere una persona, un luogo o una situazione sotto una luce negativa. In questo caso, lo stato interiore ha influenzato il nostro rapporto con qualcosa di esterno.
Per l’uomo, in sostanza, i fatti non sono mai né completamente esterni né completamente interiori. Potremmo dire che gli eventi e le nostre reazioni si situano in una zona intermedia e variabile, in una interfaccia in cui l’esterno può influenzare l’interno e l’interno può influenzare l’esterno.
Non c’è nessun evento che non debba passare per la nostra interpretazione.
C’è insomma un ampio margine di intervento mentale.



mercoledì 4 maggio 2016

Il sogno della vita

Ci sembra impossibile che la vita non sia nient’altro che un sogno. Questa è la realtà, ci diciamo, come possiamo considerarla un sogno?
Eppure, anche quando sogniamo di notte, abbiamo la stessa certezza, ovvero la stessa mancanza di dubbio.
Che cosa ci convince, allora?
Ci convince il risveglio. Quando ci risvegliamo, sappiamo che è stato tutto un sogno.
Tutto ciò che finisce è un sogno: ecco la prova.
E la vita finisce.

Un giorno ci risveglieremo e sapremo… Ma ci vorrà qualcuno che sia presente a testimoniarlo, qualcuno che dobbiamo costruire subito.

Fare il vuoto mentale

Rimanere nello stato di consapevolezza non-duale – lo scopo della meditazione – significa non pensare in termini di bene/male, di soggetto/oggetto, di acquisire/perdere, di crescere/diminuire, di io/altro, ecc. In altre parole significa fare il vuoto mentale, dato che la mente opera solo in simili termini contrapposti.
Se ci mettiamo davanti ad una finestra e se guardiamo lontano socchiudendo gli occhi e non pensando a nulla, per pochi istanti comprendiamo che cosa significhi consapevolezza non-duale. Subito dopo, però, riprendiamo a macinare pensieri e stati d’animo.

La sfida è cercare di rimanere il più a lungo possibile in questo stato d’animo luminoso, limpido, calmo, gioioso e vuoto (ma non vacuo).

martedì 3 maggio 2016

La necessità di praticare

C’è sempre la necessità di praticare giorno dopo giorno: non bastano pochi attimi di sospensione intellettuale e di intuizione per risvegliarsi. Nessuno nasce illuminato: c’è sempre qualcosa da imparare e da correggere.
Invece, non c’è nessun bisogno di imparare a mentire, a diffamare, a odiare, a provare gelosia, ad essere competitivi, ad essere avidi e a desiderare ricchezze, potere, sesso e quant’altro. A queste cose siamo portati naturalmente, proprio perché siamo nati in questo mondo e con questa mente.
È un po’ come spingere un masso fino in cima ad una montagna. Ci vuole tanta fatica. Ma poi basta una sola spintarella per farlo rotolare giù.

Insomma, per meditare, bisogna andare controcorrente.

L'occhio imparziale

Il Buddha diceva che esistono 360 forme di religione e le definiva tutte “punti di vista errati.”
Queste religioni sono sbagliate innanzitutto perché sposano credenze eternaliste (tutto è eterno) o nichiliste e poi perché la mente umana comune non è in grado di vedere le cose così come sono.
La mente umana non riesce a cogliere la realtà perché utilizza concetti dualistici, credenze fantasiose, mitologie e proiezioni psicologiche.

Insomma, per vedere la realtà, bisogna prima di tutto svuotare la mente da tutti questi miti e poi guardare le cose con occhio imparziale e spassionato. E, questo, per la maggior parte degli uomini, in preda ad attaccamenti e passioni di ogni tipo, è impossibile.

Le bugie del Papa

Papa Francesco che, come tutti i politici, predica bene ma razzola male, proclama con faccia seria che i pedofili devono essere puniti severamente. Ma, poi, la sua Chiesa, quando si tratta di preti pedofili, che sono ancora più malvagi dei pedofili comuni (perché sfruttano il loro ruolo religioso), fa di tutto per nascondere e insabbiare, limitandosi per lo più a spostare i rei da una parrocchia all’altra. Non è una punizione severa né giusta.
Poi parla di una Chiesa povera, ma la Chiesa vive riccamente alle spalle del popolo italiano, che sborsa, nonostante la crisi, più di un miliardo di euro, in base a una legge che è stata criticata perfino dalla Corte dei Conti, perché troppo squilibrata a favore di un’unica religione.
Parlare di una Chiesa povera con i cardinali che vivono in appartamenti sontuosi, ristrutturati magari con i soldi delle opere pie, è un vero è proprio insulto alla miseria. Ci sono perfino i preti cappellani che seguono la carriera militare e che, senza fare nulla, possono diventare addirirrura generali, lucrando i relativi emolumenti.

E, infine, una Chiesa che pretende di esporre la verità, non può fare campagne pubblicitarie per l’acquisizione dell’otto per mille dicendo che quei soldi vanno alle opere di bene, quando i dati ci dicono che la maggior parte di quei milioni di euro va al sostentamento del clero.

lunedì 2 maggio 2016

Sogno e risveglio

Utilizziamo il sogno per capire cosa sia la realtà.
Innanzitutto, per sognare, dobbiamo dormire, e solo quando ci svegliamo possiamo dire: “Quello era un sogno”.
Ma ciò a cui ci svegliamo è a sua volta un altro sogno, e anche da questo sogno dobbiamo svegliarci.
Svegliarsi significa capire che la vita stessa è una forma di sogno e che la realtà si trova su un altro piano.
Come ci si sveglia?
Smettendo di concettualizzare e di proiettare pensieri, sensazioni, ecc. Solo quando la nostra mente si svuota di tutti i pensieri e sensazioni – ricordi del passato, preoccupazioni per il presente, previsioni per il futuro, ecc. -, solo allora si sveglia alla realtà.
I sogni sono proiezioni illusorie della nostra mente, che siano quelli notturni o quelli diurni, e la realtà si palesa quando facciamo tacere la mente proiettiva e riscopriamo il vuoto della chiarezza.

Il risvegliato è colui che si è lasciato alle spalle sogni e illusioni, che non ragiona più in termini di soggetto/oggetto, di materiale/immateriale, e che apre la mente alla vastità dello spazio. È colui che ha ottenuto la consapevolezza non dualistica.