martedì 24 maggio 2016

La perdita dell'io

Quasi nulla ci toglie dalla testa l’idea di essere degli io che possiedono un corpo e una mente. Infatti diciamo: “Io cammino, io penso, io sono…”. Nello stesso tempo siamo dominati dalla paura di perdere questo organismo psico-fisico. Il pensiero della morte ci scatena angoscia e sgomento.
Ma se riflettessimo che il soggetto è un costrutto mentale, addirittura grammaticale, questa paura scomparirebbe. Non c’è nessuno che possiede un corpo e una mente. Ci sono azioni, ci sono movimenti, ci sono pensieri, ci sono stati d’animo, ma il soggetto non c’è. Quando lo cerchiamo non lo troviamo.
Non siamo diversi da un carro. Se togliamo le ruote, se togliamo la stanga, se togliamo il fasciame di legno, non troviamo l’essenza del carro: non troviamo niente.
Siamo noi che crediamo alla consistenza di questo soggetto, siamo noi che gli diamo un nome e una forma, e siamo noi che siamo terrorizzati dall’idea di perderlo. Ma, al di fuori di queste pretese, non c’è niente; ossia ci sono processi senza un soggetto.
Dalla credenza dell’io nasce poi la credenza del mio. E qui si allarga il campo dell’attaccamento e dell’identificazione. Questo è il mio mondo - e questo è il mio Dio, che deve garantire, per così dire, il gigantesco castello di carte che abbiamo costruito.
Ma il gigantesco castello di carte può crollare da un momento all’altro a causa di un semplice soffio. Le cose e le persone cui sono attaccato possono sparire in un istante. E anche il mio io può sparire in un istante. Rimane allora un attonito orrore, una rancorosa delusione, come se qualcuno ci avesse rubato ciò che possedevamo.
Ma in realtà ci rubano solo delle illusioni, le nostre illusioni. Non avevamo capito che niente è nostro, nemmeno noi stessi.

A questa nuova consapevolezza dobbiamo addestrarci: a vedere l’impersonalità del tutto.
Fra l'altro, questo ci permette di vivere senza paura.

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