giovedì 30 aprile 2015

Immagazzinare saggezza

Non si può separare negli uomini la possibilità di essere felici dalla possibilità di subire grandi dolori. Esistono persone che sono felici per natura, o perché hanno un temperamento più positivo o perché non sono state ancora toccate da grandi dolori.
Ma questa felicità ingenua può essere fragilissima e può essere spazzata via ad ogni istante. Comunque, ha poco a che fare con la felicità matura di chi ha conosciuto il dolore e lo ha superato. In tal senso, la sofferenza dà una marcia in più a chi l’ha sperimentata e oltrepassata.
Il problema dunque è di resistere al dolore quando ci colpisce, ricordandoci che c’è comunque una possibilità di felicità o per lo meno di serenità. Quando il mare è mosso e infuria la tempesta, dobbiamo ricordarci che anche questa passerà e che torneranno giorni di sole.
Se invece ci si chiude nel proprio dolore, ci si chiude alla gioia e si entra in uno stato di non vita, che non ci permette di andare avanti.

Dobbiamo dunque far tesoro delle nostre esperienze di gioia e immagazzinarle… per i tempi bui. Proprio come si può fare con l’energia solare.

La mente non concettuale

Se ci sembra impossibile riuscire a cogliere la vacuità originale della mente, teniamo conto che la natura ci viene incontro con i suoi suggerimenti. Per esempio, quando alla fine di una giornata ci sprofondiamo in una poltrona, la nostra mente è stanca di pensare e rimane per un po’ vuota.
Lo stesso avviene in altre occasioni, per esempio prima di addormentarsi, subito dopo esserci svegliati, quando facciamo l’amore o quando siamo travolti da forti emozioni.
In tutti questi casi la mente smette di elaborare concetti e si fa da parte.

Questi sono momenti in cui, se stiamo attenti, possiamo cogliere la natura fondamentale della mente, che è apertura, spaziosità, luminosità, vuota chiarezza. Inoltre vi è anche assenza del sé, quel sé che ci sembra così indispensabile e che invece è un semplice costrutto mentale.

mercoledì 29 aprile 2015

La ruota della vita

Io soffro, ma questo fa parte del gioco universale. Entro certi limiti, non c’è colpa all’origine della mia sofferenza, così come non c’è merito all’origine della mia gioia.
Per esempio, la felicità di alcuni incontri non è tanto un frutto della mia volontà, quanto un frutto della vita. Gli amori vengono e vanno, mentre io non posso far nulla per suscitarli né farli finire. Certe cose fondamentali ci vengono date: non vengono scelte.
La vita è un dono, ma anche un caso della natura. Io non posso controllare tutte le combinazioni, tutti i fattori, tutte le variabili. Sono all’interno di un gioco più grande sulle cui regole non posso influire.
La sofferenza è universale perché fa parte del motore della vita. Ma anche la gioia. E, tuttavia, all’interno di questo gioco, io non sono soltanto giocato – posso fare i miei giochi, per quanto piccoli. Posso cercare di minimizzare la sofferenza e di massimizzare la gioia.
Nella sofferenza, la massima virtù è la capacità di resistere senza farsi distruggere, perché è certo che, per la legge dialettica del divenire, neppure il dolore può durare a lungo.

La ruota deve girare.

martedì 28 aprile 2015

Essere presenti

Forse qualcuno non capisce il significato di questa espressione e di questo esercizio meditativo: essere presenti, coltivare la presenza mentale. Allora facciamo un esempio.
Se mi mantengo collegato tutto il giorno ad Internet, posso ricevere continuamente nuovi messaggi. Questo fa sì che io sia sempre impegnato mentalmente in questa attività di ricezione e di risposta.
Ma, così facendo, non sono più libero, non posso pensare ai fatti miei. Sono per così dire al servizio della comunicazione.
È bene quindi darsi delle regole o degli intervalli, durante i quali decidiamo di non ricevere e di rispondere ai messaggi. Dobbiamo recuperare il rapporto con noi stessi. Diciamoci: “Ora, presenza mentale…” E distacchiamoci dal collegamento.
Me le distrazioni non sono solo quelle digitali. Noi siamo continuamente distratti da mille cose e da mille attività. Siamo per così dire sempre al di fuori di noi.
Perciò, ogni tanto diciamoci: “Presenza mentale…” E stacchiamoci da questi impegni.
Ma non è finita: anche quando stacchiamo dalle varie attività e rimaniamo soli con noi stessi, non è detto che lo facciamo veramente. Rimane infatti l’ultima e più pericolosa distrazione: i nostri stessi pensieri, il pensare continuamente al passato o al futuro, il fantasticare. Anche in questo caso siamo alienati, siamo fuori da noi stessi.
Diciamoci dunque: “Presenza mentale…” E stacchiamo, cerchiamo di svuotare la mente e di essere presenti nel momento, nel qui e ora.
       Ne va della nostra salute mentale e della nostra capacità di veder chiaramente.


Meditare sulla luminosità originaria

Scopo della meditazione è ottenere una conoscenza della mente fondamentale. Poiché la nostra mente abituale è instabile, agitata ed egocentrica, bisogna prima di tutto indurla alla calma. La calma permette ai pensieri e alle emozioni abituali di smettere di disturbare. Nello stesso tempo cessa anche l’attaccamento all’ego, la continua fissazione su di sé e sui propri interessi materiali.
La mente acquietata e concentrata diventa più chiara, e questa condizione permette di riconoscere la natura profonda della mente. Che è la luminosità.
Riassumendo, prima ci si calma e poi ci si concentra sulla mente stessa, il più possibile libera da emozioni e pensieri. Ciò che ne deriva è la luminosità fondamentale.

Si può svolgere questa meditazione in una bella giornata di sole, magari dopo una giornata di pioggia (in senso fisico e metaforico). La luminosità esteriore può favorire la luminosità interiore.

lunedì 27 aprile 2015

La sofferenza nella vita

Ci sono gioie. E ci sono dolori.
Ma comunque la vita è una fase che deve essere superata.
Ci sono quelli, però, che non si saziano mai, che vorrebbero vivere e rivivere. Pochi capiscono che è meglio finirla qui.
Per fortuna, la vita ci riempie “saggiamente” di dolori, in modo che non ci si possa attaccare troppo.
Ognuno ha una propria sensibilità individuale, che indica anche il suo livello di evoluzione. C’è chi sente di più il dolore e chi apprezza di più le gioie..

Ma non si può sfuggire all’evidenza che la sofferenza è una caratteristica ineliminabile dell’esistenza.

I salvatori

Non c’è nessuna possibilità che qualcuno possa illuminare gli uomini dall’esterno. Non è possibile nessun salvatore esterno. Non è possibile un’illuminazione collettiva. Magari fosse possibile.
Ognuno deve lavorare su di sé per cambiarsi profondamente.
Come puoi cambiare la testa a qualcuno? Come puoi, per esempio, trasformare un razzista in un tollerante? Come puoi trasformare un egoista in un altruista? E ci vuole tempo, tanto tempo… intere vite.
Solo la mente può lavorare sulla mente.

Tutt’al più si può indicare genericamente la via. Ma poi ognuno deve percorrerla da solo, con i suoi piedi.

domenica 26 aprile 2015

L'importanza delle parole

Stai attento a come usi le parole. Le parole non sono neutre e innocenti. Il modo in cui descrivi e definisci le cose è il modo in cui le percepisci.
Se per esempio dici: “Devo fare questa cosa”, trasformi il compito in un’azione obbligatoria, pesante e quindi sgradevole. Ma se dici: “Posso o voglio fare questa cosa”, trasformi il dovere in un’azione che esprime una tua possibilità o capacità.
Non si tratta solo di una cosmesi. Il mondo non ti apparirà più come una serie di doveri e di imposizioni, ma come l’estrinsecarsi delle tue potenzialità.

Così facendo, sei tu che scegli di fare la cosa, non ti limiti a subirla. Agisci, anziché limitarti a reagire.

Esperienze di chiarezza

Sappiamo che la mente vaga per la maggior parte del tempo in rimuginazioni sul passato e sul futuro. Ma ogni atto mentale avviene comunque nel presente; è qui e ora che ricordiamo il passato e pensiamo al futuro.
Solo quando viviamo un’esperienza forte, buona o cattiva che sia, spariscono i pensieri e aderiamo alla realtà. Quello è il momento della verità. Lì siamo nel presente e sparisce anche ogni idea di ego.
In  realtà la mente non smette mai di agire e di mentire, cioè di interferire. Lo fa solo più velocemente. Ma una barriera di interpretazioni e di preconcetti esiste sempre.
Ciò che dobbiamo fare è trovare un’esperienza così vivida da bandire ogni rimuginazione e farci essere veramente nel presente.
Allora vediamo le cose chiaramente, senza schemi mentali.

Alleniamoci, dunque, a rimanere nel presente e a raggiungere la chiarezza, anziché perderci nei pensieri.

sabato 25 aprile 2015

La liberazione

Oggi si celebra il settantesimo anniversario della liberazione dal nazifascismo. Ma non si tratta solo di liberarsi di una dittatura o di un’oppressione politica, ideologica e militare.
Il processo di liberazione è molto più profondo.
Dobbiamo liberarci dalle opinioni, dai luoghi comuni, dal pensiero convenzionale, dai tanti condizionamenti. Ci sembra di essere liberi, ma non lo siamo. Continuiamo ad essere oppressi dai pregiudizi, dalle credenze infondate, dalla potenza dei media, dalle paure irrazionali, dai comportamenti meccanici.
Se è relativamente facile liberarsi da un nemico esterno, è molto più difficile, ma altrettanto doveroso, liberarsi dal nemico che portiamo dentro di noi, dalla nostra parte oscura e oscurantista.

Dobbiamo renderci conto di essere comunque degli schiavi. E che solo la consapevolezza può liberarci.

La purezza

Essere corrotti, essere impuri, non significa avere le mani sporche o avere a che fare con la materia.
Essere impuri è avere una mente annebbiata o torbida.
Non è la situazione in sé, ma è la nostra vista che crea la distinzione fra purezza e impurezza.

Quando si vede chiaro, anche in mezzo a cose sporche, si è puri.

La transitorietà

Ogni volta che viviamo una nuova esperienza chiudiamo qualcosa di vecchio e ci inoltriamo su una diversa strada. Questo può avvenire ad ogni età, ad ogni svolta, ad ogni bivio. Da una parte si muore e dall’altra si rinasce.
È il segno della realtà, del divenire, del tempo. Muore un istante e ne nasce un altro; muore un istante per farne nascere un altro.
A noi sembra di percorrere una strada lineare e di passare da un punto A ad un punto B. Ma la verità più profonda è un’altra.
Ogni evento ha due aspetti o due possibilità contemporanee: luce ed ombra, vita e morte, prima e dopo. E di volta in volta ci viene mostrata - o siamo noi che vediamo – una delle facce. Tutto dipende dalla nostra attenzione.

È la nostra attenzione che ci fa scorrere nel tempo e ci fa muovere nello spazio.

venerdì 24 aprile 2015

Ripensare Dio

Cercando di rendere Dio plausibile alla mente non si rende affatto un buon servizio alla trascendenza, perché la si inserisce semplicemente in categorie logiche e psicologiche umane. Questa è la grande colpa del cristianesimo, che ha fatto dell’incarnazione di Dio un antropomorfismo.
L’ateismo moderno non nasce dal semplice disincanto, ma è la conseguenza della riduzione di Dio ad una razionalità che finisce per annullare ogni trascendenza.
Il senso razionale di Dio - di un Dio Causa prima, Giudice, Protettore, Garante dell’immortalità, ecc., di un Dio inserito addirittura in una Sacra Famiglia – ha eliminato quell’ulteriorità di senso che fa di Dio qualcosa che è al di là della mente umana, al di là dei principi logici di non-contraddizione e di causalità.
In realtà Dio non può essere pensato dalla mente umana, con il suo dualismo. È evidente, per esempio, che tutti i contrari sono all’origine qualcosa di unitario, che però è quasi incomprensibile per la nostra logica e appena appena intuibile.

Tutto sommato, è più vicina alla creatività divina la meccanica quantistica, con la sua indeterminatezza e paradossalità, che la teologia.
Dobbiamo ripensare Dio, anzi "non-pensarlo". Avvicinarsi ad esso tenendo conto che i nostri strumenti mentali non sono sufficienti.

giovedì 23 aprile 2015

Il valore del meno

Noi siamo convinti che il successo nella vita consista nell’accumulare: più cose, più denaro, più proprietà, più potere, più amori, e così via.
Ma in campo spirituale vale il principio opposto. Più si toglie, più si sottrae, più si semplifica, più si elimina, più ci si libera… più si ottiene.
Dobbiamo disfarci dal superfluo e dalle sovrastrutture culturali e sociali per ritrovare la nostra essenza.

Come ci conferma l’antica saggezza del taoismo, dobbiamo riscoprire il valore del meno.

Il Super-Dio

I nostri computer elaborano migliaia, milioni o miliardi di informazioni in uno stesso istante.
Ma, se ci fosse un Supercomputer capace di processare tutte le informazioni dell’universo, che cosa sarebbe?
Dio.
Però questo Dio non sarebbe quello della fede. Perché non sarebbe interessato a che cosa succede nell’universo e perseguirebbe implacabile il proprio scopo.

Alla gente non interessa questa Supermente. La gente cerca un protettore.

mercoledì 22 aprile 2015

Il dopo vita

Ci occupiamo tanto delle teorie sul dopo-vita. Ma non ci interroghiamo mai sul pre-vita.
Qual era la tua faccia prima di nascere? si domanda lo Zen.
Il fatto è che la vita non incomincia solo al momento dell’incontro fra un ovulo e uno spermatozoo: è incominciata molto, molto prima – fra le stelle.

Il voler credere

La storia della “sacra” Sindone di Torino ci fa capire tante cose sul credente. Benché sia stato provato che si tratta di un manufatto medioevale, benché, quando apparve alla fine del Trecento, ne dubitasse subito l’arcivescovo di Liery e benché papa Clemente VII mettesse in guardia i credenti dicendo che era soltanto una sacra rappresentazione, la gente continua a credere che sia un’immagine di Gesù.
In sostanza, il credente vuole credere, indipendentemente dalla realtà.
La fede non è credere in qualcosa – è voler credere.
Ecco perché è inutile qualsiasi prova sull’inesistenza di un Dio che ci segue e ci protegge. È evidente che sia così.

Ma la gente vuole crederci, ha questa esigenza.

Un equilibrio delicato

L’esigenza spirituale ci consiglia di non legarci a nessuno e a nessuna cosa. Ed è facile capire il perché. Per non dipenderne.
D’altra parte, esiste l’esigenza, altrettanto importante, di non trasformarsi in pietre insensibili, in esseri anaffettivi e indifferenti, in aride monadi senza rapporti. Dobbiamo continuare ad essere vivi.
Insomma, un difficile equilibrio, un koan zen: amare senza attaccamento.
Ma questa è la sfida della vita.

Il problema non è diventare dei Superman, di essere superiori agli altri. Ma di essere superiori ogni giorno al “noi stessi” di ieri. In altre parole – crescere.

martedì 21 aprile 2015

Il matrimonio come pratica spirituale

Liberarsi del proprio ego è difficile, perché ognuno di noi è il proprio ego e, in realtà, non vuole perderlo. C’è voluto tanto tempo per formarsene uno e per farne uno strumento di identificazione e di sopravvivenza.
Ma si può lavorare su tante identità e ruoli sociali che sono sovrastrutture: per esempio quelle della professione. Io posso essere un notaio, un insegnante o un operaio, ma è chiaro che sotto queste funzioni c’è un vero uomo, una struttura che è molto più profonda e autentica.
Il sistema più semplice per liberarsi del proprio egocentrismo è amare qualcuno. Se amiamo una persona, automaticamente mettiamo da parte le nostre abituali esigenze egoiche per metterci a disposizione delle esigenze dell’altro.
Le grandi anime, quelle si mettono al servizio degli altri, usano in realtà questo sistema per uscire dai limiti – sempre limitati, sempre soffocanti e alla lunga sterili – del proprio ego.
Ma ognuno di noi può farlo quando si mette a vivere con qualcuno, quando forma un coppia o una famiglia. È per questo che il matrimonio viene considerato sacro in molte religioni.
Un monaco zen, Shozan Jack Haubner (nel suo libro Zen Confidential, Ultra, Roma, 2015), fa notare che “il matrimonio è la pratica spirituale perfetta: è faticoso, sessualmente frustrante, l’assassino dell’ultima illusione, pieno di notti oscure dell’anima e un antidoto perfetto all’idea che la tua vita appartenga solo ed esclusivamente a te.”

Ma lo è nella misura in cui ci si lavora sopra, dimenticandosi di ogni romanticheria ed essendo pienamente coscienti che si tratta di una vera e propria pratica spirituale – in realtà come ogni fase importante della vita. 

lunedì 20 aprile 2015

La migliore carità

Avete notato che una persona agitata o ansiosa diffonde agitazione nell’ambiente in cui si trova? Lo stesso vale per il nervosismo o per l’odio.
Non si tratta di magia, ma di una specie di contagio psichico.

Ebbene, fate il contrario. Siate calmi per diffondere la calma, la serenità e la pacatezza. Sarà la migliore carità che possiate fare a questo mondo confuso e nevrotico.

Dalla mente al respiro

Quando la nostra mente rimugina senza tregua pensieri, non siamo più padroni di noi stessi e sprechiamo energia.
Proviamo in quei momenti a spostare l’attenzione sulla respirazione. Entriamo nel respiro ed usciamo dai labirinti della mente.
Diventeremo più consapevoli, più calmi, più sensibili e più ricettivi.

La mente si snebbierà. Uscirà dai pensieri ossessivi.

L'addestramento spirituale

Quando ti alleni in uno sport, il tuo obiettivo è battere qualunque avversario.
Quando ti addestri nella meditazione, il tuo obiettivo è non considerare nessuno il tuo avversario. Ma non devi diventare un santo. Devi piuttosto imparare a non reagire secondo gli schemi abituali, genetici, psicologici e sociali, mettendo in opera un atteggiamento di osservazione e di distacco.

Esamina te stesso e l’avversario, e, poiché, vedi i processi in atto, sei in grado di dominarli e di non dare risposte scontate.

domenica 19 aprile 2015

Anatta: il non sé

Lo scoglio più grosso alla liberazione dell’uomo, al suo indispensabile salto evolutivo, è il problema dell’identità, è credere che una maschera superficiale sia il sé autentico.
Tutti gli scontri, i conflitti, le persecuzioni e le guerre si fanno in nome di un’identità: un’identità contro l’altra.
Ci sono identità etniche, nazionali, culturali, religiose e sociali, e tutte si scontrano, tutte vogliono il predominio, tutte si ritengono superiori.
In Turchia, per esempio, esiste il reato all’identità turca, che è stato fatto valere per lo sterminio degli armeni. Ma tutte le nostre guerre sono state scatenate da conflitti tra identità diverse. Non c’è verso di far capire agli uomini che quella che credono la loro identità è solo una sovrastruttura.
Immaginate: guerre che si combattono tra pupazzi travestiti. Io sono tedesco, razza superiore. Io sono bianco, razza superiore. Io sono musulmano, e il mio Dio è l’unico vero. Io sono ebreo, e Dio si è rivelato solo al mio popolo. Io sono un notaio e il mio ruolo è più importante del tuo. Io sono un potente e posso dettar legge. Io sono un padre e tu devi ubbidirmi. Io sono un politico e devo guadagnare dieci volte quello che guadagna un cittadino comune, eccetera, eccetera.
Tutti devono avere un ruolo, una casta e un marchio.
Il cristiano, per paura che qualcuno possa sfuggire alla marchiatura, si affretta a battesimarlo e a cresimarlo. Da ora in poi, sei mio. Mettiti l’armatura e vai a combattere la tua crociata.
Solo il buddhismo capisce che il problema non è quello di dare una nuova identità, ossia un nuovo travestimento, ma di fare capire come ogni identità sia posticcia, come il nostro ego sia comunque una costruzione vuota. Tanto rumore per nulla. Si combattono guerre sanguinose per poi scoprire siamo tutti esseri umani comuni, che abbiamo tutti le stesse esigenze.
Ma questo gli uomini non lo sopportano. Loro vogliono essere importanti, loro sono al centro di loro stessi, loro vogliono contare, loro vogliono prevalere. Guai a dir loro che sono nient’altro che una forma del vuoto. Noi siamo figli ed eredi di Dio!

Già, ma Dio che cos’è se non il grande Vuoto?

Il nostro destino

“Liberaci dal male”… ovvero: liberaci da noi stessi e dall’ignoranza su noi stessi.
Ma, per rendere più felice il nostro destino, è necessario diventare consapevoli, renderci conto di che cosa si agita dentro di noi.
Come diceva Jung, quando un fatto interiore non viene portato alla coscienza, si produce fuori come destino. In altri termini, quando un persona non diventa cosciente del suo antagonismo interiore, il mondo deve necessariamente esprimere quel conflitto e dividersi in due.

Ecco come la guerra interiore, non esplicitata, non riconosciuta, non illuminata dalla coscienza, diventa guerra esteriore – quella guerra da cui gli uomini non riescono a liberarsi perché non conoscono ciò che si agita dentro di loro.
Il nostro destino è veramente nelle nostre mani... chiuse a pugno.

sabato 18 aprile 2015

Essere qualcuno

Spesso la nostra spasmodica ricerca di essere “qualcuno”, riconosciuto socialmente (è ovvio), vuol nascondere la scoperta che - per noi stessi, dentro noi stessi - non siamo nessuno.
Cerchiamo e cerchiamo, ma non troviamo niente. Allora, non ci rimane che essere “qualcuno”… per gli altri. Come quelli che non credono in Dio, ma vorrebbero convincerne gli altri per convincere se stessi.
Ma è un’inutile inganno. Prima o poi si riaffaccerà la sensazione di non essere nessuno. Questa sì che è una rivelazione. Che tu sia un servo o un re, sei un essere umano come tutti – e come tutti sei destinato alla debolezza.
Scoprire che non si è nessuno è il primo passo della liberazione. Nessun obbligo, nessun impegno di affermare se stessi.

Ci spogliamo dei ruoli sociali, ci apriamo al mondo. Non abbiamo più il recinto dell’ego superbo che ci tenga separati.

Transgender

Qualcuno informi il Papa, il quale odia tanto la teoria del transgender, che la psicologia del profondo ha da tempo scoperto che siamo tutti polivalenti, nel senso che nel maschio c’è una parte femminile e nella femmina c’è una parte maschile.
E, se è vero che i sessi si differenziano, pur rimanendo complementari, è anche vero che all’origine vi è un modello unico.
Perché mai gli uomini hanno le tette e le donne un piccolo pene?

Perché “Dio” non spreca tempo ed energie, ed utilizza un unico stampo. Ecco perché ci sono omosessuali, bisessuali, lesbiche e transessuali. Siamo dunque già adesso tutti potenziali transgender.
Del resto, che cosa vorrebbe rappresentare un prete, con le sue sottane e la sua sessualità mascherata e ambigua, se non un transgender?

E Dio che cosa sarebbe? Un maschio, una femmina? O il trans per eccellenza?

venerdì 17 aprile 2015

Essere vivi

Noi ci sentiamo vivi non solo quando ci sentiamo felici, ma anche quando soffriamo.
E l’importante è proprio questo: sentirsi vivi, essere nel presente. La meditazione del sentirsi vivi è un genere di spiritualità che non rifugge la vita, ma l’abbraccia, comunque sia.
Diversa è la spiritualità di chi cerca di essere una specie di san Francesco auto-castrato. Più morto che vivo.
Lasciamo perdere coloro che si castrano per avvicinarsi a Dio, gli “eunuchi” religiosi, i vergini che rinunciano ai sensi, i preti e i monaci repressi, gli asceti che mortificano la carne.

Per queste persone la religione diventa un’arida e ipocrita trappola che soffoca la vita. E, come diceva Gesù, “Dio è il Dio dei vivi, non dei morti”.

L'ombelico del mondo

Tra gli effetti della meditazione c’è la capacità di uscire da se stessi, dal cerchio chiuso e soffocante del proprio sé, e guardarsi dal di fuori.
Questo avviene non attraverso un’analisi, come nella psicoanalisi, ma attraverso una presa di distanza.
In genere siamo talmente identificati con noi stessi, così monolitici, che non abbiamo né tempo né voglia di osservarci.
La pratica introspettiva non è un esercizio solipsistico, perché finisce per farci rendere conto che siamo frammenti di un mondo più vasto e che inglobiamo molti altri sé.

Insomma, in meditazione, non contempliamo solo il nostro ombelico. Piuttosto, il nostro ombelico diventa l’ombelico del mondo.

giovedì 16 aprile 2015

Le contraddizioni

La vita non è né coerente né piana né logica. Ci sono contraddizioni insolubili. Ci sono domande senza risposta.
Ma non bisogna né stupirsi né spaventarsi. Le contraddizioni, i contrasti, sono proprio all’origine – sono ciò da cui è scaturita la vita.
Non diceva Eraclito che la vita è conflitto?
Lascia perdere il Dio dell’amore, del bene e della pace. Dio è esplosivo e per niente pacifico.

Se credi che il tuo scopo sia eliminare i conflitti, ti sbagli. Accetta gli estremi dei contrasti. Sono entrambi tuoi.

Satori

Non ci si illumina solo sulle bellezze della vita, ma anche sulle bruttezze, anzi sugli orrori. Tutto ciò che ci colpisce come una mazzata sula testa, nel bene e nel male, con incontrovertibile chiarezza, è un satori – un attimo di illuminazione.
A volte ti rendi conto di quanto sei idiota, goffo o confuso. Anche quella è un’illuminazione.
A volte sei coinvolto in una tragedia. Anche quella è un’illuminazione.
Siamo anelli di un’unica catena, di una rete di catene.

Ciò che importa non è se si tratta di un evento bello o brutto, piacevole o spiacevole. Ma se è chiaro - se porta con sé una quantità di luce che può anche abbagliarti e farti male agli occhi, come la luce accecante di un ghiacciaio.

mercoledì 15 aprile 2015

L'esperienza "pura"

Un’esperienza “pura” non è un’esperienza disincarnata e asettica, non è il contrario dell’impuro. E non è al di fuori della materialità dell’esistenza. Non è il puro spirito di cui si fantastica.

Si può fare un’esperienza “pura” di qualsiasi cosa, anche di ciò che è comunemente considerato impuro. La purezza riguarda l’esperienza, non l’oggetto.
Si può fare, per esempio, un'esperienza pura del corpo e del sesso. Anzi, questa può essere molto più pura di una morta esperienza "religiosa". 
Quando sei più vivo, sei più puro.
 E' come un diamante che nasce dal carbone o un fiore che nasce dal concime.

L'io politico

L’illuminazione è riuscire a guardar il mondo e noi stessi senza l’interferenza e l’interpretazione dei pensieri. Si potrebbe dire che è un’esperienza “pura” della realtà, un’esperienza dove ci si dimentica di chi siamo, del nostro ego, e travalichiamo perfino il rapporto conoscente-conosciuto.
Ma il paradosso è che è difficile toglierci di mezzo, proprio perché partiamo dall’ego che ricerca, che vuol realizzare qualcosa, che vuol raggiungere un traguardo, che si sente importante.

È come chiedere ai politici di abbassare i loro emolumenti.

La vita dello spirito

Noi non dobbiamo diventare santi (questo, mai!). Non dobbiamo diventare asceti rinsecchiti che non sanno più che farsene della vita. Ma dobbiamo sviluppare una vita spirituale che ci permetta di non ridurre tutto alla dimensione mondana. E chiunque può farlo, al di là delle religioni precostituite. Sono la ricerca personale, il raccoglimento, la riflessione e la meditazione, che ci consentono di non limitarci alla superficie dei fenomeni, degli avvenimenti, dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni. C’è sempre qualcosa di più.
Quel di più, assolutamente individuale, “nostro”,originale - è la vita dello spirito.

Non esiste una dimensione collettiva dello spirito.

martedì 14 aprile 2015

La via buddhista

Il monaco bengalese Atisha, nato nel 980 d.C., offre questa sintetica descrizione della via buddhista:
“La dote suprema sta nella realizzazione dell’inesistenza del sé. La nobiltà suprema sta nel saper domare la propria mente. L’eccellenza suprema sta nell’avere l’atteggiamento di chi vuole aiutare gli altri. Il precetto supremo è la consapevolezza continua. Il rimedio supremo è la comprensione della trascendenza intrinseca di ogni cosa. L’attività suprema è il non conformarsi agli interessi mondani. La realizzazione mistica suprema sta nel ridurre e nel trasformare le passioni. La carità suprema sta nel non provare attaccamento. La moralità suprema sta nell’avere una mente serena. La tolleranza suprema sta nell’umiltà. Lo sforzo supremo sta nell’abbandonare l’attaccamento ai beni materiali. La meditazione suprema sta nella mente senza pretese. La saggezza suprema sta nel non interpretare la realtà per quello che sembra” [da Mark Epstein, La lezione della serenità, Vallardi, Milano, 2014].

Ovviamente si tratta di un ideale perfetto – mentre noi siamo così imperfetti. Ma ci dà comunque un’indicazione della direzione da seguire.

La pulsione di morte

La pulsione di morte, che Freud non riusciva a spiegare, per noi “orientali” non è difficile da capire. Come mai può essere più forte dell’istinto di vita?
Il fatto è che la vita è fatta per la morte. Non è vero che vita e morte si escludano a vicenda: sono complementari. Ciò che ha conformato la vita ha anche conformato la morte (e la psiche umana).
Quello che noi chiamiamo “istinto di sopravvivenza” è solo l’altra faccia dell’istinto di morte, e viceversa.
In breve, chi vuole la vita vuole anche la morte.
Ed è un attimo passare dall’uno all’altro, come in tutti gli opposti complementari.
Quando la persona amata vi tradisce, in un attimo passate dall’amore all’odio.

Ora, dov’era nascosto tutto quell’odio? Dove, se non nella natura stessa dell’odio-amore?

lunedì 13 aprile 2015

Il dramma dell'uomo

Il dramma dell’uomo è che ha un’intelligenza sufficientemente sviluppata per porsi delle domande, ma non così sviluppata da darsi le risposte.

Il problema è che le risposte a “quelle” domande non possono essere dare con la stessa logica che le ha poste, ma con un salto logico, con una diversa impostazione mentale, al di là del dualismo conoscente-conosciuto, al di là anche dell’identificazione con il solito ego.

Il Tutto e le esigenze individuali

Tutti prima o poi invocano Dio.
Ma, se Dio desse retta a tutti, alle esigenze di ognuno, il mondo entrerebbe nel caos. E, piuttosto che il caos, è meglio un ordine, per quanto duro e inflessibile, indifferente alle nostre pretese.

No, siamo noi che dobbiamo adeguarci alle esigenze del Tutto e capire quando le nostre aspirazioni personali sono in armonia con il quadro generale – e quindi realizzabili.

domenica 12 aprile 2015

I problemi della preghiera

Il curatore della mostra sulla preghiera nel mondo (“Pregare, un’esperienza umana”, alla Reggia di Venaria), l’antropologo e architetto Franco la Cecla, si è messo le mani nei capelli. Voleva far vedere come nella preghiera delle varie religioni - Induismo, Buddhismo, Islam, Ebraismo e Cristianesimo cattolico ed orientale – vi fosse uno slancio comune. Ma subito si è accorto che ogni religione tende a distinguersi dalle altre: la mia preghiera è più bella della tua, il mio Dio è più bello del tuo.

Così tutti litigano e il povero La Cecla confessa sconsolato di essere finito in un ginepraio, perché “chi crede non sopporta che il proprio pregare sia un anelito universale.” 
Insomma chi crede che le religioni possano portare la pace nel mondo non conosce né le religioni né gli uomini.

Astenersi dal sé

Parlando dei benefici del sonno, Michele Serra scrive che una buona dormita ci fa sentire felici perché, per qualche ora, ci asteniamo da noi stessi, dai problemi del nostro ego.
E aggiunge che astenersi da se stessi è “una delle grani vie d’uscita dell’uomo.”
Ecco una profonda intuizione spirituale. Mantenere la menzogna imposta dall’ego è una fatica continua, uno sforzo di continua falsificazione e prevaricazione.

Per fortuna c’è il sonno, che per un po’ ci toglie a noi stessi. Volendo, c’è anche la meditazione, che su questo punto – del liberarsi dalla pretese e dalla presunzione dell’ego – batte e ribatte.

sabato 11 aprile 2015

Il nostro karma

Come si fa a non credere al karma, cioè ad un destino in qualche misura predefinito?

Ciò che oggi chiamiamo DNA, che cos’è se non un percorso, un patrimonio che ci hanno predisposto i nostri avi e con cui dovremo fare i conti tutta la vita?

A mani vuote

Solo se abbiamo le mani vuote, possiamo prendere qualsiasi cosa.
Solo se abbiamo la mente vuota - ossia senza preconcetti, non attaccata a niente, pronta a lasciar perdere ogni cosa superflua -, potremmo afferrare l’essenza delle cose.
Ecco perché un prete, un filosofo e un credente, insomma gli uomini con la testa piena di pregiudizi, di dogmi, di credenze, di certezze e di fede, sono i più lontani dalla verità.

“Solo se siamo vuoti, possiamo contenere l’Universo” diceva Bodhidharma.

Il divenire del sé

Se vivessimo 200 anni, ci renderemmo conto che il nostro sé non è un nucleo fisso, ma un centro mutevole che diviene.

Se poi vivessimo mille anni, e ci ricordassimo di quando eravamo bambini, ci renderemmo conto che non siamo più gli stessi, ma che siamo impercettibilmente e continuamente cambiati, fino ad essere diventati degli altri.
Ciò per dire che l'uomo non può rimanere a lungo se stesso, il che rappresenta anche il motore dell'evoluzione e della "reincarnazione".

venerdì 10 aprile 2015

Persecuzioni religiose

Oggi leggo che una scuola USA rifiuta un professore perché gay. Nello stesso tempo il Vaticano non accetta l’accreditamento dell’ambasciatore francese perché è omosessuale.
La Regione Lombardia (in mano ai cattolici) è stata condannata dal Consiglio di Stato perché aveva messo a pagamento la fecondazione eterologa (osteggiata dalla Chiesa)…
E questa sarebbe la “religione dell’amore?”
Ma il Papa non aveva detto: “Chi sono io per giudicare?”
Non solo giudicano, ma discriminano, puniscono, perseguitano.
Sono i "religiosi".

Le condizioni della crescita

La prima evidenza è che nessuna cosa è separata e separabile dalle altre.
La seconda evidenza è che nessuna cosa è permanente.
La terza evidenza è che nessuna cosa è sempre uguale a se stessa, fissa, costante, immutabile. Perché tutto è soggetto ad un continuo mutamento.
Questi tre aspetti sono correlati.
L’interdipendenza, l’impermanenza (o la permanenza temporanea) e la mutevolezza che sembrano a prima vista dei limiti, sono in realtà ciò che permette la trasformazione, l’evoluzione. Se fossimo esseri isolati, permanenti e immutabili non potremmo crescere.
Anche se devo ammettere che sono sempre me stesso, devo anche riconoscere che sono cambiato, nel bene e nel male. A cinquant’anni sono diverso da quello che ero a cinque. Sono cresciuto. E niente e nessuno può bloccare questa crescita, così come niente e nessuno può fermare il tempo.

Nessuno può rimanere a lungo se stesso. Dunque, il sé che noi consideriamo il nostro bene più prezioso, non è un nucleo immutabile, ma un cuore in continua trasformazione. E per far questo deve contenere parecchio vuoto.

Ingegneri dello spirito

L’ego è indispensabile a vivere. Ma è un costrutto fragile e temporaneo. È come un’impalcatura che, una volta costruito il palazzo, va tolta.

La morte è appunto la rimozione dell’impalcatura-ego. Alla fine, rimarrà solo il palazzo che avremo costruito.

La grande illusione di Dio

La grande illusione del cristianesimo e di altre religioni teiste: credere che Dio sia una persona cui stia a cuore il nostro benessere individuale.
Errore. Dio è impersonale e indifferente. Non risponde in nessun modo alle grida di aiuto dei disperati. È mai intervenuto a salvare bambini, donne, uomini o popoli massacrati?
Il mondo gira così come è stato impostato fin dall’inizio (ammesso che ci sia stato un inizio e che non sia un continuum).
Siamo noi che dobbiamo intervenire a salvaguardare i nostri destini. E non possiamo farlo se perdiamo tempo ed energie a pregare un Dio che è solo un’idea della nostra mente.

Piuttosto, dobbiamo curarci proprio della nostra mente. Perché da lei dipende il nostro modo di recepire il mondo (bello-brutto, piacevole-spiacevole, doloroso-gioioso, ecc.) e di rapportarci con la realtà – dunque di determinarla.

giovedì 9 aprile 2015

L'ego e la guerra

L’ego e la guerra sono la stessa cosa. Perché l’ego deve affermare se stesso contro gli altri.
Senza questa consapevolezza, l’ego è come una pianta infestante e come un parassita, che si ferma solo quando ha distrutto l’ambiente o il corpo che ha aggredito.
Difficile scommettere sul futuro di un’umanità che appare, senza rendersene conto, inguaribilmente malata di egocentrismo.
Fra l’altro, sono proprio gli individui più egocentrici e squilibrati che finiscono al potere. Hitler, Stalin, Napoleone, Gengis Khan, Alessandro Magno e compagnia bella. Queste persone non sono guidate dalla ragione (qualcosa che ha in sé l’idea di misura), ma uno smisurato senso dell’ego.
Per esempio, perché oggi Putin vuole conquistare altri territori? La Russia non ne ha abbastanza?
No, per l’ego privo di autocoscienza, niente è abbastanza. Vuole il dominio del mondo.
L’uomo non riesce a porsi un limite, a frenarsi, ad accontentarsi, ad apprezzare ciò che ha già. Non riesce a vedere la propria smisurata volontà di potenza.
Inutilmente i saggi parlano di amore e di consapevolezza. Sono sempre i bruti e gli inconsapevoli che vanno al potere e scatenano guerre.
L’uomo resta in balia della propria mania di grandezza, del proprio delirio di onnipotenza. Nessuno sembra in grado di guardarsi dentro.
Ogni ego ritiene di essere il più importante del mondo, il centro dell’universo, il “figlio di Dio”. Ogni ego si considera superiore agli altri.
Stando così le cose, come dare un futuro all'umanità? Oggi le armi nucleari sono in mano a pazzi criminali che vanno immancabilmente al potere.

E nessuno fa notare a questi pazzi che il loro ego è inconsistente come un sogno. Nessuno insegna agli uomini a farsi un esame di coscienza, a rendersi conto che, al fondo, quell’ego è vuoto. Poverini, non bisogna creargli un trauma: potrebbero mortificarsi e finire depressi.

La grande menzogna

Fino a ventinove anni, il Buddha, fu tenuto isolato e iperprotetto nella reggia paterna, dove gli fu nascosta ogni miseria della vita. Ma un giorno egli uscì e si imbatté in un malato, in un vecchio e in un morto. Grande Crisi. Grande Shock. Grande Trauma.
Capì che gli erano state nascoste le brutture della vita, l’”altra faccia” dell’esistenza.
Ma lo stesso succede a ciascuno di noi. Da piccoli i genitori ci tengono nascosti i lati sgradevoli della vita, anche per giustificarsi del fatto che ci hanno messi al mondo. Inevitabile il trauma.
Ma, nonostante ciò, qualcuno continua a raccontarci quanto sia meravigliosa l’esistenza e a nasconderci i lati peggiori: i preti, i film, la pubblicità, certi artisti e i mass media governativi, che ci dicono: “Se siete persone sensibili non guardate le immagini che seguono”.
Così va avanti la grande menzogna. Così s’indora la pillola.

Nessuno ci informa su quanto sia dura e insoddisfacente la vita. E, d’altra parte, nessuno ci chiede il permesso di metterci al mondo. Ci dicono che è una grande fortuna e che ne valeva certamente la pena. Sarà… Ma, quando ci mettono al mondo, nessuno pensa ai pro e contro, nessuno è in grado di fare un bilancio imparziale, nessuno è veramente lucido – lo droga del sesso serve a questo stordimento generale.

mercoledì 8 aprile 2015

Oltre la mente

Siamo tutti figli di un’ulteriorità, di un Oltre. Ma non umanizziamolo. Non applichiamogli le nostre categorie di bene-male, di trascendenza-immanenza, di mente-corpo, di soggetto-oggetto, di conoscente-conosciuto, di origine-fine, ecc. Quando definiamo l’Origine, l’Oltre, in termini di essere, causa prima, primo motore, eternità, principio, fonte, coscienza universale, uno-tutto, amore, potenza, bene, volontà, conoscenza, giustizia, signore, padre, figlio, spirito, verbo, ecc., riduciamo Dio a un semplice idolo della mente.
L’Oltre non va inteso in senso spazio-temporale, ma proprio come l’ulteriorità dello spazio-tempo, e quindi del prima e del dopo, qualcosa che non è pensabile, ma solo contemplabile dal punto di vista della non-mente. Infatti, qualunque punto di vista non può che essere parziale; ed è solo assumendo la parzialità di tutti i punti di vista che si attinge, in un attimo, il non-punto di vista. Che non è né mancanza dei punti di vista, né l’insieme dei punti di vista, ma l’Oltre. In un attimo lo si coglie e in un attimo lo si perde.
A questo punto (o non-punto) si può arrivare con un salto logico: un’apprensione senza ragionamento, un’intuizione al di là della mente, un’apertura, uno scatto.
La meditazione non è un’operazione di apprensione logica, ma un tentativo di cogliere la realtà con la non-mente.
Questo può avvenire solo dopo che la normale attività mentale è stata messa in stallo, essendo stata posta di fronte alle proprie insolubili contraddizioni logiche.

Esistono posizioni psico-fisiche che favoriscono tale apprensione.

La realtà come insieme

Non dobbiamo fissare l’attenzione né solo sui nostri concetti né solo sui nostri stati d’animo e le nostre reazioni emotive., ma sulla realtà d’insieme, intesa come la situazione che dà origine in questo momento, in questo spazio e in queste circostanze, ad un  soggetto, ad un oggetto e alle relazioni tra i due.
Questo insieme, che si trasforma di continuo, è la realtà, né oggettiva né soggettiva.
Ciò che percepiamo è anche ciò con cui percepiamo. “Noi creiamo il mondo con i nostri pensieri” diceva Il Buddha. Ma, in effetti, è anche il mondo che crea i nostri pensieri.
La realtà di questo momento è un tutto unico e inestricabile di soggetto, oggetto, relazione e mondo. Questo noi siamo.

Per coglierla, è necessario uscire dal solito rapporto conoscente-conosciuto. Diventare un tutt’uno.

I limiti della ragione

Per noi, la verità è semplicemente una risposta della mente razionale ad una domanda che essa stessa si pone. Questo ci soddisfa.
Invece la verità è molto più ampia e complicata delle domande e delle risposte della nostra piccola ragione.

È qualcosa che va al di là della razionalità.

martedì 7 aprile 2015

Il dolore di vivere

Noi vediamo la reincarnazione come la possibilità di avere più di un’esistenza, come un mezzo per continuare a vivere sotto forme più o meno diverse, una specie di “eterno ritorno” di Nietzsche.
Ma in Oriente la vedono come una condanna. Gli orientali vorrebbero liberarsene, vorrebbero finalmente uscire dal ciclo delle nascite e delle morti per approdare all’infinito da cui proveniamo. Perché la vita, per quanto possa essere bella e fortunata, è pur sempre un alternarsi di gioie e di dolori, oltretutto distribuite non equamente tra gli individui.
Insomma, la continuità della vita, in Oriente, non è considerata qualcosa di positivo, dato che non fa che protrarre lo stato di insoddisfazione, di mancanza, di desiderio e di sofferenza-insofferenza. La vera meta è mettere fine a questa altalena (samsara), è il brahman, che non è, come il nostro ingenuo Dio, il bene e l’amore, ma ciò che si pone al di là del bene e del male, dell’amore e dell’odio, del sé e dell’altro.

Quanta differenza rispetto alla nostra povera civiltà occidentale del benessere, del consumismo, della ricchezza e del progresso illusorio – come se tutte queste cose potessero toglierci il dolore di vivere.

lunedì 6 aprile 2015

Studi sulla meditazione

Studi medici dimostrano che la meditazione riduce il livello di cortisolo, l’ormone dello stress. È questa la prima fase della meditazione, che cerca uno stato di quiete.
Ma poi incomincia la seconda fase, che è rivolta allo sviluppo della consapevolezza (di sé, degli altri e del mondo) e alla gestione degli stati d’animo più perturbanti (ira, odio, avversione, depressione, invidia, gelosia, rivalità, ecc.).

È giusto che la pratica della meditazione sia introdotta nelle scuole, dove può contribuire a creare uomini migliori, non fanatici in preda ai propri impulsi irrazionali e/o religiosi.

La legge della trasformazione

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma: questa è una legge scientifica (leggetela su internet).
E, in effetti, quando un essere vivente nasce, non viene dal nulla, ma da preesistenti genitori. Non compare dal nulla; è il risultato di una lunga evoluzione, è una trasformazione. Anche quando muore, non scompare di colpo: resta un corpo che viene a poco a poco riassorbito, e resta una mente che non si ferma istantaneamente ma continua per un po’ a lavorare.

Non finirà nel nulla, come mancanza o vuoto assoluto. Ma si trasformerà in qualcos’altro.