martedì 31 dicembre 2019

Parole al vento


Nel buddhismo tibetano esistono varie classificazioni su molti aspetti del funzionamento mentale che ci possono essere utili ancora oggi per distinguere e capire i nostri comportamenti. Per esempio, si classificano le virtù, ma anche le non virtù. E fra le non virtù ci sono quelle che riguardano la parola.
La prima è la menzogna, la seconda è la parola che crea disarmonia, la terza è la parola aspra e la quarta è la chiacchiera inutile. Se applichiamo questa classificazioni agli uomini di oggi e a noi stessi, chi si salva? Quante volte, con le parole, diciamo bugie, creiamo conflitti, trattiamo male, offendiamo o insultiamo? Molte volte certamente.
Ma le chiacchiere inutili o oziose? Qui non si salva nessuno. Perché noi non abbiamo più un’idea del valore, della funzione e della preziosità delle parole. Noi parliamo tanto per parlare e sprechiamo questa fondamentale risorsa, che è in grado di cambiare il mondo, in bene o in male.
Se avessimo le parole contate, diventeremmo improvvisamente consapevoli della funzione sacra della parola e non la sprecheremmo a casaccio.
Impariamo per lo meno a stare a lungo in silenzio. Allora ci appariranno chiare la vanità, l’inutilità e la dannosità di tante parole. E parleremmo pesandole, una ad una.

Conquistare l'originalità


Il termine “originale” ha due significati: essere unici ed essere vicini all’origine. Per esempio, una persona ha pensieri e comportamenti originali, perché li ha solo lei e non altri. Oppure, un comportamento o un prodotto può essere originale rispetto a un altro che è falso.
Se noi abbiamo la mente confusa e offuscata, se non esercitiamo l’attenzione e la presenza mentale e interpretiamo ogni esperienza in base a comportamenti e idee preesistenti, non possiamo essere originali in nessuno dei due sensi. Siamo conformisti e ripetitivi, siamo uomini di massa. Ciò che pensiamo e facciamo è quello che fanno tutti.
Ma come riuscire ad essere originali?
L’importante è riuscire a osservare le nostre interpretazioni, le nostre reazioni e le nostre proiezioni. Perché il problema è proprio questo: tutti tendiamo a interpretare, ad agire, a reagire e a proiettare secondo schemi comuni – e quindi siamo inautentici.
Finché non ci fermeremo e non esamineremo questo potente meccanismo di condizionamento e di omologazione, non potremo essere originali – saremo solo copie o cloni.
L’individualità deve essere conquistata. Quando siamo giovani, siamo ancora prodotti sociali e culturali e abbiamo una scarsa originalità. E solo con lo sviluppo della consapevolezza possiamo riuscire ad essere autenticamente noi stessi. Si tratta più che altro di un processo di spoliazione dei pensieri, dei comportamenti e delle maschere comuni.


lunedì 30 dicembre 2019

Per combattere lo stress


Regola prima per combattere lo stress: considerare il mondo, la vita, noi stessi, come un film, uno spettacolo, una rappresentazione, in modo da prenderne le distanze. In fondo siamo tutti apparenze, brevi riunioni di atomi e molecole che ben presto si dissolveranno. Ciò che viviamo dipende dal modo in cui lo viviamo: se ci crediamo seriamente, pesantemente, letteralmente, se crediamo che tutto sia reale e materiale, saremo soggetti ad alti e bassi continui, a continui traumi e tensioni. Se invece lo considereremo come uno spettacolo di cui noi siamo spettatori - anche quando ci riguarda direttamente! - prenderemo tutto con distacco e con filosofia, e non permetteremo agli eventi di trascinarci su e giù a loro piacimento. Non saremo più marionette i cui fili sono tirati dagli altri, in balìa del mondo e del destino. Distacco, dunque.
             Lo so che talvolta la vita diventa drammatica - ma lo è nei limiti in cui le permettiamo di incidere così su di noi. Se continueremo a considerare tutto una specie di film, una specie di commedia, niente sarà più così drammatico.
             In fondo, il peggio che possa capitarci è di morire. Ma anche la morte non è che una rappresentazione. Nessuno di noi nasce veramente e nessuno di noi muore veramente... vivere e morire sono soltanto apparenze, balletti, danze, commedie sul grande schermo dell'universo. Quando moriamo, usciamo finalmente dallo schermo e ci vediamo per quello che siamo… forse nulla.
E anche se ci fossero altre dimensioni, con tanto di paradisi, inferni e purgatori, non sarebbero che altre apparenze.
        Noi italiani, poi, siamo bravissimi a recitare. Per esempio, tutta la nostra vita politica è soltanto una commedia. Mai nessuno fa niente di serio, nessuno risolve nessun problema. Recitiamo nella vita pubblica e nella vita privata. Siamo tutti personaggi di una commedia dell'arte.
       Non a caso, il nostro libro base è la "Divina Commedia".


La natura mutevole della felicità


Noi vorremmo che certe esperienze piacevoli fossero stabili e prolungabili. Ma non è così. La felicità, il piacere e i desideri vanno a ondate e cambiano di continuo. (Per fortuna, anche l’infelicità, i dolori e le sofferenze).
Di solito siamo convinti che la felicità consista nell’ottenere ciò che desideriamo. E ci diciamo: quando otterrò quelle cose sarò felice.
Però ottenere tutto quel che si desidera è difficile (qualcuno sostiene che sarebbe l’inferno) e, inoltre, una volta ottenuto qualcosa, subito dopo incomincia l’insoddisfazione.
Allora molto meglio cercare di goderci quel poco che abbiamo … mentre cerchiamo di ottenere quel che non abbiamo (e che forse non avremo mai).
D'altronde, che cos’è la felicità? Uno stato di soddisfacimento, d’accordo. Ma quanto può durare?

“La felicità nasce dall’avere poche esigenze”
                              Dhammapada

domenica 29 dicembre 2019

Morte e dissoluzione di Dio


L’artista, il creatore, muore, ma lascia la sua opera dietro di sé. Dio, l’Origine, fa qualcosa di più: si dissolve, anzi si scioglie nella sua opera: l’universo.
Ogni cosa, dunque, è un pezzo del divino: l’uomo, la gallina o il sasso. A questo punto, non serve a niente pregare Dio, perché quel Dio dell’origine non c’è più. In tal senso Dio è morto. Ma, poiché ogni cosa è un frammento del divino, Dio è dappertutto: nel sasso, nella gallina o nell’uomo.
L’uomo, che ne può avere coscienza, sa che non deve rivolgersi in alto e al di fuori di sé. Basta che si rivolga a sé, dentro di sé: lì c’è il divino.
Gli antichi cabalisti ebraici parlavano di tzimtzum, per indicare la ritrazione o la contrazione di Dio, che, così facendo, lasciava il posto al creato. Dio ha contratto la sua energia infinita per consentire l’esistenza di un cosmo indipendente.
Risultato Dio non c’è più, Dio è morto.
Puoi dunque dire tanto che Dio c’è quanto che non c’è. Non c’è più nella sua forma originale, ma c’è in modo sparso.
Il divino è noi, il divino è noi, purché si sappia dove cercarlo. Non fuori, ma dentro, in sé.

sabato 28 dicembre 2019

I paradossi della vita


La vecchiaia ha una sua utilità, in quanto – come diceva Sőren Kiekegaard - la vita può essere compresa solo andando indietro… ricordando e riflettendo. Ma sappiamo anche che può essere vissuta solo andando avanti. E qui per il vecchio ci sono problemi.
Inoltre, pochi traggono lezioni dal passato e dalla storia, proprio perché sono tutti protesi ad andare avanti.
In effetti, l’esperienza non è semplicemente ciò che ci accade, ma come consideriamo ciò che ci accade.

venerdì 27 dicembre 2019

L'incertezza della realtà


Spesso le persone appaiono sicure, troppo sicure, nell’affermare o negare fedi religiose. Per esempio, esiste o non esiste Dio?, Gesù è o non è Dio?, Maometto è l’unico profeta di Dio?, nella Bibbia, nei Vangeli o nel Corano tutto è verità e rivelazione divina?, dopo la morte c’è o non c’è un’altra vita?, ecc.
In realtà nessuno sa niente, sono affermazioni di fede, ma la prova non c’è. E spesso si tratta di proiezioni psicologiche. Se per esempio hai perso il padre in tenera età, potresti cercarne uno eterno in cielo. Ma se hai avuto un brutto rapporto con il tuo padre terreno, difficilmente crederai in Dio. Lo stesso dicasi con la madre: se ne hai nostalgia, crederai in una Madre celeste; ma se hai avuto brutte esperienze materne, lascerai perdere…
La verità è che non possiamo essere certi di nulla, perché non possiamo aver esperienza di queste figure religiose o di paradisi ultraterreni. Anzi, più siamo rigidi nelle nostre affermazioni o negazioni, più riveliamo la nostra fragilità.
Se volessimo essere intellettualmente onesti, dovremmo ammettere che si tratta di nostre idee che potrebbero o non potrebbero essere vere.
Più umano, più equilibrato è sospendere il giudizio, è essere incerti, è accettare la nostra insicurezza. Se non altro, saremmo meno fanatici e avremmo una mente e una personalità più accogliente.
La verità, se è qualcosa di reale, è sempre incerta e pronta a revisioni. Diffidate di chi ha fedi rocciose e prive di dubbi.
Se tutto è cangiante e impermanente, anche la nostra verità-realtà lo è.

Gesù bambino


In questo periodo natalizio è tutto un rimbambimento, con Padri eterni, Madri eterne e naturalmente Figli eternamente bambini infilati nei presepi o nelle chiese oppure in mano a politici intriganti e ipocriti.
Decisamente, il cristianesimo è la religione di uomini rimasti ad uno stadio infantile.
Cresceranno mai?

giovedì 26 dicembre 2019

Domande e risposte


Non è facile rispondere alle eterne domande su chi siamo, se abbiamo un’anima e se esiste un Dio. La risposta potrebbe essere un sì o un no. Ma forse le domande sono poste male, perché da come sono poste le domande, si può rispondere solo in due modi… troppo poco, troppo insoddisfacente, troppo vecchio.
Più difficile è cercare risposte a domande che non sappiamo nemmeno formulare. Questo è il problema: se quelle domande che non portano mai a nulla, vanno riformulate. E, riformulandole, vengono nuove risposte.
O forse, più semplicemente, è meglio smettere di pensare in termini dualistici e cercare di vedere, di sentire, di percepire senza schermi e schemi mentali.
Per esempio, se la domanda è “chi sono io?”, la risposta non deve più venire da una razionalizzazione, ma da una percezione della consapevolezza. Non si tratta di pensare, ma di vedere. Aprire gli occhi e vedere in modo nuovo.

Le maschere e il volto


Continuamente ci dimentichiamo di essere consapevoli della nostra più profonda identità – che non significa essere questo o quello, ma essere consapevoli e basta. Perché il nostro nucleo fondamentale è proprio la pura consapevolezza gioiosa.
Continuamente ci facciamo cogliere dalle identità famigliari, nazionali, sociali, religiose, ecc., che sono semplici sovrapposizioni o maschere.
Così ci facciamo coinvolgere in false identità e ci allontaniamo dal vero sé.
Dovrebbe essere il contrario: distacchiamoci dalle identità posticce e coinvolgiamoci nel nostro essere più autentico. Tanto per cominciare, basta anche un ricordo giornaliero.
Io mi ricordo di essere consapevole, io sono consapevole di essere consapevole. Questa è la mia ultima o prima identità – il resto è un sovrappiù, un peso, una maschera.

mercoledì 25 dicembre 2019

Le infelici identificazioni


Le identificazioni che provocano infelicità sono quelle con la nazione, la famiglia, la religione, il mestiere, la professione, il ruolo, il genere sessuale, ecc. Fino a un certo punto danno un po’ di sapore alla vita, ma oltre un certo limite sono dannose.
Alla fin fine ognuno è ciò che è indipendentemente da queste identificazioni. Se cambio nazione, non sono più ciò che sono? Se cambio religione, se cambio ruolo, se cambio professione, se cambio genere sessuale…. non sono più ciò che sono?
Se avessi un altro nome o un’altra forma non sarei più ciò che sono? È chiaro che tutte queste identificazioni aggiungono qualcosa, ma il nucleo profondo rimane quello che è.
Ma qual è allora la nostra più profonda identità? Questa è una domanda che ci poniamo spesso, anche se non sappiamo rispondere.
In realtà, in tanti momenti non pensiamo affatto alla nostra identità o alle nostre varie identità. Quando ci svegliamo la mattina, ci vuole qualche secondo per ricordarci chi siamo e a che punto eravamo rimasti. Oppure, quando siamo tranquilli, sereni e rilassati, senza desideri particolari, non ci poniamo affatto il problema della nostra identità. Sappiamo di essere e tanto ci basta.
E, quando non ci poniamo questo problema, siamo leggeri e felici. L’identità sociale o psicologica è un pensiero, un peso. Possiamo anche non averla e non ce ne importa niente. Sappiamo di essere, siamo consapevoli di essere, siamo consapevoli. E ci va bene così.
Meno identificazioni ci sovrapponiamo, più siamo felici. Al limite, se siamo solo consapevolezza, siamo beati e non cerchiamo altro.
Togliamoci dunque dalla testa l’idea di essere questo o quello, spogliamoci delle identificazioni-identità come ci togliamo dei vestiti e rimaniamo nudi. La nuda consapevolezza basta e avanza. Non è legata né al corpo né alla mente ed è candidata ad essere ciò che ci sopravvive dopo la morte.


martedì 24 dicembre 2019

La preghiera sbagliata


Nelle religioni teiste, quando si prega, si è convinti che esista un qualche potere esterno da rabbonire o da ingraziarsi. Se esistesse una figura del genere, un Signore onnipotente, responsabile di tutto, è chiaro che sarebbe conveniente stabilire con esso una relazione privilegiata, in modo da ottenere qualche protezione o qualche beneficio. Nasce così la preghiera, che è un tentativo, un po’ untuoso e vergognoso, con cui il povero cerca appoggio e sostegno presso il potente. Naturalmente deve prostrarsi e rinunciare alla propria dignità. E, se ha delle buone conoscenze, è bene cercare raccomandazioni.
Il sistema sarebbe abbastanza ignobile, umiliante e soprattutto inutile se non fosse che l’orante, mentre cerca protezione dall’Alto, svela e mobilita le proprie aspirazioni e forze più profonde. Dunque, pur sbagliando il bersaglio, può ottenere lo stesso dei benefici.

In fondo, tutto ciò che è esteriore è stato prima interiore, è una proiezione di un’interiorità universale. Ogni cosa si sviluppa dall’interno, proprio come un seme che ha già in sé tutte le potenzialità per crescere.

Il primo autore del male


Nel libro della Genesi, si dice che Dio creò il cosmo separando la luce dalle tenebre… come se fosse possibile, come se non fossero complementari, come se la luce non dipendesse dalle tenebre e viceversa.
Tant’è vero che ancora oggi le tenebre avvolgono e compenetrano la luce, e basta poco a vederle riapparire.
Poi va avanti a dividere il bene dal male e le femmine dai maschi… come se non fossero anche loro complementari.
Infine, divide gli uomini dando loro lingue diverse, in modo che si confondano e non si comprendano.
Insomma, nella Bibbia, mentre si addossa all’uomo l’origine di tutti i guai, è evidente che il primo autore del male è Dio stesso. Perché il male è la divisione, con l’ignoranza dell’unione fondamentale che ne consegue nelle confuse menti umane.

Con l’emergenza degli esseri coscienti, tocca ad essi rimediare alle malefatte divine, cercando di riunire ciò che Dio aveva diviso.

lunedì 23 dicembre 2019

Risvegliarsi dal sonno comune


In meditazione rivendichiamo il nostro diritto ad essere liberi da coazioni di sorta, tanto nel piacevole quanto nello spiacevole. Questo significa andare talvolta controcorrente. Non una sterile rivolta contro la norma, ma la ricerca solitaria della liberazione, che è alla fin fine lo scopo della meditazione.
Tutti siamo capaci essere soddisfatti quando riceviamo lodi e approvazioni, ma pochi sono capaci di tirare dritto quando andiamo contro le abitudini condivise e gli attaccamenti e riceviamo critiche e disapprovazioni. Il fatto è che chi medita non deve sottomettersi né alle credenze comuni né alle leggi della natura, né alla compulsive sociale né alla compulsione mentale, che ci condizionano per mezzo della paura e del desiderio.
E questo è il punto cruciale. È come se la natura e la società ci condizionassero fondamentalmente attraverso leggi che, se le seguiamo, ci compensano con il piacere e, se non le seguiamo, ci puniscono con la sofferenza.
Ora, in genere, la natura ci conduce saggiamente, ma non sempre fa i nostri interessi e segue la nostra meta. Spesso fa gli interessi della specie, trascurando le individualità. E di questo meccanismo dobbiamo diventare consapevoli.
Dobbiamo diventare consapevoli che siamo pilotati sia dagli impulsi interiore sia dalle norme sociali, e dobbiamo cercare di recuperare la nostra libertà di decisione, incuranti di come veniamo premiati o puniti. Come dice il Dhammapada,
Come gli uccelli non lasciano orme in cielo,
la mente del meditante non si aggrappa
alle tentazioni che le si offrono.
La sua rotta è la liberazione senza tracce,
invisibile agli altri.

La via che cerca è la libertà di non essere trascinato. Non a caso sta immobile quando prova l’impulso a muoversi e controlla la mente e l’attenzione quando queste vorrebbero trascinarlo in altre direzioni. È come se se si dicesse: “Calma! Non devo farmi sballottare dalle onde sociali o emozionali, ma devo verificare di persona che cosa mi è utile e benefico e che cosa è dannoso”.
Solo chi vede al di là del bene e del male convenzionali può incominciare a essere libero e a fare il suo vero interesse. È lì che inizia a risvegliarsi dal sonno e dal sogno comune.

sabato 21 dicembre 2019

La "chiara luce"


Alla base della mente si trova una consapevolezza pura, priva di elaborazioni concettuali. Questa consapevolezza fondamentale è simile ad una chiara luce, in quanto fa vedere ciò che abitualmente viene oscurato dalle varie attività mentali. Ed è evidente che, per arrivarci, bisogna svuotare la mente da pensieri, immagini, fantasie e discriminazioni.
       In questo vuoto o silenzio mentale, rifulge la "chiara luce", che, proprio come un cielo sgombro di nuvole, ci mostra cosa sia la realtà originale.
Per trovare il vuoto o il silenzio mentale è necessario prima calmare il corpo e la psiche.
       La "chiara luce" permette una visione limpida e distaccata delle cose, degli avvenimenti, delle persone e di se stessi. Ed è uno dei grandi prodotti della meditazione che ci porta a capire come il mondo sia conoscibile proprio perché ci siano esseri autocoscienti.


Paganesimo italico


La mentalità superficiale degli italiani è stata formata da duemila anni di cattolicesimo. Basta entrare in una nostra chiesa per vedere inutili orpelli, quadri e statue, e tutto si svolge in base a riti e a cerimonie esteriori - il che dimostra che siamo ancora a livelli di paganesimo. È vero che questa cultura ha creato mirabili opere d’arte, commissionate da papi e da cardinali che evidentemente non erano poveri. Ma è anche vero che la nostra religione invita semplicemente a guardare con gli occhi e non trasmette nessun invito alla spiritualità, che è poi interiorità e consapevolezza – due facoltà che sono estranee alla maggioranza della nostra gente.
Guardate che cosa succede in questo periodo natalizio, che dovrebbe essere la festa per la nascita di Gesù. È diventato nient’altro che un baccanale commerciale, a vantaggio di quei “mercanti” che Gesù aveva cacciato irosamente dal Tempio.
Così tutto da noi è superficialità, dalla politica che è semplice retorica, alla vita sociale, che è un’esibizione di volgari maschere immutabili.
Benché per il cattolicesimo gli uomini siano tutti peccatori, non c’è da noi né una vera contrizione né una vera presa di coscienza. Quando i malfattori vengono presi con le mani nel sacco, non dimostrano il minimo senso di vergogna.
Per non doversi arrovellare, molti italiani hanno abolito ogni familiarità con la loro coscienza. Tanto, male che vada, c’è sempre un prete che ti assolve.

Una frase attribuita falsamente a Papa Leone X dice: "La storia ci ha insegnato quanto quella favola riguardo a Cristo ci abbia giovato".
       In realtà, conoscendo la corruzione della Chiesa, potremmo correggerla così: "La storia ci ha insegnato quanto quella favola riguardo a Cristo ci abbia nuociuto".
       E non mi riferisco solo ai noti delitti della Chiesa (l'antisemitismo, le persecuzioni religiose, le guerre "sante", il colonialismo, il mito dell’uomo forte, l’idea che la salvezza venga dall’alto, la collusione con il fascismo, l'aiuto dato ai criminali nazisti, la pedofilia, la persecuzione degli omosessuali, l'antifemminismo, le posizioni sbagliate sulla contraccezione, ecc.), e neppure alle continue interferenze sulla politica italiana, causa principale della nostra arretratezza culturale e sociale, ma alle idee vecchie e superate su Dio stesso. In fondo, il cristianesimo è il massimo tentativo, nella storia umana, di antropomorfizzare il divino - un errore che ha creato nella mente dei credenti una distorsione insuperabile.
       E, poi, raccontare favole non fa mai bene. Si falsifica la realtà e si fonda una religione sulla menzogna. I frutti sono sotto gli occhi di tutti.

       La religione deve guardare in faccia la realtà, non cercare di fabbricare miti o di ottundere la mente per tenere calmi gli animi.

venerdì 20 dicembre 2019

Cambiare il mondo


Soggetto e oggetto nascono insieme, sono come le due facce di una stessa medaglia: sono due poli inestricabili. Se cambia l'uno, cambia anche l'altro.
       Mente e mondo, interno ed esterno, conoscente e conosciuto, sono da una parte distinti, ma dall'altra complementari. L'uno non potrebbe esistere senza l'altro. L'uno determina l'altro.
       Ciò significa che, nel momento in cui si conosce, si pone sia l'oggetto sia il soggetto. Il soggetto, nel conoscere, pone in essere l'oggetto; e l'oggetto, nel momento in cui è conosciuto, pone in essere il soggetto.
       Per cambiare il mondo, devo dunque cambiare me stesso; e, per cambiare me stesso, devo cambiare il mondo che mi circonda. In genere, noi, per cambiare le cose, partiamo dal cambiare il mondo, l'ambiente, l'esterno... in modo che questo si rifletta su di noi. Ma si può partire anche dall'altra estremità: il soggetto. Se cambiamo il soggetto, cioè noi stessi, cambieremo il mondo.
       Cambiando il nostro stato d'animo, la nostra esperienza interiore,cambieremo concretamente l'esterno, ciò che ci circonda.
       Questo è un invito a cambiare se stessi per cambiare il mondo.


Paradossi della mente


Noi cerchiamo di avvicinarci ai nostri limiti, ma non riusciamo a superarli. Per esempio, cerchiamo di comprendere che cosa sia il silenzio assoluto. Però, per pensare o sperimentare il silenzio dobbiamo corromperlo, dobbiamo inquinarlo – e quindi lo distruggiamo.
Oppure, cerchiamo di capire che cosa eravamo prima di nascere o che cosa diventeremo dopo la morte. Ma non sappiamo rispondere, perché facciamo solo ipotesi e congetture. Così facendo, cercando di sapere, lo manchiamo. Infatti, per conoscerlo, dovremmo essere proprio là dove non sappiamo.
Non possiamo nemmeno conoscere l'Uno, perché vi si oppone proprio l'io che lo cerca.
E non possiamo conoscere noi stessi, perché ciò che conosciamo non può essere il conoscente...
Insomma, non si può negare che il segreto sia ben custodito. Ma il mistero è creato dai limiti della nostra mente che, per conoscere, deve dividere.
Per questo motivo, il cammino dell’uomo è lento e faticoso. Lo stesso desiderio di conoscere, il processo della conoscenza, limita e stravolge ciò che vorremmo conoscere.
Ogni volta dobbiamo tornare indietro e appostarci ai limiti della conoscenza, in attesa di un piccolo o grande salto.
Per conoscere ciò che per principio la nostra mente non può sapere, dovremmo farci non-mente. A questo punto, solo la non-mente potrebbe penetrare là dove non sappiamo.

giovedì 19 dicembre 2019

Sentimenti spontanei


Qualcuno ogni tanto ci dice che non dovremmo aver paura di questo o di quello oppure che dovremmo amare o non amare questo o quello, come se ci fossero sentimenti da una parte vietati o dall’altra leciti. Ma i sentimenti e le sensazioni sono del tutto spontanei e non c’è modo di operare una scelta preventiva. La scelta, se mai, sarà successiva – se dare o non dare seguiti alle loro tendenze.
Non serve dunque a niente dare direttive su cosa provare o non provare. Se lo facciamo, creiamo una gran confusione e stati di malessere. Qualcuno nega perfino quello che prova.
È molto meglio riconoscere subito quel che proviamo, nel bene e nel male. Invece di rifiutare o di accettare, noi dobbiamo imparare a essere consapevoli di tutto ciò che ci passa dentro. Dobbiamo allenarci ad una consapevolezza senza giudizi, una consapevolezza chiara e profonda. Questo è uno dei compiti della meditazione discorsiva.
Come non possiamo far niente sull’amore e sull’odio, così non possiamo far niente sulla paura. Oltretutto, in alcuni casi, la paura è necessaria. Se attraverso una strada molto trafficata, è molto utile aver paura: ne va della mia sopravvivenza.
Inoltre dobbiamo capire che, se desideriamo qualcosa, inevitabilmente avremo paura di perderlo. Solo se non vogliamo nulla, non avremo paura. Ma forse uno stato di indifferenza non è auspicabile.
Esaminiamo dunque bene i nostri sentimenti, entriamo pienamente in noi stessi e nella nostra vita e solo in un secondo momento decidiamo che cosa accogliere e che cosa respingere o moderare. Non dobbiamo lottare sui nostri sentimenti primari, ma sulle reazioni e sulle scelte che essi ci presentano.

“L'amore, l'odio, non avete che da scegliere, dormono tutti sotto lo stesso tetto; e sdoppiando la vostra vita, potete con una mano accarezzare  e con l'altra colpire.”

Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, Le relazioni pericolose, 1782

mercoledì 18 dicembre 2019

La vacuità


Vacuità significa che tutte le cose non hanno una natura indipendente, poiché dipendono le une dalle altre. Questo non significa che le cose non esistano. Esistono, ma non esistono di per sé. Sono come i nodi di un'unica rete. Il è evidente.
       Siccome dentro di noi conosciamo questa verità, la nostra più grande paura è di non essere... di non essere proprio nulla. E non abbiamo tutti i torti.
       Ora, nulla non siamo. Qualcosa siamo. Siamo apparenze, immagini, fenomeni energetici, elettrici, magnetici... appariamo per un attimo e poi svaniamo. Non ci inganni l'apparente solidità della carne o della terra. Sappiamo che al fondo si tratta di particelle fatte di... cariche elettriche?
       La rete che connette tutto è come un film dalle mille trame e dalle mille immagini; e noi siamo quelle trame e quelle immagini. Basta che manchi la luce e noi spariamo tutti.
       L'idea della rete rende bene l'idea del vuoto che esiste tra una maglia e l'altra. Proprio come un film è fatto di luci e di ombre e come la musica è fatta di suoni e di silenzi, noi siamo sostanziati di vuoto, noi abbiamo bisogno del vuoto per essere.
       Al nostro fondo, c'è un immenso vuoto, una vacuità densa di tutte le possibilità.
       Se vogliamo ritrovare il nostro essere più profondo, dobbiamo cercare di raggiungere questo vuoto. E, magari, ricostruire tutto da capo... possibilmente meglio.

Sulla calma e la lotta


Il nostro mondo non capisce il valore della calma - e del suo corollario: la gentilezza. È convinto che l'uomo dia il meglio di sé nella passione; c'è perfino la "passione di Cristo"...
       E così, senza accorgersene, contribuisce a rendere se stesso un luogo infernale, dominato da lotte, guerre e contrapposizioni continue. "Crescete e moltiplicatevi!" ecco il comandamento del Dio passionale; crescete, aumentate, espandetevi, dividetevi, conquistate e guadagnate... sempre di più.
       Ma fino a quando? Fino a dove? Il nostro pianeta non è un ambiente limitato? Ma, certo, ci sono gli altri pianete da colonizzare!
       Se questa è la mentalità aggressiva e competitiva che ispira l'uomo, non ci meravigliamo se viviamo in un mondo di sofferenze.
       Verrà mai un tempo in cui la calma, la tranquillità e la contemplazione verranno considerati valori primari? Certo, un'utopia. Le masse devono vivere di passioni tanto travolgenti quanto transitorie, di un attivismo confuso e predatorio,  di espansioni egoiche... Io, io, io... Che cosa dice il Dio biblico non appena apre bocca? "Io sono colui che è... Io..."
       L'io è la più grande passione del mondo, la sua frenesia. Io e mio…
       E, allora, avanti così! Quale sarà la prossima guerra? Quale sarà la prossima competizione? Quale sarà la prossima crisi? Tanti "io" in lotta...

La mente totale


Quando in meditazione si parla di mente, non ci si riferisce alla semplice mente razionale, né a qualche funzione specifica. Ma semplicemente al nostro essere consapevoli. La mente è in essenza ciò che siamo.
       Quando consigliamo di svuotare la mente, invitiamo ad oltrepassare l'orizzonte degli eventi fenomenici per situarci all'origine della Singolarità che proietta questo cosmo di ombre e di riflessi - una Singolarità che è sostanzialmente a sua volta una Coscienza.
       Se mi metto davanti ad uno specchio, vedo un'immagine. Ma anche il corpo che produce quel riflesso è a sua volta un’immagine. All'origine non c'è niente di ciò che vedo e percepisco, ma una Coscienza che proietta impulsi che noi, poi, reifichiamo in immagini.
       Non possiamo cogliere questa Mente originale se non ci svuotiamo di pensieri, di volizioni, di desideri e di attaccamenti, e se non rimane soltanto la consapevolezza della consapevolezza - uno stato di chiarezza privo di concetti.

martedì 17 dicembre 2019

Fatti e opinioni


In meditazione ci dobbiamo concentrare sulle nostre esperienze concrete, non sulle idee. Anzi dobbiamo proprio distinguere i fatti dalle opinioni.
Per esempio si parla di infinito, ma tutte le nostre esperienze sono finite. Si parla di eternità, ma noi viviamo sempre in un tempo limitato. Si parla di anima e di Dio, ma noi non sappiamo minimamente che cosa siano. Si parla di morte, ma noi la vediamo solo negli altri; in noi troviamo vuoti e mancanze che però non sono definitivi. E, in effetti, la morte dovrebbe essere proprio la fine di ogni esperienza: come fare ad esperirla in vita?
In tutti questi casi utilizziamo concetti astratti e supposizioni. Ma la realtà quotidiana è un’altra cosa.
Però queste idee non nascono a caso. Per esempio, i concetti di paradiso e inferno nascono da esperienze concrete rispettivamente da momenti di estasi e da momenti di dolore. Solo che la nostra mente li interpreta come luoghi concreti.
In meditazione dobbiamo imparare a stare nella realtà e distinguere ciò che pensiamo da ciò che percepiamo. I pensieri sono spesso pure astrazioni o proiezioni. Domandiamoci dunque: che cos’è questo? È un’esperienza che sto facendo qui e ora, o è una mia elucubrazione.
Anche per il concetto di illuminazione dobbiamo stare attenti. Noi non sappiamo che cosa sia la grande illuminazione spirituale. Ma talvolta abbiamo esperienze di comprensione o di intuizione che ci risolvono un problema. Anche qui dobbiamo distinguere la realtà dalle fantasie. Stiamo sul concreto.
In tal senso la meditazione è un esercizio che ci aiuta a uscire dalla confusione mentale, in cui i fatti sono inquinati dalle opinioni e dalle fantasie, per ritrovare il contatto con la realtà.

lunedì 16 dicembre 2019

Karma



In parole povere, karma significa che ognuno ha la vita che si merita. Proviamo a pensare in questo modo, anziché inveire contro la cattiva sorte.
Questo pensiero ci dà un’enorme responsabilità e il potere di cambiare, prendendo in mano la nostra vita.
La teoria del karma è elemento comune in tutte le religioni orientali, ma è presente anche in Occidente, in vari filosofi: Pitagora, Empedocle, Platone, Plotino, Filone di Alessandria, Marsilio Ficino, Gordano Bruno, Schopenhauer, ecc. Anche nel giudaismo e nel cristianesimo ci furono sostenitori di questa idea. E si può dire che ancora oggi essa è presente in tutto il mondo, indipendentemente dalle religioni in cui si crede o non si crede.
Il fatto è che la reincarnazione risponde ad un’esigenza di logica e di giustizia retributiva. Non sapremmo infatti spiegare in altro modo le enormi differenze di destino e di condizioni che riscontriamo negli esseri umani. Ed è quindi comprensibile che l’idea sia ancora viva.

Apprezzare la bellezza


Qualche volta l’invito ad essere continuamente consapevoli delle nostre esperienze e dei nostri stati d’animo può essere interpretato come un consiglio di “tenersi a distanza” e quindi come un “non vivere pienamente”. Ma è un’interpretazione sbagliata.
Al contrario, essere più consapevoli, conoscere l’impermanenza delle cose, vedere tutto in una prospettiva relativistica, significa percepire più intensamente. Se so che questo fiore fra poche ore sarà appassito, lo guardo meglio e ne apprezzo di più la bellezza o il profumo. Lo stesso succede se sto con una persona gradevole che so che mi lascerà o che lascerò (come succede inevitabilmente nella vita).
In realtà nessuna esperienza dura per sempre: tutto è destinato a cambiare e a finire. E di questo non possiamo dimenticarci, tanto da rendere ancora più preziosa ogni esperienza.  
Se poi l’esperienza è negativa o dolorosa, l’idea che non è permanente ci aiuterà superarla.
L’importante in ogni caso è capire subito l’esperienza. Ci sono persone, infatti, che non sanno neppure cosa provano. E sono alienate.
Non dobbiamo semplicemente lasciarci agire. Siamo noi che dobbiamo decidere se dar seguito ad un’esperienza o lasciarla perdere. Anziché lasciarsi trascinare, dobbiamo, per quanto possibile, prendere in mano la situazione. Ma, per far questo, dobbiamo riconoscere ed essere pienamente presenti.
Prima di tutto coltivare la presenza mentale (sati). E poi indirizzare l’attenzione dove più ci conviene. Questo è l’abc della meditazione.

domenica 15 dicembre 2019

Fede e fiducia


In meditazione è necessaria la fiducia, non la fede.
Fede e fiducia non sono la stessa cosa. La fiducia è uno stato d’animo di apertura, la fede di chiusura. Posso aver fiducia nelle mie capacità o in quelle di qualcun altro, posso aver fiducia nella vita, posso aver fiducia anche in un Potere che presieda il mondo o il mio destino. Ma questo atteggiamento non è assoluto, non odia chi non ha la stessa fiducia e non è privo di dubbi. Ho fiducia, ma non è detto che le cose mi vadano bene – possono anche andar male. La fiducia è un aiuto, non una certezza.
La fiducia è inoltre aperta alla verifica e all’investigazione, perché è esclusivamente una forza che nasce da me, non qualcosa che piove dall’altro. Sono io che ho fiducia, ma posso anche sbagliarmi. Posso regolare e rivedere la mia fiducia, per esempio se mi ero affidato a qualcuno o a qualcosa di sbagliato.
La fede, invece, non mi permette nessun dubbio; o è assoluta o non è niente. E mi dà un atteggiamento di chiusura verso tutti coloro che non la condividono. Le cose devono essere così. Se non fossero così, crollerebbe di colpo il mio castello di carte. Chi non ha la mia fede è inferiore a me o mi è comunque estraneo, talvolta un nemico.
La fiducia prevede il fallimento, la fede no.
La fiducia è una trepida speranza e si misura con i miei limiti, la fede è rigida come un’arma e non accetta errori o debolezze. La fiducia è morbida e cangiante, la fede è dura con me stesso e con gli altri.
La fiducia accetta le idee e i suggerimenti, e quindi è aperta al confronto. La fede no. La fede divide tutti in noi e negli altri, in fedeli e infedeli e vorrebbe convertire e con-vincere chi la pensa diversamente.

La fede è come una chiesa buia, dove, quando esci, ti senti sollevato perché ritorni alla luce. La fiducia è come un osservatorio astronomico che scruta l’infinito, aperto ad ogni scoperta.

sabato 14 dicembre 2019

Il gioco dei contrari


Per la nostra logica, se c’è la vita non c’è la morte e se c’è la morte non c’è la vita. O l’una o l’altra. Ma le cose non stanno così. In realtà, quando c’è la vita, c’è anche la morte, nel senso che la morte è sempre presente ed erode, giorno dopo giorno, l’esistenza stessa. Le due sono compresenti.
Perché non pensare allora che anche quando c’è la morte, la vita è sempre compresente? Anche la vita erode a poco a poco la morte.
Noi tutti vorremmo che fosse sempre presente la vita e non la morte, e ci sembra che l’una escluda l’altra. Ci sembra anche che, quando c’è la morte, sia finita la vita. Invece non è così. Non è vero che le due si escludano a vicenda. Le due si appoggiano a vicenda, e sono sempre compresenti e complementari.
Se la morte è già presente nella vita, anche la vita è già presente nella morte. Anziché applicare la nostra logica dualistica, impariamo a pensare la vita-morte come un tutt’uno.
Vita e morte vanno sempre a braccetto. Talora spinge di più l’una e talaltra spinge di più l’altra, ma l’una non può fare a meno dell’altra.
Dobbiamo imparare a ragionare in questo modo anziché applicare la nostra logica abituale che divide, contrappone ed esclude. In fondo tutto è uno e, a maggior ragione, gli opposti hanno la stessa origine.
 Anche per l’amore e l’odio vale lo stesso ragionamento, tanto che basta grattare l’uno per intravedere sotto l’altro.
Se ragionassimo in questo modo, anzi se vedessimo le cose in questo modo, il mondo ci apparirebbe molto diverso, molto più vivo e completo. Niente nasce e niente muore, ma tutto si trasforma. La lotta nasconde sempre un abbraccio.

venerdì 13 dicembre 2019

Una bella esperienza


Talvolta, grazie alla pratica dell’immobilità e della calma, la nostra mente si libera dei suoi mille assilli e facciamo un’esperienza di chiarezza, di lucidità, di pace, di trasparenza e di spaziosità. Bellissima esperienza che va tenuta a mente per ricordarci di che cosa stiamo cercando.
Infatti la meta è qualcosa del genere: una consapevolezza priva dei soliti disturbi mentali, quali ansia, paura, avversione, desiderio, ecc.. Qui ci sembra di essere arrivati e di poter rimanere a lungo in questa situazione.
Ma, poiché si tratta ancora di un’esperienza della mente, è soggetta a svanire e a lasciare, per il solito processo dialettico, il suo contrario.
La consolazione è che neppure le esperienze negative sono permanenti. Nessuna nostra esperienza è permanente, ma spesso alcune sono ripetitive e ricorrenti, nel bene e nel male.
Ricordarsi di questa bella esperienza è dunque utile perché ci lascia una traccia da seguire. Ciò che stiamo cercando non è un’utopia della mente, ma uno stato dell’essere privo di paure e preoccupazioni, qualcosa di molto semplice che accade quando la mente è libera e concentrata, qualcosa non di soprannaturale ma di molto molto naturale, uno stato di benessere che unifica corpo e mente.
Naturalmente non basta il ricordo di una bella esperienza per farcela riprovare. Anzi, lo sforzo di rievocarla è già qualcosa che la ostacola. E quindi dobbiamo ripercorrere l’intero processo che ci ha portato all’esperienza, cercando di integrarlo il più possibile nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo esaminare i nostri stati d’animo e misurare quanto ne siamo lontani o vicini: “Adesso non c’è… adesso c’è.”

Chi detiene il potere


Coloro che credono in un Dio come una specie di creatore e dominus dell’universo sono inevitabilmente portati a pensare che, con la devozione e con la sottomissione, si possa giungere a ottenere qualche “grazia”, niente di più – nessun diritto. È l’atteggiamento del supplice che, di fronte a un grande potente, può solo invocare pietà. E questa l’invocazione della “preghiera di Gesù”: “Signore, abbi pietà di me peccatore!”
Che cos’altro si può chiedere a un potere tanto superiore, quale altro atteggiamento si può tenere di fronte a un Monarca assoluto, nei cui confronti non siamo nulla?
Ma pensiamo quanto antica sia questa idea, che si è formata in epoche in cui regnavano Despoti che detenevano il potere di vita e di morte sui loro sudditi-schiavi? Il Despota poteva esigere qualunque cosa, anche lo ius primae noctis. E il povero suddito doveva accettare tutto. Da una parte uno strapotere e dall’altra una nullità, senza diritti e senza dignità.
Per fortuna, nei millenni, è cambiato il tipo di rapporto che esisteva tra chi comandava (ritenuto spesso una emanazione divina) e chi doveva subire. Oggi, il potere ha scoperto la democrazia e i diritti dei singoli individui. Ma non in cielo.
Il credente continua a rivolgersi a un Monarca assoluto, al Re dei re. Non ha diritti, può solo supplicare un potere arbitrario che non deve dare né spiegazioni né risposte.
Nel frattempo, soprattutto per mezzo della scienza, è una nata una nuova visione dell’universo. Sono entrati i concetti di relatività e di indeterminatezza. E si è scoperto il grande potere dell’osservatore. Ci sono sì leggi che governano il tutto, ma sono più probabilistiche che deterministiche. E si è allontanata l’idea che da un solo punto si governi l’intero cosmo.
Tutti sono interconnessi e tutti hanno un loro piccolo potere. Il vuoto si è affacciato prepotentemente come una nuova divinità originale. E si è affacciata l’idea che non sia stato un Dio a creare noi e la nostra mente, ma che siamo stati noi e la nostra mente a creare quell’immagine di Dio.
È la consapevolezza all’origine di tutto, anche di Dio. Senza di essa, senza la nostra mente, non ci sarebbe nessun Dio, perché nessuno penserebbe a Dio.
Senza la coscienza degli esseri viventi, Dio sarebbe un puro nulla.

In verità è su di noi che dobbiamo contare.
Come contare su qualcun altro?
È un raro rifugio
arrivare ad affidarci a noi stessi”

Dhammapada

giovedì 12 dicembre 2019

I benefici del silenzio


La meditazione può essere suddivisa in tre fasi: nella prima c’è la ricerca del raccoglimento, della calma e del silenzio fisico e mentale, nella seconda c’è il riconoscimento o la consapevolezza dei nostri pensieri e dei nostri stati mentali, e nella terza c’è il tentativo di influire su questi ultimi in modo da cambiare noi stessi in modo positivo e di ritrovare il sé originario.
       Queste tre fasi possono essere consecutive oppure si alternano senza un ordine: si tratta comunque di meditazione, di un’attività della coscienza che può svolgersi continuamente, anche quando facciamo altre cose. Anzi, è proprio l’attività quotidiana che ci dà la materia di osservazione e la necessità di migliorare la condizione in cui viviamo abitualmente.
       La necessità del raccoglimento e della calma nascono dallo stato di dispersione e di confusione in cui ci troviamo usualmente. Poiché questo stato accresce il nostro stress e il senso di spaesamento, dopo un po’ diventa una forma di malessere. Per controbilanciare questa sofferenza, la strategia migliore è dedicarci all’immobilità e al silenzio. Se per esempio, cerchiamo e troviamo il silenzio, possiamo già uscire dallo stato di maggior sofferenza e trovare lo stato di default del cervello-mente: una condizione di relax che ci fa star meglio.
       Florence Nightingale diceva che il rumore è un “crudele mancanza di attenzione”, qualcosa che noi infliggiamo agli altri e a noi stessi. Ma se il silenzio fisico è relativamente facile da trovare, il rumore mentale è ben più difficile da eliminare. Infatti, anche se ci troviamo in una zona priva di rumori o se ci chiudiamo le orecchie con cuffie o tappi, resta il chiacchiericcio mentale, che è ancora più fastidioso. E qui entra in campo la seconda fase della meditazione.
       Per prima cosa dobbiamo diventare consapevoli di questo “rumore” che abbiamo sempre nella testa e che ci assorda, ci confonde e ci distrae. Si tratta di pensieri, ricordi, rimuginazioni, immaginazioni, fantasie, desideri, speranze… Non siamo noi che dirigiamo la nostra mente, ma è la nostra mente che ci sposta continuamente di qua e di là. Noi siamo in un posto, mentre con la mente siamo chissà dove. Risultato, non siamo mai presenti a noi stessi, e viviamo in un mondo immaginario che ci allontana dalla realtà, facendoci assomigliare a gente addormentata o sognante. Non a caso, per allontanarci da questa condizione parliamo di “risveglio”.
Per risvegliarci dai sogni della mente, dobbiamo diventarne il più possibili consapevoli: “Sto sognando, sto fantasticando, torniamo alla realtà…”. E cerchiamo di concentrare la mente su qualcosa di vivo e presente, come il respiro, un mantra o il vuoto stesso. Insomma cambiamo il fuoco dell’attenzione.
Proviamo per esempio a puntare l’attenzione sull’ultimo pensiero o stato d’animo e notiamo come esso possa svanire lasciando un momento di vuoto… prima che ne sopraggiunga un altro. Fissiamoci su quel vuoto che ha molto a che fare con il fondo della mente.
Per svuotare la mente rimanendo presenti, possiamo anche dedicarci alla contemplazione della vastità (del cielo, di un paesaggio, ecc.) oppure dei minimi particolari (di una pianta, di una pietra, ecc.).
Se riusciamo a tirarci fuori dallo stato di sonnambulismo in cui ci troviamo di solito, la nostra visione si farà sempre più lucida e la nostra intelligenza aumenterà, con vantaggi materiali e spirituali.

mercoledì 11 dicembre 2019

La mente originale


Quando in meditazione si parla di mente, non ci si riferisce alla semplice mente razionale, né a qualche funzione specifica. Ma semplicemente al nostro essere consapevoli. La mente è ciò che siamo, in essenza.
       Quando consigliamo di svuotare la mente, invitiamo ad oltrepassare l'orizzonte degli eventi fenomenici per situarci all'origine della Singolarità che proietta questo cosmo di ombre e di riflessi - una Singolarità che è sostanzialmente una coscienza.
       Se mi metto davanti ad uno specchio, vedo un'immagine senza sostanza. Ma anche il corpo che produce quel riflesso è a sua volta un riflesso. All'origine non c'è niente di ciò che vedo e percepisco, ma una coscienza che proietta immagini che noi, poi, reifichiamo.
       Non possiamo cogliere questa Mente originale se non ci svuotiamo di pensieri, di volizioni, di desideri e di attaccamenti, e se non rimane soltanto la consapevolezza della consapevolezza - uno stato di chiarezza privo di concetti.

La vacuità di fondo


Vacuità significa che tutte le cose non hanno una natura indipendente, poiché dipendono le une dalle altre. Questo non significa che le cose non esistano. Esistono, ma non esistono di per sé. Sono come i nodi di un'unica rete.
       Siccome dentro di noi conosciamo questa verità, la nostra più grande paura è di non essere... di non essere proprio nulla. E non abbiamo tutti i torti.
       Ora, nulla non siamo. Qualcosa siamo. Siamo apparenze, immagini, fenomeni energetici, elettrici, magnetici... appariamo per un attimo o per qualche decennio e poi svaniamo. Non ci inganni l'apparente solidità della carne o della terra. Sappiamo che al fondo si tratta di particelle fatte di... cariche elettriche.
       La rete che connette tutto è come un film dalle mille trame e dalle mille immagini; e noi siamo quelle trame e quelle immagini. Ma, proprio per questo, basta che manchi la luce e noi spariamo tutti.
       L'idea della rete rende bene l'idea del vuoto che esiste tra una maglia e l'altra. Proprio come un film è fatto di luci e di ombre e come la musica è fatta di suoni e di silenzi, noi siamo sostanziati di vuoto, noi abbiamo bisogno del vuoto per essere.
       Al nostro fondo, c'è un immenso vuoto, una vacuità densa di tutte le possibilità.
       Se vogliamo ritrovare il nostro essere più profondo, dobbiamo cercare di raggiungere questo vuoto. E, magari, ricostruire tutto da capo... possibilmente meglio.

martedì 10 dicembre 2019

Cambiare il mondo


Soggetto e oggetto nascono insieme, sono come le due facce di una stessa medaglia: sono due poli inestricabili. Se cambia l'uno, cambia anche l'altro.
       Mente e mondo, interno ed esterno, conoscente e conosciuto, sono da una parte distinti, ma dall'altra complementari. L'uno non potrebbe esistere senza l'altro. L'uno determina l'altro.
       Ciò significa che, nel momento in cui si conosce, si pone sia l'oggetto sia il soggetto. Il soggetto, nel conoscere, pone in essere l'oggetto; e l'oggetto, nel momento in cui è conosciuto, pone in essere il soggetto.
       Per cambiare il mondo, devo dunque cambiare me stesso; e, per cambiare me stesso, devo cambiare il mondo che mi circonda. In genere, noi, per cambiare le cose, partiamo dal cambiare il mondo, l'ambiente, l'esterno... in modo che questo si rifletta su di noi. Ma si può partire anche dall'altra estremità: il soggetto. Se cambiamo il soggetto, cioè noi stessi, cambieremo il mondo.
       Cambiando il nostro stato d'animo, la nostra esperienza interiore,cambieremo concretamente l'esterno, ciò che ci circonda.
       Questo è un invito a cambiare se stessi per cambiare il mondo.

 "L'ottimista sostiene che viviamo nel migliore dei mondi possibili; il pessimista teme che possa essere vero” James Branch Cabell