domenica 28 febbraio 2021

Liberarsi

 

Liberarsi, d’accordo. Liberarsi da tutti i condizionamenti mentali – e già questa è un’impresa disperata. Ma poi cosa succede?

Resta sempre la convinzione d’essere un individuo. Non è questo il dogma fondamentale, l’ancora cui ci attacchiamo?.. L’io, l’io sono? A tutto siamo disposti a rinunciare, ma non a questa fede. Che ne sarebbe di noi, della nostra identità?

C’è però un’altra possibilità: che la nostra vera identità sia un’altra, sia oltre. Qualcosa che non ha neppure bisogno di esistere, di essere, di essere coscienti.

E il bello è che questa vera natura è sempre lì, è sempre presente e disponibile. E siamo noi che, con tutte le nostre attività, fisiche e mentali, la occultiamo.

Allora la meditazione diventa un dimorare in essa.

Spesso ripetiamoci: “Io non sono questo, io non sono quello, io sono altro…” E osserviamo.

In quel momento, siamo colui che osserva e che non aderisce più alla personalità abituale, all’io. Siamo ciò che osserva il gioco del mondo e della coscienza. “Tutto è maya, tutto è lila, il gioco dei contrari… Ma io non lo sono. Io sono oltre”.

Ecco, dobbiamo ricordare la nostra prima origine e radicarci in questo oltre, da cui le parole  e i concetti – come dicono le upanishad - recedono.

sabato 27 febbraio 2021

Il contagio del male

 

Quasi tutti deprecano la morte. Ma quasi nessuno depreca la nascita. Eppure dalla seconda deriva la prima.

Quando muore qualcuno, si piange. Ma quando nasce qualcuno, si fa festa. Come mai? Non c’è coerenza! Tutti sappiamo che dalla nascita deriva la morte.

Ma forse non è così. Forse, quando ci nasce una nuova vita, per un attimo, sentiamo che ci siamo messi una corda al collo – e l’abbiamo messa a qualcun altro.

È come quando si subisce una violenza e poi, per uno strano meccanismo psicologico, la applichiamo noi a qualcun altro. È il male che si auto-riproduce - e che è contagioso.

Questa è una delle leggi della vita-morte.

venerdì 26 febbraio 2021

La notte oscura dell'anima

 

Tutti vorremmo conoscere la verità, perché sentiamo che senza di essa non abbiamo né la pace né una base solida, nemmeno per il nostro comportamento nella vita di tutti i giorni. Ma, per conoscere la verità, dobbiamo prima di tutto riconoscere che non sappiamo niente, che siamo ignoranti. Ciò che noi riteniamo conoscenza è un’espressione dell’ignoranza primaria.

Questa ammissione ci mette in uno stato di disperazione e di sconforto. È il periodo più buio dell’anima. Abbiamo abbandonato ogni appiglio e brancoliamo nel vuoto.

Da questo buio vuoto non si esce però, come nella mistica tradizionale, cercando una luce o qualcuno che ci illumini, ma riconoscendo che è quello il nostro stato originale. All’origine c’è proprio quel buio, là dove non ci sono né individualità né coscienza, ma dove non manca niente.

Quando sono nati l’essere e la coscienza con il loro dualismo, è venuto al mondo l’errore. Anzi, il mondo è proprio l’errore. E adesso la nostra mente, frutto di quell’errore, vorrebbe conoscere la verità.

Ma la verità, in quanto semplice concetto, non può risolvere il nostro dilemma, non può darci pace.

Dobbiamo invece riconoscere la confortante profondità di quel buio. Nella luce ci troviamo adesso e non siamo felici. Perché siamo come scarafaggi abbagliati da un chiarore cui non potranno abituarsi mai.

“Venire alla luce”, “dare alla luce”… ma noi siamo creature delle tenebre! Questa è la verità.

 


L'essenza della meditazione

 

La coscienza, di cui andiamo tanto orgogliosi, è in realtà un principio di differenziazione, perché colui che è cosciente può conoscere soltanto ciò che è diverso da lui. In senso generale è dunque il processo della creazione duale, quello che dà forma al mondo e alla molteplicità. Ma non è la meta ultima. È solo uno stato temporaneo.

Prima c’era qualcosa d’altro: l’unicità, l’unità, la totalità, la singolarità, l’indifferenziato, il non-manifestato. Questa è l’origine.

Se vuoi “conoscerla”, devi compiere il percorso inverso: fonderti in te stesso, in uno stato non-duale, rimanendo silente. Devi dis-identificarti dal corpo-mente e rientrare nell’intero.

Questa è l’essenza della meditazione, prima ancora della coscienza.

martedì 23 febbraio 2021

Il non-coinvolgimento

 

Il problema di tutti è che siamo troppo coinvolti, identificati, attaccati noi a noi stessi, come pezzi di scotch, come adesivi. Non so se capite.

Siamo talmente aderenti che non riusciamo a distinguere quale sia il nostro vero sé. Crediamo che tutto ciò che proviamo costituisca ciò che noi siamo, il nostro ego, la nostra mente, la nostra personalità psico-fisica. Quelle esperienze siamo noi?

Fino a un certo punto. Sono esperienze che appartengono alla nostra individualità. Ma c’è una distinzione fra la nostra individualità e ciò che veramente siamo.

C’è chi vive in prima persona, c’è chi è cosciente – ma c’è anche chi osserva tutta questa attività e se ne sta in disparte, senza partecipare. C’è chi conosce il mondo e c’è chi conosce il conoscitore. Diamogli un nome: atman, Sé.

Non dobbiamo scoprirlo con un ragionamento astratto. Mentre piangiamo, ridiamo, calcoliamo, speriamo, amiamo, odiamo, cioè mentre viviamo la nostra vita abituale, c’è chi osserva e rimane distaccato, non coinvolto.

Osservatevi mentre vivete tutte queste esperienze e scoprirete che c’è un osservatore in voi che rimane separato. Lui non è coinvolto e non viene sbattuto qua e là come il vostro povero ego che assomiglia a una foglia al vento. Lui non si identifica con gli stati altalenanti del vostro animo e se ne sta imperturbabile a osservare il caos della vostra vita.

Fate questo esperimento varie volte durante la giornata, fino a trovare questo centro di pace. Dis-identificatevi dal vostro corpo-mente e radicatevi in questo soggetto trascendentale che è il vostro ultimo Sé. Ne trarrete benefici immensi. Salirete al di sopra del piccolo ego e del piccolo mondo, e da lassù osserverete immobili il mobile panorama dei disastri umani.

lunedì 22 febbraio 2021

Un errore cosmico

 

Quando sentiamo parlare di covid, scopriamo che la gente è arrabbiata. Ma con chi prendercela? Si tratta di un’epidemia naturale. Dovremmo quindi prendercela con la natura o con Dio. Anche perché non è una novità nella storia umana: di epidemie ce ne sono state tante e talvolta l’umanità ha rischiato l’estinzione.

Con chi prendercela, allora? Con chi ha concepito questo infernale meccanismo per cui ogni organismo deve sopravvivere a spese degli altri. Lo facciamo noi e lo fanno i virus e gli altri patogeni. Chi ha creato questo mondo ha proprio voluto che tutti gli essere viventi, per sopravvivere e riprodursi, debbano uccidere gli altri, animali o vegetali.

Ecco perché non si può pensare che il mondo sia stato creato da un Dio benevolo e protettore. Se proprio volessimo farne un identikit, ne verrebbe fuori una specie di macellaio, uno che ama uccidere. La vita si basa sull’assassinio. Perciò non ci inventiamo un Dio che sia solo amore e pace. Qui e in tutto l’universo vige lo stato di guerra.

Quindi le nostre speranze di costruire una vita pacifica e felice si rivelano per quello che sono – illusioni. Come si spiega chiaramente nella Bhagavad Gita, noi siamo costretti a star sempre in guerra, volenti o nolenti.

Le idee religiose che Dio sia bontà e amore sono infondate, semplici speranze, cioè illusioni. La verità è che viviamo in un mondo violento, dove dobbiamo sempre combattere e uccidere… ed essere uccisi.

Alla fine infatti tutti verremo uccisi.

Di fatto dobbiamo concepire il mondo come una specie di sbaglio cosmico, un tentativo di emersione dal nulla che finirà in un fallimento.

Ma non siamo pessimisti. Quando tutto scomparirà, la piccola individualità umana rientrerà nel Tutto e svanirà ogni sofferenza, subita o inflitta.

venerdì 19 febbraio 2021

Qual è la nostra vera natura?

 

Noi siamo convinti che questo stato di esistenza, pieno di limiti fisici e mentali, tra la nascita e la morte, sia l’unica realtà e consideriamo con orrore la perdita dell’individualità e il ritorno in uno stato indifferenziato, dove mancherebbero sia l’io sia la consapevolezza.

Ma poiché l’esperienza di essere vivi comporta sgradevoli esperienze di divisione e di isolamento, ci domandiamo se il vero stato assoluto (e beato) non sia proprio quello indifferenziato, totale, al di là della nascita e della morte, senza limiti, mentre questa esperienza di essere vivi non sia un’illusione fugace o addirittura un malfunzionamento cosmico, un’uscita temeraria dal Tutto.

Per noi, oggi, la massima paura è la perdita della sensazione di essere. Ma forse questa sensazione di essere è una spia che siamo malati, decaduti, soli e incompleti.

Comunque sia, lo stato illimitato e indifferenziato è sempre presente e, quando l’esistenza attuale terminerà, riprenderà il sopravvento. Dunque, potrebbe davvero essere la nostra vera natura.

giovedì 18 febbraio 2021

Il piacere di vivere

 

Non c’è dubbio che gli esseri viventi amino la vita. Non vorrebbero mai morire, non vorrebbero mai perdere la loro identità, la loro individualità. Ma vivere significa anche soffrire – talvolta parecchio. Ecco allora che ci sono dei casi in cui la sofferenza è talmente forte che si preferisce rinunciare all’esistenza.

In un senso più lato, noi moriamo proprio perché, invecchiando, ci deterioriamo e soffriamo a tal punto da desiderare anche la morte.

La morte è già inscritta nella vita.

Dunque, anche l’amore per l’esistenza, la spinta a vivere, ha in sé il suo contrario. Freud se n’era accorto e aveva identificato, accanto ad Eros (la pulsione della vita), Thanatos (la pulsione della distruttività e della morte).

Se gli uomini desiderano la vita, vogliono in realtà anche la morte.

Come succede sempre, come avevano già scoperto i taoisti, le pulsioni contrapposte (yin-yang) sono sì antagoniste, ma si sostengono a vicenda. L’una non potrebbe esistere senza l’altra. Dobbiamo quindi concludere che chi ama la vita è portato anche (senza rendersene conto) alla  distruttività e alla morte.

Per capire questo paradossale meccanismo, dobbiamo pensare che all’inizio c’è qualcosa che vuole emergere, assumere una forma, individualizzarsi e perpetuarsi, ma, con il processo di invecchiamento e con l’aumento della sofferenza e della consapevolezza, arriva a voler disfarsi di tutto e innesca il processo opposto: quello della dissoluzione e del recupero dell’unità originale con il Tutto.

Questi due movimenti agiranno lungo l’intera esistenza finché prevarrà di nuovo il processo di riunificazione con l’Uno magmatico, da cui ogni cosa esce e rientra.

Il mondo non è affatto semplice. È paradossale, E le spinte contrapposte sono sempre presenti. Questo è un dato di fatto.

Volendo essere ottimisti, diciamo che anche la morte va vista come un desiderio di piacere – il piacere di liberarsi del peso dell’io e della vita individualizzata.

 

 

mercoledì 17 febbraio 2021

La fine delle illusioni

 

Che il mondo sia un’illusione dei sensi e della mente non ci vuol molto a capirlo. E non solo perché la Terra, i pianeti, le stelle e le galassie sono specie di fuochi d’artificio di atomi e particelle che brillano per un po’ e poi si dissolvono trasformandosi, ma anche perché, per continuare a vivere, è necessario illudersi di continuo – illudersi di vivere a lungo e felici, illudersi che eviteremo grandi sofferenze, illudersi che troveremo il compagno e il lavoro ideale, che tutto finirà bene, che c’è un Dio che vede, provvede e ci protegge, che ci sarà un’altra vita dopo la morte e così via.

Se cadessero tutte queste illusioni, non riusciremmo a sopportare l’esistenza nemmeno per un giorno. Ma il problema è che noi viviamo di fantasie infondate. E, tuttavia, guardare coraggiosamente in faccia la realtà non è spiacevole: dà un senso di chiarezza e di effervescenza.

L’importante è non sognare ad occhi aperti e sbarazzarsi di tante inutili credenze. I più le chiamano speranze, noi le chiamiamo illusioni.

Bisogna dunque cambiare paradigma. Passare dalle falseualcuno Passare dal concetto di speranze (con le loro dolorose delusioni) alla fine delle illusioni. Tornare al "principio di realtà".

Meditare è prima di tutto sbarazzarsi delle illusioni che qualcuno ci ha instillato. Non a caso si parla di liberazione.

lunedì 15 febbraio 2021

Oltre noi stessi

 

Che cosa distingue ciò che è reale da ciò che non lo è? Semplice. Ciò che non è reale (o poco reale) ha una breve durata e poi scompare. Per esempio, un sogno può sembrare reale, ma, quando ci si sveglia ed entriamo in un’altra dimensione, ci si accorge che non era reale.

Ne consegue che tutto ciò che vediamo e viviamo, il mondo stesso e noi stessi, non è reale: è solo un sogno che dura un certo numero di anni e poi svanisce. In tal senso, le cose sono più o meno reali, ma mai del tutto. Noi viviamo nella dimensione del provvisorio, non in quella dell’assoluto e dell’eterno, dell’ “adesso e sempre”.

Paroloni che per noi significano poco, perché non abbiamo esperienza di altro. Se crediamo di capire il senso del tutto, ci illudiamo. Le nostre parole e i nostri concetti non ce la fanno – sono troppo limitati. Dovremmo abbandonare la mente stessa. Ma questo avverrà con la morte o col samadhi.

Lo stato di cui parliamo è anteriore alla mente e alla coscienza stessa. Non nasce e non muore, non è né questo né quello.

Bisogna esserlo, non pensarlo. Qualcosa si può cogliere già adesso, purché si sappia far silenzio e andare oltre noi stessi.

domenica 14 febbraio 2021

Pregare e meditare

 

Un’altra differenza tra preghiera e meditazione è che, quando preghiamo Dio e non riceviamo una risposta soddisfacente, non sappiamo più che cosa pensare e a chi rivolgerci, o ci diciamo che non eravamo meritevoli di riscontro, mentre, quando meditiamo e non ci riusciamo, la responsabilità è solo nostra. Siamo noi che non sappiamo meditare e ottenere ciò a cui miravamo; non siamo abbastanza evoluti, siamo ancora attaccati alle cose.

Però, a un livello più elevato, sia la preghiera sia la meditazione, sono fini a se stesse e non dovrebbero chiedere niente a nessuno. Dovrebbe essere sufficiente lo stato che otteniamo. Ma noi non siamo dei santi e cerchiamo sempre qualcosa.

Un problema che riguarda la meditazione è che noi eleviamo la consapevolezza a stato divino, ma dobbiamo ammettere che anche la coscienza è legata al corpo-mente ed è destinata a finire. Dobbiamo dunque concludere che lo stato divino è al di là della stessa coscienza legata ad un io.

Il fine della meditazione è comprendere che la realtà ultima è al di là della stessa consapevolezza individuale e vedere la dissoluzione di corpo, mente, coscienza ed ego come l’ingresso nello stato di trascendenza.

Nella preghiera, invece, rimane la speranza della conservazione individuale.

sabato 13 febbraio 2021

Pregare Dio

 

Quando sentiamo parlare di Dio, ce lo immaginiamo come una grande Forza, un immenso Potere, l’Onnipotente, il Creatore, il Padre di tutto, il Signore o, a seconda della religione, un personaggio più o meno storico, come Gesù o  Krishna. Comunque sia, è sempre qualcosa di esterno, qualcosa di “altro” rispetto a noi.

Ma la verità è che noi non abbiamo la minima esperienza diretta di questo “personaggio”. Qualcuno ce ne parla o ci fa vedere delle immagini sacre, e noi ci crediamo.

Ne consegue che, quando lo invochiamo per chiedere aiuto in un frangente difficile, ci rivolgiamo a un’immagine della nostra mente, più o meno astratta. Se lo concepiamo come potere, forza o energia, ci riesce difficile farcene un’immagine precisa, e dunque pregarlo. Più semplice pregare un suo intermediario, un profeta o qualche santo. Ma anche qui siamo nel vago, perché sappiamo che tutte le nostre immagini sono sfocate  o inventate di sana pianta. In conclusione, ci manca l’ “oggetto” cui rivolgerci.

Dio non si vede, Dio non si può immaginare.

Se però concepiamo Dio come creatore, dobbiamo ammettere che tutto il potere, la forza o l’energia derivano da Lui. E, in particolare, la nostra vita, la nostra coscienza, il nostro io, la nostra forza vitale. Qui entriamo più nel concreto, perché ci riferiamo a nostre esperienze. Noi sappiamo di essere vivi perché siamo coscienti. E questa nostra coscienza è l’unico potere che ci sembra “divino” – il divino in noi. Senza di esso, non sapremmo di essere e non potremmo neppure pensare o credere a Dio.

Ci sembra dunque sensato ritenere questa nostra coscienza come il vero Dio o una sua diretta emanazione.

Solo che, essendo dentro di noi, e anzi noi stessi, non possiamo invocarlo come un Essere esteriore. Dobbiamo per forza immedesimarci in Esso, evocarlo in noi, suscitarlo e percepirlo in noi.

Questa non è più preghiera. Ma meditazione.

L’operazione però è resa difficile dalla nostra inveterata tendenza a rivolgerci a qualcuno o a qualcosa di esterno. Si tratta più che altro di percepire questa forza dentro di noi e cercare di dirigerla a nostro vantaggio. Ci riusciamo?

venerdì 12 febbraio 2021

Una scoperta sensazionale

 

Gli uomini sono tutti convinti che, senza legami e attaccamenti, l’esistenza sarebbe vuota e inutile. Ed è vero. Ma che cos’è l’esistenza se non uno spazio di tempo che va da un minuto  a cento anni? E tutto il resto?

Il primo attaccamento è quello alla madre che ci nutre, ci cura e ci fa crescere. Potremmo non esserle attaccati? E subito dopo si forma l’attaccamento a noi stessi, al nostro stesso io. Come potrebbe esistere la vita senza questo primo e fondamentale sentimento? Da quell’attaccamento primario derivano tutti gli altri. Pensiamo che, se non ci fosse, non saremmo attaccati a niente e a nessuno.

Ma sarebbe l’inferno – o piuttosto il paradiso?. Sì, perché, nel paradiso, non potrebbe esserci nessun attaccamento, tanto meno a noi stessi. E dunque non ci sarebbe bisogno di amore.

Questa è la scoperta: dell’amore abbiamo bisogno qui e ora, in questo mondo, in questa vita del desiderio e della mancanza. Ma nell’assoluto no.

Nell’assoluto non ci sarebbe bisogno né di ego né di amore, perché saremmo riunificati al tutto.

L’amore è proprio il segno di una realtà povera, di un mondo sempre bisognoso.

I “bisognosi” sono proprio quelli che mancano del necessario.

martedì 9 febbraio 2021

Il Dio amore

 

Sembra che l’amore sia il massimo dell’altruismo. Da noi ne hanno fatto perfino un Dio. Ma all’origine non è così. Una forma di vita che vuole esistere vuole anche riprodursi. E riprodursi è la spinta a perpetuare se stessi – dunque il massimo dell’egocentrismo. È sempre il “gene egoista” che dirige l’intero processo.

Il mondo appare all’insegna dell’io. E combatte per affermare se stesso. L’amore per la vita e quindi l’amore per l’altro appaiono perché c’è un ego che vuole farsi strada. Perciò deve dividersi in due dando origine alla coscienza… per poi riunificarsi.

Ma poiché l’io non riesce a vincere la morte, resta qualcosa di incompiuto: un’apparenza illusoria, fallimentare, che rientra là da dove è uscito. Un fallimento. Il fantasma non riesce a farsi realtà durevole.

Prima c’è un’oscurità magmatica e informe. Poi appare una forma che vuole individuarsi. Ma da dove nasce una volontà del genere, se non dal magma stesso? Oggi la chiamano fluttuazione quantistica.

C’è dunque una tensione fin dall’inizio. E così torniamo al dualismo dinamico di yang-yin, tenebre-luce, bene-male, amore-odio, attrazione-repulsione, altruismo-egoismo, ecc.

Questo significa che siamo ai limiti della ragione. In ogni caso, anche l’Uno vuol perpetuare se stesso. L’Origine non cede, l’immanifesto non lascia campo libero alla manifestazione. E se la riprende. Il massimo dell’egocentrismo.

lunedì 8 febbraio 2021

Tra vita e morte

 

Qualcuno sostiene che in tempi di pandemia aumenti la religiosità. Più che altro, aumenta da una parte il terrore di morire e dall’altra il desiderio di vivere, di amare e di avere un Dio protettore e magari un’altra vita in qualche paradiso o qui sulla Terra. Sempre la stessa storia: gli uomini non accettano di dover morire. È religiosità? Senza la paura non ci sarebbero religioni?

Dostoevskij scriveva: “Nonostante tutte le perdite che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita…”

Lo stesso fenomeno avviene durante le guerre. Da una parte la paura, la quale aumenta dall’altra parte il desiderio.

Ma che cos’è questo amore per la vita? Anch’esso parte dalla paura di perdere?

In effetti nasce da un senso di mancanza e da una spinta a riempirla. In tal senso non è un buon segno. È la dimostrazione che soffriamo perché siamo privi di qualcosa.

Chi ha qualcosa non ha bisogno di desiderarla.

Noi desideriamo ciò che non abbiamo – quell’unità fondamentale che non potrà mai essere realizzata se non con l’annullamento dell’individualità. Il che avviene solo con la morte. 

 

Gli uomini non vogliono la verità sul loro stato – ma quella verità che a loro appare comoda. Se è scomoda, se non è consolatoria, se non corrisponde alle loro illusioni, non l’accettano.

domenica 7 febbraio 2021

L'immancabile Apocalisse

 

Fra certi fondamentalisti cristiani esiste la convinzione che non ci si debba mettere la mascherina anti-covid né seguire le regole del distanziamento sociale perché basta essere devoti a Dio e pregare per essere protetti. Non sono idee nuove: tra gli integralisti di varie religioni esistono sempre teorie del genere.

In effetti, se esistesse un Dio del genere, un Dio che proteggesse i suoi devoti, la logica sarebbe ineccepibile. Ed è anzi questa la dimostrazione che un Dio del genere non esiste. Anche i primi cristiani credevano che la fine del mondo fosse prossima e che Dio sarebbe intervenuto ad assumerli direttamente in cielo. Ed è andata come è andata.

Quello che più colpisce è la persistenza del fenomeno. Come mai questi credenti non si accorgono che le loro idee sono del tutto infondate e che Dio non li protegge?

Si tratta di fanatici che non riescono ad accettare il principio di realtà. Per queste menti limitate sono più importanti le loro fantasie che i dati di fatto. E se c’è una contraddizione fra la loro fede e la realtà, è la realtà che secondo loro è certamente sbagliata.

Inutile dire che queste persone non capiranno mai niente di come stanno le cose. La loro fede è primitiva e infantile e copre con un velo di falsità, di preconcetti e di errori la visione della realtà.

Tutti sono fissati con l’Apocalisse. Ma basta avere un po’ di pazienza e la fine del mondo arriverà per tutti. Magari non per tutti nello stesso momento. Ma uno per uno. Che differenza fa?

sabato 6 febbraio 2021

Genesis

 

All’inizio vi è un Tutto e Unico che non conosce sofferenza. Poi il Tutto e Unico si frammenta e si individualizza, identificandosi con molteplici forme e manifestando il mondo. E qui nasce la coscienza come la conosciamo noi: una forza che è presente a se stessa. Per essere presente a se stessa, deve però introdurre la divisione dualistica -  e qui penetra la sofferenza e il desiderio di riunificazione.

Dualismo significa che devono esserci un soggetto e un oggetto. Compaiono dunque divisione e individuazione, identificazione e appartenenza, attrazione e repulsione, gioia e sofferenza, amore e odio, vita e morte. Questi sono i due poli, le due coppie, attraverso cui si dispiega la nostra esistenza.

In tal senso, possiamo dire che la nostra identità ultima o prima non sta qui in questo soggetto, in questo corpo,  in questa mente, in questo io e in questa coscienza, ma in quel Tutto e Unico che è l’originaria Forza coesiva. Qualcosa ha rotto i legami iniziali (di qui l’idea popolare di caduta o peccato originale) per poter produrre conoscenza, individuazione e coscienza.

Ma la coscienza ha un prezzo – la sofferenza. Ed è per questo che è destinata a sparire nel Tutto cosmico.

Il fatto che la coesione iniziale abbia ceduto non ha di per sé un valore negativo. Può essere un semplice gioco dialettico fra l’Uno e la molteplicità.

La nostra pretesa di rimanere individualmente eterni va sempre frustrata, a meno che… sia un lavorio dello stesso Uno per acquisire coscienza di sé attraverso le coscienze individuali. Ma non è detto che lo stato di coscienza sia superiore a quello di non-coscienza. Potrebbe essere una lotta dell’Uno a trasformare se stesso. Nel qual caso… il gioco approderebbe a un nuovo stato: il nuovo Dio.

      

venerdì 5 febbraio 2021

Credere per capire?

 

Se credete che la fede (politica, religiosa o di altro tipo) vi possa aiutare a capire le cose, vi sbagliate di grosso. Anzi, è ciò che più vi ostacola. Si tratta di un pesante pregiudizio, si tratta di occhiali deformanti, si tratta di un’ideologia predeterminata che vi impedisce di vedere le cose così come sono. Già la mente è uno specchio deformante, perché interpreta tutto ciò che guarda. Se poi vi aggiungete una fede, non capite più nulla. O, per meglio dire, capite ciò che già in partenza volevate vedere.

       La via verso l’illuminazione consiste prima di tutto nel disfarsi o comunque nell’accorgersi dei propri pregiudizi e delle opinioni, proprie e altrui. Guardare con occhi nudi, direttamente, spogliandosi delle trappole del linguaggio e dei concetti.

Non è facile, lo so. Ma bisogna comprendere, innanzitutto, quanto siamo condizionati. O tutto quello che vedremo sarà falso.

Una merce scadente

 

“I saggi dell’antichità non provavano né attaccamento per la vita né orrore per la morte,” diceva Chuang-tzu. Da noi invece si vuol vendere la vita come una meraviglia.

Ogni tanto il servizio clienti ci chiede un giudizio su una merce acquistata. E questo dovrebbe essere il nostro sulla vita. Entusiasti no, perché i difetti sono evidenti e la qualità è scadente. Inorridito nemmeno, perché il prodotto non durerà comunque molto. È qualcosa di mediocre. Altro che meraviglie divine! Si poteva fare molto meglio.

martedì 2 febbraio 2021

L'amica morte

 

“Ogni giorno è una piccola vita,» scrive Schopenhauer, “ogni risveglio e levata una piccola nascita, ogni nuovo mattino una piccola giovinezza, ogni coricarsi e addormentarsi una piccola morte.” Dunque la morte non è qualcosa di estraneo e di inconoscibile, ma fa parte della vita di tutti i giorni. E possiamo farne esperienza. Come dice Seneca, “moriamo ogni giorno un po’: ogni giorno infatti viene meno una parte della nostra vita, e, anche mentre noi cresciamo, la vita decresce.”

Nessuna amica ci è così vicina come la morte. Ma i più l’hanno censurata. E, invece di familiarizzarsi con essa, ne scacciano perfino il pensiero.

Eppure una “piccola morte” viene definito anche l’orgasmo sessuale – il massimo dei piaceri. E non è qualcosa di spaventoso. Tutt’altro.

Non ci rendiamo conto che la morte è la grande liberazione – la liberazione dal peso della vita e dell’io.


Ci vuole tutta la vita per imparare a vivere e, quel che forse sembrerà più strano, ci vuole tutta la vita per imparare a morire.

Seneca

lunedì 1 febbraio 2021

I reincarnati

 

Nelle menti umane e nelle religioni di tutto il mondo torna continuamente l’idea della reincarnazione, ossia della possibilità dell’anima di poter rivivere in corpi differenti. E si riferiscono esperienze di persone che si ricordano di vite passate.

Ma, se ragioniamo, ci rendiamo conto di essere tutti il prodotto di altre esistenze. Innanzitutto, abbiamo il patrimonio genetico dei nostri due genitori, i quali a loro volta avevano l’eredità genetica dei loro genitori, i quali… e così via fino a un remoto passato.

L’eredità genetica non è solo un fatto fisico, ma anche mentale e psicologico. Per esempio possiamo aver ereditato la predisposizione per la musica, per la matematica, per il commercio, per le lettere eccetera.

In tal senso siamo tutti dei reincarnati. Non c’è dunque da stupirsi se qualcuno ha ricordi di passate esistenze.

L’anima è sempre qualcosa di vivo e di composito. Ed è legata all’origine stessa della materia e della vita. Ecco perché un Empedocle poteva scrivere:

Un tempo io fui già fanciullo e fanciulla, arbusto, uccello e muto pesce che salta fuori dal mare.

Ed ecco perché possiamo sempre sostenere che siamo tutti uno, che abbiamo tutti una stessa anima.

È solo una questione di saper guardare lontano, oltre le differenze individuali, oltre il tempo.