martedì 31 marzo 2015

L'utilità del non-sé

Entrando nel profondo di noi stessi, troviamo che non siamo monadi isolate, perché siamo esseri nati per connetterci. Siamo come i mattoncini del lego o i pezzi di un puzzle: siamo fatti per combaciare con gli altri. A questo scopo, abbiamo parti concave e convesse che possono incastrarsi con quelle altrui.
Gli organi fisici di connessione sono visibili. Ma abbiamo anche organi psichici.
Indipendentemente dal sesso, possediamo tutti parti cave o vuote per accogliere gli altri. Ecco perché si parla di non-sé.
Avere o essere un non-sé non significa non avere un’identità; significa piuttosto avere la possibilità di connessione. Il non-sé non è una mancanza, ma è lo spazio accogliente che ci permette la relazione.
Per essere ricettivi, infatti, non dobbiamo soltanto saperci esprimere, ma dobbiamo anche, all’occasione, saperci svuotare.

Dobbiamo saper accogliere ed ascoltare. Se un vaso non fosse vuoto, come potrebbe accogliere l’acqua?
Molte persone sono proprio come vasi talmente pieni (di sé) che non possono contenere nient'altro.

lunedì 30 marzo 2015

La meditazione come autoterapia

Psicoterapia, psicoanalisi, meditazione… si tratta comunque di essere presenti mentalmente non solo negli eventi positivi ma anche in quelli più sgradevoli,
La presenza mentale permette di accogliere le esperienze più negative – ansie e angosce diventate intollerabili – in un ambiente neutrale e calmo, dove ci si può aprire senza il pericolo di venirne travolti. Se le emozioni si rivelano troppo forti, ci si può sempre spostare sulla presenza del respiro.
Ciò presuppone che queste esperienze si possano trovare. Ma l’operazione di affioramento dei ricordi (tenuti lontani, repressi, sepolti, evitati o divenuti inconsci) è comunque facilitata dalla particolare distensione prodotta dalla meditazione. In quello stato possono affiorare antichi traumi.

Insomma, tutto è illuminante, se si riesce a sopportarlo. L’illuminazione non è separarsi da qualcosa, ma cambiare il proprio punto di vista in modo da rendere illuminante qualsiasi esperienza.

Bruschi risvegli

L’illuminazione non è soltanto un’esperienza di piacere e di estasi, di equilibrio e di armonia. È qualsiasi esperienza di vetta, qualsiasi forte emozione.
Anche chi sperimenta una malattia o un incidente grave, la morte o la perdita di persone care, la distruzione di ciò che più ama, anche chi sfiora la morte, ecc., ha esperienze che possono essere illuminanti; scopre il senso della vita dalla parte del dolore.
Ma, ad una condizione, che sappia far riaffiorare queste esperienze senza farsene travolgere.

L’illuminazione, infatti, non è solo la rivelazione della gioia della vita, ma anche della sua tragicità. Al fondo delle angosce e dei traumi, anche lì c’è una rivelazione - anche lì ci si desta dal sonno abituale.

domenica 29 marzo 2015

Le divisioni religiose

Le divisioni tra cattolici e protestanti, quelle tra sciiti e sunniti o quelle tra mahayana e hinayana dimostrano che nelle religioni si pone sempre lo stesso problema: chi è l’interprete autorizzato del messaggio del fondatore? Se il fondatore, il profeta, non ha organizzato lui stesso la successione, il dilemma resta. Ma resta in ogni caso, perché le cose, i tempi e le menti cambiano.
La verità è che è assurdo pretendere che una successione si mantenga a lungo; prima o poi qualcosa arriva a spezzarla e a cambiarla. Niente dura a lungo, niente si mantiene uguale a se stesso. Il tempo scorre e cambia tutto, le interpretazioni e gli animi degli uomini.
Gi iniziatori di religioni sono individui eccezionali e i loro successori non possono avere le stesse qualità.
Tentare di immobilizzare il loro messaggio in canoni e dogmi è altrettanto inutile. Anzi, finisce per isterilire il messaggio stesso – che deve essere invece rinnovato e vivificato dalle menti umane, da chi ne ha le possibilità.

Lo spirito è libero e non può essere codificato in formule.

Meditazione e autoanalisi

Non è facile entrare in relazione con gli altri, ma non è facile nemmeno entrare in relazione con noi stessi. Il punto è che noi non ci conosciamo e che possiamo trovare aspetti del nostro carattere o esperienze sgradevoli – così sgradevoli da respingerle, da allontanarle da noi stessi, da relegarle in qualche zona buia (inconscio, preconscio…). E così continuiamo a restarci estranei – estranei in casa nostra.
Per cercare un riavvicinamento graduale a queste zone buie e sgradevoli, dobbiamo tentare un approccio prudente che cambi a poco a poco la nostra reazione – e dunque il nostro stesso stato d’animo. Dall’orrore iniziale dobbiamo passare ad una maggior familiarità. Un po’ come visitare un obitorio o una sala chirurgica. Lentamente la reazione di spavento si attenua.
Possiamo infine toccare la paura, guardarla bene in faccia, imparare a maneggiarla, abituarci ad essa illuminarla con sentimenti di curiosità, di comprensione, di compassione.
L’oggetto spaventoso, come un insetto schifoso illuminato da un raggio di luce, resterà abbagliato e si immobilizzerà, e noi potremo osservarlo con distacco.
Grazie al potere della mente, siamo nello stesso tempo l’oggetto osservato e il soggetto che osserva. E l’uno influenza l’altro. Il soggetto cambia a poco a poco il suo approccio con l’oggetto e in tal modo cambia se stesso. E l’oggetto cambia la sua natura.
Essere presenti mentalmente non significa soltanto essere consapevoli di ciò che avviene o che sentiamo momento per momento, ma anche della parti di noi che abbiamo dissociato.
Non si può procedere alla liberazione se non si è tutti interi.
       Meditazione e psicoanalisi hanno molto in comune, nel senso che entrambe cercano di riportare alla luce qualcosa che si trova in ombra. Ma, mentre la psicoanalisi ha bisogno di un altro con cui instaurare un dialogo e si affida alle parole, la meditazione si affida all’autoanalisi, all’autosservazione, e non ha bisogno di parole.

Comunque l’una non esclude l’altra. Tutt’altro.

sabato 28 marzo 2015

La lotta tra la vita e la morte

La lotta non è tra la vita e la morte, tra il principio della vita e il principio della morte, perché entrambi servono la vita. Anche la morte serve la vita, dato che senza morte non ci sarebbe vita.
Lo scontro va spostato più a valle.
La volontà di vita-morte lotta in realtà contro quel nulla indifferenziato che l’avvolge e la minaccia di estinzione.
La nostra mente non vuol vedere la complementarità degli opposti: vita-morte, bene-male… Ma gli opposti lavorano insieme per lo stesso scopo; un po’ come il poliziotto buono e il poliziotto cattivo negli interrogatori. Fanno finta di contrapporsi, ma in effetti lavorano allo stesso fine.
Ciò che si oppone ad ogni coppia di opposti è l’indifferenziato, quel nulla da cui sono emersi faticosamente e che vorrebbe di nuovo inghiottirli. Questa è l’area del divino - il grande nemico del tutto.


I Papi

Un capomafia può essere meno sanguinario e feroce di un altro. Ma resta sempre il capo di un’organizzazione criminale.
Anche un Papa può essere meno oscurantista di un altro. Ma resta sempre il capo di un’organizzazione dedita all’impostura.
Gesù era un uomo semplice che si esprimeva con concetti semplici – che non possono essere definiti sbagliati, ma, tutt’al più, insufficienti. Però, non si occupò mai di organizzare un movimento. Fra l’altro, era convinto che il mondo sarebbe finito “entro una generazione”.
Non fu come il Buddha che volle istituire un Ordine e dettò delle regole.

Quindi, ciò che fu chiamato “Chiesa” non era nella mente di Gesù. Fu un’istituzione che, sapendo di non avere fondamenta, si premurò subito di introdurre nei Vangeli frasi che la profetizzassero. In tal senso, è un’impostura.

Il senso del limite

Se il capitalismo è la volontà di profitto, e di un profitto senza limiti, allora l’esito finale non può che essere la distruzione della terra. L’impulso al guadagno, infatti, è qualcosa di irrazionale che non può trovare in sé dei limiti; è come l’impulso delle cavallette quando arrivano in un campo: mangiano tutto finché muoiono o emigrano.
Ma dalla terra non si può emigrare.
Bisogna dunque adottare la saggia politica del buon pastore che, dopo aver fatto brucare l’erba alle pecore, si sposta in un altro prato per dar tempo all’erba di ricrescere; oppure la politica del contadino che, dopo aver coltivato un terreno, lo lascia a riposo per farlo riprendere.
Si tratta in sostanza di un criterio di saggezza.
È la saggezza che può salvare il mondo, non altro.

Ma chi insegna oggi la saggezza? Da noi si indicano magari gli esempi dei fanatici e santi, non quelli dei saggi.

venerdì 27 marzo 2015

Le unioni civili e gli incivili

Ci risiamo. Non appena si parla di unioni civili, e in realtà ogni volta che si tenta di cambiare qualcosa nel nostro ordinamento civile, arriva implacabile la condanna della Chiesa - che in genere blocca tutto nel nostro pavido e ignorante Parlamento.
Come negare che la Chiesa sia per l’Italia la principale palla al piede, la più grande forza reazionaria, ciò che impedisce al paese ogni mutamento?

Chi ha nel suo seno una forza del genere, e non solo ne ha paura ma anche la esalta in ogni giornale e telegiornale, e introduce perfino i suoi ministri nella scuola pubblica, ha scarse possibilità di progresso.

La natura traumatica della vita

Basta vedere come si nasce: tra dolore, spavento e lacrime – della madre e del bambino. Ecco il segno distintivo della vita. Poi si passerà da una paura all’altra, da una sofferenza all’altra, da una crisi all’altra… fino all’ultimo trauma...
Siamo tutti inconsistenti, instabili, effimeri, esseri destinati a sparire in poco tempo. E questa consapevolezza non può che essere angosciante.
Per fortuna, la vita riserva anche gioie e soddisfazioni. Ma non tali da cancellare l’altra faccia. Tutto dura poco.
Come difenderci? Non si tratta di negare la paura o di nasconderla attraverso il vitalismo o l’illusione di immortalità.
Si tratta piuttosto di guardare in faccia l’orrore senza farcene travolgere, senza perdere l’equilibrio. Perché è certo che più si nega, più l’impatto sarà devastante.

Il problema è trasformare la visione dell’instabilità in una forza che arricchisce. Chi guarda il trauma con consapevolezza, ha già vinto l’angoscia, ed ha una nuova energia.

giovedì 26 marzo 2015

Lo sguardo contemplativo

I miti aiutano a capire, ma quanto nascondono? Per esempio il mito di Gesù o dell’America non è ciò che impedisce di capire Gesù o l’America?
Per i greci, la Via Lattea era il latte di Era che allattava Ercole; per gli egizi, era un campo di grano seminato dalla dea Iside; per i navajo americani era una donna che al mattino donava il pasto preparato per gli dei; e per i boscimani era il fumo di un fuoco acceso da una fanciulla che cercava di indicare la strada al suo uomo disperso nella notte.
Ogni mito dà una sua interpretazione, che spiega qualcosa nascondendone un’altra. La scelta del mito dipende dalle proprie preferenze, rientrando nel discorso che si vuole svolgere.
Così il mito di Dio. Tutto dipende da ciò che si vuol di-mostrare.
Ma questo significa che è la qualità dello sguardo ciò che ci permette di “vedere” in un certo modo. L’interpretazione dipende dalla qualità di questo sguardo. È da come guardiamo che vediamo.
Il vedere non è qualcosa di oggettivo, ma dipende dallo sguardo e dagli interessi che nutriamo. Da come impostiamo lo sguardo, vediamo cose diverse, perché è lo sguardo che interroga le cose e provoca un’interpretazione. L’interpretazione, la comprensione, la spiegazione, è già nello sguardo che domanda.
Guardare non è dunque mai neutro o ingenuo. Il tipo di sguardo produce il tipo di comprensione. La motivazione iniziale determina la risposta.

Ecco perché lo sguardo contemplativo, con la sua volontà più o meno conscia di essere obiettivo, imparziale e distaccato, è capace di donare serenità – quella serenità che fin dall’inizio vi aveva messo dentro.

mercoledì 25 marzo 2015

Il commercio delle indulgenze

È dai tempi di Lutero che si manda avanti questo obbrobrio.
I fedeli credono che, facendo un viaggetto a Roma e dando un po’ di soldi alla Chiesa, potranno avere sconti di pena. Comoda la vita per un cattolico, tra preti che assolvono i peccati e denaro che abbrevia le pene. Peccato che in questo modo la sua coscienza si atrofizzi.
Per il cattolico, tutto si compra e si vende, anche la salvezza eterna. Egli non ha nessun rapporto con Dio, ma sempre e soltanto con mediatori interessati.

E poi ci lamentiamo che la nostra società sia così corrotta. Ma questa mentalità è l’essenza della corruzione.

Mindfullness

Questa parola inglese significa letteralmente “pienezza (fullness) della mente (mind)” e sta a indicare la meditazione di consapevolezza.
Nella meditazione di consapevolezza cerchiamo di vedere con più chiarezza ciò che avviene dentro di noi. Il suo scopo è capire la differenza tra l’essere comandato e trascinato dai pensieri (e dagli altri moti mentali) e l’essere colui che osserva i pensieri. Ciò che affiora non sono soltanto pensieri, ma anche stati d’animo, alcuni semplicemente negati perché dolorosi. Noi però non dobbiamo cercare di respingere ciò che è spiacevole: dobbiamo osservare tutto, imparzialmente, con distacco.
Questo distacco ci rende più consapevoli. La mente infatti ha una natura autoriflessiva e permette di trovare un centro non toccato dagli eventi mentali che affiorano di continuo, alcuni dall’inconscio.
Dobbiamo osservare tutto con obiettività e prenderne nota. Non dobbiamo invece tentare di sopprimere o di reagire. Da una parte si pone l’ego con le sue attività e dall’altra il testimone che lo osserva.

Questo esercizio allevia lo stress e sviluppa le aree della mente associate all’autocoscienza. Se viene applicato ai nostri problemi personali, diventa una forma di autoconoscenza e di autoterapia; e se viene applicato ai problemi più filosofici (esiste o non esiste un Dio, esiste o non esiste un’anima, esiste un aldilà, che cosa significa vivere, ecc.) permette di uscire dalle risposte stereotipate e sostanzialmente fasulle delle religioni.

La meditazione sui suoni

Sedetevi su una sedia, su una poltrona, sul pavimento a gambe incrociate o stendetevi su un letto.
Ascoltate i suoni che provengono dalla strada (auto, moto, treno, aereo, uccelli che cantano, cani che abbaiano, ecc.), dalla casa (voci, bambini, telefoni, radio, frigorifero, ascensore, ecc.) e da voi stessi (rumori di pancia o del respiro).
Ascoltate tutti questi suoni e prendetene nota: “Questo è un camion, questo è un bambino, questo è un borborigmo della pancia, ecc. I suoni possono essere contemporaneamente due, tre o più. Nominateli tutti mentalmente.
Se non ci sono suoni, ascoltate il lieve rumore del vostro stesso respiro.
Cercate di limitarvi all’ascolto e a non pensare, non fantastica. Infatti, dopo un po’, la mente ha la tendenza a divagare: si mette a ricordare, a chiacchierare, a rievocare fatti o persone, a prevedere, ecc.
Quando finite, vi accorgerete che la vostra percezione della realtà è più vivida del solito e che voi vi sentite più calmi e anche più lucidi.
Questo semplice esercizio vi aiuta a entrare nel mondo della meditazione, che è essenzialmente un osservare la propria mente.
Ad un certo punto, invece di osservare i suoni (che sono comunque vostre percezioni), potreste incominciare ad osservare i vostri pensieri. Che cosa mi passa in questo momento per la mente?
I pensieri vanno e vengono come onde del mare. Non cercate di fermarli, ma cercate di allargare lo spazio dell’osservatore. In altre parole, il vostro Sé è quello che osserva la mente. Cercate di spostarvi dal soggetto che pensa e sente al soggetto che testimonia tutto ciò.



martedì 24 marzo 2015

La natura della sofferenza

Per i greci (per esempio per Omero) è il dolore che crea la follia, la perdita di saggezza e quindi la colpa. Per i cristiani è la colpa che genera la sofferenza. Ma la sofferenza esiste indipendentemente  da qualsiasi colpa personale. Lo stesso Buddha, che pure credeva nel karma, afferma che solo un evento doloroso su otto è provocato dal karma: tutti gli altri, la maggioranza, sono dovuti a incidenti o al caso.
In realtà la sofferenza è una caratteristica della natura. Basti considerare che la vita si basa sulla morte e che il meccanismo del nutrimento, per cui ogni organismo sopravvive uccidendone altri, è di un’immensa crudeltà e ferocia.
Questo è il Dio da cui veniamo - non un’anima bella, non un’anima delicata.
Quindi, più che cercare di evitare la sofferenza, dobbiamo addestrarsi a fronteggiarla senza farcene distruggere.
Il mondo si regge su due gambe: il bene e il male, la felicità e l’infelicità, il dolore e la gioia, la vita e la morte. Non si può reggere su un’unica gamba.
La forza sta nel riuscire a “guardare in faccia” la sofferenza. Una forma di contemplazione.
Dobbiamo saper guardare ogni cosa, nel bene e nel male. Non distogliere lo sguardo da ciò che è sgradevole o traumatico. Nell’India antica, gli asceti andavano a meditare nei carnai.
Nella Divina Commedia, Dante procede prima per la contemplazione delle torture infernali. Ma non c’è bisogno per scoprire il volto impietoso della sofferenza di compiere un viaggio ultraterreno. L’inferno è anche qui sulla Terra. Basta andare in un ospedale, in un pronto soccorso, in un ospizio per anziani o in una zona di guerra. Stupri, violenze, ferite, massacri, epidemie, terremoti, cicloni, malattie incurabili…
La tradizione giudaico cristiana sbaglia gravemente quando afferma che la morte e il male non appartengono alla natura, al naturale decadimento delle cose, ma alla violazione della legge divina. Questa è pura utopia: un sogno della mente che vorrebbe cancellare gli aspetti negativi della vita, e attribuirli allo stesso uomo. In realtà la sofferenza viene proprio dalla volontà che ha istituito il mondo.

Ed è sbagliato proteggere i giovani dalla vista di queste realtà sgradevoli: la vita è traumatica e non c’è modo di difendersene. Chi chiude gli occhi, subirà soltanto un trauma ancora più devastante.

lunedì 23 marzo 2015

Pubblico e privato

Che cosa è pubblico e che cosa è privato? Lo stabilisce la legge, l’ordinamento giuridico. Se l’amore, per esempio, è un fatto privato, perché la legge se ne occupa? E perché il matrimonio diventa un vero e proprio contratto, con tanto di testimoni?
In realtà è la legge che strappa ai soggetti il privato e lo trasforma in pubblico.
Ma i soggetti, a loro volta, da che cosa sono istituiti?
Ciò che io decido è un atto della mia soggettività o è un’espressione calcolata a priori dal sistema? Non è che mi riconosco soggetto proprio perché sono un soggetto giuridico?
Se è così e gli individui scelgono all’interno di quanto è anticipatamente predisposto dalla legge, non sono veri soggetti, ma semplici attori, maschere, funzioni, “per-sone”.
In effetti, il sistema giuridico, economico e tecnico lascia ben poco spazio all’individuo. Se in campo giuridico esiste ancora una distinzione tra pubblico e privato, nel sistema economico e tecnico ogni atto privato è deciso e dominato da un calcolo economico-tecnico che lo trasforma in un atto pubblico del tutto al di fuori del controllo individuale.
Quale individuo può mettersi fuori del sistema capitalistico?
Oggi siamo tutti sottomessi alle leggi economiche, così come un tempo lo eravamo a quelle di Dio. Anzi, i due tipi di legislazione, a ben vedere, rispondono ad un unico principio: quello del dare e dell’avere.
Ecco perché la religione è sua volta una categoria economica. Fare del bene è considerato un investimento produttivo, cui verranno corrisposti nell’aldilà gli interessi. Nella mentalità comune, c’è una specie di conto corrente, di partita doppia a livello cosmico.
Molte parabole evangeliche seguono proprio questa logica, tanto che Dio è paragonato ad un amministratore e perfino ad un banchiere che chiede conto degli investimenti fatti.

In questo quadro, non ci si meraviglia che ci sia un commercio di tutto, anche delle indulgenze.

domenica 22 marzo 2015

La monade dell'ego

Nella vita non facciamo che restare aggrappati a ciò che non abbiamo e non siamo, a ciò che non ha un’esistenza intrinseca, dato che esiste solo in relazione ad altro.

Ma questa inesistenza del nostro sé, questa sua inconsistenza, è ciò che permette di essere parte del tutto. Se restasse isolato, a se stante, come una monade senza porte e senza finestre, non comunicherebbe, non si relazionerebbe – e allora sì che non sarebbe niente.

I compiti delle madri

Le madri hanno un duplice compito.
Primo, devono illudere il bambino che sia al centro del mondo, il re di ogni cosa.
E, secondo, se sono bravi madri, devono disilluderlo: non sei al centro del mondo, non sei la persona più importante del creato – sei un uomo come tutti gli altri.
Lo stesso fanno i buoni maestri.

Così si aiuta a crescere. Se non passiamo da questa seconda fase, saremo degli inguaribili narcisisti, dei deleteri prepotenti che credono che tutto sia dovuto loro.

Due tipi di nulla

Noi non sappiamo se il mondo sia il prodotto di una catastrofe (come pensavano per esempio gli gnostici) o se sia un dono, una grazia, qualcosa in definitiva di positivo.
Dominati e spinti dal desiderio, non possiamo non credere che la vita sia una fortuna. Ma, in realtà, non sappiamo se sia la continuazione di un’anomalia, di un errore cosmico, di un esperimento fallito - che sarebbe meglio interrompere.
Se non ci fosse nulla, in fondo che cosa accadrebbe? Nulla, né nel bene né nel male. E chi ha stabilito che l’essere sia migliore del nulla?

Perché esistono due tipi di nulla. L’uno che è il nulla assoluto, da cui non può nascere niente, e l’altro che è l’origine unitaria e trascendente (del dualismo) da cui proviene ogni cosa. E, se quest’ultimo nulla è Dio, come potrebbe essere qualcosa di negativo?

sabato 21 marzo 2015

Di fronte alla sofferenza

Ci raccontiamo storie per ingannare l’attesa, per rassicurarci, per trasportare la mente in un luogo immaginario, dove tutto può accadere, per non pensare alle cose brutte che ci circondano o che sono dentro di noi, per vincere la paura dell’ignoto e delle tenebre. Per addormentarci.
Per non guardare in faccia la realtà.
Per passare la nottata.
Ma è troppo poco, è una difesa fragile e infantile, proprio come quella dei bambini che si fanno raccontare favole.
Il problema è che nessuno può sfuggire all’angoscia, al trauma, alla sofferenza. Siamo individui precari e deboli, che vengono inevitabilmente investiti da dolore, solitudine, noia, delusioni, sconfitte, fragilità, disperazioni, incidenti, violenze, malattie, invecchiamento e morte.
Ora non è possibile evitare del tutto la sgradevolezza della vita, le fatiche, le sofferenze, le esperienze negative, le perdite. L’esistenza può riservarci esperienze gioiose, ma non può proteggerci da quella angosciose. Tutti devono passarci, indipendentemente dal fatto che siano ricchi o poveri, potenti o impotenti, grandi o piccoli, forti o deboli.
E non si esce da questi traumi raccontando o raccontandoci favole, assumendo droghe, consumando cose o persone, non fermandoci mai, credendo ad aldilà consolatori o fuggendo in qualche caverna o isola. Ciò da cui fuggiamo, in realtà è già dentro di noi e ce lo portiamo dietro.
Anzi, più cerchiamo di evitarlo, più ci sarà vicino a farci del male. Perfino i godimenti cui ricorriamo possono alla fine produrre altra infelicità.
No, la fuga - materiale o mentale – non è la via.
La via è l’accettazione consapevole. È capire che questa è la realtà e che è inutile fuggire.
L’accettazione deve diventare ad un certo punto serena. È nell’accettazione che si crea di nuovo uno spazio vitale, breve o lungo che sia, per poter affrontare la vita.

Se ci sentiamo sbattuti dalle ondate sugli scogli, possiamo metterci a contemplare la vastità, la terribilità e la bellezza del mare.
Dobbiamo accettare due cose: i dati di fatto e le nostre emozioni negative, senza cercare né di sminuirle né di reprimerle. Dobbiamo saper accettare anche gli eventi e i sentimenti sgradevoli, usando compassione ed auto compassione, sintonia e sensibilità. Già questo ci aiuta a prendere le distanze, a comprendere e dunque ad uscire dal trauma.

venerdì 20 marzo 2015

I nemici della felicità

Quelli dell’Isis hanno compiuto una grande prodezza: hanno ucciso quattro “crociati”, sì modesti pensionati che facevano i turisti a Tunisi.
Il loro scopo era danneggiare il Museo del Bardo a Tunisi e ammazzare qualcuno. Ecco un’impresa eroica, che sarà premiata da Allah.
Questi uomini odiano il bello e la gioia, amano la morte e non la vita. Si vestono di nero, perché sono tristi. Vogliono reprimere le risate, il buonumore, il divertimento, la libertà delle donne, la musica, lo svago e le bellezze artistiche. Sono gli alfieri del brutto e del tetro.
Sono infelici che vogliono creare infelicità.

Ecco i frutti dell’infelicità. Chi è infelice odia il mondo e gli uomini – e vorrebbe ridurre tutti al suo livello.

Le due felicità

Esiste una felicità che nasce dall’aver acquisito, conquistato, pensato o vinto qualcosa.

Però esiste anche un’altra felicità – a disposizione di tutti, anche di coloro che non hanno nulla – che nasce dalla natura stessa dell’essere, che si manifesta non quando facciamo o pensiamo qualcosa, ma quando siamo calmi, centrati, sereni, equilibrati e, quindi, con una mente priva di fluttuazioni, esterne e interne.

La giornata della felicità

Se invece del denaro guadagnato o del successo ottenuto, prendessimo come unità di misura il nostro stato di felicità, ci accorgeremmo che spesso i nostri valori sono sbagliati.
Ci renderemmo conto che ciò che conta veramente non sono le acquisizioni esterne, ma come ci sentiamo internamente. Se guadagniamo molto, ma siamo insoddisfatti e infelici, stiamo sbagliando strada. Se per lavorare, perdiamo quasi tutto il tempo della nostra vita, stiamo sbagliando. Se non abbiamo mai un attimo per stare con noi stessi e per verificare i nostri stati d’animo, siamo alienati
La mente non può essere sovraccaricata da mille impegni. Dobbiamo darci delle priorità e mettere ai primi posti quelle attività che ci fanno sentire bene. Se un lavoro ci fa soffrire troppo, se ci fa sentire delle trottole, se non ci dà tregua, per quanto possa essere remunerativo, è senz’altro sbagliato. E lo stesso vale per le relazioni con le persone.

Vivere è vivere bene. Essere dev’essere benessere. Altrimenti non ne vale la pena.

giovedì 19 marzo 2015

Gestire le emozioni

La parola “emozione” viene dal latino e-movere che significa “mettere in movimento”. E, in effetti, ogni emozione ci mette in moto, trasforma il nostro modo di sentire.
Ci sono emozioni che ci devastano. E ci sono emozioni vitali, che ci alimentano. Nessuna emozione è buona o cattiva in sé. Tutto dipende dalle circostanze.
Quando un’emozione ci assale, non abbiamo modo di difenderci e ne veniamo invasi (è il caso per esempio dell’ira). Ma, se lo stato d’animo ci fa soffrire o ci porta a sentimenti di malessere, dobbiamo reagire. Se non vogliamo essere in balìa di emozioni distruttive, dobbiamo lavorarci su.
Le emozioni possono essere positive se ci fanno sentire vivi, energici, fiduciosi e ottimisti; ma possono essere negative se ci tolgono la gioia di vivere e ci fanno precipitare in gorghi di disperazione o di dolore.
L’ira è negativa. Ma, se mi arrabbio per un ingiustizia, è forza positiva.
L’odio è negativo. Ma se odio un criminale, è giusta.
L’amore è positivo. Ma se amo la droga, il gioco d’azzardo o la persona sbagliata, diventa negativa.
L’ansia ci fa star male. Ma un po’ di ansia ci aiuta a prepararci meglio.
La paura è negativa. Ma senza avvertire la paura saremmo già morti.
La noia può essere annichilente. Ma può anche essere creativa…
Le emozioni sono ambivalenti e ambigue. In genere, ciò che ci fa sentire in pace, equilibrati, aperti e saggi è positivo. Ciò che ci provoca agitazione, confusione, squilibrio e perdita di autocontrollo è negativo.
Come fare a intervenire?
Dobbiamo diventare chiaramente consapevoli dello stato d’animo che ci pervade in un certo momento. “Questa è collera, questo è un impulso d’odio, questo è egocentrismo, questa è invidia, questa è un’ ansia eccessiva, ecc.”
A questo punto dobbiamo fare un salto. Passare dallo stato d’animo perturbante a quella parte di noi che ne è consapevole. Quella parte, quel centro, essendo semplicemente coscienza, non è investito dall’emozione negativa. Ma ne è distaccato. La coscienza è solo coscienza.
Dunque, spostandoci in quel centro, prendendo le distanze dall’emozione che ci turbava, usciamo dallo stato d’animo che minacciava di travolgerci e approdiamo a uno stato di consapevolezza che ci ridona l'equilibrio e la salute, mentale e fisica.

Le emozioni per loro natura non sono stabili. Sono come le onde del mare, che si alzano e si abbassano. Perciò, con il tempo, è molto meglio trovare quel “fondo di noi stessi” che non è toccato dal loro moto e che resta sereno nonostante l’agitazione della superficie.

mercoledì 18 marzo 2015

Fare il pieno di gioia

Bhavana è il termine sanscrito che indica la meditazione e significa “coltivare”. Il corrispondente tibetano è gom, che significa “familiarizzarsi”. Che cosa bisogna coltivare? Con che cosa bisogna familiarizzarsi?
Ovviamente con la mente e con il suo modo di funzionare.
E la mente, pur lavorando spesso a ricordare il passato e a immaginare il futuro, deve essere studiata qui nel presente.
Ecco il significato dell’espressione “presenza mentale”: essere consapevoli di vivere, di essere presenti qui e ora. Che cosa stiamo facendo? Che cosa stiamo sperimentando? Che cosa stiamo vivendo?
Ora superiamo il contingente e puntiamo all’essenza dell’essere.
Stando attenti, siamo in realtà consapevoli di essere. Questo è il punto di partenza e di arrivo.
Non è più una questione di piacevole o di spiacevole, di attrazione o di repulsione. Siamo l’essere che è consapevole di essere, al di là di ogni stato particolare, di ogni condizionamento contingente
Questo mio puro essere individuale (atman) è l’essere fondamentale del tutto (brahman). Ed è caratterizzato da consapevolezza da gioia.
Così si fa il pieno di gioia.
Ovviamente, in questo mondo dove tutto cambia continuamente, arriveranno i momenti in cui ritorneranno le preoccupazioni, l’ansia, l’insoddisfazione, la paura – in una parola la sofferenza.
Me, se avremo fatto il pieno di gioia e ne ricorderemo per lo meno il sapore, se ci saremo convinti che l’esperienza della gioia legata al puro essere (non a questa o a quella acquisizione) è sempre possibile, avremo la chiave del valore dell’esistenza e della nostra capacità di resilienza.

Qui la meditazione opera come un accumulatore.

martedì 17 marzo 2015

L'uomo tecnologico

Anche se molta filosofia se la prende con la tecnica, dobbiamo mettere in evidenza che l’uomo è l’essere tecnologico per eccellenza. È colui che, attraverso gli oggetti, i metodi e gli strumenti da lui stesso costruiti, è in grado di cambiare il mondo e anche se stesso.
L’uomo esce dalla natura per costruirsene una propria, con i rischi che ne conseguono. È la tecnologia che permette, per esempio, l’allungamento della vita. Il problema è che deve assumersi a questo punto la responsabilità del funzionamento del mondo, che finora era stato affidato solo alla natura. Ormai non ci si può più limitare alla semplice contemplazione della natura. Da quando l’uomo ha utilizzato un bastone per prendere o modificare qualcosa, è entrato in una nuova era.

Anche la meditazione è una tecnologia – una tecnologia della coscienza.

Libertà dai ruoli

Se mi identifico nel ruolo che svolgo, sarò tenuto a regole e a comportamenti che qualcuno ha prestabilito per me; sarò quindi etero-diretto, sarò una specie di maschera o di marionetta. La libertà come identificazione con il ruolo è un controsenso.
È evidente che per rivendicare la mia libertà, e quindi il mio vero sé, dovrò negare l’identificazione tra il mio sé e il ruolo che svolgo, che sia quello familiare (figlio, padre, ecc.) o quello sociale (l’operaio, l’ingegnere, ecc.) Non sono la funzione che svolgo.

Devo rivendicare la mia identità profonda prendendo le distanze dai ruoli e dalle varie funzioni sociali e perfino psicologiche.

lunedì 16 marzo 2015

La plasticità della mente

C’è gente che dedica ore alla ginnastica per migliorare il proprio stato di forma. Ma perché non dedicare un po’ di tempo anche ad un miglioramento del proprio stato mentale?
Eppure, dallo stato della mente dipendono malessere e benessere. Spesso soffriamo perché siamo in balìa di stati mentali perturbati: ansia, paura, odio, invidia, egoismo, ira, depressione, ecc. – stati che con un po’ di addestramento possono essere eliminati.
Forse non ci si rende conto che possiamo allenare la mente proprio come esercitiamo i muscoli o gli organi e che un regolare esercizio di meditazione porta grandi benefici: più calma, più consapevolezza, più serenità, più equilibrio, più attenzione, più libertà, ecc. nonché più conoscenza di se stessi e comprensione degli altri.
La nostra mente non è immutabile. Con l’esercizio possiamo addestrarla a riconoscere e a cambiare gli stati mentali negativi.
Di recente si è scoperta la “neuroplasticità” del cervello. Ma anche la mente è plastica, modificabile e migliorabile. Non siamo condannati a ripetere meccanicamente schemi mentali, pensieri e comportamenti che sappiamo nocivi. Con un po’ di esercizio possiamo cambiarli.
La mente è la centrale che ci permette di vedere il mondo e noi stessi in termini positivi o negativi, di benessere o di malessere, di sofferenza o di felicità. La scelta sta a noi.



Sulla natura della meditazione

Un lettore mi ha domandato che cosa distingue la meditazione da una fede qualsiasi. E io gli ho risposto che lo stato meditativo va sperimentato, non solo pensato o sperato. La meditazione è una pratica, un'esperienza, non una fede che non può essere provata.
Il fatto che non debba essere una fede o una religione, cioè una semplice operazione culturale, è confermato dalla prassi di avvicinamento, dall’approccio, dal metodo, che consiste nel mettere temporaneamente fuori uso le attività mentali. In tal senso si parla di non-mente.
Di questa esperienza si parla in varie tradizioni, da quella delle Upanishad (Vedanta) a quella del buddhismo (nelle sue varie diramazioni), da quella dello yoga a quella del taoismo. Se ne parla inoltre, seppure in forme interpretazioni diverse, in tutte le tradizioni mistiche. Questo tanto per dare dei punti di riferimento.
La meta finale, l’ “illuminazione”, significa semplicemente un “vedere con chiarezza”, un constatare, un verificare che la natura auto-luminosa del proprio essere è la natura luminosa del tutto. Comunque, anche se non si raggiungono esperienze di vetta, è possibile ottenere una maggior chiarezza e un maggior equilbrio.
Gli approcci, le tecniche, sono appunto l’argomento di questo blog, che conta ormai più di duemila post. In ogni caso, si tratta di sospendere le abituali attività conoscitive, che sono sempre dualistiche (bene-male, alto-basso, creatore-creazione, soggetto-oggetto, principio-fine, trascendente-immanente, ecc.), e concentrarsi nello spazio vuoto che esiste tra un atto mentale e l’altro.
Accanto a questa funzione spirituale, la meditazione è un insieme di metodi, una vera e propria disciplina, per conoscere e trasformare i nostri stati mentali e quindi per liberarci dai condizionamenti più dolorosi. In tal senso si parla di “risveglio”, perché ci si rende conto di aver fin allora vissuto sotto l’influenza di valori, di schemi e di comportamenti sbagliati che portano inevitabilmente all’insoddisfazione e alla sofferenza.


domenica 15 marzo 2015

Il potere della suggestione

Nel film A Beautiful Mind sul matematico John Nash, questi vede per buona parte della sua vita personaggi che ritiene reali, con cui discute, si accalora e vive determinate esperienze. Sono allucinazioni di una mente schizofrenica, ma lui non riesce a distinguere ciò che è reale da ciò che è un parto della sua mente.
Purtroppo, questo disturbo è assai diffuso. Quante apparizioni di Madonne, Gesù, dèi, santi, ufo ed extraterrestri sono dello stesso tipo?

Se poi c’è qualcuno che sfrutta questi deliri mentali, come le religioni, il gioco è fatto: l’allucinazione diventa un’apparizione soprannaturale, si creano santuari, e, da quel momento, le folle si recano a pregare e a chiedere grazie. E succede anche qualche”miracolo” – tanto è il potere della suggestione.

Libertà e sottomissione

La meditazione ha per scopo la liberazione degli uomini. La religione ha per scopo la loro sottomissione. Non so se notate la differenza.

Ma gli uomini hanno paura della libertà e della responsabilità, e cercano sempre qualche potente cui sottomettersi.

La setta dei cristiani

Nel terzo secolo dopo Cristo si diffusero nell’impero romano i culti provenienti da Oriente, le religioni che promettevano la salvezza nell’aldilà, visto che l’aldiqua appariva sempre più tetro e senza speranza. Oltre ai culti di Mitra, di Sabazio, di Giove Dolicheno, di Iside e di Cibele, si diffuse anche il culto di Gesù.
All’inizio i greci e i romani si misero a ridere: quel culto così incredibile non avrebbe mai potuto affermarsi.
Ma gli imperatori romani compirono due errori: non si accorsero che i seguaci del Cristo erano i più organizzati e settari e misero a morte alcuni di loro, facendone dei martiri.
I cristiani andarono a nozze: vivevano di martirio. E così quello che non fece il mito di Gesù, lo fece il mito dei martiri: costruì nell’immaginario collettivo degli eroi e un legame forte come la morte.
In seguito, i cristiani si vendicarono, e, quando giunsero al potere con Costantino, disgregarono quello che restava dell’impero romano. Da quel momento non si fermarono più, e distrussero ogni istituzione statuale.

È per questo che in Italia non si è potuto mai affermare il senso dello Stato, nemmeno oggi.

Il re di Roma

L’aspetto più notevole di Papa Francesco è che appare tutti i giorni in televisione e in radio, più ancora di Papa Woytila, che pure era un campione di presenza massmediatica e un vero e proprio attore. Ma lui, almeno, non voleva cambiare nulla, anzi, era un conservatore accanito.
Questo Papa, invece, ci ripete tutti i giorni che la Chiesa deve essere cambiata.
Evidentemente, anche lui si rende conto che è marcia.
La corruzione della Chiesa, d’altronde, non è un fatto episodico, ma costituzionale. Nasce infatti già con la corruzione dei testi evangelici, costruiti ad arte per far credere ad un certo mito. E poi prosegue di corruzione in corruzione.

La verità è che la Chiesa, fondata su tradizioni e dogmi, non può cambiare. La sua natura è proprio l’immobilismo, l’immodificabilità. Se sono duemila anni che è marcia e immutabile, vuol dire che non può che essere così.

sabato 14 marzo 2015

L'Origine del mondo

Volete trovare ciò che sta alla base di tutto? Rivolgete l’attenzione verso la vostra stessa mente: quella che vi permette qui e ora di percepire, di sentire, di conoscere e di pensare.
Ma non prestate attenzione al flusso delle sensazioni, dei sentimenti e dei pensieri. Prestate attenzione invece allo sfondo, a ciò che è presente quando non sono presenti i vari moti mentali.
È uno stato di luminosità, nel senso che illumina tutte le attività della mente.
Identificate questo stato di pura consapevolezza e di non-dualità, libero dai concetti e dal pensiero discorsivo. E cercate di dimorarvi per qualche istante.

Voi non ci crederete. Ma quello è l’Origine di tutto. E voi lo siete. 

Prete e gendarme

Prete e gendarme sono sempre stati alleati. Il primo tiene buono il popolo con le promesse di un aldilà consolatorio. E il secondo, se proprio il popolo non si rassegna e disturba il potente, lo bastona e lo imprigiona.

Trattare con Dio

Nell’antichità, tutte le forze della natura erano rappresentate dagli dèi: Eolo presiedeva il vento, Apollo il sole, Poseidone il mare, Zeus il cielo e così via.
Poi ai vari dèi si è sostituito un Dio unico, che comanda tutto.
Ma siamo ancora all’interno dello stesso discorso – un discorso mitologico.
Lo scopo non è solo quelli di identificare la causa o le cause prime della natura e del cosmo, ma di arrivare a controllarle attraverso il rito, il sacramento, il sacrificio, l’offerta, ecc.
Si tratta in sostanza, primo, di una necessità della ragione che cerca di identificare e di dare una spiegazione logica a fenomeni che altrimenti apparirebbero arbitrari e incontrollabili, e, secondo, di un bisogno psicologico. Si vorrebbe infatti ridurre l’angoscia dell’imprevedibile e l’ingovernabilità dei fenomeni, degli avvenimenti e del loro presunto autore.
Con Dio in fondo si può trattare: esistono regole, comandamenti, rituali, prezzari, eccezioni, cavilli, intermediari…

E per un po’ si sta tranquilli… finché non arriva quell’evento che non è più controllabile e che sfascia il fragile castello di carte della mente.

Giubiliamo

Dopo che lo Stato ha fatto il suo Expo, ecco che la Chiesa organizza il suo. Si sa che, quando le finanze del Vaticano sono vuote, si indice un Giubileo. I pellegrini accorrono e la Chiesa incassa, fa affari.
“Santissimi affari” titola il Fatto Quotidiano.
Ma far soldi sarebbe il meno. La cosa peggiore è che il fedele s’illude di fare affari con Dio. Questa è la mentalità delle religioni, questo è ciò che le religioni insegnano. Fai un pellegrinaggio, fai una congrua offerta e otterrai un favore da Dio. Ecco perché i ricchi si sentono tranquilli: loro possono pagare più di tutti. Ai tempi di Gesù si compravano animali da sgozzare presso il Tempio di Gerusalemme; e più spendevi, più avevi in cambio. Da a allora, non è cambiato nulla. Il fedele è convinto che c’è comunque un prezzo da pagare.

Tutto si può comprare e vendere. Anche l’anima, anche la salvezza, anche gli sconti di pena. "Lucrare l'indulgenza" si dice comunemente. Questi sono i fondamenti delle religioni di massa, che non caso sono i fondamenti del capitalismo e del dominio del mercato.

IL potere della paura

È la paura che tiene in vita il potere - il potere politico e il potere ecclesiastico. Da una parte, la paura di essere impotenti, di essere bisognosi, di non poter provvedere a se stessi e, dall’altra, la paura di essere liberi, la paura di essere responsabili.
I poveri di spirito hanno paura di non avere un protettore, un padrone, e non si rendono conto che ogni protettore è uno sfruttatore, che ogni padrone non è disinteressato, non interviene per nulla; e che il potere dei loro dominatori sono loro stessi a darglielo.
Si vendono così per poco: vendono la propria libertà per un piatto di lenticchie.

È dalla paura che nascono tutte le religioni, tutti i poteri.

venerdì 13 marzo 2015

Religioni di massa

Le masse si affidano alle religioni, non alla meditazione.
Il problema è che pochi vogliono vivere a occhi aperti. Una volta ho udito questa frase: siamo in mezzo ad un’oceanica moltitudine di struzzi.

Ma ricordati: per quanto tu faccia lo struzzo, ti rimane fuori qualcosa … Stai attento.

Fede e pregiudizio

Mettere avanti la fede è come mettere avanti il pregiudizio.

Verità e falsità

La verità fa male solo una volta; la falsità sempre.

Padroni e schiavi

Finché gli uomini avranno bisogno di un padrone, non potranno essere liberi.

È la paura che tiene in vita il potere dei padroni, anche quello di Dio.

La fonte

Non devi meditare presso la fonte. Ma devi essere con la fonte, sentire la fonte come senti te stesso.

“Se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana,” Il piccolo principe.

Il potere dello spirito

Come diceva Régis Debray, “la spiritualità è individuale e interiore, mentre la religione è istituzionale e sociale.”
Spiritualità è dunque resistere ad ogni tentativo di indottrinamento, rimanere freddi e lucidi, non cedere alle facili emozioni di massa, continuare a ragionare con la propria testa, cercare la propria interiorità, non essere parziali, tifosi, faziosi, non cedere alle fedi irrazionali, alle opinioni comuni, alle tradizioni, ai movimenti di massa, e alla pubblicità commerciale, politica e religiosa.

Scriveva Karl Krauss che “il mondo è una prigione dove è preferibile stare in una cella di isolamento.”

Il mito cristiano

Il mito cristiano del Dio che si fa uomo è la prova che l’uomo non è capace di pensare la trascendenza se non in termini umani, se non riducendola alla propria misera misura.

Sette sataniche

Chi semina dèi, prima o poi raccoglie demoni.

giovedì 12 marzo 2015

La visione egocentrica

Il nostro problema è che non riusciamo a prescindere da una visione egocentrica. Se per esempio un mio collega viene maltrattato dal capo, io gli dirò: “Non te la prendere, sta’ calmo. Si vede che il capo aveva i nervi”. Magari mi dispiace, ma non mi arrabbio.
Se però il capo maltratta me, la reazione sarà diversa: mi arrabbierò, mi sentirò umiliato, mi abbatterò, ecc. Me la prenderò e non starò calmo.
Il motivo è che mi considero al centro di tutto, l’essere più importante.

La saggezza è tutta qui: non considerarmi al centro di tutto, ma essere capace di prendere le distanze. Essere capace di guardare me stesso come guardo un altro.

La rete cosmica

Le cose non hanno un’esistenza autonoma perché sono tutte interdipendenti. Non esistono di per sé, ma esistono in relazione alle altre.
Sembrerebbe una constatazione sconfortante… se non ci fosse una conseguenza positiva. Nessuna di esse può veramente sparire finché esistono tutte le altre cose.

È un po’ come in una rete. Se togliamo i nodi, la rete sparisce. Dunque, finché vediamo la rete, i nodi non possono essere dissolti.

Allungarsi la vita

I fisici ci spiegano che all’inizio c’era una grande vuoto, un grande nulla, da cui nacque ad un certo punto lo spazio e il tempo. Ma si dimenticano di aggiungere: la coscienza.
La coscienza infatti non è qualcosa che viene infusa a posteriori, magari da un Dio, ma qualcosa per cui le cose sono conoscibili. È per questo che quando crebbero le primo forme di vita avevano già una coscienza di sé e dell’altro.
Tempo, spazio e coscienza sono un tutt’uno. L’universo nasce per conoscere (soggetto) e per essere conosciuto (oggetto).

Quando non si conosce, quando non si fa esperienza (ed è quasi impossibile se non per brevi istanti), usciamo anche dallo spazio-tempo. Facendo un vero vuoto interiore, smettendo di fare conoscenza, ci allunghiamo la vita, anche se per brevi istanti.

Nichilismo

Il nichilismo della nostra condizione è già inscritto nel fatto che il mondo sia stato creato ex nihilo, dal nulla.
Non possiamo non essere nichilisti, perché proveniamo dal nulla.

Ma il nulla va visto per quello che è: una matrice di possibilità.
Dal nulla non nasce nulla? No, dal nulla nasce tutto.

Come sugheri tra le onde

I fatti sono quelli che sono, ma il loro effetto su di noi dipende… da noi.
Dunque, possiamo essere non ciò che gli altri o gli eventi vogliono, ma ciò che noi decidiamo di essere.
Questa è la capacità della meditazione.
C’è chi domina il mondo e chi ne è dominato.

Perché fari dominare dagli altri il proprio mondo interiore?

mercoledì 11 marzo 2015

Addestrarsi alla calma

Siccome nessuno di noi è Superman, è difficile non provare un po’ di paura o di ansia quando dobbiamo affrontare un esame, un intervento chirurgico o qualche altra situazione critica. E non dobbiamo colpevolizzarci per questo. Anzi, esiste anche un’ansia positiva, perché ci predispone ad essere più attenti e preparati. Anche la paura ha una sua ragion d’essere. Senza la paura, non riusciremmo nemmeno ad attraversare incolumi la strada.
Ma resta il fatto che, più resteremo calmi, più l’esito sarà favorevole.
Addestriamoci dunque a rimanere calmi, rilassati e distesi.
A volte poi le cose vanno male. Ma ci si può comunque preparare ad accettare la sconfitta o la perdita con calma. Sarà comunque meglio che finire disperati o depressi.

Se possiamo far qualcosa, perché perdere la calma? E, se non possiamo farci niente, perché perdere la calma?

La virtù della calma

Gli stati d’animo negativi nascono tutti dall’aver perso la calma, la stabilità, l’equilibrio, il distacco, la saggezza.
La calma è la migliore virtù, quella che racchiude tutte le altre.
La vita cambia radicalmente quando ci si propone di restare calmi, qualunque cosa succeda. Anche di fronte alla disgrazia.
Si può fare con tutto con calma. Anche morire.
Ma, per restar calmi, occorre rimanere stabili nella calma, esprimere un preciso proposito e praticare la consapevolezza dei nostri stati d’animo. Questa è la base di partenza.

Proponetevi di star calmi una intera giornata, e poi alla sera domandatevi se siete stati peggio o meglio.

La santa calma

Il primo scopo della meditazione è ottenere la calma. Sembra poco, ma è tantissimo. La calma serve infatti, oltre che a vivere meglio, ad avere una mente limpida e lucida, capace di vedere se stessa, gli altri e le cose del mondo, e capace di darci benessere anziché sofferenza.
Il benessere o l’infelicità di una persona si traducono in pratica nei sentimenti che prova. Ma questi sentimenti, anche se in un primo momento possono essere indotti dal’esterno, devono passare per il nostro essere, la nostra mente – e quindi possono essere osservati e contrastati o favoriti. Questo controllo dipende da noi, non da un altro.
Qualcuno, per esempio, mi può far arrabbiare. Ma spetta a me accettare e cedere ad un attacco di rabbia, o riportare la pace nel mio cuore e nella mia mente. E questo vale per tutti gli stati d’animo, per tutte le nostre reazioni.
Ci sono stati d’animo positivi, che vanno favoriti, e stati d’animo negativi che vanno contrastati e riconvertiti. Tra questi ultimi la rabbia, l’odio, la gelosia, l’avversione, l’agitazione, l’invidia, ecc. E tra i primi la calma, la serenità, la gioia, la compassione, la saggezza, ecc.
Quello che mettiamo in evidenza è che noi possiamo essere le vittime di stati d’animo provocati da noi stessi, dagli altri, dal mondo e dagli eventi, oppure possiamo decidere di non essere dei burattini eterodiretti e di prendere in mano i fili del nostro benessere e della nostra vita.
Perché arrabbiarmi o odiare, se questo fa star male prima di tutto me stesso? Non è masochismo?
Quando perciò sto per arrabbiarmi, devo prima di tutto osservare lo stato d’animo, pensare che è comunque nocivo e utilizzare tecniche (per esempio di respirazione o di rilassamento) per far sbollire l’ira.
Più stai calmo, più stai bene. Più sei agitato, più stai male.
Il tuo benessere o il tuo malessere dipendono da te. Questo è un messaggio di liberazione.