mercoledì 18 marzo 2015

Fare il pieno di gioia

Bhavana è il termine sanscrito che indica la meditazione e significa “coltivare”. Il corrispondente tibetano è gom, che significa “familiarizzarsi”. Che cosa bisogna coltivare? Con che cosa bisogna familiarizzarsi?
Ovviamente con la mente e con il suo modo di funzionare.
E la mente, pur lavorando spesso a ricordare il passato e a immaginare il futuro, deve essere studiata qui nel presente.
Ecco il significato dell’espressione “presenza mentale”: essere consapevoli di vivere, di essere presenti qui e ora. Che cosa stiamo facendo? Che cosa stiamo sperimentando? Che cosa stiamo vivendo?
Ora superiamo il contingente e puntiamo all’essenza dell’essere.
Stando attenti, siamo in realtà consapevoli di essere. Questo è il punto di partenza e di arrivo.
Non è più una questione di piacevole o di spiacevole, di attrazione o di repulsione. Siamo l’essere che è consapevole di essere, al di là di ogni stato particolare, di ogni condizionamento contingente
Questo mio puro essere individuale (atman) è l’essere fondamentale del tutto (brahman). Ed è caratterizzato da consapevolezza da gioia.
Così si fa il pieno di gioia.
Ovviamente, in questo mondo dove tutto cambia continuamente, arriveranno i momenti in cui ritorneranno le preoccupazioni, l’ansia, l’insoddisfazione, la paura – in una parola la sofferenza.
Me, se avremo fatto il pieno di gioia e ne ricorderemo per lo meno il sapore, se ci saremo convinti che l’esperienza della gioia legata al puro essere (non a questa o a quella acquisizione) è sempre possibile, avremo la chiave del valore dell’esistenza e della nostra capacità di resilienza.

Qui la meditazione opera come un accumulatore.

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