lunedì 30 aprile 2018

La retta via


Perché non si può insegnare la meditazione? Perché la meditazione insegna ad essere se stessi. E come di fa ad insegnarlo?
Come si dice, il maestro, o l’insegnamento, indica la via, ma ognuno deve percorrerla  e viverla da solo.
Percorrere questa via, essere se stessi, non è facile. Ed è il compito di una vita. Sbaglieremo mille volte e ci rimetteremo mille volte sulla retta via.
Il problema è che l’intera nostra società congiura a modellarci – pensare, fare, essere - in un certo modo. E a noi non resta che difenderci, prendendo atto di questa opera di condizionamento e lottando per essere o rimanere noi stessi.

Finire nel nulla


Può darsi che, morendo, si finisca nel nulla. In apparenza è così. Ma perché averne paura?
Magari il divino è proprio quel nulla.
Morendo, cadremmo nelle braccia di Dio – di un Dio che “annulla” tutte le maschere, tutte le mode, tutte le finzioni, tutte le recite...

martedì 17 aprile 2018

L'esercizio del vuoto


Noi vediamo le cose come se fossero composte solo da una sostanza piena. Per esempio, se prendiamo un tessuto, crediamo che sia composto sola di stoffa e non vediamo che la trama della stoffa è in realtà composta anche da tanti punti vuoti. Ma, senza quei vuoti, il tessuto non potrebbe esistere. Questo vale per qualsiasi altra cosa, compreso lo spazio, il tempo e la mente. Il vuoto, la struttura discreta della materia visibile e invisibile, è ciò che permette il funzionamento del tutto.
Esercitiamoci per esempio a notare lo spazio vuoto tra due pensieri. C’è sempre e si può osservare. Arriva un pensiero e, prima che passi e ne arrivi un altro, c’è come un attimo di vuoto. Lo stesso può dirsi della respirazione: tra un’espirazione e un’inspirazione (o viceversa) c’è un attimo di vuoto.
Questo vuoto è essenziale, dato che senza di esso niente potrebbe essere.
Perché dovremmo stare attenti a questi attimi di vuoto? Perché in essi si manifesta il fondamento della nostra essenza, che è sostanziata di calma, di silenzio e di non-essere. Il non-essere è essenziale all’essere, è la sua base.  
Al fondo dell’essere non c’è un altro essere, ma un vuoto. Ed è da questo che ha origine e ritorna tutto. Anche in vita, quando ci sentiamo smarriti o oppressi da mille preoccupazioni e quando perdiamo la via e non sappiamo né che fare né dove andare, ritorniamo al nostro fondamento trovando questi momenti di vuoto, di silenzio, di tregua, di non-essere. Lì ritroveremo il nostro equilibrio e la nostra energia.
Di solito crediamo di risolvere i problemi concentrandoci e pensando ancora di più. Ma, ritornando al vuoto, ritorniamo alla nostra origine che sa di che cosa abbiamo bisogno e che ci conduce, volenti o nolenti, sulla sua - o nostra - strada.

lunedì 16 aprile 2018

Il potere delle immagini


Spesso parliamo di illuminazione senza saper esattamente che cosa sia. Forse si tratta uno stato di visione in cui si percepisce l’interconnessione di tutte le cose. Il che appare abbastanza logico, dato che tutto ha avuto una stessa origine.
Ma, pur non sapendo neppure che cosa sia la coscienza, abbiamo un obiettivo alla nostra portata che ci permette di raggiungere uno stato particolarmente vantaggioso: porre una barriera agli stati mentali negativi – quelli che ci inducono rabbia, angoscia, ansia, paura, vergogna, ecc. Poiché spesso si tratta di nostre interpretazioni, non di dati oggettivi, possiamo raggiungere notevoli risultati, tenendo la mente sgombra da questi attacchi che intorbidano il nostro animo.
Distinguiamo per esempio una paura giusta e giustificata dalle paure prodotte dalla mente stessa. E arginiamo l’attacco o facendo il vuoto o ricorrendo ad immagini neutre o positive (un fiore, il mare, il sole, un albero, una collina, una montagna, una campagna, una persona, una casa, un mandala, una figura geometrica o altre cose piacevoli).
Le immagini hanno questo di potente: che occupano la mente scacciando ogni altro pensiero.
Evocando immagini positive, magari archetipiche, e interrompendo le emozioni negative, mettiamo in atto una “tecnica del benessere” che non solo ci sarà utile a vivere meglio, ma che ci aiuterà anche a rendere più limpida e acuta la mente, indirizzandoci verso stati straordinari di coscienza. Non più al servizio della mente, ma padroni della mente.

domenica 15 aprile 2018

I grandi esploratori


Per esplorare e scoprire nuove terre, c’è bisogno di coraggio e di spirito d’avventura. Ieri come oggi. Ma in passato i grandi esploratori sapevano che bastava avere un finanziamento, un porto da cui partire e una nave. Salpando verso l’ignoto, sapevano che prima o poi avrebbero incontrato una terra… o la morte.
Oggi, per gli esploratori dello spirito, è tutto più difficile. Non abbiamo né il porto da cui partire, né la nave, né la meta stessa. Non sappiamo se c’è un Nuovo Mondo. Lo speriamo soltanto.
Il porto e la nave siamo noi stessi. Ma la meta dovrebbe essere una nuova dimensione dello spirito.
Se crediamo che la meta debba essere ciò che vediamo normalmente, ci sbagliamo. È qualcosa che non vediamo, è qualcosa che si nasconde sotto le cose che vediamo, così come un pezzo di materia non è solo ciò che è visibile, ma anche ciò che è vuoto e la materia oscura.
La paura è un grande ostacolo. E un buon punto di partenza è coltivare un animo tranquillo. Lì si governa la nave che, altrimenti, non potrebbe reggere alle tempeste.
A questo alleniamoci. A considerare ogni stato d’animo – bello o brutto che sia – una delle tante ondate dell’oceano. Da lì, da quella porta, da quel porto, possiamo accedere ad una nuova dimensione.

sabato 14 aprile 2018

La logica del fare


Sembra che il mondo sia popolato da tante brave persone che si danno alla beneficenza. Ed è vero. Ma, ragionando a livello globale, non sarebbe meglio che tutti si convincessero a “non fare,” soprattutto a non seminare attivismo? Perché è certo che, se qualcuno si dà alla beneficenza, altri si sono dati prima alla “maleficenza.”
Voglio dire che la mentalità che porta alla beneficenza è la stessa che porta alla maleficenza. È il voler fare ad ogni costo, il coinvolgersi, il voler intervenire, il voler accumulare, il volersi accaparrare, il voler essere ricchi, il voler essere potenti…
Se tutti adottassero fin dall’inizio la mentalità del non-fare, non ci sarebbero state né necessità di maleficenza né necessità di beneficenza. Ma finché educheremo la gente al fare, anziché al non-fare, allo starsene tranquilli, a cercare la calma, l’equilibrio e il distacco, ci sarà, ahimè, bisogno di beneficenza.
Non c’è verso che questo semplice concetto entri in testa alle persone, che hanno sempre bisogno di fare qualcosa. Loro vogliono “fare” e dunque non possono evitare di fare il male.
Se si vuole risolvere il problema del male alle radici, la formula c’è. Se invece si vuole continuare a giocare a guardie e ladri, continuiamo così. C’è chi farà il bene e c’è chi farà il male. Auguri.

venerdì 13 aprile 2018

La memoria creativa


La memoria non è il ricordo oggettivo di qualcosa, ma una funzione ermeneutica. Cioè, non è un documento affidabile, ma un’interpretazione, una ricostruzione. Ecco perché è bene non fidarsene. Finisce per tradire sempre.
Anche la tradizione è un tradimento, perché non  recupera quell’antica realtà, ma la ricrea di continuo. Ecco perché non possiamo raggiungere una soddisfacente conoscenza di noi stessi ricordando semplicemente eventi del passato.
Tutto è terribilmente presente, ormai. E, forse, non siamo mai usciti da questo eterno attimo. Ciò che attribuiamo al passato si svolge ancora qui e ora.
Perché il tempo è illusione, la suprema illusione.
Ad ogni buon conto, noi in meditazione ci alleniamo a stare nel presente.

giovedì 12 aprile 2018

Entrare nel flusso


Tra i vari benefici della meditazione c’è il disinquinamento mentale, l’uscita dalle proprie ossessioni egoiche. Se vi mettete ogni giorno a seguire il respiro o un mantra, liberandovi di ogni altro pensiero e perfino dall’idea di “io”, questo vi aiuterà poi nella vita a rimaner concentrati svolgendo i compiti che vi piacciono, ad “entrare nel flusso” come si dice.
Pensate che ogni giorno la nostra mente viene attraversata da oltre sessantamila pensieri e li insegue tutti. È difficile che resti concentrata e rilassata.
E invece il nostro problema è proprio questo. Ogni tanto, se non vogliamo stressarci, se vogliamo uscire dalla distrazione e dalla dispersione, dobbiamo imparare a fermare la macchina e lasciarla sbollire.
Ma non dobbiamo compiere l’errore di trasferire alla meditazione la mentalità competitiva e perfezionistica che domina la nostra vita. Non dobbiamo porci il problema di meditare “bene” o di raggiungere determinati risultati.
Rilassiamoci e basta. Non ci poniamo obiettivi. Non mettiamoci in testa l’idea di avere pensieri positivi o stati d’animo sublimi. Se ci poniamo questa mete, arroventiamo di nuovo i circuiti cerebrali e psicologici. Impariamo piuttosto a lasciar andare, a non preoccuparci di ciò che ci passa per la mente. Qualunque pensiero arrivi, etichettiamolo come un semplice “pensiero,” uno dei sessantamila che passano e se ne vanno.
Per meditare basta raggiungere lo stato di rilassamento di quando stiamo per addormentarci o di quando siamo distesi a prendere il sole. Dobbiamo smettere di impiegare la mente calcolante, la mente ambiziosa, la mente utilitaristica e quell’enorme fucina di tensione e di stress che è l’idea del nostro io.
Certo, non basta meditare per pochi minuti. Bisogna insistere a lungo. E spesso bisogna cercare il tempo, l’ambiente e il silenzio necessari.
Ma ne sarete sempre ripagati.

mercoledì 11 aprile 2018

Licenza di uccidere


Da Trump che avverte quasi giocosamente: “Russi, preparatevi ai missili!” ai cecchini israeliani che colpiscono palestinesi inermi gridando: “Wow!” di gioia, è evidente che esistono persone che uccidono con piacere e che hanno anzi licenza di ammazzare e che non provano il minimo rimorso di coscienza. Per costoro la vita non è affatto sacra.
Perché i religiosi si occupano tanto degli aborti e non di questa gente? Forse perché è più facile colpevolizzare una povera donna che accusare uomini pronti a uccidere il loro prossimo? Se la prendono sempre con i più deboli.
Ma vadano a interporsi con i loro corpi proprio là dove più si uccide con piacere sadico. E Dio dove è finito?

Momento per momento


Quando arriviamo alla fine di una giornata in cui abbiamo fatto un sacco di cose utili, pregustiamo il momento in cui potremo stenderci sul letto e risposarci.
Ecco, così dovremmo arrivare a considerare la morte. Sarebbe una delle vette della vita.
Ma un conto è stendersi a letto e addormentarsi sapendo che l’indomani ci sveglieremo riposati e pieni di nuove energie, e un altro conto è il “riposo eterno.” Ci sveglieremo più? È questo dubbio che ci fa temere la morte.
Però la saggezza consiste proprio in questo. Non tanto nel rimpiangere il tempo che passa o nello sperare in un’altra vita, quanto nel vivere momento per momento. Quanto al resto, è evidente che ci sono in azione forze molto più potenti della nostra volontà. Ma non diamo loro un nome.

Dovremmo essere come una persona con gli sci ai piedi che viene messa in cima a una discesa e spinta giù. Vive momento per momento, con una concentrazione assoluta. Credete che abbia tempo di pensare al proprio io?

martedì 10 aprile 2018

Padroni del nostro destino?


Abbiamo continuamente la sensazione e le prove che non siamo noi i padroni della nostra vita, che qualcosa ci spinge come un fiume in piena che si occupa poco della nostra piccola volontà egoica e dei nostri piccoli desideri. In realtà ci sentiamo abitati da una forza più grande che ci fa seguire un determinato percorso. C’è come uno scontro di forze tra ciò che vorremmo noi e ciò che vuole il nostro destino.
Ecco perché ci sentiamo così alienati: noi vorremmo andare da una parte, ma finiamo per andare da un’altra. Ma allora cosa conta la nostra volontà?
In sostanza non siamo l’io che crediamo di essere. C’è un sé più grande che ci dirige. È per questo che possiamo dire di non essere noi stessi. È come se ci fosse un’ “anima” che non è, come si credeva una volta, la parte più nobile di noi, ma la parte più forte, la parte più estesa.
Se ci opponiamo a questa forza, siamo solo insoddisfatti e infelici. Ma, per non opporci, per non sbagliare strada, dobbiamo prima conoscerla.
Questa conoscenza, però, non può nascere da una semplice analisi o da un ragionamento, perché la nostra mente razionale continua a ridurla cercando di eliminare i conflitti e le parti che non ci piacciono. Diceva Goethe: “Io non so chi sono e non voglio neppure saperlo.” Ma evidentemente si riferiva a quella parte di noi che crediamo di conoscere e che non conosciamo affatto. Si tratta solo di un fantoccetto costruito dalla mente, con tutte le sue categorie conoscitive, con tutte le sue limitazioni di tempo, di spazio, di sostanza e di causa-effetto.
Cerchiamo piuttosto di sentire, di percepire questo sé più grande, magari con una vista marginale. Ne ricaveremmo un’altra vita – senz’altro una vita più realizzata. Purtroppo il sé non è per niente ragionevole ed è troppo grande per essere compreso da una piccola visione.

lunedì 9 aprile 2018

Come cercare se stessi


Attenti a cercare noi stessi, il nostro sé, secondo qualche modello che abbiamo in testa. Quasi tutti abbiamo idee sbagliate di come dovremmo essere, di come dovrebbe essere il nostro sé.
Domandiamoci innanzitutto: vogliamo essere noi stessi o vogliamo assomigliare a qualche modello che ci siamo creati o che ci hanno creato (la famiglia, la scuola, la religione, la pubblicità, ecc.)?
In verità non dobbiamo imitare proprio nessuno
Cercare se stessi non significa che dobbiamo essere una sola cosa, altamente positiva, che escluda ogni contraddizione e ogni “difetto.” In ognuno di noi albergano contraddizioni: non questo o quello, ma questo e quello.
Nel santo c’è sempre il peccatore, nel buono c’è sempre il cattivo, nel nobile c’è sempre il rozzo, ecc. Sbaglieremmo se cercassimo solo la parte “buona” e volessimo escludere quella “cattiva.” Avremmo un sé mutilato, arriveremmo ad un sé ideale che sarebbe unilaterale, artificioso e che ci farebbe soffrire.
Si tratterebbe in ogni caso di sé ideali, non di sé reali.
L’anima è sempre qualcosa di complesso, che non esclude affatto parti “ignobili,” parti che non vorremmo avere secondo modelli puramente ideali. Dobbiamo stare alla realtà, non all’idealismo.
Cercare se stessi è cercare tutto ciò che siamo, non solo ciò che ci piace.

domenica 8 aprile 2018

Gli uomini dalla mente ristretta


Quando si perde il senso della complementarità degli opposti e dell’interconnessione di tutte le cose e di tutti gli esseri, allora si diventa pericolosi per se stessi, per gli altri e per il mondo intero. È il trionfo dell’unilateralità e dell’isolazionismo.
Questo è ciò che succede con il presidente americano Donald Trump, un individuo che sta portando il proprio paese e il mondo verso una grave crisi - una crisi di miopia, di visione troppo ristretta, di mancanza di intelligenza.
Le epoche di apertura si alternano alle epoche di chiusura, le epoche di progresso alle epoche di regresso, le epoche di unione alle epoche di divisione. Sono come gigantesche ondate contro cui non possiamo far nulla. In India si chiamano yuga. E oggi siamo nel Kali Yuga, lo yuga della regressione dell’intelligenza. Basta un individuo solo, ma potente, a condurre alla rovina il mondo.
Ma, naturalmente, un individuo del genere non potrebbe emergere se non venisse eletto da milioni di individui, ignoranti come lui, obnubilati come lui, egocentrici come lui. Gente che non capisce niente di come va il mondo e vuole affermare la propria volontà ottusa.
Si spezza un equilibrio sottile e sempre instabile, e il mondo precipita per la via sbagliata.
Era successo solo settant’anni fa con Hitler e Mussolini. E oggi stiamo ritornando indietro.
Anche in Italia stiamo regredendo, con l’elezione di nuovi partiti che hanno visioni ristrette della realtà. Anche noi ci chiuderemo e ci isoleremo, anche noi abbiamo visioni limitate e sostanzialmente stupide, o, peggio ancora, semplicemente confuse. C’è gente in questi partiti che ammira Putin o Orban.
Come dicevo, in certe epoche è l’intelligenza che decresce.
Religione, politica, economia, meditazione – è tutto connesso.

sabato 7 aprile 2018

Le anime morte


“Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti!” diceva sprezzantemente Gesù, ben sapendo che viviamo in un mondo di anime morte.
E pensare che la sua religione si è ridotta ad essere una celebrazione di riti funebri, da quello dello stesso Gesù a quello dei nostri morti.
Mettiamo in scena solo e sempre la morte. E ci dimentichiamo della vita.
Il fatto è che la vita non è solo respirare, mangiare e fottere. È essere consapevoli, attenti, sensibili, originali… al di fuori dei rituali, delle cose passate e delle convenzioni sociali.
Essere o non essere? Ma noi da che parte stiamo? Dalla parte dei vivi o dalla parte degli zombie semoventi? Dalla parte della teologia che stabilisce dogmi e comandamenti o dalla parte dello spirito, che soffia dove vuole, incurante delle tradizioni e delle consuetudini?

La nostra anima negletta


Tutti pensiamo di essere il prodotto delle cose che ci sono capitate in passato. Solo il saggio sa che le cose che ci sono capitate in passato sono il prodotto di ciò che siamo.
Il problema è che non sappiamo chi siamo veramente e ci identifichiamo con le cose e con gli eventi del passato. Ed è vero che ciò che crediamo di essere è il prodotto di ciò che è avvenuto. Ma non è il nostro vero io.
L’io che crediamo di essere è effettivamente condizionato. Ma al di fuori e prima di quel condizionamento, che cosa eravamo? E dopo che cosa saremo?
Poniamoci queste domande per decondizionarci, per trovare la nostra essenza, la nostra anima, che dev'essere qualcosa di nostro, non un prodotto di massa.

venerdì 6 aprile 2018

Il compito di essere noi stessi


Una vocazione, una missione che abbiamo tutti è essere noi stessi. Ma non è affatto facile. Infatti la famiglia, la società, il sistema educativo e la religione non vogliono affatto che siamo noi stessi – vogliono che siamo ciò che piace a loro, come piace a loro. E noi ci siamo dovuti adattare. Nessuno riesce a resistere ai primi condizionamenti. È troppo piccolo per farlo.
Dunque, il primo compito, quando ci viene l’aspirazione a ritrovare la nostra autentica identità è liberarsi da tutti quei vestiti, quegli atteggiamenti, quei valori, quelle maschere, quelle identità che ci sono stati imposte senza che potessimo reagire.
Perché farlo? Perché assumere maschere e ruoli sociali, indotti dagli altri, significa essere infelici, sentire che qualcosa di fondamentale non va.
Il mondo ci ha formato secondo le sue necessità, non secondo le nostre. La nostra identità originale è stata stravolta o cancellata, con conseguenze dolorose.
Se ci domandiamo perché ci sentiamo scontenti, depressi, ansiosi, abulici o insoddisfatti, la prima risposta è che abbiamo dovuto sacrificare la parte più autentica di noi indossando qualche maschera sociale. Ma dentro di noi stiamo male.
Il problema è che allora ci mettiamo in mente di correggerci e di migliorarci – ma ancora una volta lo facciamo in base a criteri non nostri. Vorremmo perfezionarci, anziché essere semplicemente noi stessi.
Abbandoniamo dunque ogni idea di perfezionamento e dedichiamoci piuttosto ad un’opera di cancellazione, di destrutturazione, di decondizionamento. Dobbiamo toglierci, come in un cipolla, i vari strati sovrapposti.
E questo non può avvenire che azzerando tutto, spogliandoci di ogni ideale di perfezionamento, rispolverando e accettando la nostra vera natura, con tutti i suoi difetti, cercando dentro noi stessi ciò che  stato seppellito.
Il nostro compito non è essere perfetti. È essere noi stessi. Finché non lo faremo, saremo infelici.

giovedì 5 aprile 2018

Decidere quando tutto va male


Potremmo dire che la meditazione è, da un certo punto di vista, un metodo per ritrovare il Sé, la parte più profonda del nostro essere, che viene sacrificata dalla razionalizzazione e dalle convenzioni sociali. Noi di solito ci identifichiamo con una personalità costruita dalle relazioni e dagli interessi della famiglia, della scuola, dell’educazione, dell’istruzione, della religione, dal lavoro, ecc. Siamo per esempio dei figli diplomati in qualcosa, che credono in qualcosa e che svolgono un dato lavoro. Ma questo non basta a definirci. Siamo sempre qualcosa di più ampio, di più profondo, di più basilare.
Ce ne accorgiamo quando dobbiamo prendere importanti decisioni e non sappiamo che strada scegliere. Oppure, quando non ci sentiamo soddisfatti della vita che facciamo e ci sentiamo in crisi, malati, incapaci, sofferenti.
La verità è che abbiamo perso il contatto con noi stessi, con la nostra vocazione, con l’essenza. In apparenza la nostra vita scorre “normalmente”, ma dentro di noi ci sentiamo infelici, sentiamo che ci manca qualcosa di importante. Questo stato di insoddisfazione può diventare un grave malessere, se non addirittura una malattia.
Che cosa fare? Quale nuova strada imboccare?
Non è la ragione che può darci la risposta. Possiamo pensare e ripensare al nostro stato, ma non riusciamo a capire il problema.
Ebbene, in questi casi, e in tutti i casi in cui dobbiamo prendere decisioni fondamentali, dobbiamo prima di tutto riprendere contatto con noi stessi, con la parte più profonda di noi stessi che ci manda quei messaggi di insoddisfazione. Stavolta non si tratta di pensare e di razionalizzare, né di affidarci alle convenzioni sociali o alle religioni,
Il problema è che non siamo più in contatto con il nostro più autentico essere. Che fare?
Dobbiamo metterci in ascolto, smettendo di pensare, di calcolare, di prevedere, di ricordare e di intervenire, tutte attività che non ci portano alla soluzione, ma dobbiamo  recuperare lo strato più profondo di noi stessi, l’anima, che è in realtà un centro di energia, di conoscenza e di saggezza.
Questa è appunto una forma di meditazione, da svolgere nel silenzio e nel segreto, là dove la mente razionalizzante non arriva. Dobbiamo riprendere contatto con la nostra essenza, dobbiamo lasciar parlare il nucleo di noi stessi che abbiamo sepolto sotto strati di idee e di convenzioni. Dobbiamo lasciar decidere l’anima. È sola da lì che ci può venire l’indicazione.

mercoledì 4 aprile 2018

Il destino


Avere un destino non significa dover compiere grandi cose, ma avere un sentiero da percorrere, nel bene e nel male. Anche il bambino che muore a pochi giorni o a pochi anni, ha avuto il suo destino. Ma se ci chiediamo il perché o se crediamo di conoscerlo così come si conosce un oggetto, siamo sulla strada sbagliata. Il destino siamo noi, è dentro di noi, è ciò che siamo.
Questo destino è mio, sono io. Ed è unico. Distingue ciò che sono. E non è qualcosa che venga dall’esterno, dalle bizzarrie di qualche Dio, ma è qualcosa di interno che viene dalla notte dei tempi e dall’interconnessione del tutto.
Posso mettermi a studiare questo mio destino, ma ricaverò solo quello che già sono. E non potrò cambiarlo, perché è già inscritto in me e in tutto ciò che provo e che mi accade.
La cosa migliore da fare è osservare, percepire, essere consapevoli. Non rammaricarsi, lamentarsi o sperare. Osservare facendo il vuoto dei pensieri dentro di noi. In quel vuoto incontreremo il nostro personale buco nero, l’ “uovo” da cui siamo usciti.
Ma non è definibile a parole, non è spiegabile razionalmente. Tutto ciò che provo – ansia, paura, esaltazione, scoraggiamento, gioia… - è un’ondata di energia che arriva da chissà dove e che si configura di volta in volta in me e in ciò che mi accade.
Ciò che mi accade e provo è chiaro. Ma, se cerco di spiegarlo o di razionalizzarlo, mi confondo ancora di più.
Per avere chiarezza, percepisci con chiarezza. Non respingere, non attirare, non voler cambiare o guarire. Sii semplicemente consapevole. Accogli e assapora nel silenzio. È questo il principio di trasformazione, di elaborazione – la vera metamorfosi. Il tuo destino deve svolgersi, non ostacolato.

martedì 3 aprile 2018

La ricerca di senso



Quando la vita ci pare ormai vuota di senso, sempre più opaca, devitalizzata, inquadrata, prevedibile e simile ad uno stato vegetativo, proviamo un’angoscia cui cerchiamo di reagire, buttandoci nel lavoro, nel sesso, nel cibo, nella religione, nell’amore, nella riproduzione, nella droga, nello shopping, nel consumismo, nel turismo, nei viaggi, nello studio o nella ricerca di notorietà. Tutto pur di non pensare. Avere successo ci sembra un modo per essere, per avere un’identità e un senso. Ci agitiamo come se cercassimo di acchiappare mosche.
Ma si tratta di vie di fuga, di forme di stordimento, di modi per non pensare. Facendo così, non troveremo nessun senso obiettivo.
Quando cerchiamo di credere in un Dio che dia un ordine finalistico e che la vita sia in qualche modo funzionale a qualcos’altro (per esempio a un’altra vita o al raggiungimento di qualche luogo paradisiaco, ci buttiamo sempre più la zappa sui piedi ed è come se nascondessimo l’angoscia sotto il tappeto.
Il problema è che la nostra razionalità non è la logica dell’esistenza. Non c’è fine, non c’è scopo, non c’è senso come lo intendiamo noi. C’è un “senso” che non è un semplice significato che la nostra mente possa afferrare.
È un “senso” nascosto e fuggente, al di là della mente. E ognuno deve cercare il suo.
Certo, ognuno ha una missione e una vocazione, e, se non la scopre, è destinato a star male. Ma, per farlo, non deve cercare il “pieno” del senso. Deve piuttosto cercare, prima, quel “vuoto di senso” che è in realtà l’antica energia, la via originale, la fonte, che ci permette di rientrare in contatto con noi stessi.

lunedì 2 aprile 2018

Gli adoratori di cadaveri


Dalle mummie egizie alle mummie cristiane, dall’imbalsamazione di Lenin a quella di Padre Pio, è tutto un susseguirsi di orrori, un non arrendersi alla morte, il tentativo di conservare qualcosa (di artificiale) dalla dissoluzione, la voglia di venir incontro alla necrofilia delle masse, il bisogno di adorare feticci… come per dire, ecco noi non predichiamo fantasie, ma cose concrete. Sì, mummie.
Ma la cosa più spaventosa è questa evidente mancanza di spiritualità. Solo la materia sembra contare, la carne, le ossa, la pelle.
Aveva ragione Gesù quando diceva a un discepolo di non perder tempo con le cerimonie funebri. “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!” Ossia, lascia che queste anime morte si preoccupino di cose morte e non di cose vive, dello spirito vivo!
Occupatevi dello spirito che è in voi. Lasciate perdere i cadaveri. Che si dissolvano in pace.

Riti funebri


I cristiani celebrano la morte e la resurrezione del loro Dio.
Ma Dio come può morire? C’è forse un momento in cui è morto? Morirebbe per poi risorgere?
O non è tutta una messa in scena, una sacra rappresentazione, un gioco teatrale di apparenze, uno spettacolino per il popolo ingenuo che deve attaccarsi a qualche immagine?

domenica 1 aprile 2018

IL Punto Zero


Tutto è qui e ora, in un unico punto e in un unico istante.
Questo è Dio. Per contattarlo, non servono né chiese, né rituali, né religioni. Tu stesso e tutte le cose lo sono.
Ma, allora, da dove viene tutto questo apparente divenire?
Ecco, dal porsi questa domanda. Se ti poni l’interrogativo, crei il tempo, lo spazio, l’io, Dio e tutto il resto che ti si presenta come apparente realtà.
Fai tacere la mente e tutto finirà e ritornerà in quell’unico istante e punto.

Angeli e demoni


Qualcuno li chiama “demoni”. Io li chiamo stati d’animo negativi, che ti corrodono, ti fanno soffrire e ti fanno compiere errori.
Qualcuno li chiama “angeli”. Io li chiamo stati d’animo di equilibrio e di calma, che ti predispongono alle scelte giuste.
Che differenza c’è? Che i demoni e gli angeli sono figure immaginate esternamente, mentre gli stati d’animo sono dentro di te, sono te. E quindi puoi cambiarli e volgere il negativo in positivo.
Se credi che tutto venga all’esterno, non puoi farci niente. Ma se tutto è dentro di te, puoi intervenire. Cerca dunque a calma e l’equilibrio. Tutto il resto verrà di conseguenza.