venerdì 31 ottobre 2014

La rabbia

Nella varie tradizioni spirituali, la rabbia viene considerata un impulso negativo, un peccato, una contaminazione, un impedimento, un vizio, un ostacolo. Se però ci troviamo di fronte ad un’ingiustizia, ad una prepotenza o ad una minaccia violenta, e proviamo rabbia, ira, collera, indignazione, ecc., scopriamo che questo sentimento non è improprio. Esprime una “giusta” reazione e contiene un impulso di energia che può essere indispensabile per affrontare il problema.
Semmai, non dobbiamo farcene trascinare fino a perdere il lume della ragione e a commettere spropositi. La persona che smarrisce ogni forma di controllo e si mette a urlare, la persona che è “fuori di sé”, non combina niente di buono e spesso si pente di quel che ha fatto.
Ma anche la repressione è dannosa. Ignorare o negare le emozioni rende sterili, freddi, indifferenti, quando non provoca malattie psicologiche.
Dunque, bisogna imparare ad utilizzare l’energia suscitata dalla rabbia, convogliandola verso la soluzione del problema. Il che significa che dobbiamo essere consapevoli di quello che stiamo provando e, anzi, percepirlo fino in fondo.
In realtà, non esistono sentimenti del tutto negativi, nemmeno l’odio, nemmeno l’invidia, nemmeno l’orgoglio. La realtà è sempre ambivalente: il bianco non è mai del tutto separato dal nero. Bisogna ogni volta capire la provenienza, la giustificazione e il fondamento di ciò che proviamo. E utilizzarne la carica.

Ogni impulso è frutto di una forza che può diventare positiva o negativa a seconda del modo in cui viene “trattata”, indirizzata e impiegata.

giovedì 30 ottobre 2014

Le età della vita

Diciamo la verità: da bambini siamo marionette eterodirette ed esprimiamo la nostra personalità solo indirettamente, nelle bizze, nelle ribellioni, in certe tendenze di fondo.
Poi, con l’adolescenza, entriamo nell’agone della vita e siamo in preda ad opposte esigenze e nature, tra tanta confusione e tanti errori.
In seguito arriva la maturità e ci facciamo più riflessivi, il che ci permette di incominciare a capire meglio chi siamo.
Ma è solo nella tarda età che prendiamo la distanza da tutti, e anche da “noi stessi”, dalle favole che ci siamo raccontati, arrivando ad esprimere la nostra originalità e infine a cercare una maggior libertà.
Sì, ci vuole una vita per capire chi siamo. E non basta ancora. Oltre l’io psicosomatico, c’è la fonte di ogni coscienza, capace di comunicare con l’universale.



Esperire direttamente

Di solito noi non abbiamo tanto esperienza delle cose quanto delle nostre idee o interpretazioni delle cose. E questo succede anche nei rapporti con noi stessi. Abbiamo un’idea di ciò che siamo, un'idea che è anch’essa un’interpretazione.
La mente si è costruita tutta una sua storia su noi stessi.
La sfida è scoprire chi siamo al di là delle nostre narrazioni.
I saggi dicono: sii ciò che sei, non ciò che pensi di essere; avrai delle sorprese.
Sospendi ogni interpretazione, ogni proiezione, ogni speculazione. Guarda il “te” che pensi di essere come il personaggio di un film, di cui sei tu stesso lo sceneggiatore. Molto te lo sei inventato. Se credi essere un vincente, è una recita; se credi di essere un fallito, è un altro film della tua mente.

In questo istante, senza passato, senza ricordi, senza invenzioni più o meno immaginarie… chi sei? Fai un’esperienza diretta - se ce la fai.

mercoledì 29 ottobre 2014

Le radici della sofferenza

Le radici della sofferenza si trovano nella nostra brama di acquisizione. E, per acquisizione, intendiamo il desiderio non solo di possedere potere, denaro, sesso, persone, ecc., ma anche di essere importanti, di essere qualcuno.
Ma perché vogliamo essere qualcuno?
Perché dentro di noi sappiamo di non essere nessuno.
Senza il nostro denaro, senza il nostro potere, senza le nostre cariche, senza i nostri titoli e senza le nostre conoscenze, non saremmo niente. Questa è la verità di cui abbiamo paura. Cerchiamo di acquisire cose, persone e status sociali per supplire all’angoscia che proviamo quando ci accorgiamo che non siamo nessuno.
Ma, invece di scappare subito e di metterci alla ricerca di qualcosa da possedere e da esibire, accogliamo questo nostro essere niente.
Non siamo nessuno e non siamo niente. Accettiamo questo dato di fatto, penetriamo fino in fondo in questa consapevolezza.

Nella comprensione e nell’accettazione di non essere niente e nessuno, scopriamo il nostro vero valore. Quando avremo cancellato ogni sovrapposizione, ogni presunzione, ogni volontà di dominio e ogni illusione, scopriremo, lì, in fondo, chi siamo.

Il segreto del Buddha

Il Buddha aveva sperimentato molte tecniche, molte vie, molte dottrine, molti maestri. Ma non aveva trovato ciò che cercava: la fine della sofferenza. Allora pensò di essere stato sconfitto.
Abbandonò ogni tecnica, ogni teoria, ogni ricerca, e si sedette immobile ai piedi di un albero. Non era riuscito nel suo intento. Tutto ciò che aveva fatto si era rivelato inutile.
Lì rimase tutta la notte, e, all’alba, all’improvviso…
Molti si chiedono che metodo avesse alla fine adottato e credono che manchi una spiegazione, l’ultimo passaggio.
Ma in realtà il Buddha aveva desistito da ogni tentativo, da ogni sforzo, e si era seduto immobile.

Questa era stata l’ultima pratica: l’abbandono di tutte le pratiche, nella più completa immobilità della mente.

martedì 28 ottobre 2014

Il problema dei desideri

Il problema non è controllare i desideri. Ma identificare la loro fonte.
In fondo, ogni desiderio nasce da un’aspirazione alla felicità, alla bellezza, alla gioia e ad una convivenza armoniosa. Purtroppo, questa aspirazione viene male intesa e finisce per rimpicciolirsi e deteriorarsi.

Il problema non è desiderare - è che desideriamo piccole cose, è che non desideriamo in grande.

"Sii ciò che sei" (Ramana Maharsi)

Sembra impossibile non essere l’io che ci è familiare e con cui ci identifichiamo abitualmente. Ma la verità è che quella identità ci è stata instillata a poco a poco, dandoci un nome e poi facendocelo ricordare. Ancora oggi, quando ci addormentiamo, ci dimentichiamo chi siamo e, quando ci risvegliamo, dobbiamo ricordarcelo di nuovo: “Ah, ecco, sono io!”
Ma la nostra identità, legata a quel nome, è superficiale. Siamo come un cane a cui abbiamo dato un nome. Lo chiamiamo “Fido” e lui ha imparato a rispondere, associandosi a quella parola.
C’è però un altro nome, un’altra identità: quella che ognuno di noi è per se stesso, meno superficiale della prima. Pensiamo: mi chiamo Tizio o Caio, ma io sono un altro…che solo io conosco.
È vero. Eppure non è finita. C’è un’altra identità, ancora più profonda. Non più Tizio o Caio, non più ciò che sono per me stesso, ma l’essere stesso.

Chiunque io creda di essere, lo sono solo parzialmente. Perché c’è un sé che precede tutti gli altri. Al fondo di tutto, “quello” tu sei.

Aiutare gli altri

Ci sono due modi di aiutare gli altri, l’uno più semplice e l’altro più complicato. Se uno è affamato, non c’è scelta: bisogna dargli qualcosa da mangiare.
Ma, subito dopo, bisogna metterlo in grado di lavorare.  Una volta si diceva che, invece di dare un pesce, bisogna insegnare a pescare; ed è verissimo.
Nelle nostre società, poiché il problema principale è la mancanza di lavoro, bisogna prima dare il pesce, poi insegnare a pescare e infine trovare un posto per tutti. Non basta insomma scoprire di essere ciò che si è: bisogna trasformare la forza spirituale in energia fattiva, senza che l’una abbia la meglio sull’altra.
Ma è certo che non è possibile aiutare gli altri se prima non aiutiamo noi stessi a veder più chiaro.

Nella tradizione zen, una volta ottenuta l’illuminazione, non si sparisce nell’alto dei cieli, ma si ritorna nel mercato.

lunedì 27 ottobre 2014

Religioni orientali e religioni occidentali

Direi che il problema delle religioni orientali è che non si occupano del governo del terreno, mentre quello delle religioni occidentali è che si occupano soltanto del mondano, e non sanno dire nulla di serio sulla realtà ultima. Chiamarla “Dio” significa ben poco, primo perché con questo nome si possono indicare cose diverse e secondo perché le si attribuiscono caratteristiche che sono proiezioni di menti infantili, commisurate sul modello del potere terreno.
Le religioni orientali sono andate più a fondo, toccando i limiti della mente. Ma si sono dimenticate di come gestire il soggiorno su questa terra, considerato provvisorio e illusorio. Noi però non possiamo e non vogliamo vivere in caverne sull’Himalaya, né possiamo basarci sulla carità altrui.

Bisogna dunque che l’Occidente utilizzi il meglio dei due tipi di religioni, unendoli in una sintesi nuova.

Riposarsi nella sorgente

La quiete della mente è sempre un fattore basilare della meditazione. Infatti una mente acquietata smette di attaccarsi alle idee, ai pensieri, alle sensazioni, ecc., e fa trapelare quello che era stato sempre presente sottotraccia, silenzioso.

È come quando il rumore del traffico cessa all’improvviso e puoi ascoltare il battito del tuo cuore. C’era anche prima, ma non riuscivi ad ascoltarlo.

L'infinito

L’infinito non può apparire e sparire, non è contingente, non è impermanente.
Attaccati a quella parte di infinito che è in te.
Non hai bisogno di cercarlo, non hai bisogno di sforzarti per esserlo. Lo sei già.

Tutte le cose impermanenti possono finire. Ma come fa a finire l’infinito? 

domenica 26 ottobre 2014

Satguru: il maestro superiore

In fondo i vari maestri non sono che personificazioni del sé. E il loro scopo è far capire questa realtà ai discepoli. Quando Gesù dice: “Io e il Padre siamo uno”, rivela che ha riconosciuto l’unione profonda tra il proprio sé individuale e il sé universale.
A quel punto, però, un vero maestro non deve far convergere su di sé l’attenzione dei discepoli, ma deve farla spostare su quel sé universale, che è in ognuno.
Il maestro non deve dire all’allievo che cosa deve fare, ma deve far sì che l’allievo si concentri su di sé e capisca da solo che cosa deve fare.

Se lega a sé il discepolo, se favorisce un culto del proprio ego, è un cattivo maestro.

A proposito di karma

Leggevo che, quando una madre soffre (per esempio per un periodo di freddo, di fame o di stress), la sua sofferenza si ripercuote sul Dna del feto, al punto che alcuni suoi geni ne vengono deteriorati, e questo provocherà una predisposizione a determinate malattie.
Quando si parla di karma, si allude proprio a questo processo, al filo che lega ognuno di noi alle generazioni precedenti.

E questo filo è lungo quanto la storia degli esseri viventi.

La fortuna di essere nati

Chi legge questo blog è spinto da un desiderio di spiritualità, di libertà, di saggezza, di illuminazione, di felicità, ecc., o vuole sfuggire alla sofferenza. Si pone delle domande, è insoddisfatto delle risposte fornite dalle religioni tradizionali ed aspira a qualcosa di più elevato o più profondo.
Allora la prima cosa da fare è risalire da questo desiderio alla sua fonte.
Da dove viene?
Dal sé.
Il sé è ciò che tu sei, al di là dei vari rivestimenti. Tu sei il centro da cui proviene questo desiderio.
L’ “essere se stessi” non è così comune nell’universo. È una fortuna, una conquista. I buddhisti parlano di “nascita fortunata”.

Non bisogna lasciar cadere questa occasione.

Otre la sofferenza

Trovare il proprio centro spirituale, il sé, ti permette di capire che puoi volare al di sopra delle tue sofferenze.

Quando loro ci sono, in te c’è una spaziosità che non ne viene toccata.

sabato 25 ottobre 2014

La ricerca del benessere

Ovviamente in ognuno di noi può esserci a momenti un’enorme sofferenza, dovuta a cause oggettive o soggettive. E può darsi che sia questa la motivazione che ci spinge a superare la condizione abituale.
La ricerca del benessere o di un po’ di tregua dal dolore può portarci alla ricerca spirituale. Ed è naturale.
Ma ciò che si trova alla fine è indipendente da ogni idea di felicità o di sofferenza.

La felicità e la sofferenza ci scivolano via come sabbia tra le dita.

Rilassarsi

In un attimo, passata la nuvola, il sole risplende e ti riscalda. Non è un miracolo: avviene così, naturalmente.
Tu sei pieno di luce e di saggezza, hai la chiarezza dentro di te. Basta che lasci passare la nuvola.

Basta che ti rilassi, lasciando andare la nuvola abituale della paura e della confusione.

venerdì 24 ottobre 2014

Religioni in crisi

Frati che ballano, suore che cantano, seminaristi che fanno il tip tap in Vaticano…

Per fortuna che ci siamo noi che ricordiamo che la religione non è solo intrattenimento o sacra rappresentazione, ma una seria ricerca di sé.

Condanna a vita

Il Papa dichiara che bisogna eliminare anche l’ergastolo, cioè la condanna a vita.

Belle parole. Ma che fare con i mafiosi che hanno ucciso decine di persone e che continuano in carcere a dare ordini? Li mandiamo liberi?

Sesso sfrenato

Se il sesso non è sfrenato, che sesso è?
Sesso “frenato”?
Non è una contraddizione in termini?
In quanto sfrenato, il sesso è più vicino al sé di una gelida castità.

Certo, lega. Ma anche il mangiare o il respirare legano. Finché si è in questa vita, il corpo deve andare avanti per la sua strada.
In fondo ogni rapporto sessuale è un tentativo di unione.

La natura del sé

Il sé è individuale o universale?
Nella realtà ultima non vale più la logica binaria dell’ “o/o”, ma quella unitaria dell’ “e/e”.
Dunque non individuale o universale; ma individuale e universale.

Scopriamo di essere non solo un essere individuale, ma anche universale.

Il riconoscimento

Prenditi qualche minuto (o qualche istante) ogni giorno per riconoscere che non sei né il corpo, né i pensieri, né le emozioni, né gli eventi in cui sei di solito immerso. Non sei neppure più legato al passato (con i tuoi ricordi) né al futuro (con le tue aspettative).

Sei coscienza dell’essere presente qui e ora.

La felicità dell'istante

Noi ci illudiamo che la felicità consista nell’acquisire qualcosa – e che quindi dobbiamo lottare, sforzarci e lavorare duramente per ottenerla.
Che sollievo scoprire che consiste invece nel lasciar andare ogni cosa ed essere semplicemente qui e ora, nel momento presente, senza passato, senza futuro e senza un ego che vuole affermarsi a discapito dell’unità del tutto.

In realtà, non dobbiamo essere niente e nessuno. Noi che abbiamo consapevolezza abbiamo e siamo già tutto.

Fare e non fare

Le religioni vi dicono che dovete far questo o quello, che siete peccatori, che dovete purificarvi e sacrificarvi, che dovete pentirvi, che dovete confessarvi, che dovete pregare e invocare, ecc.
La meditazione vi dice che non dovete fare nulla. Vi basta stare immobili.
Fermando il corpo, la mente, le emozioni e il fare abituale, vi appare la vostra natura essenziale, che è sempre presente sotto ogni azione, fisica o mentale.

Arrestando ogni movimento, il sole vi apparirà spontaneamente sotto le nuvole. Lì c’è il fondamento dell’essere.

giovedì 23 ottobre 2014

Il paradiso delle illusioni

Chi sogna il paradiso vuole ancora godere, è ancora dominato dal desiderio. Non cerca la liberazione.
Lo stesso per chi aspira a sottomettersi a qualche Dio.
In realtà, tutte queste cose sono prodotte dalla mente: i paradisi, gli inferni, gli dei, i pellegrinaggi, le cerimonie, i rituali, i pellegrinaggi, il passato, il futuro, le grazie, i miracoli, le apparizioni, la schiavitù, il peccato e perfino la liberazione.

C’è una liberazione che è un’idea della mente e c’è una liberazione che è già qui e ora.

La trappola delle parole

La gente vuole parole, la gente vuole definizioni, la gente vuole prove. La gente – e la tua mente.
Ma lo spirito non si esprime e non opera con questi strumenti. Le parole sono semplici boe di segnalazione, sono il dito che indica la luna.
E tu non devi guardare il dito, ma la luna.

Devi guardare, non filosofeggiare.

Lo spirito guida

Se ti rivolgi a Dio, lui ti dirà: “Sottomettiti a me, e io ti aiuterò”.
Ma perché devi sottometterti? Una volta sottomesso, sarà Dio a decidere, non tu. E chi ti dice che farà i tuoi interessi?
No, la guida è già in te. Per averla, non devi inchinarti davanti a nessuno.
Dio, lo sai, è invidioso e geloso, e non vuole che tu salga al suo rango. Magari ti farà qualche favore, ma in cambio vorrà la tua libertà. E tu ti sarai venduto per un piatto di lenticchie.
Lo spirito che ti guida è lo stesso che guida tutti, anche gli dei. Non devi elemosinare, non devi piatire.
Devi recuperare la tua più nobile natura.


In silenzio

Se credi di cogliere la verità ultima con le parole, ti sbagli.
Non puoi afferrarla neppure con il pensiero, che per sua natura è dualistico – e quindi non può afferrare l’unità soggiacente alle divisioni.
Non ti rimane che il silenzio.
Il silenzio è il tuo vero maestro.

Ma attento che non sia anch’esso un concetto. È la tua mente, con tutte le sue idee, che deve rimanere in silenzio.

mercoledì 22 ottobre 2014

Il copione che si recita

Quando parli, da dove sorgono le parole? Quando pensi, da dove nascono i pensieri?
Credi di essere tu a pescarli, a sceglierli e a concatenarli? Credi di essere tu ad agire?
No, tutte le cose avvengono spontaneamente, naturalmente. La parola emerge dal silenzio, il pensiero dalla non-mente, l’azione dal tutto già concatenato.

Non sei tu che fai queste cose. Esse avvengono secondo un copione immenso, che tu non conosci.

Essere liberi

La mente ti fa desiderare di compiere grandi sforzi per liberarti e approdare a paradisi futuri. Ma la verità è che sei già libero.
Il problema è che pensi di essere imprigionato. E ne sei così convinto che lo sei.

Ora devi eliminare questa specie di incanto negativo. Non devi sforzarti di essere libero. Lo sei.

Contemplare la vastità

All’inizio puoi contemplare la vastità, la spaziosità, il silenzio, il “vuoto”, che c’è prima dell’io.
Poi devi esserlo, senza più distinzione tra soggetto ed oggetto, tra chi percepisce e chi è percepito.
Non sei tu che fai le cose – le cose si fanno. Così come non sei tu che respiri, ma il respiro si produce da sé.


Ciò che siamo

Tutti i nostri rapporti non sono durevoli. Tutte le nostre proprietà non sono durevoli. Il nostro corpo non è durevole: un giorno lo abbandoneremo. La nostra mente non è durevole: un giorno si spegnerà, insieme con la sua idea di io.
Con la morte tutte queste cose si dissolveranno. Solo una cosa rimarrà: ciò che siamo.
        Ciò che siamo non se ne andrà mai, non ci lascerà mai.
        Ciò che siamo è il nostro centro durevole, il nucleo che persisterà anche dopo che tutto il resto sarà scomparso.
Come fare a trovarlo ora?
Cerchiamo la sorgente, là dove non c’è più il senso dell’io. Andando a ritroso, da dove nasce questo senso dell’io?
Lì si può tranquillamente continuare ad essere senza utilizzare la mente dualistica, agendo in modo naturale, spontaneo ed efficace.


martedì 21 ottobre 2014

Compassione

Non può esserci compassione se non c’è immedesimazione. Solo quando capisci l’altro e ti cali nei suoi panni, puoi sentire come lui, puoi comprendere le sue gioie e i suoi dolori. Ma non devi neppure partecipare e scendere al suo livello, perché, in tal caso, non gli saresti di nessun aiuto.

Ecco perché non può esserci azione caritatevole senza un’adeguata meditazione.

"Tu sei quello!"

Mentre dormi, puoi sognare di andare in mille posti e di fare mille esperienze. Ma, quando ti svegli, ti rendi immediatamente conto di non esserti mai mosso da quel posto. Tutto è avvenuto nella tua mente.
Qualcosa, comunque, non si è mai spostato ed è sempre stato presente – un centro da cui non ti sei mai allontanato.
Scopri che cos’è.

Tu sei quello.

lunedì 20 ottobre 2014

Corpo, mente e sé

Per quanto tu abbia colto la verità, il tuo corpo e la tua mente sono creature del passato e quindi continuano a sperimentare effetti del passato. Così il tuo corpo può ammalarsi e la tua mente può sbagliare.
Ma se ti tieni focalizzato sul sé, saprai che tu non sei né il corpo né la mente. Entrambi si corromperanno e si esauriranno.

Dunque non devi provare per loro né attaccamento né avversione.

Alla ricerca del guru

Può darsi che tu incontri un vero maestro, un uomo che incarni la verità. Te lo auguro. Anche se io non ne vedo in giro.
Ma, se non lo incontri, se tutti ti sembrano piccoli, se sei deluso, è meglio che te ne stai solo, concentrato su di te.
La verità, la guida, il maestro è proprio il tuo sé. Se gli stai accanto, hai già il tuo guru.


Il sostegno cosmico

Nell’antichità si credeva che il mondo fosse sostenuto da qualche gigante, da un dio, da una tartaruga, da un serpente o da qualche altra figura mitologica. Era un modo per dire che una cosa non può sostenersi da sola nel vuoto. Qualcuno doveva sostenerla sotto.
Una mentalità primitiva.
Ma lo stesso avviene oggi con il nostro concetto di Dio. Se c’è un mondo – si ragiona – ci dev’essere qualcuno che l’ha creato, qualcuno che lo sostiene.
Ma non c’è nessun bisogno di una figura del genere, di un “reggitore”.

Il mondo continua a reggersi nel vuoto, da solo, in rapporto a tutte le cose. Ed è la tua mente che lo sostiene.

Sostare presso le domande

Se insegnassimo ai bambini a sostare a lungo presso le domande, anziché cercare di dare subito le risposte, avremmo uomini migliori, non questa vociante folla di individui che credono di proclamare delle verità senza averci pensato un attimo.

Focalizzarci sul sé

C’è gente così impegnata che non pensa mai a sé, che non si dedica mai a sé.
Questo è un errore, una forma di evitamento, di alienazione - la paura di incontrare se stessi.
Bisogna pensare ogni giorno, almeno qualche minuto, a se stessi, senza altri pensieri. Non all’ego, ma al sé.
Se non lo faremo, aiuteremo magari gli altri, ma non aiuteremo noi stessi.

Anche solo per trascendere l’io, dobbiamo addestrarci a focalizzarci sul sé.

Creatore, creature e creazione

Se c’è una creazione, ci deve essere un creatore – questa è la logica di chi crede in Dio.
Ma chi medita capisce prima o poi che non esiste nessuna creazione – e quindi nessun creatore. Ciò che esiste non è reale; è un’apparenza, un sogno, un gioco di ombre e di luci. E chi lo tiene in vita sei proprio tu – tu che continui a sognare e non te ne rendi conto.
Quando è incominciato questo sogno?
Tutto avviene nel momento presente. Tempo, spazio, cosmo ed io non sono che proiezioni. E così anche le idee di schiavitù e di liberazione.

In questo istante puoi incominciare a far finire tutto. Basta che non lasci tracce – basta che non ti fai coinvolgere nello spettacolo, nel film. Se rimani distaccato, se sei convinto che quegli eventi sono solo apparenti, ne sarai libero.

Aria nuova in Vaticano?

Aperture verso gli omosessuali, aperture verso i divorziati, aperture verso le coppie di fatto… aria nuova in Vaticano?
No, aria fritta.
Non si può rianimare un cadavere defunto da duemila anni. Inutilmente la religione insegue una società civile che è molto più avanti. La tradizione in tal caso è un intralcio.

D’altronde, la Chiesa, prodotto italiano, non può che assomigliare alla politica di questo paese: tante chiacchiere, tanti annunci, ma fatti… nessuno.

Le pecorelle e i pastori

Il problema non è sposarsi o non sposarsi, fare sesso o non fare sesso, lavorare o non lavorare. Il problema è non diventare ingranaggi di un meccanismo, formiche di un formicaio, pecore di un gregge.
Lo Stato e la religione vogliono far di te un cittadino obbediente e sottomesso, un numero, una macchina produttiva e riproduttiva, che dovrà faticare tutta la vita per fare gli interessi di pochi, i ricchi e i potenti. Tu dovrai consumarti per avere un tozzo di pane. Loro avranno tutto.

Fatti furbo. Guarda il mondo con gli occhi tuoi, non con quelli di chi vuole condizionarti e ridurti ad uno schiavo.

La consapevolezza che ci anima

Quando guardiamo la televisione, sappiamo distinguere bene tra schermo e immagini.
Le immagini sono quelle forme, quelle luci, quei colori e quei suoni che vanno e vengono sullo schermo e che cambiano di continuo. Lo schermo rimane invece fisso e non viene influenzato dallo spettacolo che vi viene proiettato sopra.
Identico è il rapporto tra sé e mente. La mente è ciò che proietta le immagini, il sé è lo schermo di fondo che non ne viene toccato.
Questa è anche una forma di meditazione. Osserviamo non gli spettacoli della vita, che, per quanto vari, sono pur sempre le stesse rappresentazioni di gioie e di dolori, di pace e di guerra, di amore e di odio, di nascite e di morti, ma lo schermo – ossia lo sfondo, il fondamento su cui tutto ciò viene proiettato.
Il bello è che nel momento in cui identifichiamo e osserviamo il fondamento, lo siamo!


domenica 19 ottobre 2014

La lotta all'interno della Chiesa

Come si vede, nella Chiesa, è in atto una lotta tra innovatori e conservatori – una lotta che in realtà dilania tutte le società e le istituzioni moderne.
Lo scontro è tra chi vuol cambiare qualcosa e chi non vuole cambiare nulla, ingiustizie comprese.
Ma, nella Chiesa, che cosa ci sarebbe da conservare? Quasi più nessuno va a messa, molti sono i cattolici che non si sposano e convivono, gli anticoncezionali li usano tutti, nessuno vuol più fare il prete, si riconoscono matrimoni tra gli omosessuali in società ben più civili delle nostre e nei nostri ospedali si pratica l’aborto legalmente.
Un prete diceva che nella società moderna nessuno sa più che farsene di Gesù.
In effetti, se questa è la civiltà cristiana, il Cristo ha completamente fallito, ha predicato al vento.
Ma il punto è che questa non è la società che Gesù avrebbe voluto. I cristiani si sono arroccati su posizioni tradizionaliste che fanno apparire obsolete le parole del povero Nazareno. Mai c’era stato tanto scollamento tra ciò che dice la Chiesa e ciò che fanno i suoi fedeli. Ed è difficile far risuscitare un dinosauro morto da duemila anni.
La verità è che, se lo Stato non sovvenzionasse con i nostri soldi un esercito (in rotta) di preti, di suore e di insegnanti di religione, la Chiesa sarebbe fallita da tempo.
E questa sarebbe stata la sua salvezza. I preti e i vescovi andrebbero a lavorare e capirebbero quali sono le condizioni reali della nostra società. E finalmente scoprirebbero qual era il messaggio originale di Gesù, che certo non prevedeva sete di potere, dogmi e ciarpame rituale.


Salvare gli altri

Tutte le religioni invitano ad aiutare e a salvare gli altri. Ottima intenzione, che purtroppo sconfina spesso nella presunzione e nella volontà di prevaricazione.
Se per aiutare gli altri intendiamo fare la carità a qualcuno, ce la caviamo a buon mercato. Con qualche centesimo ci salviamo; e i ricchi si salveranno più di tutti. Insomma, anche il paradiso ha un prezzo.
Ma, se prima non aiuti te stesso, non potrai farlo con gli altri. Se sei su una barca che affonda e non sai nuotare, non potrai salvare nessuno. Prima devi imparare tu stesso a nuotare.
Quando poi si tratta di capire qualcosa, il discorso si fa ancora più stringente. Se non capisci tu, come puoi far capire gli altri?
E arriviamo alla questione di fondo: che cos’è il vero atto religioso? Dare un tozzo di pane a qualcuno o aprirgli la mente?
Il problema è che non puoi aprirgli la mente se, prima, non l’hai aperta tu stesso.

Credete che Dio possa far diventare intelligente un idiota? Abbiamo visto qualcuno far risorgere i morti. Ma non abbiamo mai visto nessuno far diventare consapevole uno stupido.

Il peccato d'orgoglio

I vescovi, riuniti nel Sinodo, dichiarano che l’omosessualità non è nei disegni di Dio.
Quanta presunzione… Evidentemente credono di sapere quale sia il disegno divino. Chissà chi lo avrà rivelato loro. Non mi pare che Gesù ne avesse mai parlato. E, se l’omosessualità non è nei disegni divini, da dove salta fuori? Dal Diavolo?
Ecco un bell’esempio di pensiero dualistico, il principale responsabile delle discriminazioni qui sulla Terra.

E poi predicano l’amore…

sabato 18 ottobre 2014

Il soggetto ultimo della conoscenza

Noi siamo convinti di avere un corpo. Ma chi ha un corpo? Qual è il soggetto che possiede un corpo e che dice di averlo?
Esamina questo soggetto. Scopri come puoi dire di avere un corpo. Chi è che dice che hai un corpo?
Evidentemente, non è il corpo, ma un altro soggetto.
Lo stesso vale per la mente. Tu dice di avere e di essere la mente. Ma chi ne è consapevole?
Ti sei identificato con il corpo, ma sei qualcosa di diverso dal corpo. Ti sei identificato con la mente, ma sei qualcosa di più della mente. Che cosa sei?
Tu non sei il corpo, tu non sei la mente; o, per meglio dire, tu hai quel corpo e quella mente. Ma chi è il vero soggetto, il soggetto ultimo di queste operazioni?

Evidentemente, non la mente, ma o una sua particolare funzione o un’altra forma di mente, quella che noi chiamiamo consapevolezza. Basta porsi queste domande per fare un passo avanti. Oltre il corpo, oltre la mente…
Ebbene, ora identifica questa consapevolezza. Non facendone un oggetto di conoscenza o di percezione, ma saltandoci dentro – essendola. Questa è il tuo sé.

Il tuo sé è sempre presente e dice di possedere o essere un corpo-mente. Ma lui sta al di là e al di sopra di entrambi. Devi trovarlo.

venerdì 17 ottobre 2014

La liberazione

Sono poche le persone che aspirano ad una vera liberazione, perché quasi tutte aspirano a stare “bene”… come se non vivessimo in un mondo dualistico, come se ogni stato non fosse accompagnato come un’ombra dal suo contrario.
Liberazione significa invece voler uscire dal mondo delle contrapposizioni.
Ed è inutile che, per far questo, ti rivolgi a Dio.
Anche Dio aspetta la liberazione…Da che cosa?

Ma dal Diavolo!

Le alluvioni

Prima dell’alluvione meteorologica, in Italia, ci dev’essere stata un’alluvione sui cervelli.
Perché nessuna persona sensata costruirebbe una casa nell’alveo di un fiume provvisoriamente secco.
Costruireste una casa sulle pendici del Vesuvio?

Come dite? Hanno fatto anche questo?

Niente e tutto

Ci sono momenti in cui ti senti niente, una vera nullità.
E ci sono altri momenti in cui ti senti tutto, il divino.
Così tra queste due polarità si svolge la tua vita.

Ma, se sei confuso, tieni presente che anche il niente è un tutto.

giovedì 16 ottobre 2014

Il luogo del riposo

Proprio come tra lo stato di veglia e lo stato di sogno c’è uno stato di sonno profondo, in cui traluce il tuo vero sé, così tra una pensiero e l’altro c’è un momento di “vuoto ”in cui recuperi la tua vera natura.
Ma poiché lì non funziona più la tua mente abituale, non sai niente di quel che vi succede.

Dunque, la tua vera natura è sempre presente. E sei tu che te ne tiri fuori con i tuoi pensieri.

La creazione del mondo

È la mente che crea questo mondo. E crea anche tutti i mondi fantastici in cui la gente crede.
Ognuno finisce nel mondo in cui crede e con il Dio in cui crede.
Ma si tratta comunque di proiezioni della mente, dominate dal dualismo e da rapporti di dominazione e di sottomissione. Che non sono la realtà ultima.
La realtà ultima è ciò che si presenta quando si esce completamente dai mondi della mente, al di là di ogni immaginazione.

Chi vive in questo mondo o in altri mondi (compresi i mondi celesti), raramente aspira alla vera liberazione. Per lo più aspira a massimizzare il piacere.

L'alba del risveglio

Ogni mattina, quando ti svegli, rimetti in moto il tuo mondo. E, con esso, la sofferenza, l’ansia, lo stress, il piacere e la gioia.
E, con te, miliardi di esseri viventi fanno lo stesso, quasi fossero altrettanti proiezionisti.
È così che viene posta in essere la cosiddetta realtà.

Da un sogno passi all’altro. Ma non ti svegli mai.

mercoledì 15 ottobre 2014

Il bandolo della matassa

Il bandolo della matassa è proprio qui e adesso. Noi lo cerchiamo esternamente, mentre è “dentro” di noi. È come cercare gli occhiali mentre li abbiamo sul naso.
Noi siamo sempre il sé, anche se non ce ne rendiamo conto. Quando ci domandiamo: “Chi sono io?”, ci diamo mille risposte, ma mai quella essenziale, quella che sta al fondo di tutte le nostre identità. E così identifichiamo solo varie maschere. Dovremmo chiederci: “Che cos’è questa coscienza attraverso cui sto cercando?”
Da dove viene la domanda?
Il problema è che la nostra coscienza è continuamente impegnata negli eventi esterni e si è dimenticata della sua sorgente.
Dobbiamo dunque imparare a vedere tutti gli eventi come proiezioni della nostra stessa mente e lasciarli apparire e scomparire, senza attaccarcisi, senza considerarli realtà concrete, solide. Si tratta di “realtà” non molto diverse da quelle di un sogno o di un film.
Ma non per questo dobbiamo consegnarci all’immobilismo, all’apatia o all’inattività. Dobbiamo fare le cose che siamo chiamati a fare senza permettere loro che lascino troppe tracce nel nostro animo.

Perché sono loro – le tracce - che determineranno il nostro destino futuro.

Il fondamento

È tutto una tua idea. Non solo le varie manifestazioni della vita, non solo i paradisi e gli inferni, ma anche il presunto creatore di queste cose, il tuo Dio.

C’è qualcosa, al di là di tutte queste manifestazioni che si presenta quando hai spento il film della tua mente, tutte le tue rappresentazioni e proiezioni.

martedì 14 ottobre 2014

Il fiume della vita

Con il karma che abbiamo avuto (genetico, fisico, psicologico, storico, religioso, familiare, ecc.) non possiamo far finta di nulla e scegliere un altro percorso. È come scendere un fiume: una volta in acqua, dobbiamo seguire la corrente e fare i conti con il percorso obbligato dell’alveo. E qui c’è la varietà dei nostri destini, delle nostre doti, dei nostri difetti, delle nostre esistenze, delle nostre morti.
Volenti o nolenti, dobbiamo seguire il fiume e andare là dove ci porta, fino in fondo, finché non sfocia in mare.
Poiché l’acqua compie sempre lo stesso percorso, dalla sorgente alla foce, il ciclo non s’interrompe: una volta giunta in mare si fonde con l’acqua salata, evapora, sale in alto, ridiscende sotto forma di pioggia e infine ricade ad alimentare quella sorgente o un’altra.
Come fare, allora, a cambiare il nostro destino?
Dobbiamo riflettere su questo ciclo che, pur nelle diversità individuali, è lo stesso per tutti. Magari in un’ansa particolarmente calma, dove l’acqua rallenta la sua corsa, possiamo provare il desiderio di rallentare o di fermarci. Lì possiamo ripensare a ciò che è accaduto, alle mille o ai milioni di volte che siamo ridiscesi da quel fiume o da un altro, e decidere che vogliamo interrompere quel ciclo di “va e vieni”. Ne abbiamo abbastanza.
Il più è rimanere consapevoli di questo stato di cose e di questa decisione, in modo da non farsi riafferrare dal desiderio di ritornare nel ciclo. Naturalmente, conta molto non aver lasciato nessuna esperienza incompiuta, provare un senso di sazietà o di noia, vedere la caducità di tutte le cose ed aspirare profondamente ad altro.
Così si compie il destino di qualcuno che non rientrare più in circolo. Evaporerà in alto, ma non discenderà più sotto forma di acqua.


lunedì 13 ottobre 2014

Karma

La gente comune in Occidente non crede al karma. Ma il fatto di nascere da quei due genitori, in quel tempo, in quel luogo, con quel patrimonio genetico, in quel mondo… che cos’è se non il karma?
Non si tratta di credere. Ma di osservare.

Nasciamo tutti con una certa dose di condizionamenti che vengono dal passato. Se non ci si rende conto di questa realtà, si inseguono illusioni di liberazione.

La logica della fedeltà

Se si mette l’accento sulla fede, verrebbe salvato non chi si comporta eticamente, ma solo chi è più compiacente verso il Capo… anche un mascalzone.
E quindi la fede non sarebbe garante di nessuna vera moralità. Come si vede in tutte le religioni.
Ma chi garantisce questa moralità?
Ovviamente nessuno e nessun dogma astratto. Sarebbe troppo comodo, troppo rigido.
Solo la ricerca del singolo, in accordo con la ricerca degli altri, può stabilire un criterio di valutazione. Mai definitivo, mai certo.

La certezza assoluta non esiste mai. 

Il libertino

In realtà il libertino cerca esattamente ciò che cerca il mistico: un’esperienza della trascendenza.

È il “luogo” in cui si cerca che fa la differenza.

"Re-ligione"

Se “religione” è ciò che ri-lega, come indica l’etimologia della parola latina, allora è l’esatto contrario della vera spiritualità, che è ciò che slega, ciò che libera (dai condizionamenti, dai pregiudizi, dai luoghi comuni, dagli attaccamenti, ecc.).
Se però il termine “religione” indica ciò che lega tutte le cose (res-ligo), allora corrisponde alla parola Yoga, che significa appunto “unione”. In sostanza la religione dovrebbe essere ciò che fa vedere come tutte le cose siano collegate.
Ma qual è il legante? Se fosse un legante esterno, come potrebbe essere un Dio creatore, le cose non sarebbero unite di per sé, ma attraverso un elemento “altro”. Se invece le cose fossero unite di per sé, in quanto aventi un’unica origine non “estranea” a loro stesse, allora non avrebbero bisogno di un legante “altro”: sarebbero già intimamente collegate.

Come si vede, da come si concepisce Dio, si concepisce la ricerca religiosa. Se Dio è “totalmente altro”, va cercato al di fuori di sé. Ma se è un collante intimo, presente in tutte le cose, la ricerca deve volgersi alla nostra stessa natura, non altrove.

domenica 12 ottobre 2014

La sfilata dei buffoni

Dopo l’alluvione di Genova, vescovi e politici si precipitano in città a stringere mani e a farsi pubblicità.
Dopo ogni disastro, la passerella dei soliti pagliacci.

Eppure sono proprio questi inetti politicanti i veri responsabili dell’incuria che provoca tragedie.

Stupefacenti di Stato

Alla radio, la domenica, prima trasmettono “L’ora di religione” e poi “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Come dire, prima l’oppio e poi la morfina.

Ritornare alla sorgente

Il riconoscimento del sé non è facile. Pensate che situazione paradossale. Il sé siamo noi, il sé è con noi sempre, il sé è il testimone di ogni nostra azione, Il sé è la nostra essenza, ma non possiamo vederlo e neppure conoscerlo. Appena cerchiamo di coglierlo, si sposta; siamo un po’ come il cane che cerchi di afferrarsi la coda.
La situazione non è nuova. Lo stesso succede con l’inconscio – che è sempre con noi, che determina i nostri comportamenti, ma è invisibile. Molti non sanno neppure di averlo: credono di essere perfettamente coscienti e padroni di se stessi.
Dobbiamo allora lavorare d’astuzia. Esistono in realtà situazioni in cui il sé si palesa, pur secondo le sue peculiari modalità. Esistono porte o fessure attraverso cui si possono avere brevi visioni.
Una l’ho già detta: è il sonno profondo, in cui scompare l’ego. Che cosa succede? Non possiamo dirlo, perché il sé è come un buco nero che trattiene ogni luce e anche ogni informazione. Sappiamo però che c’è, proprio perché non ne ricordiamo nulla; è una specie di vuoto, di amnesia. Non ne ricordiamo nulla, ma ne emergiamo pieni di forza.
IL fatto è che nel sonno senza sogni la mente cessa di lavorare; è per questo che ne deriva una sensazione di energia, di vuoto positivo e di chiarezza. Si resetta la mente con tutti i suoi problemi e le sue limitazioni. La mancanza del lavorio mentale con le sue categorie e il suo dualismo, con le sue contraddizioni, con la sua tensione, si traduce in un bagno rigeneratore, in un vero e proprio riposo, in una liberazione. Si ritorna alla sorgente.
Non c’è bisogno di una particolare tecnica. Si provi semmai a schiacciare brevi pisolini durante il giorno. Quando ci si sveglia, ci si sente rinfrancati e per un po’ si guarda il mondo con chiarezza. Ma poi la mente riprende a lavorare. E la pace finisce.


In meditazione cerchiamo di riprodurre la dinamica del sonno profondo senza sogni. Cerchiamo di ridurre e di arrestare l’attività mentale, in modo da uscire dall’ego e da recuperare l’identificazione con il sé originario.

Alcune caratteristiche del sé sono: la mancanza del dualismo mentale, che porta a vedere tutto come un’unità organica. Il distacco, l’equanimità, che porta a guardare tutto con chiarezza e spaziosità. La sensazione di beatitudine (ananda).

venerdì 10 ottobre 2014

L'Opera di Roma


La vicenda dell’Opera di Roma è la metafora della situazione italiana, dove tutti tirano troppo la corda e vogliono mille privilegi, dove nessuno recede, dove si perde ogni ragionevolezza, dove ognuno è contro tutti gli altri e dove una burocrazia ottusa la fa da padrone. Alla fine si manda in malora ogni cosa.
Federico Fellini aveva rappresentato tutto questo nel film Prova d’orchestra (1979), a dimostrazione che i guai degli italiani sono colpa degli… italiani.  Come finisce il film? Un’enorme palla da demolizione distrugge un muro della sala, le prove riprendono e il direttore finisce col parlare in… tedesco (!).
Mai opera fu tanto profetica.
Il fatto è che Fellini conosceva gli italiani e sapeva  che si tratta di un popolo allo sbando alla ricerca di un “Signore” che li comandi.
Che cosa deve fare questo Signore? Deve dare spettacolo di sé. Con la sua corte, i suoi amici, i suoi nemici, le sue donne, i suoi scandali, le sue cerimonie, i suoi intrighi, i suoi discorsi… un po’ come i Signori del Quattro-Cinquecento o i Papi. E, soprattutto, non deve cambiare niente, perché gli italiani sono il popolo più conservatore d’Europa.
Nessuno di questi Signori ha mai fatto nulla di significativo, anche perché il vero potere ce l’hanno gli stranieri. Negli ultimi cinquecento anni, l’Italia è sempre stata governata direttamente o indirettamente dalle altre nazioni europee ed ora anche dagli americani. Di fronte alle nostre divisioni, di fronte alle nostre fazioni, ai nostri partiti (tutti grandi rivoluzionari, tutti grandi riformatori utopisti) gli altri Stati decidono per noi, e noi seguiamo come cani fedeli. Il Signore locale è solo il gabelliere che deve spremere gli italioti, facendo credere che lo fa per il loro bene.

Ma agli italiani va bene così. In fondo sono loro che hanno capito per primi che la politica non è che spettacolo.

Siddhi

Ma come? tu hai la fortuna di avere poteri soprannaturali, tu puoi volare in aria, tu puoi guarire le malattie, tu puoi far risuscitare i morti… e usi tutto questo per la tua gloria o per la gloria di Dio?
E non ti preoccupi di capire perché hai questi poteri e come puoi trasmetterli all’intera umanità?

Sei anche tu vittima dell’ignoranza!
Meglio, molto meglio uno scopritore di vaccini che ha lavorato per tutti e ha salvato tante vite.

Vite sprecate

Il prete che crede di sacrificare la sua vita per Dio, in realtà la sacrifica per una Multinazionale che fa i propri interessi e che con Dio non ha niente a che fare.
Proprio come il povero musulmano che si fa saltare in aria credendo di fare la volontà di Allah e di andare in paradiso… mentre perde semplicemente la propria vita, la propria unica possibilità di realizzarsi.

Quanti cattivi consiglieri! Quanti cattivi maestri! Quante vite sprecate!

giovedì 9 ottobre 2014

La quiete della mente

Le persone “normali” non riescono a stare quiete in una stanza nemmeno per cinque minuti. Subito devono muoversi o fare qualcosa. E, se non fanno, pensano, fantasticano, rimuginano, ricordano fatti della vita e guardano film (più o meno mentali).
Anche chi vuol essere spirituale, che fa? Va in pellegrinaggio, prega, compone sermoni, studia le fonti antiche, cerca di imitare qualche santo, si circoncide, si battezza, legge i testi sacri, compie rinunce, fa yoga, cerca maestri, compie complicati esercizi di meditazione, parte missionario, indossa una tonaca, fa catechismo, vuole conquistare gli altri…

Nessuno che se ne stia fermo e quieto nell’unico posto che è la fonte della spiritualità. Lì - nel proprio sé più profondo.

La presenza silenziosa

Attraverso il sonno profondo, la natura ci permette di entrare in contatto ogni giorno con il sé originale. Ma non di conoscerlo, perché, essendo la fonte della coscienza, il Testimone, non può essere fatto oggetto di conoscenza. Ogni giorno ci immergiamo nel sé e ne traiamo ispirazione ed energia.
La meditazione più naturale consiste dunque nel cercare di ricordare questa sorgente. Non si tratta di adottare una particolare tecnica; è come cercare di ricordare una parola o un nome che si è dimenticato. Dobbiamo raccoglierci ed evocare il ricordo.
Però dobbiamo stare attenti a non dividerci. Non sei “tu”, il tuo io, che cerca di ricordare qualcosa; è il Testimone stesso che deve riaffacciarsi.

Ci vogliono concentrazione, introspezione, sensibilità, silenzio e attenzione. E ci vuole tranquillità: a questo servono le varie tecniche preliminari per acquietare, calmare e trovare un momento di pace (shanti). Ciò che cerchiamo è la presenza silenziosa e quieta che non viene mai meno.

mercoledì 8 ottobre 2014

Il sonno profondo

Qualche volta propongo quella che potrebbe essere definita la “meditazione del pisolino”. Non si tratta di una mia invenzione, ma di una tecnica che risale all’antichità delle Upanishad. In questi testi, infatti, si nota come esistano quattro stati fondamentali dell’essere: la veglia, il sogno, il sonno profondo (senza sogni)  e il “quarto stato” (il fondamento da cui sorge tutto).
Ora, la veglia e lo stato di sogno sono caratterizzati dal dualismo, perché c’è sempre un soggetto che conosce e un oggetto che è conosciuto, entrambi impegnati in un gioco di specchi senza fine. Ma già nel sonno senza sogni - il pisolino - la distinzione scompare: non c’è il sognatore e non c’è il sognato. E che cosa rimane?
Voi non potete ricordarvi di nulla, perché non c’è la coscienza con le sue divisioni. Ma, poiché vi siete risvegliati, è evidente che c’era qualcuno che conduceva il gioco. Questo “qualcuno” è in realtà il vostro sé. Nel pisolino, dunque, voi entrate in contatto con il vostro sé più profondo perdendo nello stesso tempo il rapporto con il vostro ego, con la persona che pensa e che si divide, con l’individuo che si staglia isolato proiettando il suo mondo.
Il pisolino è dunque un aiuto che vi viene dato dalla natura per farvi ricordare che il vostro vero sé è sempre presente e che sta al fondo di ogni stato dell’essere.
Infatti, mentre da un sonno pieno di sogni potete svegliarvi impauriti o stanchi, dal pisolino vi svegliate sempre più freschi.
Per forza: siete entrati in contatto con le radici del vostro essere.
Questo sé è sempre presente anche durante la giornata. Ma viene oscurato o dimenticato nelle varie attività, nei vari stati dell’essere.
Ed ecco allora la seconda meditazione: il ricordo. Ricordarsi ogni tanto, all’improvviso, che voi non siete soltanto quell’io che pensa e che proietta il mondo. Al di sotto vi è sempre il sé silenzioso e cosciente, il Testimone, che non perde mai la propria presenza.

C’è dunque qualcosa che può essere sperimentato, ma non conosciuto (con la mente dualistica). Ed è ovvio: l’essere lo si può solo essere, non conoscere.