venerdì 30 giugno 2017

La via da seguire

A chi, di fronte alle tante opinioni sulla via da seguire, non sa a cosa dare più fiducia, dico solo questo.
Bisogna seguire la via che ci fa sentire più gioiosi. Questo è già un cambiamento positivo. 
L'unico criterio, l'unica cosa cui possiamo e dobbiamo dare fiducia è questo. Il resto è opinabile.

Se seguiamo una via o una fede che ci fa sentire tristi, infelici, depressi o repressi, quella è una via sbagliata.

Fare e pensare

Quando parliamo di meditazione o pensiamo alla meditazione, noi non stiamo facendo meditazione. Piuttosto utilizziamo concetti e parole, magari facciamo filosofia.
Ma la meditazione è una pratica, un’esperienza, non un pensiero o una discussione.

Meditare è fare, è un’azione. Se per esempio seguo il respiro cercando di concentrarmi in silenzio, faccio meditazione. Se penso, no.

Via di mezzo

“Via di mezzo” significa tra l’altro evitare i due estremi dell’appropriazione egocentrica e del freddo rifiuto nei confronti delle cose, delle passioni e delle persone.

Che cos'è la consapevolezza?

Se sapessimo rispondere a questa domanda, avremmo risolto tutti i nostri problemi di identità. Ma il fatto di  non riuscirci è altamente significativo: vuol dire che questa identità è manchevole fin dall’inizio.
Non sappiamo chi siamo perché in gran parte non siamo. Siamo come certi personaggi del teatro di Pirandello: immagini, riflessi, privo di una consistenza stabile, che recitano una parte senza sapere perché e percome.
La consapevolezza non è un semplice riflesso. Ma una scissione dell’essere che si mette di fronte a sé, perdendo perciò la propria consistenza.

La via opposta è la meditazione, intesa come una concentrazione o una riunione che risana proprio la scissione, riunificando.

giovedì 29 giugno 2017

La trascendenza è esperibile?

È il linguaggio di tutti i mistici: io sono Dio, il sé individuale è il sé universale, l’atman è il brahman, il centro dell’anima è Dio, ecc.
Noi possiamo avere esperienze di vastità, infinità, eternità, unione con il tutto, pace, silenzio, chiarezza, intuizione, quiete, estasi… ma si tratta di brevi assaggi o intuizioni che ci migliorano ma che non possono cambiare il nostro stato. Tutti dovremo comunque ammalarci, invecchiare e morire.
Finché ci troviamo in questo mondo, non possiamo andare oltre. Se la falena si avvicina troppo alla luce, viene bruciata – anche questa è un’immagine mistica.
Può darsi che, una volta liberata dal corpo, l’ “anima”o la mente possano avere esperienze più potenti. Ma per ora…

La cosa più importante non è ciò che dicono i mistici, ma ciò che esperiamo noi.

Il Dio che verrà

Di solito siamo abituati a pensare che prima ci sia un Dio e poi una creazione. Ma forse è il contrario: prima c’è un processo creativo e poi lentamente si forma un Dio.
Dio emergerebbe alla fine, come coronamento del processo auto-creativo, e naturalmente vi siamo tutti coinvolti, abbiamo tutti una grande responsabilità. Ognuno porta il suo mattoncino.

Questo processo che va avanti per tentativi, lentamente e senza garanzia di successo, spiegherebbe le mancanze, le approssimazioni, gli errori, le cadute. Perché è evidente che il mondo non è affatto perfetto e non può essere la creazione di una Mente perfetta.

mercoledì 28 giugno 2017

La Chiesa ricca

Dunque papa Bergoglio ha nominato cardinale anche monsignor Zerbo, arcivescovo di Bamako in Mali, nonostante che si sia scoperto che ha conti in svizzera per 12 milioni di euro.
Se lo ha fatto, deve aver esaminato il suo dossier. E deve aver concluso che è normale che gli arcivescovi e i cardinali abbiano conti milionari in Svizzera.

E la Chiesa povera?

I due amori

Quando parliamo di amore, parliamo di due tipi di amore che hanno poco in comune e, talvolta, sono l’uno il contrario dell’altro.
Ciò che facciamo per amore dell’ego o del sé, non è per niente amore, ma rientra nell’egoismo. Di fatto, tutto l’amore individuale (amore per le persone, per le cose, per il successo o per la fama) è espressione dell’ego.
L’amore che non è espressione dell’ego è quello che non nasce nel proprio interesse, ma nell’interesse dell’umanità.
Ma anche qui dobbiamo stare attenti: quanto altruismo è in realtà espressione della volontà di avere una buona idea di sé o qualche ricompensa qui o altrove!


In nome dell'ego

Tutto ciò che facciamo, lo compiamo in nome dell’ego. Lo consolidiamo, lo affermiamo, lo esaltiamo, lo facciamo godere, lo aduliamo, lo difendiamo, lo preserviamo e, infine, in caso di un’altra vita, gli assicuriamo onori funebri e possibilità di proseguire… non si sa mai.
Ma ora proviamo a togliergli il velo, debelliamo la sua radice, annulliamo l’attaccamento ad esso. Proviamo a liberarci, anche solo per un momento, dall’ossessione egoica.
Bene, questa è la liberazione. Non pensiamo più all’ego, non agiamo più con l’ego e per l’ego. Ogni altro tentativo di arginare le sue potenti forze – l’ambizione, la bramosia, l’odio, la competizione, ecc. – contrapponendogli le virtù contrarie, è destinato al fallimento, ad uno sforzo inutile, ad una fatica di Sisifo.
Solo la liberazione dall’ego ci permette di saltare su un altro piano. Solo rinunciando alla presa dell’ego, agiamo in modo universale.

Ma non vedo in giro tante persone capace di farlo. Vedo tanti piccoli ego che lavorano per sé.

martedì 27 giugno 2017

La censura religiosa

In Turchia è stato tolto Darwin dai testi dei licei. Lo stesso è stato fatto in Arabia Saudita. E lo stesso vorrebbero fare alcuni cristiani fondamentalisti.

Insomma, cristiani, musulmani, ebrei, induisti… tutti uniti nella paura delle idee. Vogliono essere liberi di indottrinare le menti dei giovani, censurando verità per loro sgradevoli.

"Povera tra i poveri": il business religioso

Così papa Bergoglio vorrebbe che fosse la Chiesa. Ma la verità è che è ricca, straricca. È proprietaria di banche, di immobili, di alberghi, di opere d’arte e riceve continuamente fiumi di denaro dai privati e dallo Stato; e gode di infinite esenzioni fiscali. Per esempio, in questi giorni stava per essere nominato cardinale Jean Zerbo, del Mali, ma un’inchiesta di Le Monde ha scoperto che è titolare di parecchi conti correnti in Svizzera per un totale di 12 milioni di euro. Non male per un povero. E non male per i nostri cardinali che vivono in palazzi o appartamenti principeschi, serviti e riveriti.

Zerbo si è giustificato dicendo che aveva ereditato quel patrimonio dall’Ordine dei Missionari d’Africa. Evidentemente, fare i missionari rende molto. Tanto più che il Mali ha solo 17 milioni di abitanti e pochi cattolici. Ma, si sa, la moltiplicazione dei pani e dei pesci…

L'Ab-solutus

Quando affermiamo che la Verità/Realtà ultima è Vacuità, non intendiamo dire che è qualcosa che ha determinate caratteristiche, ma che è la negazione di tutto ciò che si possa dire e pensare.
Non c’è che dire: l’Assoluto – l’Ab-solutus, ciò che è sciolto da tutto – si difende bene dai nostri tentativi di esplorazione.

Non vuole essere identificato.
Se volete dare un’occhiata alla Realtà ultima, tenete conto di questo ostacolo. E, soprattutto, liberatevi degli idoli della mente e della religione.

lunedì 26 giugno 2017

La repressione sessuale

Sull’Avvenire, il giornale dei vescovi, si parla di un’opera dello psicologo spagnolo Echavarrìa che vorrebbe rivalutare i maestri cattolici della psicologia e attacca per l’ennesima volta la psicoanalisi. Si cita un gran numero di intellettuali, di santi e di dottori della Chiesa, mettendo in evidenza la loro sapienza psicologica.
Va tutto bene. Ma, purtroppo, in campo sessuale, l’insegnamento cattolico è ancora zero. La sua unica indicazione è: repressione, repressione, repressione. Gli stessi santi furono campioni di repressione, tanto che Nietzsche (odiato dai cattolici almeno quanto Freud) definì il santo “la specie più grave di nevrotico.”

Il punto è che ci sono messaggi che vogliono liberare l’uomo da tabù e dogmi insensati, e messaggi che vogliono perpetuare la sua schiavitù. La Chiesa (nonostante tutte le sue belle parole) ha scelto di lottare contro la natura, così come è evidente nella castità forzata imposta a preti e suore e nella sua morale matrimoniale, che non ammette neppure il divorzio.

I palloncini gonfiati

Se studiate un po’ di filosofia cinese, vi accorgerete che ad un certo punto, qualche secolo prima della nascita di Cristo, sorse una discussione sulla natura dell’uomo. Qualcuno sosteneva che la natura dell’uomo è fondamentalmente buona; altri che è fondamentalmente malvagia mentre la bontà è qualcosa di artificiale.
Noi oggi sappiamo che è entrambe le cose. E che molto dipende dalle circostanze, dai tempi, dalla cultura prevalente, dalla società, dalle conoscenze, dalla scelta dei leader e da mille altri fattori.
Alcuni di questi fattori sono individuali - legati al carattere e alla genetica - ed altri sociali. Ma esiste anche qualcosa di più ampio, di cui di solito teniamo poco conto: il clima, l’ambiente, l’evoluzione naturale. Se siamo su questa Terra è perché l’ambiente ci è stato favorevole.
L’ambiente è come il tempo, qualcosa che ci trascina indipendentemente dalla nostra volontà. Qualcosa di troppo forte per essere dominato, il segno di una trascendenza che ci supera tutti, nel bene e nel male.
Resta il fatto che, mentre ci consideriamo piccole enclave, chiuse e separate, la separazione è solo temporanea. E, prima o poi, cederà, lasciando crollare ogni difesa e facendoci ritornare alla natura. Siamo come l’aria contenuta per un po’ in un palloncino. La tensione delle pareti divisorie farà scoppiare il palloncino e l’aria tornerà a mischiarsi con la vasta atmosfera circostante.
Ma c’è un limite anche qui, perché, al di fuori di questo piccolo pianeta, che stiamo consumando voracemente e incoscientemente, non c’è altra aria: ci sono, per distanze siderali, spazi, pianeti e stelle prive di ossigeno, a dimostrazione che la comparsa sulla Terra è un evento raro e fortunato. E che la coscienza umana deve assolutamente diventare consapevole della propri fragilità e della propria responsabilità nei confronti dell’ambiente.


domenica 25 giugno 2017

Svuotare la mente

Poiché il grande filosofo Nagarjuna aveva detto: “Visto che non sostengo nessun punto di vista, sono libero da ogni errore”, un discepolo domandò ad un maestro zen: “Se non devo sostenere nessuna cosa, che cosa devo pensare?”
“Posala!” ripose il maestro.
“Ma se non c’è niente da sostenere, che cosa dovrei posare?”
Allora, raccoglila!”
Il maestro si riferiva all’idea di Vuoto o di Nulla utilizzata dal discepolo. Devi posare questa idea. La realtà non è un concetto. Devi abbandonare ogni giudizio precostituito – anche il giudizio che non ci sia niente, che il niente sia qualcosa.
Ma il discepolo non aveva capito e di nuovo si riferì ad un’idea che aveva in testa: se non posso pensare a nulla [al nulla, alla vacuità che sta al fondo di tutto], come faccio a posarla?
Allora, devi riprenderla!
In altri termini, qui non abbiamo mai un nulla o un vuoto come assoluti. Si tratta di un nulla dinamico, di una nientificazione dei prodotti mentali, di uno svuotamento della mente dai propri concetti prefabbricati, di una negazione della mente stessa che vuol chiudere le verità in definizioni.

Nello stesso tempo, ci è necessario utilizzare i concetti comuni, anche se dobbiamo rimanere coscienti della loro relatività.

L'Universo come Uno

Si può vedere il cervello come un organo che, per qualche strano motivo, riesce a produrre coscienza, oppure si può pensare che ogni cosa sia pervasa di coscienza e che il cervello sia semplicemente un organo specializzato per renderla individuale. Ma anche gli altri animali e le piante sono dotate di una propria coscienza.
Resta il fatto che coscienza, corpo e ambiente sono tre aspetti di un’unica realtà. Non siamo affatto corpi separati dall’ambiente. Il corpo è l’aspetto più visibile di un quid che nel suo aspetto più sottile diventa mente.
Non esiste dunque un sé chiuso e concluso, ma un insieme di relazioni e di processi che s’intessono fra i vari soggetti e fra questi e l’ambiente.
Anche i cambiamenti dell’ambiente, per esempio del clima, producono mutamenti fisiologici e psicologici, e portano a migrazioni umane.
Ogni sofferenza e gioia delle persone influisce sul clima ed è influenzata dall’ambiente.

Se si illumina un essere, si illumina l’universo.

sabato 24 giugno 2017

Il bene comune

La differenza tra popoli più evoluti e popoli più sottosviluppati sta tutta in due parole: “bene comune”. I popoli più sviluppati, più ordinati e più prosperi sono quelli in cui la maggior parte dei cittadini lavora per il bene comune. Negli altri si lavora per se stessi, per la famiglia, per la parte politica, per la consorteria o per la cosca, ma si ignora il bene comune.
Esemplare il caso del mafioso che seppellisce nella propria regione scorie velenose per la salute pubblica. Lui si è arricchito e gli altri muoiono.
Se esaminiamo la mappa dei popoli più evoluti, troviamo gli anglosassoni, cioè i popoli protestanti. Gli altri, i cattolici, come l’Italia o i paesi sudamericani, sono sempre più corrotti, sono quelli in cui quasi non esiste l’idea di bene comune.
Ora, il senso dell’ordine e dell’organizzazione dipende dal carattere dei popoli, ma il senso etico dipende dai valori religiosi.
Certo, in Italia siamo bravissimi a fare obiezioni di coscienza o a iscrivere i nostri figli all’ora di religione, ma poi gli stessi individui, così ligi ai dettami religiosi, rubano i soldi pubblici, rubano, evadono le tasse, prevaricano, cercano privilegi e imbrogliano in mille modi, senza curarsi del bene comune.

Come mai? Forse perché per il cattolico il bene etico riguarda essenzialmente una dimensione dogmatica, sessuale ed ecclesiale, ma non arriva mai a livello di senso civico. Del resto, si sa che la Chiesa cattolica è sempre stata e rimane la grande nemica dello Stato, cui vorrebbe sostituirsi.

All'insegna del terribile

Noi non viviamo in un mondo mite: si può dire che l’universo sia nato da fuoco, fiamme, esplosioni e immani catastrofi. Chi crede in un Creatore buono e pacifico, deve scontrarsi tutti i giorni con le violenze della realtà.
Se paragoniamo per esempio le rovine di un terremoto con le rovine delle guerre e della delinquenza, ci è difficile dire che cosa sia peggio. Forse i morti provocati dalle guerre e dalla criminalità sono superiori a quelli provocati dai terremoti e dagli altri cataclismi naturali. Ma non è detto. Se ci mettiamo anche le epidemie, non sappiamo chi sia più feroce – se l’uomo o la natura.
Ma è facile dare una spiegazione: l’uno è figlio dell’altra; e - per chi crede - entrambi sono figli di Dio.
La realtà non lascia spazio a bei discorsi. Basta un “oh!” o un “ah!”; il resto sono tutte nostre interpretazioni.
È tutto un gioco, certamente, un’illusione ottica. Ma non sempre ci si diverte. Talvolta è un sogno, talaltra è un incubo. Però lo scenario è sempre apocalittico.

Rimanere sereni e distaccati in un mondo del genere è l’unica vera impresa spirituale, ciò che ci rende divini - divini in un senso nuovo, non nel senso del vecchio Dio, tutto furore e fiamme.

venerdì 23 giugno 2017

Giochi illusori

La realtà può essere paragonata a fantasie, sogni, miraggi, illusioni. E questo sarebbe il meno. Perché questa graziosa fantasmagoria di immagini può trasformarsi in ogni momento in ossessioni, brame, deliri, allucinazioni violente e distruttive.
Pensiamo all’amore. Che differenza c’è tra l’amore e l’ossessione? A che punto si trasforma in brama di possesso, in volontà di dominio, in odio, in violenza?
Tutto è illusione. Ma l’illusione non è sempre un’innocua allucinazione. Talvolta fa impazzire oppure fa morire o uccidere, così come succede nei vari femminicidi o infanticidi.
Se tutto è sogno, ci sono sogni belli e sogni brutti. Giostriamo pure con le nostre illusioni, ma teniamo conto che abbiamo a che fare con bolle di sapone. E le bolle di sapone durano poco.
Stiamo leggeri. Andiamo leggeri nei nostri giochi, in modo che non si trasformino in incubi. Non ci dimentichiamo mai che tutto deve cambiare e deve finire.

Meditare è tener presente questo stato di cose, in modo da mantenere il distacco e trascendere.

L'ultimo attaccamento

A volte l’attaccamento sta in cose che neppure sospettiamo, per esempio nelle nostre credenze in un’anima immortale.
Nelle Upanishad si dice che il Brahman, l’Essere sostanziale di tutte le cose, non può essere neppure pensato, perché è assolutamente trascendente. Di esso si può soltanto dire: “Non è questo, non è quello…”. E, tuttavia, poiché è in tutte le cose, è anche nel fondo dell’uomo.
Come diceva anche san Giovanni della Croce, Dio è il punto più profondo dell’anima.
Ma il Buddha aggiunge qualcosa di spiazzante: sostiene che questo Essere, il fondamento di tutto, è Vacuità. Ora, la Vacuità esclude ogni sia pur minimo attaccamento, fosse pure a Brahman, Dio, l’anima e l’Essere.
Come dire, finché ci attacchiamo all’idea di una persistenza del sé, abbiamo un legame, che ci impedisce di accedere alla pura trascendenza. Non ci siamo svuotati o purificati del tutto.
Può darsi che esistano altri stati e altri mondi. Ma saranno anch'essi destinati al divenire e alla dissoluzione.

Comunque sia, questa concezione buddhista ci permette di misurare quanto ci siamo liberati e quanto ancora rimane da fare. Ognuno faccia i suoi conti.

giovedì 22 giugno 2017

Gli assolutisti

Qualunque religione, anche la più compassionevole, quando pretende di giudicare il bene e il male in base a criteri precostituiti e a principi dottrinari, mettendo una gabbia alla realtà, finisce per produrre errori ed orrori.
Come si dice, la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, ma io direi di dogmi.
Non si possono fissare criteri assoluti, senza tener conto che nella realtà tutto è relativo e va giudicato in base a condizioni sempre mutevoli e diverse.
Basti vedere che cosa hanno combinato e che cosa continuano a combinare le religioni che pure predicano amore e bontà. Prima o poi generano mostruosità.
Chi si affida a questi dogmi assoluti, lo fa spesso non per fede, ma per non pensare e decidere in prima persona, insomma per non assumersi responsabilità.

Invece di insegnare ad essere flessibili, insegnano ad essere rigidi, distruggendo la vitalità di tanti credenti.

Per non dimenticare

Il Consiglio di Stato ha dato ragione al padre di Eluana Englaro, il quale, dopo un coma della figlia durato 17 anni e dopo che la Cassazione aveva autorizzato l’interruzione dell’alimentazione forzata, aveva staccato la spina nel 2009.
Ma non possiamo dimenticarci le manifestazioni dei fanatici guidate da preti. Non possiamo dimenticarci le parole di Berlusconi che aveva insinuato che la poveretta avesse ancora le mestruazioni. Non possiamo dimenticarci i governatori della Lombardia, prima Formigoni e poi Maroni, che fecero ricorso contro la sentenza sostenendo che Eluana non sarebbe mai morta in un ospedale lombardo.
Non possiamo dimenticarci le persecuzioni e gli insulti che aveva dovuto subire questo eroico padre, cui oggi vengono rimborsati 113 mila euro.
Diciamolo chiaramente: le persecuzioni furono scatenate dai cattolici più oltranzisti e da una Chiesa medievale che difende ancora oggi l’esistenza in vita anche contro ogni ragionevolezza, anche quando abbiamo davanti un corpo senza più anima.
L’autopsia ha rivelato una massiccia distruzione della massa cerebrale, tanto che la poveretta non poteva sentire neppure gli stimoli della fame e della sete.
I 113 mila euro sono un’inezia rispetto a ciò che ha dovuto subire Beppino Englaro, sia sul piano materiale sia sul piano psicologico. Ma, come dice l’esemplare sentenza, il danno più grave l’ha ricevuto Eluana Englaro che ha visto violato il “proprio diritto all’autodeterminazione in materia di cure” e che ha subito “il non voluto prolungamento della sua condizione di vita ritenuta non dignitosa, in base alla libera valutazione da essa compiuta.”
Quando si giudica in base a principi religiosi precostituiti, si finisce per commettere atrocità di questo genere. Questa è stata una delle tante crociate della Chiesa cattolica, capace di trasformarsi in un mostro violento e cattivo, capace di perseguitare chi non la pensa come lei. È sempre stata così nella storia.
Ancora oggi, i nostri imbelli parlamentari, succubi della cultura cattolica, non hanno approvato definitivamente la legge sul testamento biologico, lasciando i più deboli, i malati, i moribondi, tra le grinfie di medici, preti e politicanti senza scrupoli.
I 113 mila euro saranno pagati dalla Regione Lombardia, cioè dai suoi cittadini, ma dovrebbero essere pagati da Formigoni, da Maroni e dalla Chiesa cattolica. Che dovrebbero inginocchiarsi e chiedere scusa.


mercoledì 21 giugno 2017

La guarigioni miracolose

I creduloni esistono, sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Si tratta di persone che credono, tra l’altro, alle guarigioni miracolose. Prendiamo il caso di mamma Ebe. Già condannata a sei anni per associazione a delinquere e per esercizio abusivo della professione medica, e poi scarcerata, ha continuato imperterrita a ricevere i malati.
Ultimamente ha “curato” con una pomata la moglie di un professionista, costringendola ad abbandonare le cure mediche per l’infertilità e provocandole una grave irritazione al basso ventre.
Naturalmente, la santona aveva cercato di utilizzare un paravento religioso, l’Ordine di Gesù Misericordioso, per fortuna non riconosciuto.
Ma che importanza ha? E se l’Ordine religioso fosse stato riconosciuto?
La gente vuole credere. Il marito in questione (un professionista!) sosteneva che la guaritrice era stata incompresa dalla giustizia italiana e che, essendo agli arresti domiciliari, poteva operare ancora.
Questo dimostra che la scienza e la tecnica sono andate avanti, ma non per tutti. Anzi per pochi. La maggior parte delle persone continua a rivolgersi a fattucchiere, cartomanti, astrologi e religiosi.
E pensiamo a cosa succede quando questa massa di ignoranti si reca alle elezioni. Vengono eletti personaggi come Trump.

In Oriente si dice, a ragione, che la più grande nemica dell’uomo è l’ignoranza.

martedì 20 giugno 2017

La forza in noi

Poiché siamo stati quasi tutti allevati nella credenza di un Dio creatore e protettore, all’inizio della nostra vita, quando le cose ci vanno male, ci rivolgiamo per aiuto a questa divinità. Se però non riceviamo né aiuto né conforto, arriviamo alla conclusione che un Dio del genere non esiste.
Ma che fare a quel punto? È chiaro che, se nessuno ci aiuta, cerchiamo questa forza in noi stessi, nel nostro io. Ma non certo a quell’io che si sente debole e indifeso; piuttosto ad un io più profondo e più forte, che non si scuote di fronte alle sventure e alle fortune, e che riesce a resistere agli alti e ai bassi della vita.
Tuttavia, questa forza va preventivamente identificata e scoperta, per non trovarci, al momento del bisogno, alla ricerca di qualcosa che non ci è familiare.

In tal senso meditare è familiarizzarsi giorno per giorno con questo io.

La scissione dell'atomo

Un tempo si consideravano gli atomi unità indivisibili, il fondamento della materia. Poi si è scoperto che sono scindibili e che, per tenerli assieme, ci vuole un’enorme forza – ben visibile per esempio nelle esplosioni nucleari.
Lo stesso è per l’io. Il nostro io non solo è scindibile in altre componenti, ma necessita, per stare insieme in un’unità organica, di un’enorme energia.
Questa energia si esprime nelle nostre sofferenze e nelle nostre gioie, nonché in una tensione continua di cui a stento ci rendiamo conto.
Ma ogni azione, ogni sentimento, ogni emozione, ogni sensazione e ogni pensiero richiede una certa dose di questa energia-tensione.

Se riuscissimo a liberare tale tensione in un attimo, avremmo quel fenomeno che si chiama illuminazione. Ma, proprio come succede con l’energia atomica quando viene utilizzata nelle centrali nucleari, esiste la possibilità di tenere sotto controllo l’energia vitale utilizzandola continuamente e gradualmente in una visione lucida e illuminata dell’esistenza.

lunedì 19 giugno 2017

Alla ricerca dell'identità

Il nostro senso dell’io cambia continuamente, anche se sul momento non ce ne accorgiamo. Cambia giorno per giorno, lentamente, ma implacabilmente, tanto che noi – che ci siamo dentro – non lo notiamo.
Se però ci confrontiamo con ciò che eravamo decenni prima, nell’infanzia o nella giovinezza, riconosciamo che siamo cambiati. Tante cose non sono più le stesse, e anche il senso della vita e di noi stessi è diverso.
Noi siamo convinti che qualcosa di identico sia rimasto… forse certi tratti del carattere, forse certe reazioni, forse certi valori… forse certe illusioni…
Ma, se guardassimo più a fondo, scopriremmo che, come il nostro corpo è ormai differente, così il nostro stesso io è diventato qualcos’altro, e ciò che ci tiene legati al vecchio io sono i ricordi e un certo attaccamento.

Quell’io antico non c’è più, deformato in mille modi, da mille esperienze. L’identità non è immutabile e deve mutare, finché un giorno, senza rendercene conto, sarà un’altra. E trapasseremo da uno stato all’altro.

La retta via

Nessuno di noi sa che cosa sia la condizione d’illuminazione, altrimenti avremmo già risolto i nostri problemi. Le parole e i concetti non possono definirla. Ma allora come arrivare ad esperire ciò che non possiamo pensare?
Lo facciamo seguendo una via negativa (o apofatica): “Questo non è perfetto… questo non è permanente… questo non è indipendente… questo non è incondizionato… questo non è soddisfacente…”.
Scartiamo ad una ad una le varie condizioni che troviamo insoddisfacenti, o che almeno non sono sempre soddisfacenti. Se poi ci sono esperienze o momenti che troviamo soddisfacenti, ci serviranno come modelli per aspirare ad uno stato più elevato.

Ma poiché non c’è niente che sia sempre soddisfacente, che sia immutabile, già questa presa di coscienza ci dice che siamo sulla giusta via.

domenica 18 giugno 2017

Nel deserto

Quando si viaggia in un deserto, sembra che non ci sia nulla tranne la sabbia e le rocce. Ma, se si guarda bene, ci si accorge che ci sono varie forme di esistenza, animali e vegetali.
Sono la sensibilità, l’attenzione e l’allenamento della mente che ci fanno percepire la vita o una possibilità di vita anche là dove sembra regnare il vuoto.

Il deserto è un ambiente contemplativo proprio perché ci spinge ad aguzzare la vista, senza distrazioni.

La fine di Dio

Lucio Fontana, negli anni sessanta, realizzò una serie di opere intitolate “La fine di Dio”. Si trattava di dipinti a forma di uovo in cui erano praticati dei fori.
Il pittore disse che quei buchi erano il nulla, cioè Dio. Infatti, per lui, l’arte non poteva più rappresentare Dio in qualche forma, così come si usava in passato.

“Dio significa l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla.”

sabato 17 giugno 2017

L'errore di Parmenide

Il non-essere – diceva Parmenide – non può esistere; se no, perché lo chiameremmo non-essere?
Ma, se il non-essere non esistesse, l’essere sarebbe onnipervadente, eterno e immutabile.
Per esserci il cambiamento, qualcosa deve poter finire, ossia deve poter non-essere. Prendiamo il tempo: se un istante non venisse continuamente inghiottito dal nulla, l’istante successivo non potrebbe apparire.
Non solo, dunque, il non-essere esiste, ma è il fondamento dell’essere.

Se perciò cerchiamo il fondamento dell’essere, non dobbiamo cercarlo in un Super-essere, ma nel nulla – o comunque in un rapporto dialettico fra i due.

Il califfo

I russi dicono che forse hanno ucciso in un bombardamento Al Baghdadi, il capo dell’Isis che aveva fondato il califfato, un uomo che aveva la testa ancora nel Medioevo.
È stato sufficiente un solo uomo con la testa nel Medioevo per raccogliere e scatenare migliaia di uomini come lui. Come dire, basta grattare la superficie della modernità per trovare uomini che hanno mentalità primitive. Credono ciecamente in Dio, nella guerra santa, nella legge di qualche libro sacro, nel paradiso per i martiri, nell’inferiorità delle donne e nella dittatura politica.
Però questo è appunto il livello di tutte le religioni, nate non solo nel Medioevo, ma anche secoli prima, in età barbariche.

Anche gli integralisti ebraici, cristiani e indù non hanno un livello di evoluzione superiore.

venerdì 16 giugno 2017

Il vuoto essenziale

Il vuoto e il nulla sono al centro di una nuova e più interessante possibilità di concepire la teologia e una più profonda comprensione della realtà.
Vuoto non significa non-esistente. Se diciamo che una casa è vuota, non significa che sia non-esistente. Se diciamo che al fondo dei numeri c’è lo zero, non significa che lo zero sia nulla; anzi, senza di lui non potremmo fare tante operazioni. Un vuoto, dunque, molto utile.
Il vuoto permette ad un vaso di essere, ad una casa di essere, alla musica di essere, al corpo di essere, al mondo di essere, al pensiero di essere, alla vita di essere… e, in realtà, ad ogni cosa di essere.
Vuoto e nulla non indicano una mancanza, ma una possibilità di dinamismo e di potenziamento della vita, un nucleo che permette di assegnare un sostrato a tutto. Lungi dall’indicare annientamento, indicano una potenzialità di essere, il fondo delle cose.
Avvicinarsi al vuoto è avvicinarsi all’essenza. Il nucleo non è non-esistente, ma la possibilità della moltiplicazione dell’essere.
Il problema che il vuoto-nulla non è comunemente esperibile, perché in esso viene a mancare il soggetto percipiente. Quando per esempio dormiamo senza sognare, il soggetto scompare. E lo stesso avviene nella morte. La coscienza arriva fino al suo limite estremo e poi si spegne.
Di conseguenza, del vuoto possiamo dire solo quello che non è, non quello che è. Ma questo non significa che non-esista. La sua esistenza può essere dedotta proprio dalle molteplici manifestazioni dell’essere.
Ritornare al vuoto è quindi la possibilità di tornare al fondo della realtà. E ci si può arrivare o attraverso il sonno senza sogni o attraverso la meditazione che comporta il silenzio, la quiete, la non-mente e lo sprofondamento.

Possiamo arrivare ai limiti del buco nero, stare lì a contemplare il vuoto-pieno-di-potenzialità, attingere un po’ della sua enorme energia e poi tornare rinnovati in questa realtà delle sue manifestazioni.

La meditazione è una pratica di immersione periodica in queste profondità abissali.

giovedì 15 giugno 2017

Il senso dell'angoscia

Risvegliarsi è uscire dai sogni della mente. Ma come fare se siamo proprio all’interno di questi sogni?
È un po’ come sognare di essere caduti in un fiume da cui cercate inutilmente di uscire. Nel sogno vi agitate e vi date da fare in ogni modo, ma la corrente è troppo forte.
Vi trovate dunque in una situazione senza via d’uscita. Ma può darsi che l’angoscia vi spinga a svegliarsi. E questo vi permetterà non di uscire dal fiume ma di uscire dal sogno di trovarvi in un fiume.
Uscire dal fiume non è possibile se non uscite dal sogno.
E il fattore risolutivo è il senso di angoscia.

Dunque non disprezzate la vostra angoscia. È il sentimento inevitabile di chi si sente prigioniero in questo mondo e vuole uscirne.

Il senso dell'assurdo

Se siete rinchiusi in una prigione, potete accettare o non accettare la situazione. Se la accettate e vi rassegnate, l’unica strategia che vi rimane è cercare di stabilire buone relazioni con i compagni di cella e ingraziarvi i secondini e, magari, il Direttore.
Ecco, questo è l’atteggiamento dei fedeli. Si consegnano mani e piedi legati a chi li controlla, sperando che siano clementi.
Ma solo se non accettate la situazione, potete cercare di evadere. Se c’è una sola possibilità di liberazione, a quella dedicate ogni sforzo.
Siete prigionieri come tutti gli altri, ma avete una luce interiore, una volontà e una speranza che non vi abbandonano mai. Trovate che la vostra situazione sia assurda. Il senso dell’assurdità non vi abbandona mai permettendovi, forse, un giorno, di liberarvi.

Ma se vi adattate e vi conformate, non avrete neanche quella minima possibilità.

mercoledì 14 giugno 2017

La torre di Babele

Un altro grattacielo brucia e crolla, facendo morti e feriti.

Ma a che cosa servono questi grattacieli, se non a indicare la mania di grandezza degli uomini? Perché sfidare la natura con questa mostruose torri di Babele?

La vastità del vuoto originale

Si domanda un koan zen: “Tutte le cose sono ri(con)ducibili all’Uno, ma a che cosa è ri(conducibile) l’Uno?”
Già, il problema è che anche l’Uno è un’idea della mente. E, finché usiamo idee della mente, non usciamo dal dilemma del dualismo che ci pone limiti di ogni genere.

Svuotiamo allora la mente. Solo il vuoto è senza limiti.

La nuova umanità

Con tutti i popoli del mondo che si stanno interpenetrando e amalgamando, siamo ad un’importante svolta evolutiva, favorita dall’uso dei trasporti moderni e dei dispositivi elettronici di comunicazione – una rete che comprende l’intero globo.
Da un punto di vista generale, il fenomeno è positivo e inarrestabile. Ma, poiché niente è mai assolutamente positivo e negativo, ci sono attriti, disagi, scontri, vittime e sofferenze degli individui. Come dire, stiamo provando le doglie di un nuovo parto, quello di un’umanità globale.

Niente ci viene regalato: non c’è mai un pasto gratis.

La tigre nella foresta

Tutti noi cerchiamo di capire, di comprendere e di conoscere. E questo scopo ci sembra il più nobile. E lo è.
Ma, da un punto di vista evolutivo, non è che l’espressione della nostra radicata tendenza ad afferrare le cose e a impadronircene… Una forma di predazione, non dissimile da quella della tigre nella foresta.

Comprendere è pur sempre prendere.

martedì 13 giugno 2017

Coltivare la tranquillità dell'animo

Se agitate l’acqua in uno stagno, la melma si solleverà, l’acqua si intorbiderà e voi non vedrete più nulla. Ma lo stesso è per il nostro animo.
Coltiviamo dunque la calma, la tranquillità e la serenità come un bene fondamentale non solo per la salute psico-fisica, ma anche per la chiarezza mentale, per l’intelligenza. Proviamo a curare lo stato d’animo così come si cura la salute.
“Coltivare” o “curare” significano innanzitutto imparare a percepire quando siamo tranquilli e in pace e quando siamo invece agitati, tesi, sofferenti e smaniosi; e poi fare una scelta tra i due stati d’animo, aumentando e prolungando il primo ed evitando per quanto possibile il secondo.
Non dimentichiamo che la meditazione è innanzitutto una pratica, una prassi che cerca stati d’animo di semplicità, di essenzialità, di calma, di quiete e di meraviglia. Non è un fatto dottrinale o fideistico.

È una pratica di saggezza e di salute. È una pratica fisica, mentale e spirituale.

La peggior paura

Qualche volta diciamo che la paura della morte è la paura più forte, da cui discendono tutte le altre. Ma c’è un’eccezione.
Le persone che uccidono mogli-mariti, figli e parenti e poi si suicidano, in preda a qualche grave crisi depressiva, lo fanno in realtà perché sentono che il mondo è un posto orribile e che non sia più possibile vivere in quello stato..

C’è dunque una paura peggiore della paura della morte. È la paura di un’esistenza vissuta con un’angoscia e una disperazione intollerabili.

Decidere della propria vita

Un malato di sla dice scrivendo con l’aiuto di un computer: “Voglio poter decidere della mia vita”.
Il poveretto sa bene che, in Italia, tutti vogliono e possono decidere delle nostre vite: politici, preti, medici… Ma non i diretti interessati.

Se questo vi sembra naturale e logico… se questo vi sembra un uomo libero…

lunedì 12 giugno 2017

Il non-inizio

Chi ce l’ha messo in testa che le cose debbano avere un inizio assoluto? È da qui che nascono tutte le nostre idee e i nostri dubbi sulla Causa-prima, sul Creatore, sulla creazione, sulla fine di tutto e sulla nostra effettiva responsabilità.
Ma chi l’ha mai visto un inizio assoluto? Che ne ha mai fatto esperienza? Tutte le cose che vediamo nascono da altre cose.
Fine della religione? No, un’altra religione.

Dalla religione del padrone e del determinismo alla religione del non-inizio e della non-fine, ossia della liberazione. Il mondo non ha né un inizio né una fine; sono le nostre idee che ce l’hanno.

Gli spacciatori di determinismo

Le religioni teiste,con il loro Dio creatore-distruttore, che tutto vede e provvede, che governa e giudica tutto, alla fine sono le grandi sostenitrici del determinismo. Per loro, tutto è già stabilito e indirizzato. Noi possiamo solo adeguarci.
Così lo spazio di libertà è molto stretto: si gioca entro un campo le cui dimensioni e le cui regole sono già state determinate.
Ma mettiamo che queste dimensioni e queste regole non siano affatto prestabilite e che, al contrario, si determinino a poco a poco, in base ad una correlazione di ogni cosa con il tutto.
Qui si può esercitare una vera libertà, una vera scelta, una vera creazione, una vera responsabilità.

Col Dio, invece, il cosmo è un congegno meccanico in cui tutti siamo soltanto ingranaggi.

domenica 11 giugno 2017

Le libertà del reale

È difficile avere una visione obiettiva delle cose. Per lo più ci mettiamo al centro e pensiamo di avere uno scopo, un destino e una meta. Lo pensa chiaramente chi crede ad un Dio. E lo pensano perfino gli scienziati, con le loro idee di big-bang e di fine.
Siamo tutti esseri teleologici e teologici.

Ma è la realtà che sembra infischiarsene di tutte queste nostre idee, di tutti questi nostri concetti. La realtà va avanti per conto suo, senza schemi precostituiti. È libera. 

Creature accidentali

Ci ripugna l’idea di essere creature accidentali. Preferiamo credere di avere un destino, di essere importanti e di avere uno scopo e un posto nel disegno universale.
Poi, un giorno, scopriamo di non contare niente e ci vediamo come esseri transitori ed effimeri, come formiche o api. Il mondo non dipende da noi. Il mondo va avanti tranquillamente anche senza di noi.
Però non buttiamoci giù. Il fatto di contare ben poco e di essere forse inutili è una grande occasione… di libertà. Non abbiamo impegni, non abbiamo grandi responsabilità. Non dobbiamo salvare il mondo, non dobbiamo fare grandi cose.

Possiamo essere più liberi di quanto credevamo.

La circolarità del divenire

Quando pensiamo alla vita, cerchiamo il suo significato, nella presunzione che abbia una direzione, un senso – e magari un autore. La nostra visione è sempre teleologica: diretta a un fine.
Ma la vita potrebbe essere priva di un fine e di un senso.
È un po’ come pensare il tempo. Subito lo immaginiamo come una linea retta che va da un passato ad un presente e poi ad un futuro. Ma se, dal nostro limitato punto di vista, ciò è giusto, in senso assoluto potrebbero non esserci né un principio né una fine; potrebbe esserci un moto circolare, come quello delle lancette di un orologio.

Può darsi che alla fine tutto ritorni, come già pensava Nietzsche. Le cose vanno sempre avanti, ma tornano in circolo; sempre le stesse, ma, forse, mai perfettamente identiche.

Al centro di tutto?

Siamo noi che mettiamo il nostro ego al centro di tutto, e non possiamo farne a meno. Il prezzo per conoscere è un conoscere limitato, soggettivo.
Però non dobbiamo certo illuderci di essere al centro di tutto. Siamo al centro della nostra visione. Ma, rispetto al tutto, non siamo al centro di niente. Siamo trascurabili particelle.
Per capirlo, dobbiamo spogliarci del nostro punto di vista. Facendo così, ci sentiamo come delle nullità.
Il prezzo per la vera conoscenza - la conoscenza obiettiva - è la perdita della nostra illusione di centralità, la perdita della nostra soggettività.

Per ottenere l’occhio della totalità, dobbiamo spogliarci di tanti sogni, di tanti inganni, il primo dei quali è la nostra visione egocentrica.

sabato 10 giugno 2017

La rimozione della morte

Qualsiasi tentativo umano di postulare la sopravvivenza del sé dopo la morte fisica può essere sospettato di rimozione della consapevolezza delle morte. Come dire, un sogno ad occhi aperti per rimuovere un’angoscia di fondo. Due cose - diceva La Rochefoucauld - non si possono guardare direttamente: il sole e la morte.
Ma, se vogliamo andare a fondo, se siamo dei meditatori, dobbiamo metterci di fronte a questa possibilità: la completa scomparsa de sé. Qual è allora il significato dell’esistenza, di questo apparire per qualche attimo per poi sparire definitivamente?
È vero che non si può parlare di un completo annientamento, dato che tutto si trasforma. Ma la trasformazione può comportare una discontinuità della coscienza. Chi ci dice che la coscienza della farfalla sia la stessa della pupa? È più probabile che nessuna delle due si ricordi dell’altra.
Se un tempo fummo acqua, luce, pesci, uccelli o mammiferi, nessuno se lo ricorda.
Nel buddhismo, che nega l’esistenza di un’anima, uno degli esercizi fondamentali è contemplare i cadaveri, ossia la realtà concreta della morte. Si può sostenere che esista un’anima o un’essenza che non scompare del tutto, ma resta il fatto che ciò potrebbe non prevedere la continuità della coscienza del sé, ossia il ricordo delle esistenze passate – cosa del resto verificabile proprio ora. Chi si ricorda dove eravamo prima di nascere?
Tutti dobbiamo confrontarci con l’idea della morte, prima quella degli altri e poi la nostra; e tutti dobbiamo imparare a vivere con questa prospettiva senza farci sopraffare dalla disperazione. In chi contempla la propria possibilità di sparizione senza rifugiarsi in fantasie sulla sopravvivenza del sé, sorge una nuova consapevolezza che chi si attacca ad idee di un io eterno non raggiungerà mai.
In fondo, l’angoscia di morte è all’origine di tutte le nostre angosce. Se ne diventiamo consapevoli, ci libereremo di un enorme peso.


venerdì 9 giugno 2017

Il grande divoratore

A noi sembra che il tempo sia una specie di nastro trasportatore, qualcosa che si svolge in avanti, un processo che costruisce il futuro.
Ma è anche ciò che demolisce un attimo dietro l’altro, e alla fine anche noi stessi.
È il grande divoratore.

Il tempo è la vita, il tempo è la morte. Perfettamente ambivalente, come tutto in questo mondo.

L'autoconsapevolezza

Se il Divino non è un Essere supremo, ma è esattamente il tuo fondo o il tuo centro, è chiaro che non serve a niente adorarlo o pregarlo come un idolo qualsiasi, ma scoprirlo dentro di te.
Detto altrimenti, il vero metodo per adorarlo è essere autoconsapevoli, cioè essere consapevoli del proprio nucleo divino.
E, per essere il più possibile autoconsapevoli, è utile escludere momentaneamente gli eventi esterni e i pensieri e mettersi a seguire il respiro che ci conduce alla meta.

L’essere ha tre stati: lo stato di veglia, lo stato di sogno, lo stato di sonno senza sogni e infine lo stato di autoconsapevolezza indifferenziata.

Questo è il Sé ultimo, il Quarto Stato delle Upanishad.

giovedì 8 giugno 2017

Compassione, sofferenza ed eros

Poiché la sofferenza individuale non è che un’espressione della sofferenza universale, legata al vivere, chi soffre ha almeno un vantaggio: ha un mezzo per universalizzarsi. Il mio dolore è sì mio, ma è nello stesso tempo quello di tutti gli uomini, anzi di tutti gli esseri viventi.
E non si soffre solo per il proprio dolore, ma anche per quello di chi ci sta vicino. A questo punto il dolore si fa com-passione. Si può non compatire chi ha perso un figlio, il lavoro, il denaro, la casa, la libertà o la patria?
Ma, al fondo del dolore per una perdita, propria o altrui, non c’è in realtà quel sentimento doloroso che tutto è fatto per perdersi? Io sono destinato a perdermi, tu sei destinato a perderti… tutto è destinato a finire, a essere distrutto, a morire. Non è qui, in questa angoscia, che attingiamo ad una verità fondamentale, ad una visione universale?
Abbiamo intravisto il principio stesso della sofferenza. Le cose non sono fatte per durare, le cose sono fatte per dissolversi. Questo è per noi il male. Ed è un male ineliminabile, non risanabile, non redimibile.
In effetti, è proprio la consapevolezza dell’ineluttabilità della sofferenza, del male e del morire che spinge a voler vivere pienamente, a non lasciare niente di non-esperito.

La molla di eros sta nella coscienza della precarietà e dell’impermanenza. E così la vita e la morte, la sofferenza e la gioia, il piacere e il dolore, la nascita e la morte si tengono insieme... in quell'intrico che è il mondo.

mercoledì 7 giugno 2017

Guarigioni miracolose

Non ci sono solo le guarigioni prodigiose operate dai santi, ma anche quelle dei mafiosi scarcerati perché malati.
La Cassazione sentenzia che anche Totò Riina, il capo della mafia, chiuso in galera, ha diritto, come tutti, ad una morte dignitosa. Peccato che tutti gli altri italiani, senza le sue ricchezze e i suoi avvocati, non abbiano diritto ad una morte dignitosa, visto che non è stata ancora approvata una legge sul fine-vita.
E poi abbiamo già visto in passato, qualche mafioso, una volta scarcerato, guarire miracolosamente ed eclissarsi – poteri terapeutici delle scarcerazioni. E chissà che questo presunto moribondo non faccia in tempo, anche dal suo letto di morte, ad ammazzare qualcun altro.

In ogni caso, prendiamo i nomi di questi giudici che vogliono liberarlo.

Dio e il Divino

Di solito, gli uomini pensano a Dio come ad un Essere o ad una Persona divina, magari circondato da altre divinità. Ma si può parlare anche di Divino – il Divino – senza concepirlo come un Ente specifico e definito. (Già, il fatto di definirlo lo limita.)
In altri termini si può concepirlo come uno stato divino, senza inizio, senza fine, senza definizioni e senza limiti – una conoscenza o una coscienza concentrata. Ed è chiaro che un tale stato divino è altro da Dio.
Non un individuo o una singolarità, ma il Tutto diffuso; non un Creatore, ma la creazione, un processo eterno ed evolutivo.
Questo stato divino è presente in ogni ente e in ogni processo, e quindi è presente in ognuno di noi… E possiamo percepirlo solo se siamo capaci di spogliarci, di trascenderci e di scendere nel più profondo sé, la dove la consapevolezza è massimamente pura e concentrata.
Incentrato nel nostro corpo, nella nostra mente e nella nostra coscienza.
Siamo agli antipodi del Dio delle mitologie religiose.


martedì 6 giugno 2017

I bravi fedeli

I recenti fatti di Torino, dove una folla di tifosi, spaventata da qualche rumore, è stata presa dal panico e ha travolto e ferito centinaia di persone, ci mostra come la fede calcistica riduca gli uomini a mandrie animalesche che non ragionano più.

Però questo vale non solo per la fede calcistica, ma anche per la fede religiosa. I fedeli rinunciano alla propria ragione, al proprio giudizio e alla propria autonomia, riducendosi a greggi di pecore condotte dall’irrazionalità o da furbi pastori che li sfruttano.

I ricercatori di verità

Ci sono due tipi di ricercatori: quelli che cercano il successo e quelli che cercano la verità. I primi cercano in realtà il consenso e, quindi, della verità non gliene importa niente.
I secondi, invece, cercano di capire come stanno le cose. E in questo caso non contano più né il consenso né il successo; e non contano neppure il passato e la tradizione. Vanno avanti come esploratori che non sanno né che cosa troveranno, né se sarà apprezzato.
A questa categoria appartengono i grandi ricercatori scientifici, che hanno cambiato il nostro modo di vedere il mondo, ma anche i grandi ricercatori spirituali e filosofici. All’inizio, quasi tutti non vengono quasi mai apprezzati, perché disturbano i conservatori e i tradizionalisti, perché disturbano i sonno, i miti e le illusioni degli uomini.

Nonostante ciò la storia della verità non può essere fermata, perché si fa forte della sua evidenza.

lunedì 5 giugno 2017

La malattia religiosa

Se la religione è in alcuni casi una psicosi – perché vede in modo delirante cose che non esistono (per esempio immagini di divinità) -, allora il terrorismo è l’esplosione della malattia – la malattia conclamata.

La capacità di discriminare

Non tutte le cause meritano il nostro impegno, non tutte le passioni meritano le nostre energie, non tutte le religioni meritano la nostra fede.
Ci sono cause e passioni completamente fasulle. Ci sono religioni infondate, sbagliate o nocive… Tutte cose che, considerate a posteriori, ci faranno dire: “Quanto tempo, quanta energia, quanto entusiasmo, quanta fede ho sprecato inutilmente!”

Qui deve intervenire, subito, la facoltà di discriminazione, per distinguere ciò che merita da ciò che non merita, ciò che vale da ciò che non vale, una vita autentica da una vita inautentica - passata all'ombra di falsi miti.

domenica 4 giugno 2017

La spoliazione

Noi ci identifichiamo con tante cose, con tanti ruoli, che non sono affatto fondamentali, ma che appartengono semplicemente alla nostra superficie. Spesso se ne può fare tranquillamente a meno. In tal senso dobbiamo distinguere tra ciò che appartiene al nostro essere più profondo e ciò che appartiene alla superficie.
Con meno cose ci identifichiamo, meglio stiamo. Dobbiamo trovare la nostra essenza e lasciar perdere tutto il resto, come un inutile appesantimento, come una fonte di delusioni e di sofferenze.
Se mi identifico con un lavoro amato, probabilmente questo appartiene alla mia essenza. Ma se mi identifico con una squadra di calcio, con una setta, con un titolo, con un ruolo, con una classe sociale o con una carica, queste cose sono certamente superficiali e mi daranno più dispiaceri che altro. Pensiamo per esempio a quante volte la squadra di calcio per cui facciamo il tifo sarà sconfitta e noi staremo male – ecco una sofferenza inutile.
Anche quando ci identifichiamo con cose più importanti, ci vuole sempre una dose di distacco e di temperanza. Riflettiamo se vale davvero la pena, se non è una delle cose che non ci definiscono nel profondo e che possiamo e dobbiamo prima o poi abbandonare.

Occorre avere uno sguardo lungo, una visione capace di distinguere e di vedere lontano. Cosa è indispensabile a definirmi? Cosa è superfluo? Di cosa posso fare tranquillamente a meno? Togliamo a poco a poco i vari strati, i vari vestiti e cerchiamo la nudità dell’anima. La nostra essenza.

sabato 3 giugno 2017

La chiarezza mentale

Molti credono che l’illuminazione sia una specie di stato di stordimento medianico, in cui, in una grande confusione, ci viene rivelata qualche verità.
Al contrario, è uno stato di massima lucidità e chiarezza.

Le verità ci appaiono chiare non quando siamo ubriachi o drogati. Ma quando la nostra mente è più limpida, al di fuori di miti e ideologie.

La forza dei miti

Per quanto incredibili siano le menzogne e i miti che ci inventiamo, essi saranno creduti se verranno incontro ad un bisogno di credere: lo aveva notato anche Virginia Woolf.
Se io ho bisogno di credere che Dio sia una specie di uomo che vegli su di noi e che sia bontà e amore, e se qualcuno mi presenta una fede del genere, ci crederò… Anche se è contrario alla realtà sperimentabile.

Il Dio che si evolve

Se all’inizio ci fosse un Dio che fosse perfezione, potenza, eternità, conoscenza e coscienza infinita, perché mai dovrebbe diminuirsi per creare l’imperfezione, l’impotenza, la mortalità, l’ignoranza e l’incoscienza? Per il gusto di creare qualcosa di scadente? Potrebbe risparmiarsi la fatica.
Non sarebbe più logico pensare che un Dio del genere dovrebbe essere alla fine anziché all’inizio? In altri termini, anche lui crescerebbe a poco a poco.

A meno che tutto non sia che finzione, un gioco pirotecnico, uno spettacolo irreale, un sogno.

venerdì 2 giugno 2017

Donald il barbaro

Con l’accordo di Parigi per contenere le emissioni nocive sul pianeta Terra, gli uomini avevano raggiunto uno delle loro poche intese a livello mondiale, una crescita della coscienza globale, un salto evolutivo.
Ma ecco che arriva un individuo gretto, piccolo, rozzo e meschino che blocca tutto. Il presidente americano, Donald Trump, è una di quelle persone negative che vede solo il proprio interesse personale e nazionale, che sceglie una politica miope di isolazionismo e di protezionismo. Un individuo che non riconosce l’appartenenza degli uomini ad un unico ambiente e ad unico destino.

Come sempre, ad ogni passo avanti, ne corrisponde uno indietro. Ecco perché è così difficile far nascere una coscienza comune negli esseri umani, l’unica nostra salvezza.

Maggioritario e proporzionale

In passato, avevamo discusso per anni per applicare il principio maggioritario, perché ci permetteva di sapere con chiarezza l’esito delle elezioni. Ora, ritornando al proporzionale, ritorniamo indietro: non solo non si saprà chi governerà, ma si discuterà per mesi per fare un governo di coalizione.
Così si faceva quando c’era il proporzionale: estenuanti trattative per fare un governo e governi che duravano pochi mesi, tanto che talvolta avevamo “governi balneari” che resistevano un’estate.
È la solita Italietta indecisa a tutto, confusa ed estremamente debole. Dilaniata dal gioco delle fazioni. Purtroppo, l’ultima occasione per fare un governo forte e stabile lo abbiamo perduto bocciando il referendum e adesso per decenni ne pagheremo le conseguenze.
È inutile prendersela con l’Europa. Dobbiamo prendercela con noi stessi. Con la nostra incapacità di essere uniti, di vedere il bene nazionale e di far prevalere l’interesse della fazione su quello pubblico. È la nostra imprevidenza.

Siamo noi che abbiamo incoscientemente accumulato per anni il debito pubblico, siamo noi che stiamo ammucchiando immigrati, siamo noi che abbiamo una vista corta, siamo noi che non sappiamo organizzarci e siamo noi non abbiamo il senso dello Stato. Siamo noi che, pur di non far vincere gli altri, azzoppiamo l’intero paese.

I contemplatori del proprio ombelico

Nietzsche nei Frammenti postumi definiva “i contemplatori del proprio ombelico” coloro che si occupano morbosamente di se stessi. Ma oggi queste persone non sono tanto coloro che meditano quanto coloro che si dedicano all’apparenza.
È chiaro che bisogna sfuggire tanto dalla degenerazione dell’intimismo, in cui non si occupa più di ciò che succede esternamente, quanto dell’attivismo frenetico dei nostri tempi. In meditazione c’è sempre il pericolo di una regressione narcisistica, ma è per questo che si lavora per un superamento del proprio piccolo ego e per vedere le cose impersonalmente.
È quindi necessario contemperare gli opposti: guardarsi a fondo senza perdere di vista l’ambiente e agire senza finire nell’attivismo esasperato o in quella specie di dionisismo che ha finito per distruggere lo stesso Nietzsche.
Contemplare è una necessità dell’anima che cerca un perno, un centro, ma che non si rinchiude in esso. Si contempla il sé tenendo presente il tutto, si contempla il tutto tenendo presente il proprio centro.
D’altronde, fra gli scopi della meditazione, oltre a quello di trovare calma e distacco, c’è proprio quello di trovare un equilibrio dinamico tra gli opposti atteggiamenti dell’esaltazione vitalistica, alla Nietzsche, e la depressione nichilistica alla Schopenhauer.


giovedì 1 giugno 2017

La grandezza dell'uomo

Dal primo istante in cui sei concepito, sei nella trappola.
Sei in corsa, sei su un piano inclinato su cui puoi solo rotolare.
Non sei tu che ti dai la spinta. La spinta è in te.
Anche se stai fermo e non fai più niente, anche se ti rifiuti di muoverti, anche se rimani a letto senza alzarti la mattina, sarai costretto ad andare a avanti.
Questa spinta è lo slancio vitale che si fermerà solo con la morte, o forse neppure allora. Non è né buono né cattivo, ma al di là di ogni valore etico. Vuole la vita ad ogni costo e trascina tutti con le buone o con le cattive.
Nessuno può fermarlo. Sei in ballo e devi ballare.

E, tuttavia, puoi esserne consapevole. Questa è la tua unica forza, la tua unica grandezza. Puoi non dare la tua adesione ad una guerra insensata.