martedì 28 febbraio 2017

La natura della consapevolezza

Non ci si arriva con la mente logica, ma con un salto capace di innalzarci sopra di essa – allargando di colpo la comprensione consapevole, che è un vedere/capire.
Bisogna lasciar cadere il pensiero e il ragionamento abituali, e concentrarsi, lasciando perdere le antinomie, le divisioni e la griglia spazio-temporale.
Ci si arriva per concentrazione/attenzione, battendo e ribattendo sulla natura della consapevolezza. Chi  che è consapevole? Da dove viene la consapevolezza? Come sorge? Perché è duale? Perché porta con sé l’infelicità e ci fa vedere un certo mondo?
Approfondendo la concentrazione/meditazione/consapevolezza, scopriamo che vita e morte sono un tutt’uno e che non c’è un prima e un dopo, un qui e un là.
È come arrivare ad un livello superiore di intelligenza o ad uno stadio cui approderemo per evoluzione, chissà quando. Ma già adesso, qualcuno…
Ci si arriva concentrandosi in quella modalità caratteristica che chiamiamo meditazione, cioè portando l’attenzione sul punto critico di accesso, che ha sempre a che fare con la natura della consapevolezza.


L'apertura della mente

Gli uomini si distinguono dagli altri animali perché sono più consapevoli. Ma questo non significa che abbiano tutti lo stesso grado di consapevolezza e che siano al massimo della consapevolezza possibile. In realtà esiste una lunga scala di consapevolezza di cui noi siamo ai primi gradini.
Essere consapevoli non è facile. Talvolta è più che altro un pensiero.
Di solito, per trasformare il pensiero della consapevolezza in una vera esperienza utilizziamo il respiro. Il respiro è qui, è ora, è presente, è reale, è fisico; non può essere una semplice idea.
Ma tutte le percezioni fisiche sono mediate dal pensiero. Si tratta infatti di impulsi che vengono raccolti e interpretati dalla mente.
È per questo che è così difficile essere in contatto con la realtà. Noi siamo in contatto con la mente che interpreta la realtà. Non riusciamo mai ad essere in contatto direttamente, senza intermediari, con le cose reali.
A meno che non entri in campo l’attenzione/concentrazione - un’attenzione/concentrazione capace di uscire da ogni mediazione mentale per portarci sempre più a contatto con la realtà.

Questa è l’apertura della mente provocata dalla meditazione.

lunedì 27 febbraio 2017

Il fine-vita

Un altro sfortunato italiano che deve andare in Svizzera per porre fine ai propri tormenti e avere una morte dignitosa. Che cosa aspettano i nostri parlamentari per mettere mano ad una legge sul fine-vita? (Già, hanno altri problemi, come per esempio conservarsi il vitalizio o stabilire la data delle elezioni.)
Il Vaticano si oppone. E in Italia tutti sono condizionati dalla Chiesa.
Questi individui che si definiscono “religiosi”, che credono in Dio, che predicano la carità e l’amore, non vogliono che gli individui siano liberi di scegliere la propria morte, non vogliono soprattutto che si ponga fine ad una sofferenza inutile.
Già, siccome il loro Dio ha sofferto, vogliono che tutti soffrano e muoiano crocifissi con una corona non di spine ma di aghi.

Come disse Gesù, fregatevene del prossimo, fregatevene di chi soffre.

Le ondate emotive

Il mare di solito è abbastanza calmo. Ma ogni tanto arrivano le tempeste e le ondate. Un’emozione forte è come un’ondata, che può essere negativa o positiva, ma comunque sconvolgente. In entrambi o casi minaccia di travolgerci.
Per resistere a queste grandi ondate che possono spazzar via la nostra calma e anche la nostra vita, dobbiamo prepararci in anticipo.
Innanzitutto dobbiamo convincerci che l’alternanza di buono e cattivo tempo è naturale e inevitabile. Dopo un periodo di bonaccia, arriva sempre la bassa pressione – non ci vuole un indovino per predirlo.
La seconda mossa è renderci conto che noi non siamo le nostre emozioni – neppure quelle positive. Noi siamo più grandi e più forti.
Oltre agli alti e ai bassi, alle gioie e ai dolori, oltre a agli estremi che si alternano, esiste un centro o un fondo che è calmo, equilibrato, limpidissimo e capace di espandersi, facendoci entrare in una nuova dimensione dell’essere.
Durante i temporali, le fronde dell’albero vengono sbatacchiate e talvolta strappate, ma il tronco resta solido e fermo.
Nei periodi tranquilli, impariamo dunque a ritrovare e a identificarci con questo centro calmo. Smettiamo di pensare e di preoccuparci, seguiamo i movimenti del respiro all’altezza del petto e della pancia. Addestriamoci un po’ ogni giorno.

Quando verranno i tempi brutti, sapremo che c’è questo rifugio, questa isola, cui potremo approdare. E, da lì, potremo spiccare il balzo per vedere con più chiarezza l’intero quadro.

Con calma

Ogni mattina è una nuova nascita: ci alziamo con nuove energie e con la mente chiara. Se ci proponessimo, subito dopo aver aperto gli occhi ed essere tornati alla coscienza diurna, di bandire per quel giorno ogni tensione ed ogni agitazione, sarebbe già una buona partenza. Se poi ci riuscissimo veramente, avremmo raggiunto una prima importante meta: vivere con calma.
Nella vita sarebbe un risultato eclatante, un enorme aiuto a vivere meglio e consapevoli.
Ma in meditazione la calma è solo un punto di partenza, non la meta. La meta è la visione profonda - che consiste nell’allargare la mente e capire/vedere “cose” che non sono visibili/comprensibili alla mente ordinaria.
Qui si tratta di lavorare sull’origine della nostra consapevolezza, che diventa più visibile quando è agitata, inquieta e infelice.

Chi o che cosa è agitato e infelice?

domenica 26 febbraio 2017

Il populista: a proposito di buoi, di pecore e di pastori.

Il populista è colui che vuole mettere in evidenza e soddisfare i bisogni del popolo. Però, è lui che stabilisce quali siano.
Il populista si oppone al vecchio establishment e quindi dovrebbe essere un riformatore. Però, il popolo vuole conservare tradizioni, usi e costumi; e quindi il suo autoproclamato leader deve essere anche conservatore e patriottico.
E se “il popolo è bue”, come dice un antico e saggio proverbio, il populista è un mandriano che si occupa sì delle mandrie, ma per mangiarsele.

Può essere un capo terreno, ma anche ultraterreno. C'è sempre stato e sempre ci sarà finché i popoli non avranno più bisogno di essere guidati da un mandriano o da un "buon pastore".

Le crociate contro il male

Se il male nasce da ignoranza, insensibilità, arroganza, narcisismo, ira, violenza, paura, egoismo, brama insaziabile, intolleranza e volontà di potenza, come si può combatterlo se non attraverso l’interiorizzazione, l’introspezione, la conoscenza di sé e la consapevolezza?
Non basta certo indire una crociata contro i malvagi (come fanno i populisti e i leader religiosi) o parlare di pene e di premi ultraterreni.
Tutto è prima dentro di noi che fuori.
Ma, attenzione, a non eliminare troppo male; un po’ deve rimanere. Sì, perché se lo eliminate del tutto, scomparirà anche il bene.
Non fate i santini.

Lavorate sulla consapevolezza, che è testimone di ogni cosa e non è schifiltosa, e sa bene che male e bene sono strettamente e inestricabilmente connessi.

sabato 25 febbraio 2017

Il prodigio della vita

Né pessimisti né ottimisti – lasciamo perdere. Non facciamo previsioni, non ci lanciamo con la mente oltre il presente. Rimaniamo qui, e guardiamo.
Ecco, siamo qui, in questo momento, e siamo consapevoli. Questo è il prodigio: essere consapevoli. Il miracolo è avere già tutto quello che ci serve per la vita e per essere soddisfatti.
Ma non siamo felici, siamo divorati da desideri inesauribili. Non ci basta l’esistere. Già questa mancanza ci fa sentire male, a disagio. È tensione, è stress.
Ci stressiamo e ci sforziamo perché vorremmo di più e altro, e perché vorremmo anche un’altra vita.
Per esistere, vorremmo un quadro ci certezze e di assicurazioni, un bello schema razionale. Vorremmo che qualcuno ci chiarisse che ci facciamo qui, che scopo abbiamo, dove finiamo. E, invece, niente è chiaro. Non sappiamo né da dove veniamo né dove e come finiamo. Regna l’incertezza.
Scopriamo che, nonostante tutto il nostro sapere, non siamo tanto diversi dai fiorellini di campo che si aprono all’esistenza, vivono qualche giorno e poi spariscono.
E, dunque, il problema è questa consapevolezza.
Il nostro più grande desiderio, il nostro più grande obiettivo, la nostra più grande consolazione sarebbe quella di conservare la consapevolezza anche dopo la morte.
Ma chi ci dice che sarebbe un vantaggio? In fondo la consapevolezza è basata sulla divisione - su tutte le divisioni, compresa quella tra la vita e la morte.

Niente consapevolezza, niente più inizio né fine.

venerdì 24 febbraio 2017

Gestire la rabbia

Chi è che non s’arrabbia? Tutti veniamo colti da un moto di irritazione quando qualcosa e o qualcuno ci sfida, ci offende, ci indigna, ci fa o dice qualcosa di male o ci infastidisce. E questo non una sola volta in una giornata, ma più volte. E non solo contro chi troviamo antipatico, ma anche contro chi amiamo.
Si tratta si una reazione istintiva e naturale che ha un enorme potere, negativo e positivo. Negativo perché ci fa star male e positivo perché fa affluire energie  che possono essere utili ad affrontare il problema.
L’energia è qualcosa di positivo, dato che senza energia non si fa niente, neppure le cose buone. Ma quella diretta male – contro gli altri e/o contro noi stessi – provoca sofferenze e danni.
Uno dei meriti della meditazione è insegnare a gestire la rabbia, in modo da utilizzare la sua energie senza produrre effetti spiacevoli.
La difesa fondamentale è prenderne coscienza:  “Io sono arrabbiato; in me fluiscono pensieri e sensazioni negative. Questa persona, questa situazione, mi irrita, ecc.”
Il secondo passo è capire che quel fuoco brucia innanzitutto noi stessi, e ci fa star male fisicamente e psicologicamente. È come gettare dei carboni ardenti contro qualcuno - prima di tutto, ci bruceremo le mani. Ciò dev’essere chiaro immediatamente, proprio perché ci siamo già preparati.
Se in quel momento, ispireremo ed espireremo profondamente e con calma, perché così siamo abituati a fare, creeremo un’interruzione nella dinamica della rabbia, che incomincerà a sbollire.
Il nostro scopo non è né quello di reprimere la rabbia né quello ci lasciarla divampare, ma una via di mezzo.
Questo non significa che non dobbiamo reagire, significa che dobbiamo agire con la massima precisione ed efficacia. Il modello è quello del samurai che, quando viene attaccato e deve difendersi, sa farlo senza perdere la calma. L’esempio negativo, invece, è quello dell’energumeno che scende dalla macchina schiumante di rabbia brandendo il cacciavite e privo del lume della ragione; farà certamente del male a qualcuno e a se stesso.

Qui non si tratta di predicare l’amore (utopistico), l’arrendevolezza e la sottomissione, ma di agire in modo consapevole. Ecco perché, prima di muoversi, è necessario sviluppare un attimo di respiro consapevole.

giovedì 23 febbraio 2017

L'ascolto profondo

Pochi si rendono conto che ascoltare una persona è un atto di compassione e di generosità, anzi un vero e proprio aiuto. Abbiamo bisogno di essere presi in considerazione ed ascoltati come del pane. Nell’antichità buddhista, il bodhisattva Avalokiteshvara era specializzato nell’ascolto profondo e oggi gran parte delle psicoterapie è basato su questo tipo di ascolto.
Ma, per ascoltare in modo proficuo, è necessario mettere da parte pregiudizi e reazioni, in breve mettere da parte il nostro ingombrante ego.
È incredibile quanto si parli e quanto poco si ascolti.
Di solito, quando ascoltiamo ci vengono in mente molte obiezioni e critiche e siamo pronti ad eccepire, ad obiettare, a controbattere, a giudicare e a parlare a nostra volta di noi stessi e delle nostre esperienze. Ma, se vogliamo veramente aiutare qualcuno, dobbiamo dimenticare noi stessi e stare attenti a ciò che l’altro ci dice, racconta o confessa.

Questo ci aiuterà a conoscere meglio l’altra persona e quindi anche noi stessi. Ecco perché si tratta di una pratica meditativa. 

mercoledì 22 febbraio 2017

I tre passi della meditazione

Con l’interiorizzazione volgiamo lo sguardo a ciò che guarda, al Testimone. Con la consapevolezza siamo coscienti di ciò che avviene nel momento presente. Con la concentrazione manteniamo viva l’attenzione.

Così scopriamo, primo, che nessun ente è a sé, nessun ente è in sé, per il semplice motivo che ognuno è composto da altri enti; e, secondo, che nessun ente è permanente.

Quando poi cerchiamo il Testimone ultimo, diciamo che è l’io, la nostra coscienza, ma non riusciamo a identificarlo. Scopriamo che ci sfugge sempre. Il nostro io non può essere il Testimone ultimo. C’è sempre qualcosa che è consapevole della nostra stessa consapevolezza.
“Il conoscente da chi potrà essere conosciuto?” si domandavano le Upanishad.
Non è il nostro sé individuale, ma un sé più ampio, il Sé universale.
È questo Sé più vasto che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, non per conoscerlo come un oggetto, ma per identificarci il più possibile con esso.

Vediamo che la nostra identificazione/identità attuale è troppo limitata. E cerchiamo di assimilarci ad una più grande.

martedì 21 febbraio 2017

L'"inutilità" della meditazione

Qualcuno si domanda se, per fare meditazione - cioè restare seduti immobili, senza far niente, mentre ci sono tante cose da fare, tante persone da aiutare e tanti problemi da risolvere - non sia uno spreco di tempo.
La risposta è che, se tutti ci fermassimo a meditare, non ci sarebbero tanti problemi da risolvere, perché nessuno potrebbe creare problemi.

I problemi rimarrebbero nel campo delle possibilità, ma non sorgerebbero.

Le contraddizioni e l'unità

Le contraddizioni esistono solo a livello della parole e del pensiero, non nella realtà. Per esempio, luce ed ombra sono due facce della stessa moneta. Ma la mente deve distinguerle per orizzontarsi in questo mondo del dualismo.
Eppure, nella vita quotidiana, capiamo benissimo che, per esempio, amore e odio, attrazione e repulsione, bene e male, ecc. possono essere compresenti.
Certo è necessario distinguere tra aiutare una vecchietta ad attraversare la strada e travolgerla. Uno è bene, l’altro è male.
Ma resta il fatto che, per trascendere la mente comune, è necessario ragionare in questi nuovi termini, dilatando la nostra comprensione delle cose e portando la mente a contatto con la mente ultima.
La mente ultima sa che aiutare la vecchietta o travolgerla sono due facce della stessa medaglia. Se esiste una possibilità, esiste anche l’altra. È la mente comune che ad un certo punto vuol decidere. E de-cidere vuol dire proprio tagliare, dividere.
Se però vuoi restare nella realtà unitaria, non devi de-cidere. Dimora nel campo delle possibilità, senza scegliere, senza distinguere. Finché rimani lì, nulla è fatto, nulla è perduto, nulla è rovinato. Ma non appena ti muovi… che disastro! Tagli o sei tagliato.
Come diceva Chuang-tzu, l’albero inutile nessuno lo taglia.


lunedì 20 febbraio 2017

L'atteggiamento di base

Tutti saremmo capaci di comportarci “bene” in vista di una ricompensa concreta. Anche il nostro cane è capace di farlo.
Ma l’intelligenza consiste nel capire che dobbiamo comportarci bene, con dignità, con energia, con speranza e con un atteggiamento positivo perché in ogni caso questo atteggiamento ci fa vivere meglio e ci porta più vicino allo scopo della realtà.
Un atteggiamento aggressivo, egoista, violento o pessimistico porta del male a noi e agli altri. Non produce nulla, ci fa sentire male.
Questo sarebbe utile anche quando dovessimo finir male, anche quando le nostre speranze fossero infrante. Avremmo consolidato qualcosa di importante, un vantaggio in sé e per sé.

Certo, rimaniamo pur sempre all’interno di una atteggiamento utilitaristico. Perché questa è la nostra vera logica. Non possiamo far niente per nulla.

Ma c’è vantaggio e vantaggio. C’è il piccolo vantaggio egoico e il grande vantaggio di essere in sintonia con l’evoluzione universale e di realizzare il massimo potenziale umano.

La via della felicità

Quando otteniamo qualcosa che desideravamo, ci sentiamo per un po’ soddisfatti – e pensiamo che questa sia la via della felicità e della liberazione. Quindi ci mettiamo alla ricerca di una ripetizione della situazione o di un nuovo sollievo del genere. Ma presto ci accorgiamo che la ricerca è infinita, perché il sollievo è temporaneo e le “cose” da ottenere sono troppe.
Se siamo intelligenti, prima o poi capiamo che questa via porta solo a minimi assaggi di felicità e di liberazione. Infatti, non è l’oggetto ottenuto che ci dà il nostro piccolo e breve orgasmo, ma la fine del nostro desiderio acquisitivo,ossia di una mancanza.

La vera felicità è questa: non l’appagamento di un desiderio compulsivo, ma la liberazione dal desiderio.

La mente divina

Proviamo a parlare o a pensare senza utilizzare termini antinomici (bene-male, principio-fine, essere-nulla, vita-morte, ecc.), senza isolare noi stessi e gli altri come individui, senza impiegare concetti temporali (prima-dopo, oggi-domani, ecc.) e concetti spaziali (qui-là, ecc.), senza usare idee come anima e Dio - che cosa riusciremmo a dire o a pensare?

Ebbene, questa è la mente non di un bruto, ma della trascendenza.

domenica 19 febbraio 2017

Invocare ed evocare

Molte persone, più che credere in Dio, “auspicano” che esista. Vogliono che esista - alle loro condizioni. Ossia cercano un protettore divino, qualcuno che le assista e che le protegga dai pericoli. Ma Dio non sta alla nostre condizioni.
Prima o poi, questa fede ingenua viene sconfitta dalla semplice scoperta che, quando invochiamo Dio per risolverci un grave problema, non riceviamo nessuna risposta, nessuna protezione.
Allora finiamo per non credere più a nulla.
Ma ciò che dobbiamo capire è che noi siamo dei microcosmi e che, prima di invocare una forza esterna, dobbiamo evocare quella stessa forza interiormente. Non c’è nulla di esterno che non sia anche interno.
Se invochiamo Dio senza aver evocato il corrispondente di quella forza dentro di noi, non riceveremo risposta.

Dio non è il “totalmente altro” come dicono certi teologi, ma il completamente Sé.

sabato 18 febbraio 2017

I non-accadimenti

Sui giornali, sulle televisioni e sul web si parla continuamente di disgrazie, di sciagure, di delitti, di guerre, di corruzione e anche di grandi fortune.
Ma tutti questi eventi non coprono le intere ventiquattrore. La maggior parte del tempo non succede proprio nulla, né agli estremi del male né agli estremi del bene.
Sarebbe bello riempire i notiziari con questi non-accadimenti. Per esempio: “Oggi, per tredici ore, non è accaduto proprio un bel nulla.”

Il nulla è molto più comune del “qualcosa.”

La mente fideista

Se viene un terremoto che distrugge novantanove case su cento, la mente fideista non lascia cadere la sua fede nella protezione divina, ma ringrazia Dio per quell’unica casa che si è salvata. Anzi, ritiene che lì ci sia stato un miracolo.
La mente fideista è un’inguaribile ottimista. Non vuole cedere nemmeno di fronte all’evidenza. Perché non è capace di vivere senza l’idea di avere un protettore, non è capace di affrontare il pensiero del nulla e del vuoto.
È il bisogno di considerazione e di protezione che tiene in piedi tale mente. È l’incapacità di vedere la dinamica degli opposti. Vuole ad ogni costo dividerli e contrapporli.
Dio e il bene da una parte e il nulla e il male dall’altra.

Purtroppo per lei, la realtà è un’altra cosa.

Luci e ombre

L’oscurità, si sa, non ci fa veder bene le cose, ma aiuta a riposare la mente. La luminosità invece ci fa vedere bene, ma, oltre una certa soglia, abbaglia la vista – e non ci fa più vedere bene, proprio come l’oscurità.
Questa chiarezza eccessiva appartiene a chi si basa solo sulla logica per capire il mondo. La realtà è più paradossale che razionale.
Per esempio, la fine non esiste senza il principio, e viceversa.
Il problema è che la logica umana non rispecchia la realtà, ma ne è un’astrazione, un’approssimazione.
Gli opposti reali non sono affatto contrari, ma complementari, e gli individui non sono affatto isolati e divisi.

Questo significa che bisogna vedere l’armonia al di sotto degli apparenti opposti e della distinzione degli individui. Insomma, bisogna adottare una logica ben più comprensiva.

venerdì 17 febbraio 2017

Il testimone ultimo

Noi crediamo sempre di sapere chi siamo, perché abbiamo una mente e una memoria che ci danno una risposta – una risposta che è associata in parte alla carta d’identità e in parte al ricordo delle nostre esperienze. Noi siamo quelli lì. Ma se prendessimo due persone e facessimo fare le stesse esperienze, loro si riterrebbero ancora individui diversi. Il senso dell’identità è ancora più profondo: è il modo interiore in cui facciamo le esperienze.
Qual è questo modo interiore? È impossibile spiegarlo, perché ci precede sempre. È qualcosa che è anteriore alle esperienze. Se volessimo trovarlo, ci troveremmo nella situazione in cui si trova un cane che insegue la propria coda. Possiamo trovare qualche elemento ricorrente, ma non il tutto. Il tutto ci sfugge sempre.
Se il sé è sempre a priori, noi siamo senza saper bene chi siamo. Siamo ciò che ricordiamo o ciò di cui siamo consapevoli, ma non il soggetto ultimo della consapevolezza, il Testimone ultimo.
C’è un unico modo per identificare questo Identificatore ultimo: interrompere ogni attività per farlo rimanere solo, per farlo affiorare.
Questo è uno degli scopi della meditazione. Trovare se stessi al di là delle solite identificazioni.
No avremo una risposta definita. Ma avremo uno stato d’animo di identità. “Io sono quello – e non un altro.”

Poco importa se questo Identificatore ultimo sia eterno o sia anche lui impermanente. È quello che siamo.
Questa è la Presenza ultima. E non è difficile appurarla.

giovedì 16 febbraio 2017

La grande e la piccola beatitudine

Ci sono cose che abbiamo davanti tutto il giorno, ma che non vediamo. Sono un po’ come la lente del cristallino: è ciò che ci permette di vedere e attraverso cui passa ogni immagine, ma a cui non pensiamo mai… a meno che non abbia problemi.
Anche il vuoto è sempre presente. Ma chi ne è consapevole? Quando ascoltiamo una musica o guardiamo un oggetto, non ascoltiamo e non vediamo lo spazio vuoto che  permette a quella musica e a quell’oggetto di apparire. Eppure lo spazio vuoto è sempre lì.
Anche la beatitudine è sempre lì, è sempre presente, è sempre sottotraccia – basta lasciar andare la tensione, dukkha, la sofferenza, ed essa si presenta, dapprima timidamente e poi sempre chiaramente.
In realtà, basterebbe lasciar andare un po’ la tensione che ci accompagna sempre per far emergere la beatitudine. Tolto l’ostacolo, l’acqua può fluire.
Il problema è che, induriti come siamo dall’esistenza, crediamo che, per trovare la beatitudine, dobbiamo impegnarci o sforzarci – sforzarci di essere rilassati, il che è una contraddizione.
Abbiamo perduto la capacità di lasciar andare, pensiamo che tutto debba essere conquistato, a prezzo di duri sforzi. Ma la nostra natura rilassata, il nostro essere beato è sempre presente.
Quando ci rilassiamo, incomincia ad emergere la piccola beatitudine del sollievo. E se riuscissimo a rimanere rilassati a lungo, emergerebbe anche la grande beatitudine. Qualcosa di ordinario, non di speciale.
Purtroppo, noi siamo convinti che, per essere beati, si debba prima soffrire, e quindi soffriamo. Perché questo è l’unico modo che abbiamo trovato per provare sollievo.


mercoledì 15 febbraio 2017

Essere speciali

Non dobbiamo essere spirituali, dobbiamo essere noi stessi. Non dobbiamo adottare qualche modello ideale di religiosità o spiritualità; dobbiamo lasciar perdere ogni modello.
Non dobbiamo essere simili a Buddha o a Gesù o a qualche maestro; il nostro compito nella vita è essere completamente noi stessi.
Non dobbiamo cercare di essere un’altra persona.
Nessuno ci domanderà se siamo stati Tizio o Caio, ma se siamo stati noi stessi, se ci siamo espressi completamente, al nostro meglio.
Non dobbiamo recitare una parte, ma essere autentici.
Realizzare se stessi è innanzitutto essere noi stessi. Solo se siamo stati noi stessi, potremo trascenderci.
Non dobbiamo cercare di essere speciali. Saremo speciali solo se siamo noi stessi.

D’altra parte, essere se stessi è il frutto di un lungo condizionamento; è come avere una camicia di forza. E, quindi, il passo successivo, è non esserlo, non per essere un altro, ma per essere liberi da qualsiasi modello, esterno ed interno. Questa è la liberazione ultima.

martedì 14 febbraio 2017

Lo spreco delle parole

Non ci rendiamo più conto della preziosità delle parole. Siamo invasi da chiacchiere, pettegolezzi e discorsi oziosi.
Ci sono intere parti della nostra società – radio, televisione, internet, giornali e riviste – dedicate ad un uso demenziale della parola.
Da attività creativa e sacra, la parola è diventata un’attività di intrattenimento.

Questa è una vera e propria degenerazione. Ci sono persone che non si fermano mai dal parlare. Dovremmo istituire cliniche del silenzio.

Non pensare

La meta che ci proponiamo in meditazione – non pensare – non significa smettere di pensare. Ma smettere che i pensieri nascano per impulso della nostra volontà. Oltretutto, questo sarebbe un processo terapeutico, perché finiremmo di sprecare energie per macinare inutili idee, speranze, ansie e paure, nate solo dalla nostra mente.
La meta è lasciare che i pensieri sorgano e svaniscano da sé, come se non fossimo noi a volerli.
Certo, è praticamente impossibile “non volere” i pensieri,perché essi nascono l’uno di seguito all’altro.

Ma possiamo guardarli venire e andarsene come se non fossimo noi a farlo. Loro si muovono quasi autonomamente e noi siamo coloro che li osservano. Noi siamo altro dai nostri pensieri.

Verità vive e verità morte

Le verità che non cambiano sono morte.
Non sono più vive. Non sono più parti vibranti di noi stessi.
Sono dogmi o fedi sclerotizzate.

Sì, anche la verità è sottoposta ad un processo di cambiamento e ri-attualizzazione.

Un posto di riposo

Pascal diceva che tutta l’infelicità dell’uomo sta nel fatto che non è capace di starsene tranquillo in una stanza. Vero.
Se tutti volessero starsene in pace – e ci stessero – il mondo sarebbe in pace.
Il guaio è che l’uomo non è fatto per starsene fermo. Siamo tutti immersi in un fiume che ci trascina incessantemente. Volenti o nolenti, dobbiamo muoverci.

Per fortuna, la meditazione permette di trovare un posto di riposo e un giusto ritmo immobilità/attività.

lunedì 13 febbraio 2017

La fragilità umana

Il problema non è essere impassibili o superiori. Siamo tutti fragili e mutevoli.
Se fossimo sempre impassibili, saremmo insensibili.

Il problema è trovare un “posto” da cui contemplare tutto ciò che ci avviene – anche la nostra fragilità, le nostre cadute, i nostri errori.

Essere autentici

Non dobbiamo avere un’idea precostituita di ciò che è “spirituale” e cercare di adattarci a questo ideale, perché finiremmo per essere falsi e ipocriti, per non essere noi stessi.
Invece noi dobbiamo essere autentici, dobbiamo essere ciò che siamo.
La via della meditazione è la via dell’autenticità.

Scartiamo i modelli. Non dobbiamo imitare qualcuno. Dobbiamo essere noi stessi.

Il successo della meditazione

Quando la meditazione produce stati d’animo piacevoli - come la calma, la pace, l’assenza di pensieri, l’immobilità mentale, la gioia e la chiarezza - diciamo che ha avuto successo, ci sembra di aver avuto una seduta proficua. Ed è vero. A livello mentale, questi stati d’animo sono degli indubbi successi. Meglio questi stati d’animo che l’agitazione, la confusione e il dolore.
Ma non dobbiamo applicare alla meditazione la logica del successo che seguiamo di solito nella vita quotidiana.
Da una parte questi “successi” potrebbero produrre attaccamento, autocompiacimento e un desiderio di replicarli ad ogni costo; e dall’altra parte sono anch’essi instabili.
In realtà, gli stati d’animo hanno continuamente alti e bassi, perché le vicende della vita sono impermanenti, contrastanti e mutevoli.
Il vero successo, dunque, sta nel contemplare il tutto e nell’accogliere tutto (il bene e il male, il piacevole e lo spiacevole) con distacco. Questo è “vedere la realtà”, qualunque sia.
Quando guardiamo la realtà in questo modo, automaticamente usciamo dal nostro piccolo ego e abbracciamo il grande sé impersonale – anche nei nostri confronti.

domenica 12 febbraio 2017

La post-verità

Nessuno è peggiore di chi è convinto di aver scoperto la verità e vuole imporla agli altri. Mosè, Gesù e Maometto, con le loro convinzioni di un Dio unico (il loro!) e di una verità unica (la loro!), con la loro sicurezza che tutti gli altri dèi fossero falsi, con il loro bisogno di andare a convertire gli altri… non sono loro all’origine delle divisioni e delle guerre religiose che da più di duemila anni insanguinano il mondo?
Nessuna verità. Esistono solo opinioni. Anche in campo scientifico. Ci sono cose che funzionano ed altre che non funzionano. Tutto lì,
Nessuno sa quale sia la verità, né che cosa sia la verità. Ma, purtroppo, molti credono di possederla. Sono loro la rovina del mondo. I malati di assolutismo. I malati di verità.
Dobbiamo imparare a vivere nell’incertezza e nel dubbio. Non pretendere di avere verità assolute.
Basterebbe questo a rendere il mondo meno feroce.

Siamo vivi, sensibili e intelligenti quando ci troviamo sull’orlo dell’ignoto e del mistero, non quando siamo paralizzati da certezze infondate. Invece, la mente di chi crede di avere certezze e fedi, diventa ottusa, chiusa e non cerca più niente.

sabato 11 febbraio 2017

La parte migliore

Forse non crediamo all’interdipendenza delle cose, all’unità del tutto, anche dei contrari. Ci sembra una teoria filosofica.
Ma resta il fatto che i nostri peggiori stati d’animo (odio, rivalità, competitività, rabbia, invidia , rancore, ecc.) si basano tutti su una visione dualistica e antagonistica del mondo: l’uno contro l’altro. Mentre i nostri migliori stati d’animo (amore, tolleranza, amicizia, meditazione, compassione, empatia, ecc.) si basano su una visione unitiva.
Non si tratta solo di una concezione, ma anche di un impulso, di una tendenza, di un comportamento. Quando vediamo o siamo spinti ad unirci, stiamo bene; quando vediamo o siamo spinti a contrapporci, soffriamo.
Naturalmente, nella dialettica, naturale, questa contrapposizione è necessaria e utile. Ma noi dobbiamo esseri così bravi, intelligenti, saggi e consapevoli da sceglierci la parte migliore. Abbiamo una sola vita. Che è anche breve.

La meditazione, la contemplazione sta dalla parte migliore; perché, anche se inquadra cose brutte e sofferenze, ne sta al di fuori, stabile e in pace. 
Non si tratta di una teoria, ma di una pratica vantaggiosa.

venerdì 10 febbraio 2017

Lo scopo pratico della meditazione

Al di là di certi alti scopi di conoscenza e di spiritualità, nella vita di tutti i giorni la meditazione serve a darci un senso di pace, il che non è poco, visto lo stato di confusione, di ignoranza e di ansia in cui ci troviamo normalmente. Serve a darci un punto fermo in mezzo al caos.
Ma c’è pace e pace. C’è la pace quietistica e un po’ ottusa, e c’è la pace che è pura energia e chiarezza. E a questa noi miriamo.  Altrimenti, basterebbe una pillola.
Dunque, dobbiamo cercare una calma e una stabilità che durino anche dopo la meditazione. Vorremmo mantenerle quando rientriamo nella vita quotidiana, nelle attività abituali, senza cedere alle paurose oscillazioni degli altri e dei bassi – nostre e del mondo -, contemplando tutto come uno spettacolo pirotecnico – meraviglioso quanto si vuole, ma pur sempre una rappresentazione di qualcosa che ci sfugge, di un’unica energia che è capace di assumere innumerevoli forme pur mantenendosi uguale a se stessa.
Puntare ad un simile centro o equilibrio, a questo fondo imperturbabile, che se sta al di fuori delle tempeste di superficie, è già una meta importante.
Al limite, la pratica non si esaurisce quando ci alziamo dal cuscino o dalla poltrona, ma coincide con le attività della vita quotidiana, e ne diventa il centro riequilibratore, la prospettiva unificante.

Noi non riusciremo mai a conoscere noi stessi, perché siamo all’interno di noi stessi, finché rimaniamo all’interno di noi stessi. Dovremmo essere capaci di uscire da noi stessi per vederci dall’esterno, così come abbiamo un’idea della Terra uscendone e guardandola da un diverso punto di vista.

Ma questo è possibile solo assumendo una diversa prospettiva: dismettendo la tensione che ci abita e pacificando la mente, fino a farla coincidere con ciò che cerca. Il chi cerca coincide con ciò che è cercato.

giovedì 9 febbraio 2017

Stati illuminati

Di solito si pensa che, in meditazione, le emozioni forti siano i nostri nemici, dato che farci trasportare dalle emozioni (rabbia, odio, invidia, agitazione, ecc.) provoca turbamento e l’impossibilità di concentrarsi e di raggiungere uno stato di calma.
Questo è vero entro certi limiti. Non dobbiamo infatti dimenticarci che le emozioni sono energia mentale, e che, reprimerle o eliminarle ci priva di vitalità.
In fondo l’energia delle emozioni è l’energia del nostro sé più profondo.
Dunque lo scopo non può essere quello di sterilizzare le emozioni e di ottenere uno stato di quiete privo di vitalità. Ma quello di ripulire l’energia dalle emozioni negative.
E questo di ottiene soprattutto diventando consapevoli di queste emozioni, fino ad acquietarle –ma lasciando intatta l’energia che veicolano .
Affrontarle, non fuggirle. Vederle chiaramente, non facendo finta di niente.

È in tal modo che potremo riconvertire l’energia agitata e passionale nell’energia chiara e brillante di ciò che chiamiamo, non a caso, “illuminazione”.

mercoledì 8 febbraio 2017

Essere se stessi

Pochi di noi sono bravi ad essere se stessi.
Siamo così preoccupati di mostrare una certa immagine di noi stessi, siamo così preoccupati delle apparenze, che mentiamo o recitiamo.

E, a forza di mentire e di recitare, a forza di fingere, a forza di non essere noi stessi, finiamo per nascondere noi stessi non solo al mondo, ma anche a noi stessi.

Lo sguardo del leone. l'autoliberazione

Se gettiamo un legnetto ad un cane, questi si metterà subito ad inseguirlo. Ma, se lo facciamo con un leone, questi non si farà distrarre: continuerà a tenere lo sguardo fisso su di noi, perché per lui siamo noi la cosa più importante.
Lo stesso dovremmo fare noi. Anziché spostare l’attenzione sui pensieri e su tutto ciò che sorge dalla mente, continuiamo a fissare lo sguardo su ciò da cui sorgono quei pensieri.
Fissando il fondo della mente, in realtà non ci facciamo distrarre dai suoi prodotti, dai suoi fuochi artificiali (che hanno proprio lo scopo di farci sviare), ma ci manteniamo presenti e consapevoli.
I pensieri sorgeranno ancora – benché più lentamente -, ma noi saremo in grado di non farci deconcentrare e terremo l’attenzione sullo stato della pura consapevolezza.
Considereremo i pensieri e gli altri prodotti mentali per ciò che sono: pure distrazioni. E raggiungeremo l’autoliberazione. 

martedì 7 febbraio 2017

La misura della vita

Non pensare mai alla morte, negarla, nasconderla, rimuoverla, fare gli scongiuri… sono dei modi per far penetrare fino in fondo la nostra paura.
Se non affrontiamo questa paura, contemplando ogni giorno la nostra impermanenza e il fatto che tutte le cose devono disgregarsi, dal piccolo insetto alle galassie più grandi, abbiamo una prospettiva falsata della vita.
Credendoci solidi e stabili, e che la morte avverrà in un tempo lontano, ma che per ora non ci riguarda, intraprenderemo azioni del tutto inutili e, anziché allontanare paure e sofferenze, le aumenteremo a dismisura.

Solo una consapevolezza profonda e continua di ciò che significa morire e avere un tempo così limitato ci può dare la misura della vita.

Lo spirito della materia

I nostri scienziati hanno finora studiato il mondo come se fosse qualcosa di “esterno,” ricadendo nel vecchio vizio mentale di distinguere materia e spirito.
Ma un giorno capiranno che materia e spirito sono un tutt’uno, così come già oggi la fisica quantistica ha compreso che l’osservatore determina ciò che osserverà.
Tempo, spazio, materia e spirito non sono distinti. Sono solo livelli diversi di vibrazioni.
Questo significa che lo spirito può agire sulla materia. È questa la nostra grande speranza.

lunedì 6 febbraio 2017

Il piccolo Attila

Questo voler dividere, separare, contrapporre, innalzare muri, erigere confini e affermare sé contro gli altri, è quanto di meno religioso ci sia. Non a caso la parola religione (res-ligio = lego le cose) indica un’attività di unificazione.
Ma Trump, il piccolo Attila, e i suoi simili in tutto il mondo, si professano individui religiosi.
Il piccolo ego si crede separato, crede che ogni ente sia separabile dagli altri, non vede l’interrelazione e l’unità di tutte le cose.

Come se Dio non fosse l’Uno.

Sesshin

Il merito dello zen è di aver ribaltato il rapporto tra sacro e profano, tra religioso e laico, tra pratica immobile e azione, tra meditazione e attività quotidiana.
Anziché riaffermare la tradizionale contrapposizione fra meditazione immobile e attività, ha integrato nella meditazione tutte le attività, anche le più comuni, come spazzare il pavimento o lavare i piatti.
Insomma, per meditare, non devi ritirarti dalle attività. Puoi farne parte della meditazione. Se stai attento, se sei presente in esse.

Forse non riusciamo a capire come essere presenti in attività come lavare o stirare, ma proviamo a partire da attività più intime come spazzolarsi e denti o andare di corpo. Si tratta di momenti in cui ci sentiamo più vicini che mai a noi stessi.

domenica 5 febbraio 2017

Tentativi di essere

C’è gente che sogna o spera una vita eterna dopo la morte. Ma bisogna tener conto che tutti noi siamo tentativi malriusciti di quel Fondo da cui emergiamo. Siamo come bolle d’aria che salgono da un pentolone.

E non so se nell’al di là c’è un bidone per conservare gli scarti. Di solito, gli scarti si rifondono, per creare qualcosa di nuovo e di migliore. 

La fonte di ogni energia

Lo so: ci sono tante cause di morte. Ma, in fondo, se non si muore per qualche incidente, si muore solo per stanchezza.
Quando si è troppo stanchi; ci si arrende alla natura, a ciò che è.
Per resistere il più a lungo possibile, ammesso che ne valga la pena, bisogna attingere energia a quella fonte che non si trova in qualche luogo materiale, ma proprio dentro di noi. Stiamo in contatto con la sua saggezza e la sua forza il più spesso possibile. Al di là delle parole e delle vitamine.

In realtà noi non siamo ciò che pensiamo di essere, non siamo ciò che ci raccontiamo di essere – il nostro io sociale.
Ciò che siamo, in fondo a tutto, è sempre al di là di ciò che pensiamo, della nostra immagine e del nostro ruolo.

Penso, dunque sono? È tutto il contrario: penso, dunque mi sbaglio ad essere.

sabato 4 febbraio 2017

IL Dio autoritario

Abbiamo visto le foto di Trump e dei suoi ministri riuniti a pregare a testa bassa. Non si capisce perché, quando c’è un regime di destra, questo è quasi sempre molto religioso. O, per lo meglio dire, lo si capisce bene. Per queste persone, Dio è ordine, legge, autorità e maschilismo. E non basta. Essere religiosi, per loro, significa essere nazionalisti, militareschi e anti-immigrazione, tant’è vero che subito innalzano muri, fili spinati per respingere gli stranieri e alimentano le forze armate.
Dio - ordine legge e guerra.
Questo succede non solo nel cristianesimo, ma anche nell’ebraismo, nell’islam e nell’induismo – insomma in tutto il mondo e in tutte religioni. Dio viene avvertito come il grande capo militare, che difende l’autoritarismo dei leader terreni. È bellicoso e spietato. Difende i confini e ritiene che le donne e gli altri popoli siano esseri inferiori.
Manca completamente l’aspetto creativo e umanitario di Dio. Tutto è ordine e legge, scolpiti sulla pietra per sempre; e guai a chi osa trasgredirli. Subito arriva la punizione divina e umana.
Come dico sempre, ognuno ha una propria immagine di Dio. C’è anche un’immagine più gentile e più amorevole. Ma non si può negare che l’immagine prevalente sia quella del Padre-Padrone inflessibile e autoritario.
La verità è questa: che Dio è fatto a immagine e somiglianza degli uomini e che ogni categoria ne ha una propria versione.
Quale sarà allora il vero Dio?
Nessuno di questi, certamente.

Secondo noi, Dio è trascendenza. E non si occupa né di confini, né di odi razziali e di genere, né di eserciti, né di leggi umane, né di religioni… né di questi miserabili capetti.


venerdì 3 febbraio 2017

Meditare sulla morte

Spesso, quando sentiamo parlare di consapevolezza della morte, ce ne allontaniamo con un moto di ripulsa. Ci penseremo quando sarà il momento. Ora no. Ma poi, quando arriva, il momento non siamo preparati.
Quello che non capiamo che la morte ci dà la misura della vita e che può essere un momento non di orrore, ma di trasformazione. La morte ci dà una diversa prospettiva.

Una prospettiva che già adesso ci permette una trasformazione, come quelle che otteniamo dopo decenni di meditazione.

Una nuova logica

Siamo abituati a pensare che la vita abbia un senso: quello convenzionale che ci viene insegnato dalla cultura e dalla religione (per esempio quello di un Dio che ha creati e che ci mette alla prova per giudicare se abbiamo fatto bene o male, quello che ogni ente esiste in sé e per sé, creato da qualcuno…).
Poi, meditando, incominciamo a capire che questo senso è troppo limitato, praticamente un prodotto infantile, per bambini non cresciuti. Così perdiamo fiducia nel senso razionale ed etico. E ci sembra che tutto sia insensato e assurdo.
Ma, a questo punto, allargando la mente, scopriamo, il senso del non-senso – una vasta prateria dove possiamo sbrigliarci cavalcando a nostro agio. Un’altra logica… per esempio, che viviamo mentre stiamo morendo, che quando un attimo emerge è già passato, che il significato non è univoco ma molteplice, che i contrari sono in realtà complementari, che ogni ente non può esistere di per sé, che le cose possono essere e non essere nello stesso tempo, ecc.
Non abbiamo più limiti, se non quelli creati dalla nostra ristrettezza mentale.


giovedì 2 febbraio 2017

Il principio della vita

La vita si nutre si altra vita: non c’è modo di sfuggire a questo principio. Mangiare, respirare, muoversi significa distruggere altra vita: vegetale, animale, insetti, virus, ecc.  In India ci si mette una mascherina sulla bocca per evitare di ingerire insetti, batteri, ecc. E se una zanzara vi punge, dovete lascia fare: in fondo sta mangiando anche lei. Ma basta camminare per uccidere chissà quanti insetti. Figuriamoci, quando si mangia.
Il nostro stesso intestino è pieno di batteri che, se prendiamo un antibiotico, vengono distrutti a miliardi.
Mangiare, nutrirsi, spostarsi, vivere… significa uccidere.
Questo ci dà un’idea precisa del mondo in cui ci troviamo – del meccanismo - e del Meccanico - che ha congegnato questo cosmo.
Non un’idea bonaria – come vorrebbero farci credere le religioni – ma un’idea violenta. Non potete aprire una porta senza un certo sforzo, non potete neppure far l’amore senza compiere un certo sforzo. Forza, violenza, energia, uccisioni…tutto ciò è stato programmato dalla Mente creatrice – che non può essere soltanto buona ed equa.
Non vi aspettate neppure che l’universo sia giusto. Può essere terribilmente ingiusto e feroce. Siete mai entrati nel reparto di oncologia infantile di un ospedale? Avete mai visto gli effetti devastanti di un terremoto?Non c’è giustizia. Una violenza invincibile, una ingiustizia incomprensibile è dappertutto.
Da noi si pensa che ci sia un Dio che riparerà tutto – in un aldilà. Ma questo non ci spiega la violenza ingiusta che è avvenuta prima. Era un giochetto di Dio per compensarci o punirci, per metterci alla prova? Sembra un giochetto scemo e comunque sadico. Non è bontà.
In Oriente si crede che la legge del karma spieghi tutto. Se un bambino muore a cinque anni, è perché in una vita precedente aveva fatto del male. Se un terremoto uccide tremila persone, è perché in quel luogo si erano reincarnate anime di persone che avevano fatto del male. Se un aereo cade con duecento persone, è perché lì viaggiavano individui che dovevano essere puniti per peccati precedenti. Se un dittatore malvagio massacra migliaia o milioni di persone, queste persone dovevano essere colpevoli di qualcosa, in questa vita o in una precedente.
Sarà. Ma tutte queste idee sembrano un tentativo di dare un senso a ciò che senso non ha, uno forzo di razionalizzare l’assurdo o l’ingiusto. E, siccome noi non abbiamo nessuna prova che siano fondate, dobbiamo aspettarci che l’ingiustizia e la violenza si abbattano su di noi e su chiunque altro in ogni momento. E che il buono patisca e il cattivo fiorisca.
Quale Bontà suprema può aver creato tutto ciò?

No, non c’è bontà senza cattiveria, non c’è logica senza assurdo, non c’è giustizia senza ingiusto. Accettare la realtà è accettare violenza, ingiustizia, assurdità, non-senso. Se non lo facciamo, se crediamo a principi di razionalità, di senso, di buonsenso, di equità e di bontà, prima o poi subiremo smentite distruttive.

mercoledì 1 febbraio 2017

La ricerca infinita

Tutti noi cerchiamo qualcosa: la verità, la felicità, la salute, il successo, la pace, il riposo, ecc. È un fatto naturale, istintivo.
Ma, più cerchiamo, più sentiamo che ci manca qualcosa; e, più ci sforziamo, più ci sentiamo stanchi, delusi e infelici.
Crediamo che saremo soddisfatti e realizzati quando avremo trovato ciò che cercavamo. Ma questo non avverrà mai. Perché, non appena avremo trovato qualcosa, desidereremo qualcos’altro, sposteremo semplicemente l’asticella un po’ più in alto o un po’ più in là.
La ricerca è qualcosa di infinito, qualcosa che non terminerà mai. E l’insoddisfazione è la norma.
In campo meditativo lo sappiamo benissimo: non c’è speranza di giungere alla fine della ricerca umana. Dovremmo alla fine diventare come dei. Ma anche loro non sono soddisfatti e anelano a qualcosa di più, tant’è vero che l’intero cosmo è dominato dal loro desiderio di ricerca infinita, di evoluzione e di progresso.
La verità è che, in campo spirituale, ciò che cerchiamo lo abbiamo già, è dentro di noi, a nostra disposizione. E, per “ottenerlo”, dobbiamo semplicemente fermare ricerca.
Otteniamo il risultato della ricerca… proprio quando fermiamo la ricerca e sostiamo – finalmente in pace –nella non-ricerca.

Come dice Frank Ostaseski, la ricerca “finisce quando la consapevolezza si riposa nelle profondità pacifiche della nostra natura essenziale.”

Il potere degli ignoranti

Brutta bestia, l’ignoranza. In Oriente la si considera – giustamente – l’origine di tutti i mali.
Quando si ha un popolo con grandi maggioranze di ignoranti, non c’è speranza. Perché gli ignoranti eleggeranno solo altri ignoranti – perlomeno i furbi, i disonesti, gli incapaci e gli ipocriti.
Agli ignoranti basta una buona campagna pubblicitaria per farsi convincere, cioè abbindolare.
Guardate Trump. C’è individuo più rozzo e ignorante? Ce l’ha scritto in faccia. Ma i rozzi e gli ignoranti lo hanno eletto.
Del resto noi italiani lo sappiamo bene. Non abbiamo votato Berlusconi? Non abbiamo appena respinto una riforma costituzionale per ritrovarci nella confusione più assoluta?
E, in passato, non abbiamo votato Mussolini? E i tedeschi non hanno votato Hitler?
Sono i popoli ignoranti che hanno voluto tutto questo. È l’ignoranza che produce ogni disastro.