venerdì 17 febbraio 2017

Il testimone ultimo

Noi crediamo sempre di sapere chi siamo, perché abbiamo una mente e una memoria che ci danno una risposta – una risposta che è associata in parte alla carta d’identità e in parte al ricordo delle nostre esperienze. Noi siamo quelli lì. Ma se prendessimo due persone e facessimo fare le stesse esperienze, loro si riterrebbero ancora individui diversi. Il senso dell’identità è ancora più profondo: è il modo interiore in cui facciamo le esperienze.
Qual è questo modo interiore? È impossibile spiegarlo, perché ci precede sempre. È qualcosa che è anteriore alle esperienze. Se volessimo trovarlo, ci troveremmo nella situazione in cui si trova un cane che insegue la propria coda. Possiamo trovare qualche elemento ricorrente, ma non il tutto. Il tutto ci sfugge sempre.
Se il sé è sempre a priori, noi siamo senza saper bene chi siamo. Siamo ciò che ricordiamo o ciò di cui siamo consapevoli, ma non il soggetto ultimo della consapevolezza, il Testimone ultimo.
C’è un unico modo per identificare questo Identificatore ultimo: interrompere ogni attività per farlo rimanere solo, per farlo affiorare.
Questo è uno degli scopi della meditazione. Trovare se stessi al di là delle solite identificazioni.
No avremo una risposta definita. Ma avremo uno stato d’animo di identità. “Io sono quello – e non un altro.”

Poco importa se questo Identificatore ultimo sia eterno o sia anche lui impermanente. È quello che siamo.
Questa è la Presenza ultima. E non è difficile appurarla.

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