lunedì 30 novembre 2020

Due perché

 

Un lettore mi domanda perché veniamo al mondo e il significato della nostra vita individuale.

Veniamo al mondo non perché lo abbiamo voluto noi, ma perché l’hanno voluto i nostri genitori, rispondendo ad un istinto. Ecco perché ci ritroviamo qui senza sapere il perché.

Lo scopo della vita è il vivere stesso, non un secondo fine come essere premiati o puniti.

A noi non resta che prenderne atto e cercare di evitare di frammentare l’Uno da cui proveniamo e in cui in realtà non ci manca niente.  

In sostanza la vita individuale è un grosso abbaglio, una costruzione della mente, che è destinata a sparire presto.

 

domenica 29 novembre 2020

La corsa della vita

 

Se consideri la vita come una corsa in cui bisogna arrivare primi, forse ce la farai, ma dovrai consumare tutte le tue risorse, non potrai occuparti di altro e arriverai presto al traguardo.

Ma qual è il traguardo della vita? Te ne rendi conto? E ti conviene arrivarci prima degli altri?

Oggi tutti ti mettono fretta e ti spronano a non perdere tempo. Ma il tempo lo si perde comunque.

Tutti i saggi da tempo immemorabile insegnano non ad arrivare primi ma ad assaporare ogni passo.

Che cos’è la vita se non una perdita di tempo? E più ne perdi, meglio è.

 

La consapevolezza della consapevolezza

 

Che cosa sarebbe un essere vivente senza consapevolezza? Niente, un semplice pezzo di materia.

Nessuno se l’è cercata, tutti se la sono trovata. Dapprima, appena nati, era minima, poi è aumentata - e così è nato il senso dell’io: io sono, io esisto, io sono vivo, io sono un individuo...

Ma la consapevolezza dura qualche decennio e poi svanisce. Come è venuta, così se ne va... Io devo morire: ecco il prezzo della consapevolezza!

Ma di che cosa è fatta questa consapevolezza così effimera, che va e che viene?

Evidentemente è presente nella materia vivente organizzata in un certo modo, un prodotto naturale della complessità. Ovunque c’è vita, lì c’è consapevolezza in quantità più o meno elevata.

La consapevolezza non è un semplice essere coscienti, ma un sapere di esserlo. E chi è il soggetto di questo sapere?

Un gatto o un cane, messi di fronte a uno specchio, non si riconoscono: credono che si tratti di un altro animale e magari cercano dietro lo specchio. Ma certe scimmie evolute e gli esseri umani si riconoscono. Sanno di essere proprio loro. Fanno un ulteriore passo. Hanno come un testimone della consapevolezza.

Che cos’è questo testimone? Una parte evoluta della consapevolezza o qualcosa di completamente altro? Ed è un vantaggio o uno svantaggio? Perché la super-consapevolezza è sì una facoltà in più, ma una facoltà che porta a una scoperta amara: siamo fatti per la vita perché siamo fatti per la morte.

Al centro della nostra galassia c’è un enorme buco nero che ingoia tutto: questo abbiamo scoperto. E non è una bella scoperta. Forse era meglio non scoprirlo.

 

venerdì 27 novembre 2020

La pace eterna

 

Questa espressione, oggi, appare obsoleta. Chi è che parla più di “pace eterna”? Nel nostro mondo c’è di tutto, ma non la pace... e men che meno eterna. La cerchiamo magari sulle montagne o al mare, in posti isolati, nelle famiglie, nell’amore, nei soldi, nel successo... ma dura comunque poco.

Il mondo non si basa sulla pace. Se stiamo fermi per mezza giornata, ci sentiamo già in crisi. Vogliamo muoverci, viaggiare, conquistare, fare e costruire - tutto meno che la pace.

La pace eterna la riserviamo ai cimiteri, perché lì ci sono silenzio e immobilità. Ma, per il resto, la rifuggiamo. Se anche troviamo un posto tranquillo, dopo un po’ ci annoiamo.

Non c’è niente da fare. Il mondo è costruito sull’attività, e nessuno può stare veramente in pace. Appena lo fa, la sua mente si mette a lavorare e allora è meglio muoversi e stordirsi.

La nostra mente non si ferma mai e ci tormenta. Questo è il problema. È la nostra coscienza che ci fa sentire sempre a disagio, perché questo è il destino di chi nasce. Sapere di essere è sì una gioia, ma anche una tortura che non finisce mai. Essere coscienti - diceva il saggio Eknath - è come essere punti da uno scorpione.

Allora non rimane che la morte. Ma la mente umana ha terrore della morte e vorrebbe un’altra vita dove ricominciare tutto daccapo.

 

 

 

I nuovi santi

 

Un tempo, nel Medioevo, le città e le nazioni si disputavano le reliquie dei santi, vere o false che fossero, e si facevano guerre per impossessarsene. Ma oggi la qualità dei santi è cambiata. Oggi ci si disputano le reliquie o qualche ricordo di Maradona. Le città e le nazioni si contendono l’onore di averlo ospitato. In Argentina si verificano tumulti perché milioni di persone non riescono a visitare la sua salma. Chi ha qualcosa di lui si ritiene miracolato. A Napoli si è deciso di dare allo stadio il nome di Maradona, scalzando san Paolo che non infiammava più i cuori.

Il Papa argentino fa telefonate di condoglianze e prega per la sua anima. Vedrete che qualcuno chiederà di farlo santo... il santo del piede o della manina, il santo del pallone.

Certo, non è mai successo che tutto questo fervore fosse suscitato dalla morte di uno scienziato o di un uomo di cultura. Ma questi sono i tempi. E questa è l’umanità con cui abbiamo a che fare.

 

giovedì 26 novembre 2020

L'inganno dell'innamoramento

 

Il carattere di illusorietà del mondo è ben esemplificato dal fenomeno dell’innamoramento. Ci si innamora di una donna o di un uomo credendolo una certa persona e poi, dopo un po’, ce ne troviamo un’altra che non conosciamo. Abbiamo preso un abbaglio.

Ma l’universo intero è un abbaglio, cioè un bagliore. Una gran luce, un gran rumore, che dura un po’ e infine si spegne.

Che cos’è la luce se non un bagliore e che cos’è un bagliore se non un abbaglio? E che cosa rimane dopo l’abbagliamento? Ritorna la realtà

Non a caso le donne si truccano e gli uomini cercano di apparire quelli che non sono. Insomma tutti cercano di imbrogliare con false immagini di sé e si innamorano di false immagini.

In fondo gli uomini cercano l’antica immagine della madre-amante-dea e le donne cercano l’immagine del padre-amante-dio. Ma si tratta appunto di immagini, di abbagli, non di realtà.

Tutti prendono abbagli, tutti si sbagliano. Il mondo è la commedia degli equivoci, basata su errori di riconoscimento, su sogni della mente.

Ma i sogni - come tutti sanno - durano poco e sono destinati a dissolversi.

 

 

La gioia di esistere

 

La gioia di esistere è un fatto istintivo. Basta guardare i cuccioli di tutti gli animali, noi compresi, che giocano e si divertono. Se non ci fosse questo piacere, la vita si sarebbe estinta già da un pezzo. Ma il mondo è duale e, se volete la gioia, dovete prendervi anche il suo contrario.

E quindi gli esseri umani (e anche non umani) passano di continuo da un estremo all’altro. Ogni stato d’animo ha il suo opposto.

Poiché la gioia è un fatto naturale, non serve a nulla cercare di ottenerla con sforzi e artifici. Anzi, più la cerchiamo, più ce ne allontaniamo. È più utile togliere che aggiungere.

Vi sono anche gioie dovute a conquiste, vittorie, successi, scoperte e a tutto ciò che la mente ha elaborato. Ma anche queste comportano i loro opposti: perdite, sconfitte, fallimenti, delusioni, ecc.

Insomma non c’è niente di duraturo. E questo è già un marchio negativo. Ci saranno sempre insoddisfazione e sofferenza.

Ora, la domanda è: bastano le poche gioie a compensare le angosce e i vari dispiaceri? Ognuno potrà dare la sua risposta, basata sui risultati della propria vita. Ma il saggio contempla questo panorama e trova che sia sconfortante.

C’è evidentemente un grave “difetto di fabbricazione” (proprio un peccato originale - ma da parte di chi?) nello statuto del mondo. Rispetto a ciò che c’era prima si è creata una crepa, una divisione, un fallo che rende instabile il tutto (da qui il divenire) ed è destinato prima o poi a far esplodere la bolla, facendola rientrare là da dove era scaturita. E nessuno ne sentirà la mancanza.

 

 

martedì 24 novembre 2020

Samadhi

 

Tutto gira intorno alla coscienza: non solo la conoscenza ma anche l’ignoranza, non solo la verità ma anche la falsità. La coscienza ci permette di sapere che siamo esistenti, ma ci offre contemporaneamente una visione condizionata del mondo.

A noi sembra la facoltà suprema, ma anch’essa ci dà informazioni false e alla fine dovrà sparire insieme al corpo e alla mente. La meditazione dovrebbe riguardare proprio questo meccanismo.

Quando lo facciamo, diventiamo i testimoni della stessa coscienza spostandoci su un altro piano. Ma non per essere più coscienti; semmai per scoprire come si possa essere in assenza di coscienza.

Samadhi è superamento della coscienza.

In effetti il testimone della coscienza non ha coscienza di sé - del sé limitato - perché non ha né divisioni né sofferenza, perché si allarga il più possibile. In tal senso si libera delle immagini e dei concetti mentali.

Chi sa che la coscienza normale è limitata, si libera della coscienza di sé. La realtà ultima, per “essere”, non ha neppure bisogno di esistere e di essere cosciente.

 

lunedì 23 novembre 2020

Il ribelle

 

Solo il suicida ha una fede nel potere annientante e liberante della morte. Avendo un dolore insopportabile che gli impedisce di vivere, vede nella morte almeno la fine della sofferenza.

Ma quelli che hanno una fede nell’origine divina della vita vorrebbero in qualche modo punirlo perché è sfuggito al controllo sociale-religioso e ha voluto “far da sé”. Ha voluto essere autonomo. E allora immaginano un Dio che lo punisca in qualche altra esistenza facendolo di nuovo soffrire.

Non c’è limite al sadismo religioso.

La religione è un sistema di controllo sociale che vuole l’assoggettamento degli individui in vita e in morte... Tu non sei tuo, tu devi dipendere da Dio e dagli altri. Guai a te se vuoi essere libero - questo ci dicono tutti gli Iddii da tempi immemorabili.

In tal senso ispirano tutte le dittature.

 

domenica 22 novembre 2020

La paura della morte

 

Sulla Terra sono passati molti grandi uomini, scienziati, fondatori di religioni, mistici, “salvatori” o “figli di Dio”, ma sono tutti morti e il mondo non è cambiato: le sue leggi sono sempre le stesse e tutti continuano ad aver paura della morte.

Aver paura della morte significa identificarsi con il corpo-mente ed essere consapevoli che il nostro io psico-fisico svanirà. Dopo aver tanto lavorato e faticato, tutto andrà perduto. Si capisce che la prospettiva non piaccia a nessun essere umano.

Di conseguenza ci siamo inventati Iddii, reincarnazioni e ogni genere di paradisi-inferni-purgatori che dovrebbero assicurarci qualche genere di sopravvivenza. I cristiani credono anche alla resurrezione dei corpi, il che ci dice che per loro l’individualità materiale è tutto. Ma le prove?

Per ora, l’esperienza ci dice che finirà il corpo, finirà la mente, finirà la coscienza e finirà il senso dell’io. Da qui la nostra angoscia. Nessuno può essere sicuro di niente. E nessuno si accontenta di una sopravvivenza solamente spirituale. Vogliamo ben altro: la materialità, la fisicità, la sensualità, la sessualità, ecc. - purtroppo, tutte cose legate alla sofferenza e alla morte.

C’è un unico punto che ci consola: che c’è un testimone di tutto questo, un testimone che osserva ogni cosa restandone distaccato. È come uno specchio su cui passa ogni immagine, ma che ne rimane separato e non-toccato.

Nei momenti peggiori, è a questo testimone che ci affidiamo perché porta con sé una certa calma. Ma, quando non ci sarà più niente, di che cosa dovrà essere testimone? Può esserci un testimone senza qualcosa da testimoniare?

Di fronte al nulla non possiamo più procedere. Ma forse dobbiamo rivalutare questo nulla, che non è tanto l’assenza di ogni cosa, quanto il limite per ora invalicabile della nostra conoscenza. Forse tutto quel che appare e ciò di cui siamo coscienti è appunto un’illusione, un sogno, ignoranza o falsa conoscenza, e la sua scomparsa ci porta su un piano dove non è più necessaria la coscienza di sé, con tutta la frammentazione e la sofferenza che ne consegue.

 

sabato 21 novembre 2020

Comprendere la realtà ultima

 

Molte religioni credono che ci si salvi l’anima facendo del bene. Ma, a parte il fatto che spesso non è chiaro che cosa sia il bene, noi pensiamo che ci si salvi comprendendo le cose. Nel primo caso, c’è sempre bisogno di un Dio che giudichi e ricompensi; nel secondo non c’è bisogno di nessun salvatore esterno, e la stessa comprensione, trasformata in azione, è il fattore salvifico.

Se sono su una nave che affonda, posso certo sperare che qualcuno mi salvi; ma sarebbe meglio aver imparato a nuotare e conoscere la direzione per raggiungere la terra.

Ma comprendere come stanno le cose è molto difficile, perché noi siamo vittime di una specie di allucinazione che ci fa vedere solo ciò che proiettiamo noi stessi con la nostra mente.

Non a caso sempre più studi scientifici mettono in evidenza come vi sia più di un’analogia fra cervello e universo. Per esempio, il numero dei neuroni corrisponde al numero delle galassie e inoltre vi sono somiglianze nella struttura a filamento di entrambi, tra l’acqua nel cervello e la materia oscura, nella densità spettrale, nel numero medio delle connessioni di ciascun nodo, ecc.

 È come se il nostro cervello fosse un universo in miniatura, oppure è come se il nostro cervello proiettasse se stesso nell’universo. In breve, si conferma l’idea di certe filosofie orientali secondo cui il mondo che vediamo è una nostra stessa proiezione.

Ecco perché, quando ci domandiamo quale sia il reale, non troviamo mai un senso o il bandolo della matassa. La nostra logica comprende questo mondo, ma non è la stessa su cui si basa la realtà ultima. Per capire qualcosa della realtà ultima, oltre il nostro dualismo, bisogna far tacere la mente con le sue contrapposizioni e i suoi concetti. Altrimenti vi troviamo solo ciò che noi stessi vi abbiamo messo dentro, compresi Iddii e anime, e giriamo a vuoto.

 

 

martedì 17 novembre 2020

Scoprire gli stereotipi

 

L’individuo religioso di stampo tradizionale crede che basti qualche sacrificio o l’esecuzione di qualche rituale per imboccare la strada giusta. Ma ci vuole ben altro - ci vuole comprensione. Se non capiamo come è fatto il mondo, rischiamo di essere soltanto degli imitatori non autentici. È vero che dobbiamo scegliere il non coinvolgimento e il non attaccamento a congiunti e a beni materiali e spirituali. Ma questo comprende anche l’amore per la perfezione, il servizio reso agli altri, l’orgoglio e l’autostima basati su valori sbagliati.

Vuoi diventare un santo? Vuoi diventare un essere divino? Ma su che basi di santità e di divinità?

L’intero mondo e le nostre divinità sono prodotti della mente con i suoi concetti - ecco che cosa ci deve diventare chiaro. Tutto è falso, compreso i nostri concetti di Dio o di anima. E l’adorazione di queste immagini o l’adeguamento ad esse non ci porta da nessuna parte.

C’è una coscienza che è libera sempre e c’è una coscienza che si è comunque venduta al mondo degli stereotipi.

La via spirituale è vedere il condizionamento che subiamo, nel campo delle idee, delle emozioni e dei comportamenti.

Dobbiamo liberarci degli schemi ripetitivi e dei pregiudizi. E ciò non può avvenire se non installandoci nella coscienza testimone, che osserva con distacco il mondo, noi stessi e gli altri e vede le recite della nostra esistenza. Perché noi viviamo per lo più nel mondo dei valori falsi, delle illusioni, dei miti e dei sogni.

All’inizio, tutto ci viene dato dagli altri. E la via per diventare noi stessi passa per una liberazione dell’appreso, dall’abituale e dal luogo comune.

 

 

lunedì 16 novembre 2020

Il principe di questo mondo

 

Sento uomini di Chiesa farneticare di Dio e di Satana e considerare il mondo come una lotta tra queste due figure mitologiche. Il loro pensiero è vecchio e rozzo: risale addirittura al manicheismo persiano. Se le cose vanno bene (secondo loro), è tutta opera di Dio; se le cose vanno male, è tutta opera di Satana. Ma un simile Dio, che dovrebbe essere onnipotente, tutto amore e bontà, non sarebbe capace di liberarci di Satana?

Oltre agli innumerevoli mali dell’esistenza, c’era il bisogno di un personaggio come Satana? Chi se lo è inventato? Da dove è uscito?

Da chi, se non dalla mente malata di chi non riesce a vedere l’unitarietà del mondo? E non riesce a capire che bene e male, Dio e Satana sono le due facce di una stessa medaglia?

Gli ignoranti credono che un giorno il bene trionferà, e non vedono che bene e male si alimentano a vicenda. Il mondo è un impasto di queste forze contrastanti e, quindi, o rimarrà sempre così o scomparirà per sempre tutto insieme, con Dio e con Satana. E quest’ultima sarebbe la soluzione migliore.

 

Liberarsi del pensiero mitologico

 

Sembra che l’individualità, il senso dell’io, il senso di essere e la coscienza siano le cose più importanti. E lo sono in questo mondo. Ma la loro apparizione corrisponde alla comparsa della paura di perderli... tanto più che siamo certi che, prima o poi, li perderemo. Una delle poche certezze. Ed ecco la necessità di stordirci in mille attività e pensieri.

Stiamo costruendo sul nulla, sapendo che tutto crollerà. Questa è la condizione umana.

Strano paradosso l’esistenza umana.

Per resistere in questa condizione, dobbiamo o non pensarci o affidarci a qualche religione. Da qui nasce il pensiero religioso con la sua mitologia priva di ogni fondamento. Ovvero fondato sulla paura della morte.

Perché non affrontare direttamente la verità e guardare in faccia la realtà? L’intero mondo, con le sue attività e le sue fedi, è un assurdo, un brutto sogno, e la sua sparizione sarà la vera liberazione.

 

sabato 14 novembre 2020

La fine della morte

 

Chi mette al mondo la vita mette al mondo la morte. Il mondo è un labirinto da cui si può uscire solo morti.

Ingenuamente i primi seguaci di Gesù pensavano di venire assunti direttamente in cielo. Ma si dovettero subito accorgere della loro illusione. Del resto, anche Gesù era dovuto morire - e con che brutta morte!

Non c’è un altro modo di uscire dalla trappola in cui ci troviamo. Ed è inevitabile che sia così. Le fede nella vita è in realtà la fede della morte. Non si può separare l’una dall’altra. Il mondo costruito dalla nostra mente duale è un mondo duale: non si può prendere una della due estremità senza prendere anche l’altra.

Bene-male, alto-basso, giusto-ingiusto, buono-cattivo, inizio-fine, amore-odio, essere-nulla... e appunto vita-morte. Possiamo pensare qualcosa senza pensare anche il suo contrario?

E il pensiero non è solo un sovrapporre un velo alla realtà, ma una creazione, una proiezione. Ciò che pensiamo è inevitabilmente ciò che è.

Gli ignoranti che credono nella vita, creano anche la morte.

Per uscire dal dualismo, dovremmo uscire dalla mente con tutti i suoi concetti e le sue parole.

Liberiamoci dunque da tutte le idee, soprattutto da quella di essere degli individui che sono all’interno di un tempo e di un mondo limitato.

Noi non ci rendiamo conto di essere i creatori di questo mondo. Se potessimo arrivare ai confini dell'universo, che cosa potremmo incontrare se non la nostra mente?

 

giovedì 12 novembre 2020

I negazionisti

 

La biologa Barbara Gallavotti sostiene che nei negazionisti si attiva un processo mentale simile a quello della demenza, secondo il quale si diventa incapaci di distinguere tra informazioni fondate e informazioni infondate.

Non è però una novità. L’incapacità di distinguere tra il reale e il falso è tipica della condizione umana. Il mondo intero, così come ci si presenta, è una colossale mistificazione, una specie di sogno (o di incubo) a occhi aperti.

Ciò che tutti negano è l’inevitabilità della sofferenza, tanto che esiste una continua ricerca di una felicità durevole - cosa che è evidentemente impossibile. Si ripete di continuo, come un mantra, che la vita è bella, che è un dono divino, che è un bene moltiplicarla.

Perfino di fronte all’evidenza della malattia, della vecchiaia e della morte, ci si ostina a sognare qualche altra vita su questa terra o nell’aldilà.

Non ci si rende conto che tutto ciò che nasce è destinato a disgregarsi e a morire.

Così, invece di sognare improbabili rinascite (con le loro inevitabili ri-morti), cerchiamo di capire che cosa ci sia al fondo di tutto questo divenire e quale possa essere davvero un’esperienza di immortalità. Non una vita eterna, ma l’uscita dal binomio vita-morte, con tutte le sue contraddizioni.

La vita-morte va vista come un’allucinazione della mente, un abbaglio, e il cosmo come una bolla di sapone che prima o poi scoppia. Qui non ci sono né certezza né stabilità e le leggi della sopravvivenza sono feroci.

Quando non eravamo nati, eravamo forse infelici? Sentivamo forse qualche necessità, il bisogno di esistere?

 

martedì 10 novembre 2020

Corpi di luce

 

Un lettore mi chiede notizie dei corpi di luce. Io non ne so niente, ne ho solo sentito parlare: corrisponderebbero alla scomparsa di certi mistici in cui si nota appunto una grande luce o un arcobaleno. Dovrebbero essere corpi energetici o sottili. Ma non è mai stata dimostrata l’esistenza di un’energia di questo tipo. In ogni caso, anche se si trattasse di un’energia psico-fisica, per ora sconosciuta, non sarebbe la meta finale né dimostrerebbe la vittoria sulla morte. Tutto ciò che è costituito di energia è destinato prima o poi a estinguersi.

 

lunedì 9 novembre 2020

Il sogno della vita

 

Un tempo la nostra coscienza individuale non c’era; poi, senza chiedere niente a nessuno, è apparsa. Ma, alla fine della nostra vita, scomparirà di nuovo. Qualcuno sostiene che essa in qualche modo rimane e può reincarnarsi o vivere un’altra vita. Però nessuno ha mai dimostrato una cosa del genere. Ed è ovvio: la coscienza individuale è legata al corpo e muore con esso.

Forse, la parola “morire” non è giusta. Quando il calore di un corpo si raffredda, possiamo dire che è morto? Ma perché era “nato”? In realtà si era prodotto in seguito a determinate condizioni e, quando queste condizioni spariscono, scompare anche lui.

Le cose vanno e vengono; in seguito alle condizioni generali, appaiono, e poi scompaiono di nuovo. Quando in un terreno deserto piove, fioriscono le piante. Ma nessuno lo ha deciso: tutto avviene spontaneamente. O volete che qualcuno segua ogni filo d’erba e ne determini le condizioni?

Le cose apparse, prima o poi scompaiono; le forme di vita nate, prima o poi muoiono. Non si sfugge a questa logica. Se però una cosa non nasce, come fa a morire?

Ciò che sparisce, in realtà non è l’essere, ma il campo delle percezioni, delle sensazioni e dei pensieri legato ad esso. Il soggetto stesso, con la sua mente, si è fatto un’idea sbagliata: quella di essere nato, quella di essere un io, quella di essere un essere che è nato e che morirà.

In verità sono tutte queste immaginazioni che muoiono. Ma ciò che c’è sotto o prima, ciò che non è mai nato, non può neppure morire. I sogni e le fantasie muoiono. E muoiono perché non sono mai state reali.

Il problema è questo. Il nostro è un mondo immaginario, un film. Lui nasce e muore. Ma, prima del film, c’era un’altra realtà che non era mai nata. Quella siamo noi.

Purtroppo, abbiamo sbagliato l’identificazione, abbiamo sbagliato il film - e tutti i film, tutti i sogni, sono destinati a finire. Dobbiamo capirlo.

Cerchiamo dunque di svegliarci dal sogno. E di scoprire che cosa c’è sotto.

 

 

sabato 7 novembre 2020

Affrontare il coronavirus

 

I più si domandano: “Che cosa dobbiamo fare per combattere il coronavirus?” E immaginano che ci sia da intraprendere una battaglia e combattere chissà chi. Gli americani, per esempio, si armano (come se fosse possibile sparare al virus). Ma in realtà si tratta più che altro di un non fare. Non creare assembramenti, non andare in giro senza presidi di protezione, non tenere contatti stretti con sconosciuti e anche con parenti, non partecipare a riunioni, non viaggiare, ecc. Tutto il contrario di quello che abbiamo fatto finora.

Noi siamo ossessionati dal fare, dal muoverci e dal partecipare. Se rimaniamo fermi in una stanza per un’ora, impazziamo. Se non ci spostiamo da un posto all’altro in continuazione, ci sentiamo male. Se non ci distraiamo, se non facciamo gruppo, ci sentiamo soli. Se non pensiamo a qualcosa, ci sentiamo vuoti e inutili.

Ma ci sono circostanze, come questa, in cui bisogna “fare” il contrario. Non fare. Non spostarsi, non stare in compagnia, non contattare, non farsi prendere da ubbie, da deliri e da panico. Stare tranquilli.

Il “non fare”, il vuoto, il nulla hanno antiche origini e stanno prima del fare, del pieno e del tutto. Che cosa sarebbe una musica senza gli intervalli di silenzio? Che cosa sarebbe un vaso senza il vuoto del suo interno? Che cosa sarebbe il pensare senza il vuoto tra un’immagine e l’altra?

“Non fare” è ritornare alle origini della vita, del mondo e di noi stessi. Approfittiamone.

 

 

 

Oltre i limiti della mente

 

Chissà perché la gente crede che per diventare santi si debba soffrire. Come se la vita stessa non fosse la più grande sofferenza. Se vi avessero detto che per nascere dovevate rimanere nove mesi in un viscere di vostra madre, avreste accettato? E perché vi mettete a piangere non appena nascete? Poi, col tempo, dovrete invecchiare, ammalarvi, indebolirvi e morire. Vi sembra una bella prospettiva?

I cristiani hanno per simbolo una croce, cioè un patibolo, uno strumento di tortura. Senza rendersene conto, hanno intuito quale sofferenza sarà la vita. Ma, allora, perché ringraziano per il “dono della vita” e desiderano un’altra esistenza, magari con lo stesso corpo?

Per chi capisce, la morte è la più grande liberazione.

Ma i più sono confusi, illusi, fuorviati, credono che la realtà sia tutta qui.

In effetti, la nostra mente duale non può capire. Capire per noi significa comprendere con la mente. Ma c’è un’altra comprensione che non usa la mente. Noi crediamo che senza l’intelletto non si possa fare nulla. Eppure gli elementi e le piante non hanno un cervello, sono intelligenti e vivono ugualmente. Ma anche il testimone della coscienza non ha bisogno di una ragione.

Tutta la nostra conoscenza si basa sull’assunto che le cose e i processi debbano essere razionali. La nostra mente ha bisogno di materie, di sostanze, di dualità, di contrapposizioni, di sogni, di miti, di ideali e di apparenze; ha bisogno di logica e di razionalità. Ma questo è un restringere e un condizionare la comprensione. E così non capiamo che cosa può essere la realtà senza una mente che la interpreta.

Anche Dio abbiamo costruito a nostra immagine e somiglianza. E lo consideriamo una grande Mente. Ma non è così. Dio non ragiona, non ama e non odia, non ha inizio e non ha fine. Ed è tutto.

 

martedì 3 novembre 2020

Il buon pastore

 

Esiste ancora presso tanti credenti l’idea che Dio sia come un buon pastore che ama, protegge e cura le sue pecore, ossia gli esseri viventi e gli uomini in particolare:

Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.” (Giov. 10)

Non è però una similitudine felice. Innanzitutto, c’è l’idea che le pecore “appartengano” al pastore, siano di sua proprietà e quindi non siano autonome. E poi c’è un problema: che il pastore cura certamente le sue pecore, ma non per bontà o per amore. Infatti, alla fine, le porta comunque al macello.

Non ci fidiamo dunque dei pastori, smettiamo di fare le pecore e lasciamo perdere tutti coloro che, ammantati di belle parole e di propositi amorevoli, ci considerano un gregge da guidare e da sfruttare.

 

lunedì 2 novembre 2020

La via della devozione

 

La via della devozione? Potrebbe essere. Ma a chi? A una divinità che sarebbe “il Signore” dell’universo e che sarebbe tutto amore e bontà? Eppure il mondo è stato fatto con ferocia e spietatezza - comunque con indifferenza verso le vittime di un sistema che ha bisogno per auto-alimentarsi di distruggere gli esseri viventi. Questo in poche parole è il meccanismo del mangiare.

Allora devozione verso chi e che cosa? Per una vita che ci viene data e poi subito ripresa? Strano dono.

O magari non devozione verso una divinità-altra. Ma verso una coscienza che è anche in noi. E, se è anche in noi, se è la nostra, abbiamo qualche responsabilità. Non siamo solo le vittime o i giocattoli di un Creatore incomprensibile.

Noi stessi facciamo parte di una divinità che deve fare i conti con i propri errori. Sì, perché anche Dio sbaglia. Siamo noi che abbiamo esteriorizzato e mitizzato il divino.

Tutto procede per errori e tentativi. Non c’è nessuno che sappia ogni cosa in anticipo.

 

 

L'esperienza dell'immortalità

 

Non ho mai capito perché Dio dovrebbe ammantarsi di misteri e di incertezze e non chiarire mai il suo statuto. “Ragazzi, io ci sono e, dopo la morte, vi aspetta questo...”. Se tutti fossero sicuri di che cosa li aspetta, non ci sarebbero più scuse. Ma Dio si nasconde, è ambiguo, non vuole chiarire le cose e lascia tutti nel dubbio.

Non ho mai capito perché Dio dovrebbe giocare con l’uomo come fa il gatto con il topo. È il solito Dio che semina tranelli, tanto per complicare una situazione già confusa.

Quella che serve è la certezza delle cose, l’esperienza dell’immortalità. E ciò deve essere ottenuto qui e ora. Come fare?

Meditando sul fatto che non siamo ciò che percepiamo e pensiamo e che la nostra identità attuale, fisica e mentale, è destinata a finire. Volgiamo piuttosto l’attenzione sulla parte universale di noi, senza inizio e senza fine.

Ciò che muore è il corpo, è l’identità creduta, il nostro vestito. Ma la coscienza individuale è una piccola coscienza all’interno di una grande coscienza che si è esposta e autolimitata.

Noi osserviamo il tempo con il suo divenire e noi dentro. Ma colui che ne è testimone non è il tempo- ne è al di fuori. Quello noi siamo.

Non abbiamo bisogno di fedi, e non abbiamo bisogno di nessun Dominatore dell’universo. Abbiamo bisogno di esperienze di ciò è persistente in noi, della parte di noi che non muore.