martedì 30 aprile 2019

La meditazione di quiete


Perché è così importante nella pratica della meditazione lo stare tranquilli, lo stare seduti semplicemente senza reagire in modo condizionato? Perché, se pratico questo tipo di meditazione, cresce ogni giorno la familiarità con la spaziosità, con una sensazione di liberazione. Pratico il tornare al presente, al centro. Lascio cadere, lascio andare… creo uno spazio intorno alla mia ansia, alla mia voglia di agire e di reagire. Riscopro il nucleo sereno di me stesso, il mio equilibrio. Non devo più tormentarmi per salvare me stesso o il mondo. In realtà, tutto va bene così com'è, anche se sto naufragando, anche se sono infelice. Posso sorridere anche sull'orlo dell'abisso. Che cosa può succedermi di più terribile di ciò che sto già facendo a me stesso facendomi travolgere dall'angoscia, sforzandomi di essere diverso da ciò che sono?
       Io pratico la distensione. Che è il contrario della tensione. Di tensione ci si ammala, di stress si muore. C'è un'emergenza? E io sto tranquillo. C'è una crisi? Ma quando mai non c'è una crisi? Crisi significa soltanto cambiamento.
       Il che non significa che non devo fare niente. Stando tranquillo e in silenzio, sto già facendo molto: sto volgendo le forze evolutive, le forze cosmiche, a mio favore.
       Ma devo meditare. Devo sforzarmi di non sforzarmi, devo fare della quiete il risultato di una pratica... il che è già un pensiero sbagliato, un pensiero che mi pone nella logica "produttivistica" di raggiungere un obiettivo. No, devo semplicemente essere ciò che sono, qui e ora.
       Nella meditazione non devo "dovere", devo soltanto essere.
       Non proponiamo né una fede né una tecnologia. Piuttosto un riconoscimento, un'accettazione, una forma di amore. Ma soprattutto di pace.
       La chiamiamo meditazione di quiete (shamata), ma potremmo paragonarla ad un reset che riporta un dispositivo alle condizioni originali di fabbrica.
       "Per colui che non medita non c'è pace" dice la Bhagavad Gita.

Medjugorje


Nonostante i due ultimi vescovi della diocesi di Mostar-Duvno abbiano dichiarato concordi che le presunte apparizioni della Madonna a Medjugorje siano "una messinscena ordita dai frati francescani erzegovinesi", certa gente non ne vuol sapere e continua a credere a chissà quali miracoli. Non c'è niente da fare: la parte più primitiva degli uomini sente ancora bisogno delle apparizioni degli dèi. E la Chiesa? La Chiesa fa la furba: non si pronuncia - aspetta di vedere se l'imbroglio frutta o non frutta.
Il fatto è che l'affare è colossale e molti si sono fatti ricchi - insomma un miracolo c'è pur stato. Non c'è stata la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma qualcosa si è moltiplicato. Il che andrebbe anche meglio, se non fosse una delle tante truffe a sfondo religioso. Non c'è solo questa; ce ne sono centomila. Quante organizzazioni caritatevoli, per esempio, riescono ad arricchire, non i poveri, ma coloro che fanno la carità?
       Resta questo bisogno infantile di credere che gli dèi esistano e scendano ogni tanto sulla Terra... a far che cosa? Non si sa: a diffondere messaggini banali come quelli della Madonna. D'altronde, non è questa l'essenza del mito cristiano? Dio è sceso in questo mondo e, come il buon vecchio Zeus, ha messo incinta una donna terrestre, duemila anni fa. Dopo, non se ne è più saputo niente.


Il flagello della droga


Il fatto che nelle nostre società le droghe siano così diffuse ci dice chiaramente che il disagio è molto diffuso. Perché questo bisogno di instupidirsi, di dimenticare o di stimolarsi? Evidentemente la sofferenza è tanta. E non dipende neppure dalle condizioni economiche, dato che siamo nella parte più fortunata del mondo.
No, si tratta della sofferenza endemica dell’essere umano che si trova in una situazione paradossale, gettato in un mondo dove la lotta e la competizione sono continue e dove non è ben chiaro che cosa ci stiamo a fare. È un dono, un premio, un castigo? Per molti è una gran pena.
Ci sono i poveri che si drogano, ma ci sono anche i ricchi e famosi. Sembra che tutti abbiano qualcosa che gli rode, sembra che l’insoddisfazione sia generale.
Gli altri animali non hanno di questi rovelli. Per loro la vita è semplice. Per l’uomo no. L’uomo ha una coscienza che diventa dolorosa quando si accentra sulla consapevolezza della morte. Perché faticare tanto, perché soffrire tanto se poi tutto deve finire?
I vecchi lo sanno, e infatti sono per lo più depressi e sconsolati e devono essere drogati artificialmente dai medici che li curano. Ma evidentemente lo sanno anche i giovani che sono in fila presso gli spacciatori.
Tutti in una forma o l’altra si drogano. E la chimica non fa che sfornare nuovi tranquillanti o eccitanti. Seguendo in questo i trucchi della natura che, per spingerci a vivere, utilizza le droghe naturali degli ormoni secreti dal cervello. L’amore che viene così esaltato è il prodotto di una di queste droghe che vuole portarci a riprodurci nonostante la possibile insensatezza dell’atto.
Se soffriamo tanto, perché mettere al mondo altri che dovranno soffrire?
Nella nostra retorica ufficiale, la vita merita di essere vissuta, anche se è orribile o termina a pochi mesi o anni. O anche se dura troppo, fino a una vecchiaia decadente che è l’anticamera dell’inferno.
La grande domanda è sempre la stessa – ne vale la pena?
Alcune grandi spiritualità non esaltano acriticamente l’esistenza (come fanno le nostre), ma ci inducono a riflettere sulla necessità di superare anche il desiderio di vivere o non vivere.

lunedì 29 aprile 2019

Lavorare sulla rabbia


In precedenza abbiamo parlato dell' "etichettatura" delle emozioni, che significa cercare di prender nota dello stato d'animo del momento: "Questo è odio, questa è paura, questa è ira, questa è rabbia, ecc". Parliamo della rabbia. In quali occasioni veniamo colti dalla rabbia? Cerchiamo di osservare questa forte emozione. Qualche volta sembra essere giustificata, altre volte non lo è, soprattutto se coinvolge blocchi nevrotici, ossia nostri problemi personali (per esempio un senso di inferiorità o l'identificazione di una persona o di una situazione con qualcosa di odiato). In questo casi sorgono in noi emozioni collaterali: indignazione, irritazione, impazienza, sdegno, frustrazione, ecc. Prendiamo nota di queste sensazioni, proprio nel momento in cui le proviamo. La prima cosa che notiamo è un afflusso di energia, un rilascio di adrenalina, un sensazione di aggressività, la voglia di menare le mani o il desiderio di gridare parole dure. Tutto questo ci fa perdere l'equilibrio emotivo e comporta una mobilitazione di energia, per prepararci all'azione. Ma spesso non possiamo agire, anzi reagire; e siamo costretti a reprimere l’imulso, con danni per il nostro organismo e sicuramente per il nostro benessere.
       Se osserviamo attentamente, molte volte ce la prendiamo tanto perché le cose non vanno nel modo in cui vorremmo, e perché le persone o le situazioni non si adattano alle nostre pretese, ai nostri ideali, ai nostri desideri. Ma dovremmo essere così saggi da sapere che il mondo non si preoccupa mai né delle nostre immagini ideali né dei nostri desideri - di questo dovremmo renderci ben conto. La realtà va per conto suo. Come reagiamo di solito?
Se crediamo che la rabbia sia giustificata, la esprimiamo; se crediamo che sia sbagliata o inopportuna, la reprimiamo. In entrambi i casi dobbiamo impiegare molta energia. Infatti, sia l'espressione sia la repressione comportano uno sforzo.
       In ogni caso, non siamo in grado di osservare quello che ci succede. Noi esplodiamo, ma non facciamo una vera esperienza di questa emozione. E quindi non sappiamo come inizia, come si svolge e come finisce.
       Nella cultura della meditazione, la cosa più importante è fare esperienza delle emozioni, osservarle, conoscerle. Dobbiamo in altri termini essere attenti a ciò che ci capita e percepire chiaramente la nostra reattività. “Questa è rabbia, questa nasce per un determinato motivo e questo è il mio comportamento: difesa, offesa, ritirata, attacco, umiliazione, voglia di distruggere, voglia di piangere..."
Esaminiamo con precisione l'emozione. Con questa semplice operazione, incominceremo a prendere le distanze e creeremo uno spazio intorno ad essa. Allarghiamo sempre di più il senso di spaziosità. Se per esempio siamo di fronte ad un'ingiustizia, chiediamoci: sarà meglio reagire immediatamente sull'onda dell'emozione o sarà meglio agire in un secondo momento con efficacia e con lucidità?
       Il problema di fondo è che noi ci identifichiamo sempre con il nostro piccolo ego, che sentiamo continuamente minacciato. Siamo quindi dominati dalla paura e continuiamo a difenderci o ad attaccare.
Rilassiamoci, facciamo un respiro profondo, rimaniamo consapevoli, cerchiamo di avere una visione più ampia degli avvenimenti. Usciamo dal nostro angusto carcere.
       In realtà, la rabbia può essere utile se riusciamo a incanalarne le energie. E a questo mira il nostro lavoro, con la presa di distanza.
Noi non vogliamo né reprimere né esprimere, ma accumulare chiarezza ed energia.

Le varie tecniche di meditazione


Non bisogna credere che in meditazione basti svolgere qualche pratica, come seguire il respiro, cercare la calma, fare il vuoto mentale, concentrarsi sull'hara, dirigere l'energia o ripetere un mantra. Tutte queste tecniche hanno un loro valore, ma non esauriscono la gamma delle possibilità. C'è anche il problema di affrontare se stessi, le proprie paure, le proprie ansie, i propri difetti... per sapersi correggere, per vedersi, per conoscere se stessi. E non è finita: bisogna poi considerare il proprio ego come qualcosa che va superato, varcandone i confini. L'ego, infatti, non è solo il nostro veicolo fondamentale, ma anche la nostra prigione.
       Tutti questi metodi non vanno visti come alternativi, ma come tanti aspetti di un'unica realtà.
       Per esempio, la calma serve perché senza di essa non si vede chiaro. La tranquillità è utile per essere equanimi. La concentrazione sul respiro serve per diventare calmi e lucidi. Gli esercizi energetici servono a migliorare la salute e l'equilibrio. La conoscenza di sé è importante per superare i blocchi nevrotici e i difetti. Fare il vuoto mentale serve ad entrare in contatto con il fondo del proprio essere. Essere attenti serve ad essere più consapevoli. Essere più consapevoli serve a conoscere se stessi... E superare i confini dell'ego serve a percorrere la via della trascendenza.
       Insomma esistono tante tecniche che vanno integrate.
       Massimo Bucchi ha disegnato su "Il Venerdì" del 18-01-2013 una vignetta in cui un uomo che medita prima dice: "Quando vi accorgerete che state diventando voi stessi..." e poi aggiunge: "quello è il momento esatto in cui dovete lasciar perdere." Ma non è una battuta: è proprio così. Quando avrete capito chi siete, dovrete lasciar cadere l'ego intero.
       Dogen diceva: "Apprendere il buddhismo è conoscere se stessi. Conoscere se stessi è dimenticare se stessi. Dimenticare se stessi è risvegliarsi alla realtà".

Piacere e felicità


Il piacere tende a sfruttare al massimo il momento presente, l'occasione. La felicità invece è un'altra cosa: è il tentativo di far durare a lungo lo stato di benessere. E fra i due può crearsi un contrasto. Se, per esempio, mangio fino a crepapelle, certamente pagherò quel piacere stando male in un secondo momento. La felicità comporta dunque una strategia a lungo termine e coinvolge, inevitabilmente, un fattore di riflessione e di saggezza.
       Talvolta, anche la rinuncia ad un piacere immediato aiuta ad essere felici.
       Ecco un punto su cui devono meditare coloro che credono che la felicità sia semplicemente la massimizzazione del piacere.

domenica 28 aprile 2019

Il potere del denaro e il potere dello spirito


I ricchi sono tutti uguali. La loro unica arma sono i soldi. E, se sono credenti o se vogliono acquisire consenso popolare, fanno beneficenza… tutta roba che deve vedersi e suscitare ammirazione.  Il loro ragionamento è sempre lo stesso: “Se io costruisco questa chiesa o se faccio donazioni alla religione, ne avrò certamente un ritorno, in questa vita o nell’altra.
Così ragionava anche il potente imperatore cinese Wu all’epoca in cui sentì parlare di Bodhidharma, un monaco buddhista di origine indiana che diffondeva i principi della nuova religione che più tardi sarebbe diventato lo zen. Un giorno lo mandò a chiamare e gli domandò: “Ho fatto costruire templi, ho fatto tradurre sacre scritture, ho sovvenzionato tanti monaci… quali meriti ho ottenuto?”
“Nessun merito.”
“Come mai?” gli rispose contrariato l’imperatore che era convinto di aver acquisito un buon posto in cielo o una favorevole rinascita in questo mondo.
“Perché in tutte queste opere non c’è alcun merito.”
“Ma allora come si accumula il merito religioso?”
“Comprendendo la vera natura delle cose.”
L’imperatore non capiva. “Quali sono i sacri principi della tua nuova religione?”
“Che non c’è alcun sacro principio.”
“Allora tu chi sei?”
“Nessuno lo sa.”
“Ma che cosa insegni?”
“Insegno qualcosa che avviene al di fuori delle scritture, indipendente da parole e da lettere. Punta direttamente allo spirito dell’uomo e consiste nel contemplare la propria vera natura.”

La necessità di meditare


C’è da chiedersi se la meditazione sia adatta al mondo moderno, con il suo chiasso, la sua esteriorità e la sua superficialità. In effetti è difficile pensare che le masse dei consumisti si dedichino a meditare.
Ma il fatto è che, più si accresce la confusione e il rumore, più qualcuno sente la necessità di chiarezza e di silenzio. Pochi ma buoni.
La confusione delle lingue e dei messaggi in un mondo globalizzato è enorme. E chi non ha un filtro o un assetto interiore ne viene travolto, trascinato come una foglia al vento.
La meditazione è anche un metodo per porre un punto fermo e guardare con occhio chiaro la follia del mondo.
Non si tratta quindi di una moda, di un rituale o di una filosofia. Si tratta di un’esigenza che viene dal profondo, indipendentemente da chiacchiere, princìpi, dogmi, credenze o religioni.

Non c’è alcuna realtà eccetto quella che abbiamo dentro. È per questo che tanti vivono una vita così irreale. Prendono per realtà le immagini esterne e non permettono mai al mondo racchiuso nel corpo e nella mente di rivelarsi”
                                                                         Hermann Hesse


Il crollo delle illusioni: Notre-Dame


Ora che la cattedrale è bruciata in un rogo accidentale, molti ricchi si sono fatti avanti per finanziare la ricostruzione. Perché è chiaro che queste grandi opere costano tanto e non sono costruire da una Chiesa povere ma da una Chiesa ultraricca, che vuole mettere in mostra la propria potenza.
Anche le nostre opere d’arte, tutte al servizio di un messaggio di propaganda religioso, sono state costruite da chi veramente aveva i quattrini: Papi, cardinali e altri prelati, che, mentre il popolo languiva in una vera povertà, scialacquavano le loro enormi ricchezze per il proprio sfizio personale o per magnificare la potenza della Chiesa.
Ma che cos’ha a che fare questa esibizione di sfarzo, di ricchezza e di potere con il falegname di Nazareth che predicava la povertà, l’umiltà e la semplicità? Niente.
Ecco perché sarebbe meglio lasciare la basilica così com’è. Un rudere a testimoniare la distruzione del messaggio di Gesù e, soprattutto, l’inesistenza di una Provvidenza divina.
Vi risulta che, in occasione degli attentati in Shri Lanka dove sono morti più di 250 cristiani, la Provvidenza si sia fatta sentire?
E allora finiamola di sognare ad occhi aperti e lasciamo che le chiese di un Dio indifferente e impotente crollino nella polvere.

sabato 27 aprile 2019

La proliferazione mentale


Spesso ci troviamo immersi in fantasie di ogni tipo, talvolta piacevoli e talvolta spiacevoli. Ci immaginiamo veri e propri romanzi in cui noi siamo i protagonisti o le vittime. Le storie si svolgono linearmente oppure si ripetono ossessivamente. Nella nostra testa scorrono avventure o disastri, vittorie o sconfitte, dialoghi e immagini di ogni tipo.
Di solito non abbiamo nessun controllo su queste fantasie. Magari stiamo svolgendo un lavoro tedioso e ripetitivo e allora la mente s’inventa questi sogni o incubi a occhi aperti. Mentre ci immaginiamo di essere chissà dove, in realtà stiamo facendo tutt’altro.
È difficile essere davvero presenti in ciò che si fa, essere qui e ora.
La meditazione indica in queste fantasie una perdita della presenza mentale e ci invita a uscirne attraverso la consapevolezza. “Io sono qui, ma sto pensando di essere altrove.” “Io sono qui in questo momento, ma sto immaginando di essere laggiù in un altro momento.”
È più o meno quello che fa un romanziere. È seduto lì su una sedia, ma la sua mente è fuggita altrove a inventare chissà quali storie e personaggi.
È anche quello che succede in un sogno. Noi ci troviamo lì in un letto, ma la nostra mente sogna cosa fantastiche.
Lo stesso capita a certi malati mentali che credono reali persone e fatti che si immaginano.
Noi, per fortuna, possiamo capire che si tratta di fantasie mentali e le distinguiamo dalla realtà. Siamo però anche noi malati di proliferazione mentale e, in alcuni casi, per esempio nel campo delle illusioni e delle convinzioni fideistiche, non siamo affatto consapevoli della loro irrealtà.
La scienza meditazionale non ci ingiunge di interrompere tutto con uno sforzo di volontà. Piuttosto ci suggerisce di prenderne coscienza, magari utilizzano il nostro aggancio al corpo, che, in mezzo a tante fantasie, è l’unica cosa reale.
Le fantasie non sono senza conseguenze. Ci possono produrre anche effetti fisici, oltre che mentali. Si può dire anzi che non esista pensiero che non produca un qualche effetto psico-sensoriale. Proviamo dunque a disinnestare gli effetti più negativi proprio attraverso il corpo. Verifichiamo come reagiscono i muscoli e il respiro. Se sono irrigiditi o rilassati, se sono tesi o distesi, se sono contratti o sciolti.
Diventiamo consapevoli della assurda situazione in cui ci troviamo, della nostra alienazione. Ritorniamo al presente. Liberiamo il corpo e la mente. Riprendiamo il contatto con la realtà.

venerdì 26 aprile 2019

Nuove visioni di Dio


Siamo stati abituati a pensare che il mondo debba essere stato creato da un Dio esterno. Ma non è così. Il mondo, ossia tutto questo, è esso stesso Dio. D’altronde, se ci chiedono chi abbia creato Dio, rispondiamo che si è auto-creato.
Ecco così è il mondo. Si è auto-creato, con fatica e magagne.
Non c’è Dio da una parte e il mondo dall’altra. Ma c’è un tutt’uno. Dio è il tutto.
Per la vecchia teologia, Dio è il “totalmente Altro”. In realtà è il “totalmente Questo”.

La liberazione


“Non ci sono liberatori, ma soltanto uomini che si liberano”: questa frase pronunciata dal Presidente Mattarella in occasione della Festa della Liberazione dal nazi-fascismo, potrebbe essere utilmente riferita anche alla liberazione spirituale.
L’idea che un uomo solo, fosse pure di natura divina, possa liberare l’intera umanità è pura illusione. Anche se qualcuno può aiutarci, siamo noi che dobbiamo liberarci, da soli e con le nostre forze. Se non c’è questo sforzo interiore, niente e nessuno può liberarci, neppure Dio in persona.


Il Testimone


Perché restiamo fermi mentre meditiamo? Perché ci assorbiamo il più possibile in quel Testimone che, mentre tutto cambia e diviene, rimane lì immobile ad essere consapevole di tutto, non solo di ciò che ci avviene intorno ma anche in ciò che ci accade internamente a livello di pensieri, immagini, ricordi sensazioni, speranze, ecc.
Qualunque cosa ci accada esternamente e qualunque cosa ci accada internamente, un punto rimane fisso e non-coinvolto: il nostro Testimone, che è come uno specchio silenzioso che registra tutto ma non per questo ne viene turbato.
Lì ti puoi ancorare quando tutte le cose girano confusamente e non sai più che cosa fare. Limitati ad essere tu stesso quello specchio.
Anzi, più che il Testimone diventa il testimoniare.

giovedì 25 aprile 2019

La rinascita del fascismo


Non è un caso che si assista a tanti episodi di rinascita del fascismo. È la vecchia cultura italica che non sa che farsene della democrazia e aspira ad avere il “signore”, il dittatore, l’uomo della provvidenza. Una cultura veicolata soprattutto dal cattolicesimo, che infatti è in prima linea per riportare l’Italia indietro nei secoli.
Il nuovo fascismo non è naturalmente una replica di quello storico, ma è comunque un regime autoritario che disprezza le mediazioni e i dissensi.
L’uomo giusto è Salvini. Che ama tanto la polizia da indossarne le divise e da volere il ritorno della leva obbligatoria.
Tutti irreggimentati e intruppati.
Salvini vorrebbe diventare il Putin d’Italia.
Per tanti giovani e meno giovani questo è un ideale, perché così smetterebbero di avere dubbi e di aspirare a diventare autonomi. Diventerebbero quello che sono: tante pecore che ripetono tutte le stesse cose.
Il nazionalismo e la limitazione della libertà dei cittadini sembra dunque essere il punto di approdo di molti italiani.
La famiglia deve essere solo quella tradizionale, le donne devono stare a casa, i diversi devono essere imprigionati, la polizia e i prefetti devono comandare indisturbati, la Chiesa deve imporre il proprio dominio, l’informazione deve essere asservita.
Il problema di tutto questo fascismo è che chi comanda diventa sempre più corrotto e non fa più gli interessi della nazione, ma i proprio e quelli del proprio clan. Inoltre l’Italia è talmente debole che non ha una propria autonomia e deve sempre prendere ordini da chi è veramente potente.
Ieri era Hitler. Oggi è Trump, il pazzo fascista americano, che dà ordini all’Italietta. Le vieta di prendere il petrolio iraniano e nello stesso tempo lancia l’offensiva di Haftar per la riconquista della Libia, contro gli interessi italiani. E noi ubbidiamo.
Il fascismo italiano, come al solito, è una farsa. Forte con i deboli e debole con i forti.

L'io diviso


Crediamo di essere individui ben definiti, nettamente separati, autonomi, compiuti, esseri viventi che non devono rispondere a nessun altro, che non sono collegati a nessun altro. Ma non è così: anzi, c'è da mettere in dubbio che esistano veri individui. D'altronde, anche il termine individuo significa "indiviso", “non divisibile”, "non diviso" - non diviso da che?
       Dalla rete di altri individui che gli sono più vicini - e, in realtà, da tutti gli altri. C’è dunque nel termine stesso una contraddizione. Esiste infatti una rete in cui i singoli sono soltanto nodi. Ogni nodo è un individuo, ma ogni individuo è unito a tutti gli altri. Al punto che si potrebbe parlare di "persone collettive", di cui i singoli individui sono varie manifestazioni.
       La natura non fa grandi salti. Esiste un continuum innegabile tra gli esseri umani e in particolare tra gruppi sociali. Se non ci fosse stata questa continuità, noi non ci saremmo. Attraverso la generazione, i nostri progenitori hanno mantenuto la continuità. E dunque ognuno di noi è un'espressione, non del tutto diversificata, di questo continuum. Naturalmente, la cosa è più visibile nelle famiglie, dove si nota chiaramente che ogni individuo è un'espressione di un continuum particolare. Allargando poi la visuale, si scopre che esiste un continuum del paese, della città, della regione, della nazione, del continente e così via.
       Quando noi parliamo, pensiamo o agiamo, ci sembra di esprimere esigenze soltanto individuali, ma in effetti manifestiamo aspetti particolari di una personalità collettiva più complessa.
       Questo per dire che gran parte di ciò che pensiamo o decidiamo non è veramente nostro, che noi stessi non siamo veramente noi, che il nostro ego non è un vero io isolato e che siamo tutti "alienati", "altro da ciò che siamo".
       Pirandello diceva che ogni individuo è "uno, nessuno e centomila", ma, molto tempo prima, in Oriente (e in realtà anche in Occidente) si era già parlato di reincarnazione.
       Però, non si tratta tanto di un io che si reincarna, ma di un fiume di esistenza che sfocia in tanti emissari
- che si "individua".
       Ora, il nostro scopo dovrebbe essere quello di diventare veri individui, producendo pensieri e atti diversi da quegli degli altri. Da individui a dividui. Ma ne vediamo molto pochi in giro. Più che altro vediamo dei cloni che ripetono idee e atti uguali a quelli di tutti gli altri. Quei pochi che si sono veramente differenziati li ricordiamo ancora. Gli altri sono solo dei replicanti che hanno il compito di riprodursi finché nascerà davvero un vero individuo, capace di dire e di essere qualcosa di nuovo.
       Ma il paradosso è che noi siamo divisi tanto dagli altri quanto da noi stessi. E che, proprio per questo siamo infelici e cerchiamo di nuovo di unirci perdendo la nostra individualità. Il vero individuo deve dunque soffrire e riuscire a sopportare stoicamente questa sofferenza.

Sotto il mito cristiano


Il cristianesimo, ovviamente, non è che un mito. E ha vari significati. Qui vorrei ricordare il più sfuggente: quello del delirio di onnipotenza dell'uomo stesso. Una delle massime dei Padri della Chiesa era: "Dio si è fatto uomo perché l'uomo si facesse Dio".
Ecco il punto: se Dio si fa uomo, se Dio fa un tale onore all'uomo, se Dio ha tanta considerazione dell'uomo - allora vuol dire che l'uomo è un Dio potenziale, è davvero "figlio di Dio". Dunque, quel mito nasconde un'ambizione non da poco. E infatti una delle critiche che vennero rivolte a Gesù fu: "Ma  tu che sei un uomo, perché vuoi farti passare per Dio?"
       Certo, si può anche dire che l'uomo sia divino (non un Dio). Ma lo è nel senso in cui tutte le cose hanno un'origine divina: anche una formica.
       Se l'uomo si ferma e medita, se fa silenzio dentro di sé, se fa tacere i pensieri e le ambizioni più terrene, scopre il divino che è in sé. Ma scopre anche che non è Dio, scopre che Dio stesso è un mito.

mercoledì 24 aprile 2019

Stazioni di sosta


Paragono spesso la vita ad una stazione ferroviaria, dove tanta gente va e viene. Noi siamo lì per un certo periodo, in attesa di riprendere un altro treno, che ci porterà ad un'altra fermata.
       Ma è evidente che si tratta di una sosta temporanea di un viaggio ben più lungo. C'era un prima e ci sarà un dopo.
Per la nostra limitatezza mentale, vediamo solo questa stazione credendo che vi dobbiamo soggiornare a lungo e che il viaggio debba terminare lì. Ma sarebbe come vedere soltanto la pinna di uno squalo e non pensare che esista anche una testa e una coda.


Un mondo di alienati


Da una parte sembra molto difficile riuscire a meditare nella vita moderna, organizzata proprio per non farci riflettere, per essere delle trottole in continuo movimento. Dall'infanzia alla vecchiaia, tutto è predisposto per riempire il nostro tempo, per trasformarci in studenti-lavoratori-pensionati che devono correre da mane a sera. Tra lavoro e famiglia rimane ben poco tempo per noi stessi. Al punto che, quando ce ne resta un po’, ci sentiamo smarriti - chi sarà quell'estraneo con cui abbiamo improvvisamente a che fare? Anzi, se non facciamo qualcosa di attivo, se non lavoriamo, ci vergogniamo. In tal senso, siamo come automi o morti viventi. “Molte volte sono tentato di chiedere a chi incontro: 'Da quanto tempo siete morto?'” scriveva M. Maertenlinck.
       Ma è proprio la morsa di questa vita che ci spinge a desiderare un attimo di tregua, un momento in cui stare in compagnia di noi stessi. Da qui nasce la necessità e la pratica della meditazione.
       Dobbiamo riappropriarci di noi stessi.
       Per riappropriarci di noi stessi - non solo del tempo che ci viene tolto, ma anche di intere parti della nostra personalità che vengono sacrificate sull'altare del lavoro, della famiglia e degli impegni sociali -  dobbiamo imparare a ritornare spesso dentro di noi, silenziosi. Infatti, come diceva sant'Agostino, "riconosci, dunque, quale è la cosa che più ti conviene. Non uscire fuori da te, ritorna in te stesso. La verità abita nell'interiorità dell'uomo."
       Questo è il punto. A contatto con gli altri e con la società, sviluppiamo certe parti di noi stessi, mentre altre rimangono del tutto in ombra - e di solito sono i lati più sensibili e più profondi. La società ci fa duri, combattivi e competitivi, ma anche superficiali e materialisti. Siamo costretti a combattere per la sopravvivenza. E ci sembra che l'esistenza sia tutta lì. Tuttavia dentro di noi sentiamo che siamo insoddisfatti, che ci dev'essere qualcos'altro, qualche altra esperienza, qualche altra dimensione. Che senso ha la vita?
       Per rispondere a questa domanda, dobbiamo smettere per un po' di muoverci e dobbiamo volgere l'attenzione non più sulle cose esterne.  "La gente guarda sempre di fronte; io ripiego la mia vista al di dentro, la fisso, la trattengo lì" scriveva Montaigne.
       Questo è il processo della meditazione: far tornare alla luce ciò che era sepolto, trovare un senso della vita che non sia semplicemente un fare, riscoprire il nostro essere integrale. "Impara ad essere ciò che sei" cantava Pindaro. Perché in realtà non lo sai, sei estraneo a te stesso.


La dimostrazione dell'esistenza di Dio


Una delle ossessioni della mente umana è sempre stato il tentativo di dimostrare con la sola logica l'esistenza di Dio. Ci ha riprovato anche il matematico Harvey Friedman, riprendendo un argomento di Kurt Gödel. Tutto parte dalla vecchia dimostrazione ontologica di Anselmo di Aosta, il quale diceva: se concepiamo Dio come l'essere perfettissimo, non può mancargli la caratteristica positiva dell'esistenza. Già questa partenza è sbagliata per almeno tre motivi: primo perché non è detto che Dio sia perfettissimo, secondo perché qualunque cosa da noi concepita come perfettissima dovrebbe essere esistente (quindi se noi pensassimo ad un asino con le ali "perfettissimo", questi dovrebbe necessariamente esistere) e terzo perché l'esistenza in sé non è detto che sia una qualità positiva. Dio potrebbe anche essere il non-essere, il nulla o il vuoto. Infine nessuna dimostrazione puramente logica è mai valida finché non arriva la controprova empirica: non è così che funziona la scienza? E dov'è la controprova empirica?
       Come scriveva Piergiorgio Odifreddi, in Repubblica.it, "Gödel definì Dio come un 'essere positivissimo', cioè avente tutte le proprietà positive. E dimostrò facilmente che, nel caso di un universo finito, Dio esiste e ha esattamente tutte e sole le proprietà positive. Il caso di un universo infinito è più complicato, ma Gödel dimostrò che anche in quel caso Dio esiste, purché si faccia un'ipotesi aggiuntiva: che 'essere Dio' sia anch'essa una proprietà positiva.
       "L'ipotesi è controversa, naturalmente, visto che un seguace della teologia negativa, o un ateo, potrebbero pensare esattamente il contrario. Ma, soprattutto, l'ipotesi aggiuntiva rende banale la dimostrazione, perché equivale a dire che le proprietà positive sono appunto tutte compatibili fra loro: dunque, è solo un modo mascherato di postulare che l'essere perfettissimo esiste.
       "Il problema era che l'ultrafiltro usato da Gödel, come si è detto, è banale. Si trattava dunque di trovarne uno che fosse teologicamente rilevante come quello, ma allo stesso tempo matematicamente non banale, in modo da permettere una dimostrazione di consistenza. Il modo per farlo (che è troppo complesso per essere riassunto qui) venne a Friedman al congresso di Heidelberg su 'Il dialogo tra scienza e religione: passato e futuro' dello scorso ottobre, in onore del centenario della nascita di John Templeton."
       Ma si tratta di pasticci logico- matematici che lasciano il tempo che trovano. Questi studiosi partono da un presupposto sbagliato: che Dio risponda alla nostra logica. Invece un Dio che rispondesse o utilizzasse la nostra stessa logica, non sarebbe affatto perfettissimo. Sarebbe come minimo duale. Sarebbe una mezza cartuccia, più o meno come l'essere umano. La trascendenza è tale proprio perché trascende la nostra limitata logica dualistica. Oggi come oggi, Dio non può essere pensato dall'uomo. Per ragionare su Dio bisogna che prima l'uomo sviluppi un'altra mente.
       In ogni caso, i credenti se ne facciano una ragione. Anche se un matematico dimostrasse l'esistenza di Dio, non sarebbe nessun Dio storico (quello in cui loro credono): sarebbe una pura idea della mente.
       Ma, secondo me, la più forte confutazione dell’esistenza di un Dio perfettissimo è proprio… il mondo, il suo presunto creato, che è tutt’altro che perfetto, anzi pieno di imperfezioni, di difetti e di cose inutili o fatte male. Il tutto sembra avere a che fare più con uno sviluppo autonomo e un po’ avventuroso che con la creazione di un Essere perfettissimo.

martedì 23 aprile 2019

La misura della felicità


Da recenti studi di psicologia risulta quello che la saggezza di tutti i tempi ha sempre detto: che i picchi di felicità (ma anche di infelicità) durano poco e che la natura ci ha fatto per una via di mezzo tra gli estremi. Questo perché l'organismo tende a mantenere in equilibrio tutte le nostre funzioni, sia fisiologiche sia psicologiche. L'euforia e la depressione sono stati estremi che ben presto vengono riequilibrati. D'altronde, noi ci abituiamo presto a tutto, e ciò che dà all'inizio una grande felicità (o infelicità), a poco a poco si attenua. Di conseguenza, più che puntare su una felicità duratura, è meglio cercare mete più modeste.
       Quanto alla religiosità, si sfata il luogo comune della fede. È più felice un ateo convinto di chi ha una religiosità incerta. La soddisfazione nella religione non viene tanto dalla preghiera, quanto dalla partecipazione a riti comuni; insomma è di origine sociale più che spirituale.
       Infine, mai affidare la propria felicità al possesso di qualche oggetto o persona. Primo, perché non sappiamo se, una volta ottenuto, ci farà felici davvero; e, secondo, perché l'assuefazione distrugge presto la gioia. Ciò che conta, il momento più felice, non è il momento del possesso, ma il momento prima, quando si pregusta in modo fantastico ciò che otterremo.
       In conclusione hanno ragione quelle spiritualità che ci spingono, più che a cercare la felicità o l'estasi, l'equilibrio e la serenità. Tutto il resto è il frutto di esperienze che passeranno presto.


Sadismo religioso


Sappiamo che in Italia, a causa dell'opposizione della Chiesa, non è possibile fare una legge sull'eutanasia e, anzi, si fanno leggi sempre più autoritarie per impedire ai cittadini di poter scegliere come morire. Così, chi soffre senza speranza per malattie incurabili è costretto a buttarsi dalla finestra o, se è ricco, ad andare in Svizzera. Sotto i colpi della propaganda clericale, la stessa parola "eutanasia" (che significa "buona morte") viene considerata con orrore e viene censurata.
Da noi si è costretti a morire con lunghe agonie, rantolando come bestie... perché così vogliono i preti. Aveva dunque ragione l'attore Carlo Cecchi che disse: "I cattolici sono un club di sadici di fronte alla morte (ma anche di fronte alla vita)" [Il Venerdì del 4-01-2013].
       Il fatto è che, poiché il loro Dio è morto tra atroci sofferenze, loro vogliono farci morire tutti nello stesso modo: crocifissi. Questi sono i grandi nemici della vita e della morte serena, i nemici del senso comune.
       Eppure, da noi pontificano dalla mattina alla sera in tutte le radio e le televisioni per diffondere la loro cultura necrofila.
Gli italiani saranno un popolo migliore il giorno in cui incominceranno ad aprire gli occhi e ad accorgersi che si sono affidati a una religione della sofferenza.

Un'anima fragile


Quando ci chiediamo se esista un’anima, che ovviamente dovrebbe essere immortale, in realtà ci chiediamo quale sia la nostra vera natura. Perché anche di questa non siamo sicuri – a dimostrazione che la nostra condizione di esseri coscienti è davvero paradossale. Intuiamo qualcosa ma non siamo certi di niente. Questo nostro principio sarebbe di natura spirituale e dovrebbe sopravvivere alla morte, trasferendosi o su un altro piano di esistenza o in questo stesso mondo.
Comunque sia, notiamo in modo incontrovertibile che il suo soggiorno su questa Terra è fuggevole, effimero, mutevole, spesso sofferente – e tuttavia necessario.
Infatti da questo soggiorno l’anima farebbe un’esperienza che evidentemente non potrebbe compiere in nessun altro modo. Allora questo principio immortale sarebbe vuoto e sarebbe, senza la vita terrena, inutile, un fantasma.
L’anima non sarebbe dunque qualcosa formato in partenza, ma qualcosa da formare di vita in vita. Avrebbe bisogno di crescere e non sarebbe per niente autonoma.
Il nostro scopo nella vita sarebbe dunque quello di far crescere questa anima, che, senza l’esperienza, avvizzirebbe subito. In tal senso l’anima non ci viene data in partenza, ma deve essere costruita a poco a poco.
Nonostante l’apparenza non siamo per niente tutti uguali. Ognuno ha un proprio livello di sviluppo, che del resto è ben visibile dalle differenze di pensiero, di consapevolezza e di azione.

lunedì 22 aprile 2019

Commedia all'italiana



Una volta mi divertivo a vedere certi comici, come Corrado Guzzanti, Crozza, Sordi, Grillo, Albanese, la Littizzetto, ecc. che prendevano in giro i difetti degli italiani e pensavo che esagerassero. Così come credevo che esagerassero in volgarità i film natalizi dei Boldi o dei De Sica. Ma oggi non mi diverto più. Ho sempre più l'impressione che la realtà abbia superato la fantasia.
Per esempio, Fiorito è statouna persona reale o un personaggio di qualche farsa? E il Consiglio regionale della Lombardia dove su settanta consiglieri sessantasei sono stati inquisiti è stata la realtà o è la trama di un film grottesco? E la Minetti, eletta nel listino del cattolico Formigoni (finito in galera), è davvero esistita o l'ha inventata qualche romanziere boccaccesco per denigrare l'Italia? E Berlusconi, con le sue fidanzate e gli occhi tirati in su come un cinese, ha veramente governato l'Italia o è un personaggio di una commedia all'italiana?
E questo ultimo duo – Salvini e Di Maio -    è di tipo comico o tragico?
Speriamo che avesse ragione Longanesi quando diceva: la situazione è grave ma non seria. Viviamo in una eterna farsa.
       Ma adesso che c'è bisogno di serietà, come faremo?

La sindrome del Salvatore


Ogni tanto in Italia qualcuno viene preso dalla sindrome del Salvatore, che consiste nell'illudersi di avere la missione di salvare il paese. Deve essere la cultura cattolica che fa venire in mente certe idee. Prima c'era Berlusconi che si riteneva "l'unto del Signore", poi c'è stato Monti che ripeteva di dover salvare l'Italia, quindi c’è stato Renzi che era convinto di essere un predestinato a salvare il paese e oggi c’è Di Maio che s’illude di salvare i poveri.  
In ogni caso, tengano presenti questi signori che il Salvatore, nella storia, finisce... crocifisso.
       Gli italiani, purtroppo, da buoni cattolici, credono ancora che la loro salvezza piova dall'alto e che ci sia bisogno di un altro che li salvi. Non hanno imparato il "fai da te" della salvezza. Eppure, tutti i più recenti Salvatori li hanno lasciati in mutande, sempre più rovinati.
Il risveglio incomincia quando capiamo che dobbiamo rimboccarci le maniche e non aspettarci niente dal cielo.

Per una visione saggia


Non essere troppo “dentro le cose”, troppo coinvolti nelle proprie piccole vicende personali, smettere di nutrire illusioni di essere immuni dal male, evitare di credere in una Provvidenza o in un Dio che ci protegga dalle sciagure, acquisire una visione d’insieme, aprirsi ad uno sguardo universale e “filosofico”, vedere il proprio sé sullo sfondo di un’interdipendenza generale, non fidarsi, non confidare, non avere fedi ottimistiche, essere pronti a partire in ogni momento, non credersi insostituibili – ecco come ottenere una visione saggia dell’esistenza.

Gesù era un profeta ebraico che credeva in un intervento divino, che credeva che Dio vegliasse sull’andamento delle vicende su questa Terra, che credeva in un Dio protettore, paterno, caritatevole, in un Dio che toglieva i “calici amari”agli uomini in pericolo.
In un parola s’illudeva. Si è mai goduto la vita?
Solo all’ultimo, lassù sulla croce, si accorse che aveva creduto in cose sbagliate.

Essere lucidamente autentici


Ci sono persone che non arrivano mai ad avere un solo momento di autenticità. Pensiamo a una donna che si sposa per non rimanere zitella, che mette al mondo figli (perché “le donne devono fare” figli), e che non ama mai autenticamente nessuno.
Vive un’esistenza di riporto. Non è mai se stessa. Se non alla fine, quando riconosce che ha vissuto invano.
E pensiamo alle persone di successo, che sono vissuti in un bozzolo irreale, credendo di aver ottenuto chissà che.
E pensiamo alle persone di fede che solo alla fine, con l’ultimo barlume di coscienza, si accorgono che ciò in cui avevano creduto era del tutto falso.
Sono vissuti in un modo non autentico. Si sono mossi in modo ideologico, artificiale, senza mai tener conto della realtà.
Ma, come la luce all’alba spazza via ogni sogno, così l’autenticità illumina spietatamente tante rovine quando è troppo tardi.


domenica 21 aprile 2019

Il valore della calma


La via e la vita dell'uomo comune si basano sull'agitazione. Agitarsi è spesso il contrario di agire. Chi si agita, vorrebbe fare tante cose, ma non riesce a farne una bene. Chi si agita, spreca energie; e, al momento dell'azione, è già sfinito. Agitarsi vuol dire muoversi a casaccio, non avere un'idea chiara di ciò che va fatto. Questo è il punto. Agitazione è confusione, agitazione è agire male. Solo quando vediamo con chiarezza ciò che dobbiamo fare, e come dobbiamo farlo, possiamo agire efficacemente. Ma questo non è possibile se non si raggiunge la calma.
       La calma serve dunque sia nella vita di tutti i giorni, sia nel cammino evolutivo di ognuno. È perciò una funzione pratica e spirituale. Da coltivare ad ogni costo.
       Come diceva Cesare Cantù, "il male sopportato con ragionevolezza e calma è già diminuito della metà, mentre l'impazienza raddoppia tutti i pesi, infistolisce tutte le piaghe."
       Inoltre la calma è una condizione più naturale dell'agitazione. Giacomo Leopardi nello Zibaldone scriveva: "È certo che lo stato naturale è il riposo e la quiete, e che l'uomo anche più ardente, più bisognoso di energia, tende alla calma e all'inazione continuamente in quasi tutte le sue operazioni".
       E, se credete che la calma e la quiete siano contrarie alla passione, vi sbagliate. "Il vero amore è una quiete accesa" diceva Giuseppe Ungaretti.
       Del valore della calma le nostre religioni parlano poco. Si sa, loro esaltano la passione. C'è perfino la "passione di Cristo".
       In ogni caso, la calma non è il frutto di una grazia divina, ma è coltivabile attraverso vari metodi di meditazione.

Il padrone dell'uomo


Nel "Dhammapda", un noto testo buddhista, troviamo scritto:

"Ognuno è padrone di se stesso -
d'altronde quale altro padrone ci dovrebbe essere?"

Già, questo è il punto: quale altro padrone dovremmo avere?
Ma le religioni teistiche risponderebbero: "No, Dio è il tuo padrone!"

Ed ecco delineata tutta la differenza tra una religione che vorrebbe liberare l'uomo e le altre che vorrebbero asservirlo. Se Dio è il padrone di ognuno di noi, se si insinua perfino nel nostro più intimo sé... della nostra libertà, della nostra autodeterminazione che cosa rimane? Siamo schiavi. E non possiamo fare nulla per sfuggire a questo stato di sudditanza.

Se poi aggiungiamo che quelle stesse religioni ci impongono qualche istituzione, qualche Chiesa, qualche organizzazione umana come se fosse voluta da Dio, il Padrone, il Signore... la conseguenza è che dovremmo essere schiavi anche di quella. Per carità di Dio!

Ha ragione Meister Eckhart: "Preghiamo Dio di liberarci d'ogni idea di Dio!"

Chi ha introdotto quella idea ha introdotto l'idea che l'uomo sia uno schiavo - e vuole l'uomo schiavo.

Le nemiche della libertà


Talvolta le religioni sono le grandi nemiche della libertà dell'uomo. Inutile indorare la pillola e distinguere fra questa e quella. In nome di una fede - che non potrà mai essere dimostrata - impongono comportamenti, leggi, principi, modi di pensare, culti e scale di valori che possono anche essere molto nocivi. Soprattutto danno per scontato che la verità possa essere imposta in modo coercitivo dall'alto. Le religioni non ammettono critiche o confronti - e proprio per questo sono antidemocratiche e antiscientifiche. Nate millenni fa, portano con sé valori di un mondo superato. Sono dunque una vera e propria palla al piede per lo sviluppo delle società moderne.
       Il cristianesimo non fa eccezione. Basti vedere com'è organizzata la Chiesa, senza possibilità di dissenso, senza democrazia. Una struttura verticistica e dogmatica che non motiva i suoi fondamenti... se non appellandosi a una tradizione. Per esempio, perché le donne non possono diventare preti? Perché è la tradizione. E tutto finisce lì.
       Non meraviglia che simili istituzioni religiose piacciano tanto ai politici che intendono governare con modelli autoritari. Tra dittatori ci s'intende sempre. E infatti la Chiesa, che ha pur ha combattuto il comunismo (ma solo perché era ateo), non ha mai combattuto né il fascismo né il nazismo, e anzi ha stretto con questi regimi accordi vergognosi. Non ha neppure mai condannato né le leggi razziali né uno dei tanti dittatori sudamericani, anche quando massacrava il loro popolo.
       Ecco perché i nostri politici, di destra come di sinistra, continuano a cercare l'appoggio della Chiesa, promettendo in cambio soldi e finanziamenti. Favorire le scuole cattoliche o aprire i mass-media di Stato alla predicazione cristiana, come sta avvenendo oggi, significa darsi la zappa sui piedi. Il risultato è sotto i nostri occhi: partitelli guidati dal dittatorello di turno, una cultura antiquata che non lascia spazio ai cambiamenti, istituzioni sostanzialmente autoritarie e immobili, privilegi arbitrari e una società che non sa rinnovarsi, che non sa tenere il passo con le altre democrazie europee.
       Pochi politici capiscono il rapporto esistente fra sottosviluppo economico e sociale dell'Italia e la diffusione della cultura cattolica. Eppure è più che evidente: quando gli altri Stati facevano la Riforma, noi facevamo la Controriforma. Quindi, i politici da una parte propugnano una modernizzazione del paese e dall'altra appoggiano una cultura che è la nemica stessa della modernità.
Una contraddizione insanabile. Un popolo sottomesso e succubo, un popolo superstizioso, un popolo che non ama la libertà, un popolo che non sa pensare con la propria testa... produrrà sempre una società ingiusta e miserevole, e una democrazia insufficiente.

Le due religioni


Esistono due modi di interpretare la religione. L'uno è quello di venerare qualche Divinità, cercando di mercanteggiare con Lui o con Lei per ottenere vantaggi e favori.
L'altro è quello di sviluppare al massimo grado la consapevolezza, potenziando la capacità di raggiungere gli obiettivi con le proprie forze.
Il primo confida in un intervento dall'esterno, il secondo è volto ad ampliare le proprie risorse.

Identificare gli stati d'animo


Difficile conoscere gli altri, difficile conoscere se stessi. Talvolta non sappiamo nemmeno che cosa ci passa nella testa. Allora può essere molto utili un metodo impiegato nella meditazione: quello dell'etichettatura degli stati d'animo.
 Quando si è seduti in meditazione, si tratta di identificare ciò che proviamo e pensiamo. Se per esempio stiamo seguendo il respiro, prima o poi perderemo la concentrazione, perché la nostra mente sarà attraversata da pensieri o da sensazioni estranee. Parlo di pensieri e sensazioni per semplificare. Ma in realtà si tratta di ogni genere di contenuto mentale. Anziché infastidirci e smettere di meditare, si consiglia di prender nota di ciò che ci distrae.
Molte volte questa operazione può essere semplice: per esempio, possiamo etichettare "sogno ad occhi aperti... sogno ad occhi aperti", "ricordo... ricordo", "preoccupazione... proccupazione", "ansia... ansia", "rabbia... rabbia", "amore... amore", "odio... odio", "fantasia... fantasia", "noia... noia", "tristezza... tristezza", eccetera eccetera. Ma talvolta si tratta di stati d'animo difficili da definire perché molto complessi: senso di malessere, voglia di muoversi, speranza anticipatoria, insoddisfazione, disagio, disperazione, blocchi nevrotici e così via.
Comunque sia, il fatto di identificarli ha due vantaggi. Prima di tutto, si prendono le distanze dallo stato mentale disturbante; e secondariamente, ci consente una migliore conoscenza di noi stessi, di tutto ciò che bolle nel pentolone della nostra mente.

Non per nulla, questo metodo viene utilizzato anche dalla psicoterapia. Spesso le persone sono talmente alienate da se stesse che non sanno neppure che cosa provano.

sabato 20 aprile 2019

I conformisti


Un lettore mi ha raccontato che nella sua adolescenza aveva attraversato un periodo di crisi: non trovando la sua strada, non trovando una sua collocazione nella società, gli pareva di essere anormale, anzi un pazzo. Allora aveva fatto sette anni di psicoanalisi. Alla fine di quel periodo, il suo psicoanalista non era soddisfatto, perché il paziente non si era ancora integrato.
Lui però era aveva capito una cosa fondamentale: che il pazzo non era lui, ma il mondo.
Proprio così. Tutto quaggiù è follia: le guerre continue, le religioni che credono di parlare a nome di Dio , la rivalità tra gli uomini, le enormi disparità economiche tra ricchi e poveri, la distruzione dell'ambiente per pura avidità, l'organizzazione del sistema educativo che tende a crescere tanti pappagalli ammaestrati, e così via.
E pensare che ci sarebbero le risorse per sfamare tutti gli uomini e per svilupparci armoniosamente. E invece no. Dappertutto è competizione, rivalità, guerre ed egoismo.
In Italia il dieci per cento della popolazione ha in mano il cinquanta per cento della ricchezza nazionale. E il restante novanta per cento? Deve spartirsi l'altro cinquanta per cento della ricchezza e deve combattere l'uno contro l'altro per riuscire a sopravvivere sempre più stentatamente. Con tutto questo, voi pensereste che quel novanta per cento si coalizzi e si ribelli.
No, si occupano di calcio, di canzonette, di spettacoli televisivi, di politica, di religione, ecc.. In sostanza, dormono. Come non sentirsi anormali in un mondo che è dominato dalla follia e dall'addormentamento della coscienza?

venerdì 19 aprile 2019

Il condizionamento religioso


Non possiamo non dirci cristiani, sosteneva Croce. Però non è un gran merito: potrebbe un arabo non dirsi musulmano? Il fatto è che l'ambiente in cui viviamo è in grado di condizionarci in mille modi, da mane a sera: genitori, famiglia, scuola, preti, televisione... tutto ci spinge in un'unica direzione: quella delle cultura dominante. Anche gli atei, in Italia, sono cristiani, nel senso che negano l’immagine di Dio veicolata dal cattolicesimo.
Ma, se volete essere liberi, se volete essere voi stessi, dovete sottoporre a critica questa cultura e farvi delle convinzioni vostre; dovete pensare con la vostra testa, non con quella del potere dominante. Alcune idee di Gesù possono piacere; per esempio, la sua rabbiosa polemica contro i farisei, gli ipocriti, i ricchi, i potenti, i preti della sua epoca. Non possiamo non essere d'accordo con questi principi. E non possiamo non essere d'accordo quando dice di fare il bene e non il male. È ovvio che debba essere così.
Tuttavia, essere d'accordo su questi punti non significa abbracciare il cristianesimo, che è un complesso sistema di idee, molte delle quali non hanno niente a che fare con Gesù. Per esempio, non si può negare che la Chiesa attuale sia esattamente ciò contro cui aveva predicato il Nazareno e che lo abbia completamente tradito.
Sì, aveva ragione Nietzsche: c'è stato un unico cristiano - ed è morto là sulla croce.

Spettacoli "religiosi"


Vedendo le cerimonie religiose alla televisione, si osserva un grande sfarzo, una parata di costumi scintillanti, eleganti, costosi, pieni di colori, e poi si ascoltano canti e musiche religiose, e poi la recitazione di formule religiose, e poi i commenti dei testi sacri. I protagonisti sembrano consumati attori. Ognuno svolge la sua parte, consapevole che deve dare spettacolo, che deve abbagliare, che deve ripetere certi ruoli e che il popolo lo osserva e deve rimanere colpito. Insomma, sono i soliti rituali della religione cattolica, che non per nulla ha ereditato la cultura pagana. Perché di questo si tratta: di spettacoli religiosi, di sacre rappresentazioni. Quello che manca completamente è l'interiorità, la spiritualità, la vera religiosità che non può essere qualcosa di esteriore, ma qualcosa da compiere all'interno di ciascuno.
È un po’ come andare a teatro - il teatrino della religione.
Freud definiva questi rituali religiosi, con la loro ripetitività, la "nevrosi ossessiva dell'umanità".
Anche in mente che il Buddha metteva i rituali e le cerimonie religiose tra i legami (samyojana) che vincolano l'uomo al ciclo della reincarnazione. Infatti questi rituali, rivolgendosi  all’esteriorità, impediscono all'uomo di sviluppare una propria interiorità.

giovedì 18 aprile 2019

Dimorare nella consapevolezza


Di un Dio che se ne sta al di fuori di noi, al di sopra di noi, “in cielo” e “totalmente altro” non possiamo saper nulla. Sappiamo solo ciò che dicono (per fede) altri uomini, che a loro volta non possono saper nulla.
Solo di ciò che è in noi e che possiamo esperire direttamente, in prima persona, possiamo saper qualcosa. Per esempio sappiamo che la nostra mente è continuamente attraversata da pensieri, sensazioni, immagini, ricordi, elucubrazioni, fantasie, ecc. E, se stiamo un po’ attenti, possiamo identificare questi contenuti mentali.
Quando dunque siamo immersi in questi stati mentali, la mente ne è colorata e ne viene per così dire trascinata via. Ci immedesimo in essi e li viviamo come se fossero veri e reali. Ma per molti non è così: pur partendo dalla realtà sono prodotti dalla nostra mente.
Un’altra cosa possiamo sapere. Che per quanto vari possano essere questi stati mentali, c’é qualcosa che ne è cosciente.
È una specie di testimone o di specchio che riflette tutto, ma non ne viene coinvolto. Lo specchio rispecchia ogni cosa che gli viene posta davanti, ma lui rimane intonso, non macchiato.
Questa scoperta è possibile se spostiamo l’attenzione dai contenuti mentali, con le loro emozioni coinvolgenti, al testimone di essi.
È un po’ come un cielo che viene macchiato da ogni possibile nube, ma che non per questo ne viene sporcato. Quando le nuvole se ne vanno (e se ne vanno sempre), lui ritorna a essere limpido e chiaro.
In meditazione dobbiamo imparare a passare dai contenuti, sempre agitati e mutevoli, al contenitore, sempre calmo e distaccato, in una condizione di pace.
È questa l’unica condizione “paradisiaca” che possiamo verificare su questa Terra.
Per aiutarci, possiamo intervenire sulla respirazione, cercando riportarla  ad uno stato di leggerezza e di tranquillità. Rilassiamoci, lasciamo passare e andare via i vari stati mentali, non ci facciamo coinvolgere e concentriamoci solo sul loro testimone. Non si tratta di teorie, ma di esperienze da compiere.

Sviluppa una mente che sia vasta come lo spazio, nella quale le esperienze, spiacevoli o spiacevoli, possano comparire e scomparire senza conflitti, lotte né danni
                                     Buddha (Majjhima Nikaya)

mercoledì 17 aprile 2019

La scala dell'evoluzione


Qualcuno sostiene che l'essere umano non sia un corpo che cerca di elevarsi ad un livello spirituale, ma uno spirito che cerca di fare esperienza di un corpo e di un'esistenza umana. L'idea non è nuova ed è anche affascinante. Ma pone degli interrogativi. Il primo dei quali è: il livello spirituale dovrebbe essere superiore a quello materiale; com'è possibile allora che uno spirito desideri incarnarsi? Che non fosse maturo?
Questo mi fa pensare alla reincarnazione. In base a questa legge, l'uomo realizza nell'esistenza una certa esperienza che lo può portare avanti o indietro nella scala dell'evoluzione, secondo ciò che ha veramente maturato. In altri termini, se ha acquisito distacco dal mondo materiale e saggezza, può passare ad un regno o ad una dimensione più elevata, più spirituale e più felice. Se al contrario l'individuo non riesce a oltrepassare la dimensione dei sensi, ritorna indietro... un po' come nel gioco dell'oca. In tal caso potrebbe reincarnarsi in situazioni di sofferenza, o addirittura in animali. Insomma regredisce. La verità è che l'uomo si trova ad un livello mediano nella scala dell'evoluzione - un livello che gli permette, in base al suo grado di maturazione, di andare avanti, di andare indietro o di rimanere fermo, cioè di continuare a desiderare questa esistenza. In tal caso, dovrà tornare a nascere e a morire, a nascere e a morire... finché non avrà compreso che c'è qualcosa di meglio di questo ciclo ripetitivo - e non sarà più affamato di vita.
L'esistenza umana, così com'è organizzata, con il passaggio attraverso le varie età e con l'approdo nella vecchiaia, dovrebbe già indurre l'individuo a capire che è meglio uscire definitivamente dal ciclo di vita-morte. Ma vediamo troppi vecchi alla ricerca affannosa di pillole miracolistiche per poter vivere come giovani, per poter soddisfare qualche altro desiderio. Questi dovranno ritornare più volte (nascendo, morendo e soffrendo) ... finché non si convinceranno che il livello spirituale è molto più desiderabile. Tuttavia, su quel piano, bisogna lasciar perdere la sensualità - e molti non possono farne a meno.