mercoledì 31 ottobre 2012

I sei regni


Secondo il buddhismo, esistono sei regni o dimensioni della realtà: i paradisi, il mondo degli esseri umani, gli inferni, il piano degli spiriti affamati, il regno degli animali e il piano degli Asura, i demoni combattenti. Si tratta comunque di sei regni dell'illusione, nessuno dei quali (per fortuna) è permanente. Al di là delle raffigurazioni mitologiche, questi sei regni sono certamente stati d'animo in cui transitiamo di continuo. Diciamo che i paradisi sono regni in cui gli esseri sono felici e non c'è insoddisfazione - ma qui sta il problema: poiché questi esseri sono contenti, non hanno nessuno stimolo a cercare qualcosa di meglio. Quando perciò moriranno, dovranno reincarnarsi in esseri umani. Perché? Perché gli esseri umani sono gli unici che hanno la possibilità di essere consapevoli del proprio stato e di aspirare a liberarsi dalla condizione in cui si trovano.
Vengono poi i regni infernali, dove ovviamente tutti stanno male - ma a tal punto che non sono neanche in grado di pensare ad altro. Lo stesso vale per gli spiriti affamati che, come indica la loro definizione, sono sempre insoddisfatti, sempre avidi, sempre affamati di qualcosa senza potersi mai saziare. Quanto al regno degli animali, lo conosciamo e sappiamo bene che è inutile spiegare loro qualcosa: non capirebbero. Gli Asura, infine, sono dominati dall'ira, dalla rabbia, dalla furia, dalla competizione, dallo scontro e dalla guerra: combattono sempre contro qualcuno e, se manca l'avversario, anche contro se stessi.
Come si vede, queste dimensioni ci appartengono tutte. Noi possiamo essere completamente felici (paradiso) o completamente infelici (inferno), possiamo essere profondamente insoddisfatti, famelici e avidi (spiriti affamati), possiamo diventare degli animali guidati soltanto dagli istinti e possiamo farci travolgere dall'ira, dalla rabbia, dall'avversione, dall'inimicizia, dal desiderio di combattere e di scontrarci contro qualcuno o contro noi stessi (Asura).
L'essere umano, infatti, è caratterizzato dall'estrema mobilità, dal cambiamento continuo, e può passare in un istante dalla felicità all'infelicità, dalla soddisfazione all'insoddisfazione, dalla calma alla rabbia, dalla pace alla guerra, dall'esaltazione alla depressione, dall'amore all'odio: tutto dipende dalle circostanze esterne e dalla propria mente. Ma proprio questa estrema mobilità ci offre un'occasione che gli altri esseri, nella loro rigidità, non possono avere. Abbiamo la possibilità di vederci, di essere consapevoli e di intervenire per cambiare. Abbiamo soprattutto la possibilità di aspirare ad uscire da questo marasma continuo.
Quando pensate di essere sfortunati ad essere nati come esseri umani, ricordatevi che, secondo la tradizione buddhista, le probabilità di nascere come uomini sono quelle che ha una tartaruga marina cieca di salire in superficie e di infilare il collo in un pezzo di legno che galleggia sull'oceano con un foro in mezzo.
Pensiamoci. Quando mai ci si ripresenterà una simile occasione? Il più grande peccato in questa vita è sprecare il tempo in cose inutili.

martedì 30 ottobre 2012

Dukkha


Quando il Buddha afferma che la vita è dukkha (dolore) non intende dire che in questo mondo tutto è sofferenza, ma che non è possibile eliminare la sofferenza, non è possibile eliminare uno stato di insoddisfazione praticamente permanente. Innanzitutto, ci sono le quattro fasi dell'esistenza da cui nessuno può sfuggire: la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte; e qui non ci piove. E poi ci sono varie forme di dolore: la sofferenza di essere separati da coloro che amiamo, la sofferenza di vivere con coloro che odiamo, la sofferenza di non poter avere quello che vogliamo e tutte le sofferenze del corpo. Vi risulta di essere stati risparmiati da qualcuno di questi dolori? Ma se pensiamo che la sofferenza sia semplicemente una sensazione spiacevole e che sia eliminabile con una sensazione opposta di piacere, ci sbagliamo. È proprio questo che noi facciamo: cerchiamo tutta la vita sensazioni piacevoli, fisiche e mentali. Però sappiamo anche che questo non basterà a cancellare il dolore. E, in effetti, qualunque sensazione piacevole ha un aspetto per così dire negativo: non dura. Non dura, è fugace, è temporanea; e, quando sparisce, lascia un senso di mancanza e di insoddisfazione. È un po' come una droga: sul momento dà un senso di euforia, ma poi l'effetto sparisce e rimaniamo più scontenti di prima. E già questo ci dice che viviamo in un mondo duale, in un mondo effimero, in cui niente è stabile (per fortuna nemmeno la sofferenza).
Ora, il Buddha ci dice che all'origine della sofferenza c'è il desiderio, ossia una specie di sete o di bramosia che non si accontenta mai. Desiderio di essere, desiderio di diventare, desiderio di crescere, desiderio di felicità, desiderio di amore, desiderio di figli, desiderio di perdurare, desiderio di essere ricchi, desiderio di potere, desiderio di riconoscimento... l'elenco è infinito. C'è anche il desiderio di non-essere quando le cose ci vanno male e pensiamo alla morte come via di liberazione o al suicidio. Insomma la vita è tutta un desiderare - è questo il suo carattere distintivo. Ma desiderare significa soffrire, perché chi desidera prova dentro di sé una dolorosa mancanza.
La logica suggerisce che la via d'uscita sarebbe sopprimere il desiderio. Ma qui bisogna stare attenti. Perché tra i tanti desideri c'è anche quello che animava il Buddha e tutte le persone del Dharma: il desiderio di sopprimere il desiderio, il desiderio di liberazione da questo ciclo ripetitivo e dualistico. Come quando diciamo: non ne posso più di questa situazione, voglio uscirne! È chiaramente un desiderio anche questo, e ben forte. Ma bisogna arrivarci - e i più non ci arrivano affatto: continuano a inseguire le sensazioni piacevoli, continuano a sognare uno stato di felicità durevole, continuano a correre lungo questa riva del fiume senza tentare di andare oltre. Tutto sommato, anche sognare un qualche paradiso rientra tra i desideri meschini. Il Buddha lo ha previsto: secondo lui esistono altri piani di realtà o altri mondi popolati da esseri che si trovano in uno stato migliore del nostro (d'altronde, non ci vuole molto), ma - attenzione - neppure loro sfuggono alla morte e forse sono troppo rincoglioniti dalla vita facile; un po' quello che succede ai nostri ricchi, che a forza di essere serviti e riveriti diventano sempre più fragili e scemi. Ed è possibile che i nostri dèi appartenessero a questa categoria - alla fine, come è evidente, sono defunti...
Ma fra le tante nostre sventure, una fortuna ce l'abbiamo. Siamo in un mondo mediano, che proprio per le sue caratteristiche e per le sofferenze ben calibrate con gli zuccherini delle gioie, è il più adatto a tentare la via della liberazione. Abbiamo tutte le doti per farlo - ci manca solo un po' di consapevolezza e di buona volontà. Però, piantiamola di farci trascinare da desideri di bassa lega: liberazione non significa approdare in qualche terra beata, in qualche paradiso di idioti che stanno tutto il giorno a biascicare le lodi del Potente di turno. Ne abbiamo già troppi di questi lacchè sulla terra. Almeno miriamo in alto. Sbarazziamoci di tutto il baraccone - vita, morte, religioni e gerarchie comprese.

domenica 28 ottobre 2012

Nirvana


Se il Samsara è il ciclo delle vite e delle morti che va avanti da quando esistono gli uomini e gli altri esseri viventi, se è la ripetizione di esistenze, senza soluzione di continuità, il Nirvana è la calma, la pace, l'estinzione... di che cosa? Di questa ripetitività. Perché è vero che la vita è un cambiamento continuo, ma pur sempre delle stesse esperienze: nascite, infanzie, crescite, malattie, gioie, dolori, amori, matrimoni, divorzi, vittorie, sconfitte... e infine l'immancabile morte. Insomma, sempre la solita solfa. È un po' come il tempo meteorologico, che muta di continuo, ma sempre secondo determinate e limitate modalità: pioggia, sole, tempesta, sereno, caldo, freddo e così via. Insomma, siamo tutti dei ripetenti ossessivi, degli zucconi che non imparano mai la lezione. Infatti tutti facciamo le stesse cose, tutti abbiamo le stesse speranze e tutti abbiamo le stesse illusioni e delusioni: pensiamo di fare chissà che cosa, di risolvere  i problemi dell'umanità o semplicemente di essere felici, ma poi ci avviamo rassegnati verso la vecchiaia e la fine. E tutti giriamo intorno al nostro ego. È l'ego che prova una insaziabile sete di ripetere queste esperienze, certamente mutevoli, ma pur sempre le stesse, fin dalla notte dei tempi. Non c'è mai nulla di nuovo. Il film è sempre lo stesso. Se qualcuno ci guardasse dall'alto, si addormenterebbe per la noia mortale. Tuttavia tutti questi miliardi di individui si affannano da mattina a sera per ripetere le stesse esperienze - e non si stancano mai. Che cosa cercano? Sono assetati di vita e vorrebbero vivere ancora più a lungo. Che cosa sperano di ottenere e di raggiungere? Assomigliano ai levrieri che inseguono in un circuito una lepre di pezza che non raggiungeranno mai - ma loro non lo sanno e continuano a correre.
Nirvana è la scoperta di quanto siamo limitati, condizionati e ripetitivi, di quanto siamo marionette dirette dai fili dell'istinto, della natura, della cultura e della società. Nirvana è la decisione di interrompere il ciclo. Nirvana è l'affacciarsi di una nuova coscienza. Ce la faranno gli uomini a svegliarsi dal millenario sogno delle illusioni? Riusciranno una buona volta a vedere la realtà così com'è? O continueranno a correre in tondo, come gli stupidi levrieri?

Nuova evangelizzazione?


Ad ogni pie' sospinto il papa parla di "nuova evangelizzazione", ma sospettiamo che si tratti, più che di una diffusione del messaggio di Gesù, di un'occupazione di posti di potere nello Stato e nei mass-media, nonché di un plagio massiccio delle coscienze più deboli e infantili. Insomma si parte per evangelizzare gli altri e non se stessi. Tutti conoscono per esempio la potenza delle trasmissioni radiofoniche della Chiesa, quelle che che oscurano le trasmissioni delle altre radio e che fanno ammalare di leucemia tanti bambini che hanno la sfortuna di abitare presso le antenne del Vaticano. Tutti sanno che la Chiesa non ha ancora pagato un euro di tasse sugli edifici adibiti ad uso commerciale. Tutti conoscono la storia dei preti pedofili protetti per decenni dai loro vescovi. E tutti vedono le continue intromissioni dei preti nella politica italiana con il tentativo di costruire un partito di cattolici, più o meno come la vecchia Democrazia Cristiana, che fu chiusa quando si scoprì che i grandi leader cattolici rubavano a man bassa i soldi statali - un antico vizio. Dunque, dove sta la superiorità etica degli individui che si dicono religiosi?
Il punto è che la Chiesa non è in grado di diffondere il messaggio di Gesù, dopo averlo tradito per duemila anni. Gesù badava alle vere intenzioni degli uomini e non alle cerimonie o ai rituali - e non portava scarpini di Prada né vesti di Armani; né possedava una banca che ricicla denari sporchi. Gesù criticava la corruzione dei sacerdoti e l'ipocrisia dei farisei e dei sadducei, i quali assomigliavano molto ai politici cristiani di oggi: molte parole, molta apparenza, e nessuna sostanza autenticamente spirituale, anzi una sostanza di vera e propria corruzione e di occupazione del potere per influenzare e dirigere le coscienze del popolo - insomma è la storia di sempre.
Per fare una "nuova evangelizzazione" ci vorrebbero nuove coscienze - e queste purtroppo sono molto vecchie, anzi morte. E voi "lasciate che i morti seppelliscano i loro morti"!

venerdì 26 ottobre 2012

L'orgasmo religioso


Fuorviati da millenni di religioni repressive, abbiamo sviluppato la convinzione che la sessualità sia il nemico numero uno della spiritualità. Niente di più falso. La sessualità, al contrario, è l'energia fondamentale dell'esistenza che, primo, non può essere eliminata e, secondo, è propria alla base anche della spiritualità. Provate a rimanere a lungo casti - e domandatevi se siete diventati più religiosi e spirituali, oppure semplicemente più indifferenti, freddi e avidi in altri campi. Sì, perché la repressione lavora in questo modo: quando ostacolate il sesso, la sua energia si sposta in qualche altro settore; e così per esempio si diventa più avidi di denaro, di potere o di cibo, oppure si sviluppa una dipendenza dalle comunità religiose (che proprio per questo vietano i rapporti sessuali). Se invece vi innamorate e fate sesso con la persona amata, alla fine vi sentirete molto più vicini al divino e capirete che cosa si intende per trascendenza. Da che mondo è mondo, la sessualità è stata usata come una metafora dell'unione con il divino; e non solo come metafora, ma anche come mezzo a disposizione dell'uomo per avere anticipazioni della trascendenza.
Ora utilizzate il rapporto sessuale proprio a questo scopo. Vi accorgerete che tutte le nostre idee di beatitudine e gioie paradisiache provengono dall'esperienza sessuale. In essa, infatti, non solo vi è un superamento del dualismo io-altro, non solo si raggiunge l'unione con un altro essere, ma si supera il senso dell'io-sé e del tempo. Nell'orgasmo in particolare scompaiono le divisioni, il tempo e la mente (è il modo più semplice per sperimentare il vuoto mentale). E si prova una grande gioia e un senso di liberazione che è ciò che contraddistingue le esperienze estatiche del misticismo e del samadhi. Senza questa esperienza, in realtà, non avremmo l'idea di un'estasi ultraterrena.
Oltretutto, se c'è un periodo in cui non si prova più nessun desiderio sessuale, è proprio il periodo che segue l'orgasmo. Non a caso esso è stato definito la "piccola morte" - ossia la morte gioiosa. Scompaiono i desideri e ci dimentichiamo di noi stessi e dei  nostri limiti. Perché non c'è niente di meglio che terminare la vita con una morte gioiosa, accogliendo cioè la morte come un'esperienza di liberazione. Il che dimostra che non è la repressione sessuale che vi libera dal desiderio (i preti e i santi sono sempre ossessionati dal sesso), ma il suo soddifacimento profondo. Se reprimete semplicemente il sesso, ne devierete l'energia altrove. Se invece lo utilizzate consapevolmente, la vostra evoluzione ne sarà accelerata e la vostra mente si aprirà ad una comprensione della dimensione della trascendenza. Il punto è questo: non si trascende il sesso soffocandolo, ma comprendendolo.
D'altronde, che cos'è il Big Bang... se non un orgasmo cosmico?

martedì 23 ottobre 2012

La via del Dharma


Il Dharma nel buddhismo è la legge o la regola scoperta o istituita dal Buddha, in cui sono delineate varie linee e vari principi: le quattro nobili verità, l'ottuplice sentiero, i cinque skandha, le tre seti, i tre tipi di sofferenza, i dodici anelli della coproduzione condizionata, i quattro stati sublimi, i quattro jhana, i cinque precetti fondamentali e così via. Tutto è classificato, suddiviso, analizzato e consegnato alla tradizione. Tuttavia, pensare che il vero Dharma sia espresso in questo modo, attraverso discorsi e categorie, è un'illusione. La pratica è un'altra cosa: è mobilitare le proprie energie e la propria intelligenza in un percorso di liberazione che è diverso da persona a persona. Solo a quel punto il Dharma reale si presenterà da sé.
Abbiamo già ottenuto il beneficio della condizione umana e quindi siamo già dotati di tutto il necessario per percorrere la via. Perché allora perder tempo ed energie in futili piaceri? Non si tratta di rinunciare a qualcosa, ma di scegliere ciò che è più importante, di concentrarci su ciò che ci darà più gioia.
Naturalmente i piaceri futili non sono quelli canonici condannati dall'ascetismo tradizionale. E, in certo casi, possono essere più utili di altre nobili virtù.
Se perdi tempo a giocare nei casinò, a guardare film stupidi, a spettegolare o a frequentare prostitute, questi saranno certamente vani piaceri. Ma se giochi con tuo figlio, guardi film intelligenti, parli di problemi seri o eserciti il sesso con una persona che ami, questo ti farà capire tante cose e ti allargherà la coscienza. In realtà, ogni piacere può essere ottenebrante o illuminante, a seconda dei casi, a seconda dei momenti.
Non ti fidare dei decaloghi incisi nella pietra. Il nostro spirito non è una pietra: è mobile e sensibile, ed ha la capacità di capire da sé, al di là delle parole e dei concetti prestabiliti, quale sia il percorso giusto - il tuo Dharma.

lunedì 22 ottobre 2012

In religioso silenzio


Mi piace molto l'espressione "in religioso silenzio" perché esprime un concetto fondamentale: che vi è un rapporto tra (autentica) religiosità e silenzio. Nessuna ha mai detto infatti che il rumore è religioso. Come mai allora c'è tanto chiasso nelle nostre società? Come mai, se apri la televisione o la radio, senti gente che litiga, che urla, che pontifica e tanta musica commerciale che è semplice spazzatura? Come mai sempre più gente cammina in strada parlando o ascoltando al telefonino? Come mai non si sta più in silenzio? Forse perché nessuno sa più che cosa sia la spiritualità? Anche i preti e il papa che non fanno altro che predicare e parlare. In principio era il Verbo? Che idiozia! In principio c'era un emorme silenzio. E tutto era in pace. Poi qualche Divinità si intromise a rovinare il mondo con le parole. Creò questo, creò quello, semplicemente nominandolo... E fu la fine della tranquillità.
Ancora oggi, quando si commemora qualcuno (per esempio negli stadi) si sta un minuto in silenzio - e già qualcuno scalpita. Oppure, nella messa cristiana, c'è un attimo di silenzio, in cui i fedeli dovrebbero rivolgersi a Dio; ma i più pensano ai fatti loro. E ancora oggi sopravvive a fatica qualche monastero in cui vige la regola del silenzio. Ma anche lì si vuole essere moderni e allora ci si collega ad Internet. Fine del "religioso silenzio".
Certo, oltre al rumore dei mass-media e delle comunicazioni umane, c'è un altro chiasso di cui non si rende conto nemmeno chi sta in silenzio: quello della mente. E qui veramente incontriamo grosse difficoltà. La nostra testa infatti è permanentemente assillata da pensieri, fantasie, riflessioni, ricordi, dialoghi interiori e così via. Fateci caso. C'è un gran rumore nel nostro cervello, c'è una grande confusione. E noi andiamo in giro con questo filtro che ci isola dalla realtà, al punto che possiamo non notare un amico che ci passa vicino o un'auto che ci sta travolgendo. E, soprattutto, non riusciamo a gustarci più niente, non riusciamo ad avere uno sguardo limpido, non riusciamo a trovare pace.
Per questo motivo, nelle religioni più serie, si cerca di recuperare il valore e l'uso del silenzio. Ma, al di là del suo valore spirituale, la pratica del silenzio, fisico e mentale, ha una funzione terapeutica. Ci libera dal peso e dall'oppressione dei pensieri compulsivi - pensieri che hanno un effetto deleterio sulla nostra salute. Perché la salute fisica dipende innanzitutto dalla salute mentale.
Come ogni tanto bisogna stare a digiuno per riprendersi da qualche disturbo, così ogni tanto cerchiamo di fare un po' di silenzio mentale per depurarci dall'inquinamento da rumore. Credetemi, vi farà bene.

domenica 21 ottobre 2012

Femminicidio


Ogni giorno apprendiamo di givani che uccidono le ragazze da cui sono stati respinti. Lo chiamano femminicidio. Ed è un aspetto dell'eterna guerra tra i sessi (appena velata dall'amore), dove non mancano i morti e i feriti. Certo, si tratta di giovani psicolabili, allevati da famiglie in cui la donna è la madre che concede tutto al figlio maschio, facendolo sentire un re. Ma la realtà è diversa, e un giorno il giovane maschio si scontra con un rifiuto. Come è possibile? Quella è una donna cattiva, che va uccisa! La verità è che viviamo in un mondo maschilista, in cui l'uomo ha da sempre controllato la donna e non sopporta che non sia a sua disposizione.  I valori più alti sono di segno maschile e tutto è predisposto per non negare nulla al maschio. Un rifiuto dunque lo sconvolge: è un elemento che manda in crisi il suo mondo di certezze e di impunità.
Pensate che nella nostra cultura abbiamo immaginato perfino un Dio Maschio. Ma che c'entra il sesso con Dio? Perché dovrebbe essere di genere maschile e non di genere femminile? In realtà non ha niente a che fare né con il maschile né con il femminile. Ma chi lo dice ai nostri credenti? L'infantilismo delle religioni lo ha ridotto a un uomo, a un misero maschio, che tutt'al più ha una Madre... vergine. Ed ecco i risultati.
Ora non possiamo più rivelare ai credenti che Dio non è il Padreterno in cui confidavano: il trauma sarebbe terribile, e andrebbero a uccidere qualcuno... magari una donna. Perché si sa che le donne sono colpevoli di tutto: non fu Eva a corrompere l'ingenuo Adamo? Lo dice il vero fondatore del cristianesimo, san Paolo, un tipo che andrebbe psicoanalizzato: "Non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione!" (Prima lettera a Timoteo 2,14). Perciò "la donna impari in silenzio, con tutta sottomissione" (ibid. 2,11). Infatti "la donna deriva dall'uomo" (Prima lettera ai Corinzi 11,12) e "capo della donna è l'uomo" (ibid. 11,3). Se questi sono i vostri maestri spirituali, non vi lamentate di quel che succede alla donne.

Il Dio dell'intolleranza


Ora i cristiani si lamentano perché vengono perseguitati e uccisi in Africa e in Asia dai regimi musulmani. Ma la verità è che ricevono ciò nei secoli hanno dato. Da quando sono andati al potere, per diciassette secoli, hanno perseguitato tutte le altre religioni. Dobbiamo ricordare ciò che i cristiani hanno fatto ai pagani, agli ebrei e ai musulmani? Dobbiamo ricordare i Padri della Chiesa che invitavano a convertire o a uccidere tutti quelli che avevano un'altra fede? Dobbiamo ricordare la crociata contro gli Albigesi? Dobbiamo ricordare tutte le guerre contro i musulmani? Dobbiamo ricordare le varie crociate? Dobbiamo ricordare le guerre tra protestanti e cattolici?
La verità è che chi ha una fede, non potendo dimostrare niente di quello che dice - e anzi sapendo dentro di sé di affermare cose del tutto infondate - è intollerante verso chi professa un'altra fede. La verità è che ogni fede nega le altre e vorrebbe, se potesse, distruggerle. La verità è che il Dio in cui credono le maggiori religioni è per sua natura intollerante. Non è infatti un vero Dio. Ma un'immagine della mente. Credere in un Dio unico è già essere intolleranti.

venerdì 19 ottobre 2012

Svuotare la mente


Troppo spesso la nostra mente è in preda a una folla di pensieri incontrollati, a un rimuginio senza sosta, a un dialogo senza costrutto: spezzoni di frasi, ricordi, fantasie, persone immaginarie, situazioni irreali, pulsioni velleitarie, sogni ad occhi aperti, considerazioni amare, speranze illusorie... in un caos senza capo né coda. Questo è il primo problema della meditazione - ma anche la prima presa di coscienza. Tutta questa attività febbrile, tutti questi pensieri creano una specie di velo tra noi e la realtà.  È come quando si cammina telefonando: ciò che diciamo o ascoltiamo ci distrae dalla realtà esterna... e magari finiamo in un tombino.
Ecco due metodi per uscire da questa situazione di alienazione. Considerare i pensieri come qualcosa che viene dall'esterno e alzare una barriera - di attenzione - per respingerli o ignorarli.
Oppure considerare il nostro vero sé come un Testimone di una mente invasa dai pensieri. Anche in questo caso osserviamoli come corpi estranei e poi accantoniamoli o lasciamoli cadere, come se non fossero nostri. Noi siamo il Testimone, non i pensieri.
Lo scopo è costituire un nucleo incontaminato al nostro interno, un centro di consapevolezza che non venga toccato dalle ondate delle attività mentali. Ritrovare la quiete e il silenzio mentali.
Questo vuoto mentale non deve trasformarci in idioti inconsapevoli, ma deve rendere la nostra mente ancora più chiara e lucida.

giovedì 18 ottobre 2012

Samsara


Dovremmo tutti chiudere gli occhi per l'ultima volta con una sensazione di soddisfazione e di sazietà, dovremmo arrivare alla fine dell'esistenza dopo aver provato tutto, dopo aver esaurito ogni possibilità... proprio come ci si alza da tavola dopo aver mangiato in abbondanza. Ma le cose non vanno così: la maggior parte delle persone è infelice, è insoddisfatta, è piena di pentimenti e di rimorsi, e muore con il desiderio di avere quel che non ha avuto, di rifarsi delle privazioni e delle sconfitte, o di ripetere e amplificare i piaceri provati. Questo stato d'animo fa sì che la vita non possa essere lasciata con serenità, con la determinazione di passare oltre, di saltare su un altro piano; e fa sì che la vita non possa essere lasciata cadere, così come la farfalla lascia cadere la pupa e diventa un altro essere E dunque viene posta in essere una spinta profonda, inconscia, che informa di sé quel ciclo delle nascite e della morti, delle felicità e delle infelicità, che in Oriente si chiama Samsara. Cedendo a questa spinta noi veniamo in essere con l'illusione di potere essere sempre felici, escludendo la sofferenza. E in tal modo alimentiamo un mondo di infelicità.
Dobbiamo dunque lavorare sui nostri desideri insoddisfatti, dobbiamo portare la forza della consapevolezza su questa spinta prepotente, disinnescando il suo inganno. Dobbiamo lasciare l'esistenza con la convinzione di aver esaurito le nostre potenzialità e di non aver perso niente di importante. Questo fa l'uomo saggio, ormai distaccato.

giovedì 11 ottobre 2012

Il valore del desiderio


La causa di ogni attaccamento, e quindi di ogni sofferenza, è il desiderio. Ma bisogna comprendere che il desiderio è la spinta che ci fa andare avanti e che senza desideri finiamo solo depressi. Tutto è sorretto da qualche desiderio: anche l'illuminazione. Inoltre certi desideri sono programmati dagli istinti per la sopravvivenza e altri sono indotti dalla società. Quelli indotti dalla società (essere ricchi, essere importanti, comprare determinate cose) possono essere padroneggiati con un adeguato autocontrollo. Non possiamo però non provare il desiderio di mangiare, perché senza cibo moriremmo in breve tempo. Anche il desiderio sessuale è voluto dalla natura per far sopravvivere la specie. Tuttavia anche nei desideri naturali entrano in gioco valori sociali, psicologici e culturali, per esempio mangiare determinati cibi o in determinati modi, oppure essere ossessionati da determinati rapporti sessuali o da una compulsività senza limiti. L'ascetismo antico si illudeva che digiunando o astenendosi dal sesso, si potessero ottenere grandi meriti.  Ma la verità è che non si raggiunge l'illuminazione attraverso i digiuni o la castità. Se eliminassimo questi desideri, semplicemente la vita sulla terra finirebbe. Però nessuno entrerebbe nel Nirvana. Se bastasse digiunare o astenersi dal sesso, sarebbe relativamente facile diventare illuminati. Il regno dei cieli sarebbe pieno di anoressici e di impotenti. E non è così. Chi combatte i desideri e i bisogni naturali in realtà soffre ancora di più. E diventa non un santo, ma un mostro. Capita di vedere alcuni pseudo “santi” divorati, senza la minima autoconsapevolezza, da ambizione, da invidia o da orgoglio. Dunque, in campo spirituale, non è il desiderio naturale ciò che ci rovina, ma il desiderio che proviene dall'interiorità, dalla psiche egocentrica.  Lo dicono chiaramente i Vangeli: “Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia…” (Mc 7,21-22). Insomma i desideri da combattere non sono quelli naturali, ma quelli che nascono dall'animo pervertito o inconsapevole.
Il desiderio è ambivalente: è ciò che ci àncora alla vita, ma è anche ciò che ci spinge a trascenderla. Finché si è in vita non è possibile, e neppure auspicabile, reprimere i desideri naturali. Ma si può lavorare a comprendere il meccanismo del desiderio, in modo da ridurre i peccati contro lo spirito – quelli che ci legano ad un'esistenza deteriore. Comunque sia, è evidente che l'illuminazione, il risveglio, ha più a che fare con una comprensione che con un atto del corpo, è più un'apertura della mente che una chiusura fisica e che in alcuni casi i piaceri sono più vicini alla spiritualità che alla materia.

lunedì 8 ottobre 2012

Reincarnazione

L'idea che un'anima, sola soletta, si reincarni da una vita ad un altra ci sembra una sciocchezza. E lo è. Ma non bisogna ricorrere a queste interpretazioni semplicistiche, popolari. Basta pensarci un po'... ognuno di noi viene da altre vite, quelle dei genitori, i quali a loro volta venivano da altre vite... Andando indietro nel tempo, arriviamo ai primi ominidi, e poi ancora più indietro, alle scimmie, ai pesci, agli anfibi, eccetera. Questo significa che ognuno di noi personifica un'eredità, una linea evolutiva, cui hanno partecipato migliaia, milioni di individui. Dunque, in tal senso, in ognuno di noi rivivono innumerevoli altre persone - i nostri predecessori. Da un'esistenza all'altra, qualcosa si è reincarnato: un principio vitale che possiamo chiamare come vogliamo - e che ora si trova in noi, è noi. È come una fiaccola che si è trasferita da una mano all'altra, da una persona all'altra, da un'epoca all'altra. Ecco il principio della reincarnazione, interpretato non in maniera elementare, ma intuito da tante culture.

Il potere temporale


Che tristezza - e che buffonata! Una religione che si fa Stato! Uno Stato deve avere un confine, delle guardie, delle galere, una banca, una burocrazia, dei maggiordomi, eccetera eccetera... con tutte le conseguenze del caso. Così, se qualcuno tradisce, come è successo con il maggiordomo del Papa, bisogna processarlo e metterlo in galera. Ma, secondo voi, era a questo che mirava Gesù duemila anni fa? Ormai, tutti i cattolici si sono abituati a queste assurdità - una Chiesa che si appropria del potere temporale. E che potere! Per secoli è stato un potere e uno Stato che ha imposto tasse, condannato e ucciso... e che ha impedito all'Italia di unificarsi.
Naturalmente, anche se lo Stato del Vaticano è l'esempio più eclatante di religione che si fa Stato, anche le altre religioni non scherzano. Per esempio, degli Stati islamici sappiamo che tipo di libertà e di democrazia vigono nei loro confini. Dello Stato di Israele, che a parole si dice laico ma che in realtà è governato dalla religione, vediamo il disastro: si regge solo sulla guerra e sull'odio religioso, suo e dei nemici. E dell'ex Stato buddhista del Tibet, abbiamo visto la triste fine.
Sì, le religioni che vogliono il potere temporale sono un gran pericolo per la libertà e per la democrazia. E distruggono tutto quello che toccano.

mercoledì 3 ottobre 2012

Uccidere il Buddha


Tra i vari attaccamenti che ci legano, ci limitano e ci condizionano, quello di cui ci si rende meno conto è l'attaccamento alle proprie opinioni. Che cosa significa? Significa che ci facciamo un'opinione, abbracciamo una teoria o sposiamo un fede, e dal quel momento non la mettiamo più in dubbio e giudichiamo tutte le opinioni diverse o contrastanti sbagliate. Non solo sbagliate, ma nocive. Chi reagisce più violentemente, per esempio, di colui che vede messe in dubbio la propria religione? È come se la divergenza mettesse in crisi il nostro equilibrio, la nostra stessa esistenza. E, in parte, è così. La fede che si oppone alla nostra mette in crisi la nostra sicurezza, la nostra certezza - ciò che non vogliamo più mettere in dubbio. È così che nasce il fondamentalismo religioso. Quei pazzi che sono disposti a uccidere gli altri e se stessi per distruggere chi la pensa diversamente.
La verità è che noi stessi abbiamo profondi dubbi e che ci aggrappiamo a quella fede come ci afferriamo all'ultimo spunzone di un precipizio. Senza di quello precipitiamo. In realtà, la spiritualità dovrebbe essere qualcosa di completamente diverso: un'apertura anziché una chiusura; una possibilità di inclusione e di allargamento, non una possibilità di esclusione e di restringimento. Invece la religione diventa una setta. E la setta ci fa tutti settari, faziosi, parziali e ciechi.
Impariamo qualcosa dal buddhismo zen, in cui si dice: "Se incontri sulla tua strada il Buddha, uccidilo!" Perché ucciderlo? Perché se credi che il Buddha sia quello che tu pensi che sia, ti stai certamente sbagliando. Ti stai semplicemente attaccando ad un'immagine della tua mente, ad una tua interpretazione, ad una tua definizione. E se tu de-finisci qualcuno, stai tranquillo che lo stai distruggendo. In ogni caso, il tuo compito nella vita non è essere Buddha, Gesù o Maometto, ma essere te stesso. Ed essere se stessi è molto più difficile che essere i seguaci o gli adoratori di qualcuno.

lunedì 1 ottobre 2012

La singolarità del buddhismo


Il buddhismo lancia una sfida alle altre religioni, tutte costruite più o meno allo stesso modo, con un Dio da adorare e il suo profeta o messia, con l'eterna lotta fra bene e male, e con un paradiso e un inferno che ci vengono assegnati dal Giudice divino. Il buddhismo non ci dice solo di fare il bene (ovvio), ma di andare al di là del bene e del male; non ci dice di cercare solo il paradiso, ma di andare al di là di paradiso e inferno; non ci dice di cercare la vita, ma di andare al di là della vita e della morte. E ci dice che il nostro sé, pur essendo in grado di sopravvivere da una esistenza all'altra, non è la realtà ultima. La realtà ultima è il nirvana, che può essere definito solo in termini negativi (ciò che non è), ma non in termini positivi, pur assicurandoci che è comunque qualcosa, non un nulla. Tutte idee che la mente non riesce a comprendere, ma tutt'al più a intuire in una sorta di vertigine della ragione.
Il fatto è che il buddhismo non è solo una religione, ma anche una filosofia, dato che ci presenta una spiegazione delle leggi e delle strutture fondamentali della realtà. Le altre religioni, ogni volta che si sono azzardate a parlare delle leggi fondamentali del mondo, hanno detto solo grandi sciocchezze. Invece il buddhismo ha lasciato una visione del mondo che ancora oggi interpella la nostra ragione. Il buddhismo non crede né a Dio né ad un sé eterno. Tuttavia individua leggi che sembrano eterne, come quella della retribuzione karmica, della sofferenza e del desiderio. Più che leggi fisiche sembrano leggi evolutive. Il mondo - dice il Buddha - è fatto così, e io ve lo descrivo. Anche l'uomo è fatto in un certo modo, e io ve lo descrivo. Nessuna di queste leggi è stata creata da un Dio, però esistono, e con esse dobbiamo fare i conti. Non c'è un Dio che premia e castiga: siamo noi stessi, con i nostri atti, che ci prepariamo il futuro, in questa vita e nelle altre.
Lo scopo del buddhismo è la liberazione dalla sofferenza, che può essere eliminata solo con la soppressione del desiderio. Il desiderio nelle sue varie forme, l'attaccamento, i legami e i condizionamenti agiscono automaticamente, oscurando la ragione illuminata e facendoci comunque proseguire il ciclo delle nascite e delle morti. Finché l'uomo non ne ha abbastanza e finché non capisce che non si può uscire dalla sofferenza se non estinguendo il desiderio egocentrico (di essere, di non essere, di divenire, di godere, ecc.), continuerà a stare male. A quel punto, estinto anche il karma del passato, l'uomo potrà approdare ad un piano dove non c'è più né vita né morte, né io né Dio. In fondo, l'ego non è nient'altro che una separazione e delimitazione dell'incondizionato.
Ma il punto centrale di questo processo di liberazione è una chiara presa di coscienza che tutte le cose sono impermanenti e che tutte sono soggette al dolore. È da qui che nasce la saggezza e la volontà di liberarsi dell'insensato ciclo della vita-e-della-morte. Se non lo facciamo, il ciclo continuerà ad andare avanti all'infinito. E noi continueremo a illuderci, a desiderare e a soffrire. In sostanza, è su questa consapevolezza che bisogna lavorare. Tutto il resto - il comportamento e le decisioni da prendere nell'esistenza - sono conseguenti.
Certo, siamo a un passo avanti rispetto alle altre religioni, che ci fanno sognare paradisi e dei salvatori. Per il buddhismo, tutte queste cose possono anche esistere, ma sono anch'esse soggette al ciclo delle nascite e delle morti. È come se il Buddha guardasse molto ma molto più lontano. Al di là dei paradisi e degli dei. Inoltre egli non dice che bisogna accettare queste spiegazioni per fede, ma solo dopo averle sperimentate personalmente.