mercoledì 31 luglio 2019

Il digiuno e la pace


Non c'è proprio nulla da fare: le religioni hanno ancora la testa nel Medioevo, se non ancora più indietro. Si digiuna e si prega per invocare la pace. Ma che cosa si crede? Che saltando qualche brioche e pregando l'Onnipotente, questi ci ascolti e ci mandi la pace?
       Eppure quel Dio che si prega sarebbe proprio quello che ha costituito il mondo sul contrasto, sullo scontro, sulla rivalità, sulla competizione. Guardate la natura, dove ogni animale per mangiare deve ucciderne altri.
       L'idea è veramente bislacca, ma sintomatica di una mentalità che è dura a morire. Io digiuno, faccio il fioretto, e Dio mi ascolta. Io sacrifico qualcosa e Dio mi darà in compenso qualcos'altro. Quando mai? Quando mai succede? E, perché, per farsi ascoltare da Dio, bisogna far dei sacrifici?
       L'intero ascetismo antico era basato su questa idea. Che non ha mai funzionato. Ci si affamava, ci si assetava, ci si torturava il corpo - nella speranza che Dio ci ascoltasse o si facesse sentire.
       Idee vecchie di Dio, idee vecchie dell'ascetismo, idee vecchie della spiritualità. Ma le religioni insistono ancora con queste stupidaggini, tutte basate sul concetto di sacrificio, di rinuncia, e sull’idea che Dio sia come una persona che ragiona, che tratta, che commercia, e con cui si possa giungere a un compromesso, a un accordo, a uno scambio. Anche Gesù pregava il Padre - e s'è visto come è finito.
       Bisogna essere pragmatici e realisti. Se siete credenti, digiunate e pregate. Se scoppierà la pace, vorrà dire che avete avuto ragione. Ma, se scoppierà di nuovo la guerra, vorrà dire che vi dovete aggiornare su che cosa sia Dio e su come si possa comunicare con un simile potere.
Forse il digiuno cui ci si riferisce dovrebbe essere quello della mente. Ma anche voi dovrete mangiare e uccidere. Anche Gesù pescava un pesce e se lo mangiava. Come poteva credere che il Padre fosse un bonaccione? Semmai, assomiglia a un macellaio e il mondo è il suo macello.




 


Zazen


Zazen è stare seduti semplicemente nella postura del Buddha, senza secondi fini, senza intenzioni, senza aspirazioni, neppure quella di ottenere l'illuminazione. È stare seduti in meditazione senza pensieri, senza cercare né volere qualcosa. È come togliersi tutti gli abiti per far rifulgere il nudo sé.
       Sembra facile, ma non lo è. Infatti, l'uomo è un animale pensante e desiderante.
       Mentre lasciar cadere il corpo è relativamente semplice, lasciar cadere la mente, con tutti i suoi pensieri e i suoi desideri, è difficile.
       Eppure, stare seduti così in zazen (shikantaza) è già samadhi. Lo dice chiaramente Dogen, il grande maestro giapponese del XIII secolo:

"Quando qualcuno assume la postura del Buddha con tutto il corpo e la mente, e siede eretto in questo samadhi anche solo per breve tempo, ogni cosa nell'universo diventa la postura del Buddha e l'intero spazio diventa meditazione. Anche se soltanto una persona siede per breve tempo, poiché tale zazen è una sola cosa con ogni esistenza e permea completamente ogni tempo, esso realizza la guida del Buddha entro l'inesauribile universo del passato, del presente e del futuro. La pratica seduta è di per sé la pratica del Buddha. Lo zazen è di per sé non fare".

Questo è il principio del Soto Zen. Stare seduti in meditazione è già samadhi.
Proviamo a star seduti in questo modo, senza pensieri, ma consapevoli della nobiltà di ciò che stiamo facendo.

martedì 30 luglio 2019

Il potere di Maya


Il Papa si sgola tutti i giorni per caldeggiare la pace. E fa bene. Ma evidentemente nessuno lo ascolta. Non lo ascoltano né i potenti della Terra, che continuano a fare guerre, né il Potente del cielo - che, anzi, ha concepito il mondo come luogo del conflitto.
       Povero Francesco, quando si renderà conto che il Dio di cui parla non è reale, ma solo un'immagine della mente?
       A quel punto, non potrà più fare come Ratzinger, che se ne è andato. Ma dovrà sciogliere la Chiesa.
       Gesù si rese conto di questa verità quando sulla croce esclamò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Realizzò che la sua idea di Dio era sbagliata. Dio non aiuta nessuno.
       Questa fu la sua illuminazione.
       Ovviamente, i cristiani non lo hanno capito. E hanno continuato a coltivare un'illusione per duemila anni.
       Mi domanderete: è possibile che milioni di uomini si siano sbagliati?
       Oh, sì, perché il vero Dio di questo mondo è Maya, la dea dell'illusione.
       È Il potere di Maya che domina le menti umane.

Il lavoro della meditazione


Il lavoro compiuto in meditazione è in realtà un lavoro compiuto da una persona e da tutto ciò che lo circonda: gli altri esseri, il mondo intero.

          L'io che pratica, la pratica stessa e la meta non sono tre, ma un tutt'uno. In quel momento è l'essere stesso che prende coscienza di sé.
          Dobbiamo esserne consapevoli. Non siamo soli. Lavoriamo per l’evoluzione del mondo.

La religione dei figli


La religione convenzionale, istituzionale, va bene per individui che non sono mai diventati autonomi e che non vogliono esserlo. Che si sentono "figli". Che hanno bisogno di un Padre e di una gerarchia.

              Ecco il successo del cristianesimo, la religione del "figlio".

              Ed ecco perché queste religioni sono un grosso ostacolo sulla via dell'evoluzione spirituale: bloccano lo sviluppo individuale, l'assunzione di responsabilità.


La natura del tempo


Agli occhi di un ipotetico Dio, capace di vedere tutto in un unico sguardo, non ci sarebbe differenza tra passato e futuro – tutto sarebbe presente nello stesso istante. Ma poiché noi non siamo capaci di abbracciare tutto in un unico sguardo, per noi esistono tutte queste distinzioni e limitazioni e altre ancora. In ultima analisi, il tempo è la misura della nostra incapacità. Come scrive Carlo Rovelli in L’ordine del tempo (Adelphi), “la differenza tra passato e futuro si riferisce alla nostra visione sfocata del mondo”. Il problema è che siamo “miopi”.


lunedì 29 luglio 2019

Chi si illumina?


Diciamo che vogliamo essere illuminati o realizzati. Ma l'errore è credere che un io possa "diventare" illuminato o realizzato. Presupponiamo una separazione che in realtà non c'è. Quell'io è già una parte del tutto.

              L'attività di sedere in meditazione non è "compiuta" da un io, non deve essere lo sforzo di un io.

              Più "io" mi sforzo, più mi allontano dalla meta - che è riconoscere che l'io è parte del tutto.

              Non devo sentirmi come un io che cerca di raggiungere un obiettivo - dunque un ego separato -, ma come il sé che cerca di reintegrarsi nella propria natura originaria, unitaria.

              Ecco perché la meditazione è far cessare lo sforzo per essere quel che si è già. Devo arretrare sul mio sé, anziché protendermi verso una meta. È come sciogliersi su di sé, invece di raggrumarsi sempre di più.


Dimorare nella calma


Forse chi resta deluso dalla meditazione si aspettava qualcosa di irreale. Spesso l'errore viene dal cercare stati alterati di coscienza, esperienze sconvolgenti o soprannaturali: samadhi, satori, rivelazioni... Proviamo piuttosto a impegnarci a rimanere calmi - ma veramente calmi, in ogni circostanza. Proviamo a permanere nella calma. Per farlo, dobbiamo imporci un'attenta osservazione degli eventi e dei nostri stati d'animo, in rapporto a quel che ci capita: accorgerci quando si avvicinano turbamenti, quali risentimento, ira, preoccupazione, antipatia, gelosia, ecc. Pare poco. Ma è il punto di partenza della meditazione e della vita.

              Dimorare nella calma, qualsiasi cosa succeda. Non è una conquista soprannaturale, ma straordinaria, sì.

              Dimorare nella calma è la prima parte di un processo che ci permetterà in seguito di affrontare indagini ancora più avanzate. Scoprire come è fatto il mondo - e noi stessi. Vedere l'inconsistenza di tanta agitazione. Identificare le motivazioni umane. Svelare la natura del mondo. È l'inizio.



Pregiudizi smentiti


Dopo l’uccisione del carabiniere, certi politici si erano subito scagliati furiosamente (ma senza saper nulla) contro gli emigranti neri e avevano incitato a buttarli fuori subito.
Poi si è scoperto che gli assassini erano due ragazzi americani benestanti che avevano studiato in costose scuole private cattoliche ed erano a Roma in vacanza.
Quindi si è scoperto che il carabiniere ucciso a coltellate era una specie di missionario che aiutava gli altri e si recava nei santuari ad aiutare i disabili. E a Lourdes si era affidato alla “protezione della vergine Maria”!
Con un colpo solo, smentiti tutti i pregiudizi… e le fedi.

domenica 28 luglio 2019

Fede e intelligenza


Un recente studio, pubblicato sulla "Personality and Social Psichology Review" da Miron Zuckerman Jordan Silberman e Judith A. Hall, dimostra che più uno è religioso più è stupido. Lo sospettavamo. Credere in un Dio a misura d'uomo, che interviene nel mondo (contro tutte le evidenze), che invia profeti o Messia e che sceglie una religione (fra le tante) è certamente il segno di una scarsa intelligenza. E che dire di coloro che credono ciecamente in qualche libro sacro - scritto direttamente su ispirazione divina - e che sostengono che il mondo è stato creato in sette giorni e che non esiste nessuna evoluzione? Diciamo che sono tutte persone prive di senso critico e di cultura, che si affidano senza ragionare alla prima fede disponibile. Non a caso, le religioni sono in regresso nelle società più sviluppate e hanno un grande successo nei paesi del terzo mondo.

              Le persone intelligenti ragionano con la loro testa, sono meno conformiste e non accettano dogmi religiosi del tutto infondati e irrazionali. Gli sciocchi, invece, non aspettano altro che di trovare un "pastore" che li guidi come pecore, che dica loro che cosa è bene e che cosa è male e che li assoggetti con rituali. L'uomo religioso non vuole avere dubbi: vuole spiegazioni semplici su come è fatto il mondo. Ed è un conservatore nato.

              Naturalmente non bisogna credere ciecamente neppure a questo tipo di ricerche statistiche. Semmai, è bene distinguere tra religiosità come ricerca spirituale, basata comunque sempre sull'esperienza personale, e religiosità come semplice adeguamento alle credenze date. È giusto porsi degli interrogativi sul senso della vita e della morte. Ma è stupido credere che le risposte possano essere racchiuse in una religione, in un credo o in una setta.

 



La postura in meditazione


Se avete la fortuna in questo periodo di poter vivere a contatto con un ambiente naturale - e non avete mai fatto meditazione - ecco alcuni suggerimenti. Trovatevi un posto tranquillo e assumete la seguente postura:

 

              1) Sedetevi con le gambe incrociate

              2) Tenete la spina dorsale diritta ma non rigida

              3) Allineate le spalle alle anche e mantenetele rilassate

              4) La testa leggermente inclinata in avanti; il mento allineato con l'ombelico 

              5) Le mani posate a palme verso l'alto l'una sull'altra, i pollici in contatto

              6) La punta della lingua tocca il palato superiore

              7) Gli occhi semichiusi, rivolti a circa un metro davanti a voi.

 

In realtà la posizione degli occhi è importante. Infatti non devono guardare qualcosa, non devono focalizzarsi su niente. Ad un certo punto è meglio chiuderli. Esistono però vari modi di chiuderli. Non si tratta di chiuderli come possiamo fare normalmente; e neppure di mettersi a fissare la punta del naso o il centro fra le sopracciglia, così come ci suggeriscono certi manuali. Si tratta di chiuderli per non guardare niente di esterno e, soprattutto, per interrompere ogni pensiero.

              Provate varie posizioni degli occhi finché non capite quale sia la loro posizione che corrisponde ad un'interruzione o comunque ad un rallentamento dell'attività mentale. Bisogna provare: non si può descrivere a parole.

              In realtà nessun processo di meditazione può essere descritto a parole... dato che il suo scopo è uscire dal mondo delle parole e dei concetti.

              In questa posizione provate, a polmoni vuoti, cioè dopo un'espirazione, a interrompere il respiro... con lo scopo ovviamente di interrompere l'attività mentale.

              Perché interrompere l'attività mentale? Perché la nostra mente ricostruisce e interpreta il mondo secondo categorie prestabilite, utili certo, ma comunque non oggettive. La realtà ultima è un'altra cosa.

              Come si capisce, la postura della meditazione è essenzialmente una postura psico-fisica. Ci si mette seduti in un certo modo per assumere una certa postura della mente. Ma, naturalmente, nessuna di queste indicazioni è coercitiva. Quando avrete trovato la posizione «mentale», potrete anche stare seduti su una sedia, su una poltrona, su uno sgabello, in piedi o in qualunque altra posizione. Anche l'ambiente naturale non è indispensabile. Si tratta di espedienti, non di conditio sine qua non. All'inizio, però, è bene trovare una postura che contraddistingua la posizione meditativa da qualunque altra posizione, in modo da staccarsi da ogni abitudine consolidata.

              In meditazione vale più una prova pratica di mille parole.

 



Gli alienati


Sì, siamo sempre connessi con ogni parte del mondo. Ma siamo sicuri di essere connessi con noi stessi?
Ricordiamoci, periodicamente, magari con una app, che dobbiamo uscire dal mondo esteriore per connetterci con noi stessi. Se no, rimarremo degli alienati, automi senza anima.

venerdì 26 luglio 2019

L'occhio della mente


L'uomo è l'essere che può contemplare con un unico sguardo d'insieme la propria vita e la propria morte.
              Contemplare non è solo pensare. Pensare è concepire in termini concettuali; contemplare è vedere con l'occhio della mente.
              Non è un caso che il nostro passatempo preferito sia guardare immagini che scorrono su uno schermo (del cinema, della televisione, di un computer...). La mente svolge sempre questo lavoro, anche nella cosiddetta realtà. Tutto non è che immagine, apparenza, gioco di luci, di ombre, di colori, di suoni, di odori, di sapori...
              Ma ogni percezione è in realtà vuota: persiste un momento e poi scompare dallo schermo. Il "momento" può durare un istante o cento anni, però è pur sempre temporaneo.
              Solo nell'assenza dei concetti tradizionali possiamo avvicinarci alla realtà ultima.

La famiglia e l'idea di Dio


In questo mondo esistono anche società matriarcali. Per esempio, in Cina, vivono i Mosuo in cui gli uomini e le donne abitano insieme nella casa della matriarca. Qui non ci sono le cause di tutti i conflitti: i matrimoni. Quando la ragazza raggiunge la maggiore età ha diritto ad avere una camera tutta sua, in cui potrà ricevere l'uomo che le piace. In questa società non esistono neppure le parole "padre" e "marito".
              Anche in Giappone esistono capifamiglia donne, per esempio le pescatrici Ama, che riescono a immergersi in mare fino a ottanta anni. Sono forti e indipendenti, e il loro nome deriva dalla dea Amatarasu.
              Ovviamente, società matriarcali come queste non adorano divinità maschili, non hanno nessuna idea che Dio sia un Padre. Il che dimostra che i nostri concetti di una famiglia patriarcale e di un Dio Padre sono strettamente collegati e che la nostra idea di divinità è sempre condizionata dalla società in cui viviamo.
              Si pensi dunque a quante idee di Dio (e di famiglia) si possono avere e a quanto sbaglino le maggiori religioni quando concepiscono l'Assoluto in termini maschili. Si tratta di semplici convenzioni, di proiezioni mentali e culturali. Si può benissimo concepire l'Assoluto non in termini di persona (che finisce per dover essere o maschile o femminile), ma in termini di realtà ultima e di trascendenza. Che c'entrano i padri e le madri? Non sono certo la realtà ultima.
              Quando preghiamo Dio a chi ci rivolgiamo? A un'idea della nostra mente su ciò che dovrebbe essere Dio.


Con un altro senso


Sembra impossibile per noi pensare senza i concetti di utilità, finalità e razionalità. Noi cerchiamo la ragione delle cose. Qualcuno o qualcosa che deve averci creato per qualche scopo. Come se tutto fosse calcolato, come se tutto fosse necessario, come se tutto avesse sempre un perché.
Eppure può esserci una ragione interna di cui non ci rendiamo conto.
Quando arriviamo alle ragioni ultime, non c’è più un perché che soddisfi le nostre esigenze. Ma esiste comunque un senso, una direzione che è inscritta nei vari processi. Non c’è un perché del seme che si trasforma in quercia. Si trasforma e basta.
Dobbiamo capirlo dall’interno, senza che ci sia un senso razionale. Ma la direzione c’è sempre, anche se non sempre è razionale secondo la logica classica.
È la nostra logica che in certi casi è insufficiente.
Ma già esiste una scienza, la meccanica quantistica, che è controfattuale e controintuitiva. A dimostrazione che il mondo non risponde a una sola e limitata logica.

giovedì 25 luglio 2019

La "fortunata" nascita umana


Come dicevo, il buddhismo sostiene che esistono sei regni in cui si può rinascere: il regno degli dei, il regno degli dei gelosi, il regno umano, il regno animale,il regno degli spiriti affamati e il regno infernale. Detto così, sembra di parlare di paradisi, purgatori e inferni in versione orientale. E in parte è vero. Ma non bisogna dimenticare che queste situazioni non sono tanto luoghi fisici, quanto stati psicologici. Non solo: sono anche sempre presenti in questo mondo.
              Infatti, il regno degli dei è sì caratterizzato da una lunga e felice vita, ma anche da un grave difetto: l'orgoglio, la presunzione. Gli dei si sentono così a loro agio che s'illudono di non dover più cercare nulla, di essere già individui realizzati. E, anche se vivono a lungo, non sono affatto immortali. Di conseguenza, quando moriranno, soffriranno anche loro e, alla fine, avranno perduto la loro occasione.
              Nel secondo regno, ci sono dei che sono gelosi dei primi, e quindi sono dominati dalla competizione e dall'invidia.
              Il regno degli esseri umani è dominato dal desiderio, dalla passione, dall'attaccamento, dalla brama e, ovviamente, da una insopprimibile insoddisfazione.
              Il regno degli animali è caratterizzato dalla stupidità, dalla incapacità di riflettere e dagli istinti.
              Il regno degli spiriti affamati è caratterizzato dall'avidità, dall'avarizia e perciò da un appetito insaziabile, in ogni senso.
              Infine il regno infernale è dominato da rabbia, paura, avversione, odio e, quindi, da sofferenza.
              Come si vede, tutti questi stati si trovano anche nel nostro mondo. Chi non conosce i ricchi e i potenti che si credono superiori a tutti, gli uomini dominati dalla competizione e dall'invidia, gli individui dominati dalla passione e dall'attaccamento, le persone incapaci di pensare con la loro testa e gli uomini in preda all'avidità? E chi non riconosce anche in se stesso queste tendenze, queste caratteristiche psicologiche?
              Ma resta il fatto che proprio gli uomini si trovano in una condizione mediana che è più favorevole ad una presa di coscienza e ad un risveglio spirituale. Per questo si parla di una "fortunata nascita umana".

È fortunata se ti liberi da tutto questo ciarpame “religioso” e capisci che hai sempre a che fare con proiezioni mentali.


La caduta degli dei


Secondo il buddhismo, dopo la morte possiamo rinascere - in base al nostro karma, ossia in base al nostro grado di evoluzione spirituale - in sei regni: il regno degli dei, il regno degli dei gelosi, il regno umano, il regno degli animali, il regno degli spiriti affamati e il regno infernale. Ora, il regno degli dei è caratterizzato da una grande gioia e da una lunga vita. Andrebbe dunque tutto bene... se non fosse che anche questo regno ha un grosso limite. Gli dei infatti sono dominati dall'orgoglio, credono di aver raggiunto l'apice dell'esistenza e pensano di non aver più nulla da conquistare. Errore catastrofico, perché prima o poi il loro karma positivo si esaurirà e anche loro moriranno - e dovranno reincarnarsi.
                   Forse la stessa cosa è capitata ai nostri dei che si sono creduti onnipotenti e realizzati, ma che alla fine si sono estinti, passando di colpo dalla soddisfazione alla disperazione. Ed eccolo il nostro mondo, pieno di dei, ma sempre infelice.
                   Poiché questi sei regni sono in realtà stati psicologici, sono presenti anche in questa vita. L'orgoglio degli dei è la presunzione dei ricchi e dei potenti, che si credono padroni di tutto. Ma essere padroni del mondo e degli uomini non significa avanzare sul cammino spirituale; anzi, significa spesso un blocco di ogni ricerca, di ogni saggezza.
                   Ecco perché tutti - poveri o ricchi, potenti o miserabili, felici o infelici - dovrebbero considerare la loro vita nient'altro che un intervallo, nient'altro che un sogno, di cui dovrebbero approfittare per acquisire un po' di vera sapienza.


L'età degli dei


Vi ricordate quante erano le divinità greco-romane? Decine e decine. Ad esse venivano eretti templi giganteschi, la gente vi si recava per chiedere grazie di ogni genere, il loro culto era sostenuto da classi di sacerdoti e molti uomini e donne credevano ciecamente a questi dei. Dove sono finiti? Ovviamente i templi sono crollati, i culti sono cambiati, le divinità hanno un altro nome, nuove classi di sacerdoti si sono affermate e tutto è diverso - o forse uguale. Non sono cambiate le caratteristiche umane, come la saggezza, la bontà, l'amore, l’ambivalenza, la potenza, l'intelligenza, la bellezza, la bellicosità, ecc., nonché i loro contrari, di cui quegli dei erano rappresentazioni.
              Pensiamo anche alle divinità dei maya o degli antichi egizi. Ad esse erano stati eretti templi, venivano dedicati sacrifici e classi di sacerdoti facevano da mediatori e da interpreti. La gente, come la solito, ci credeva, e prendeva tutto per vero, anche quando le lotte di potere tra sacerdoti e re portavano a cambiare i nomi e a sostituire un culto con un altro.
              Oggi tutto è cambiato, ma in un certo senso tutto è rimasto uguale. Un dio si è sostituito a un altro. I templi e i rituali ci sono ancora. I sacerdoti sono ancora presenti e lottano sempre per il potere.
              Nell'India antica, le classi sacerdotali (i brahmani) erano così potenti da sostenere che, senza di loro, neppure gli dei potevano operare.
              Nel cristianesimo è cambiato poco. Le chiese si sono sostituite ai templi, e la casta sacerdotale è sempre presente e lotta per il potere. La gente in parte crede e in parte no. Ma partecipa ai rituali e adora sempre questa o quella divinità. Si dice che al culto degli dei si sia sostituito il monoteismo. Ma non è vero. Esistono almeno quattro dei maggiori: il padre, il figlio (identificato in un uomo), lo Spirito santo e la Madonna, che è l'aspetto femminile del divino. E poi ci sono un'infinità di pseudo-divinità di origine umana: i santi, tutti con il loro culto e i loro fedeli.
              In Tibet, si credeva e si crede in quarantadue divinità "pacifiche" e in cinquantotto divinità "irate", tutte identificate da forme, colori, suoni, qualità, ecc, con le loro controparti femminili.
              Insomma l'età degli dei non è mai finita, perché la mente umana è quella che è e ha ancora bisogno di credere a simili rappresentazioni. Ma quello che è certo è che, fra mille anni, ci saranno altri dei, altre chiese, altri sacerdoti, altri rituali e altri credenti.
              Gli uomini non sono ancora maturi per superare simili credenze, e per arrivare a convincersi - come d'altronde si afferma in Tibet - che tutte queste divinità non sono altro che proiezioni della mente umana.
              Per quanto riguarda le religioni, l’umanità si trova ancora in uno stadio infantile di evoluzione.

L'errore di Gesù


Gesù non ha predicato male, ha solo sbagliato il protettore.
Ha puntato su una figura mitologica che non esisteva realmente - il Padre amorevole.
Ed ha una grande colpa: aver illuso tanti suoi seguaci. Che ancora oggi si aspettano una Provvidenza che non c’è.

La perfezione dell'io


Ogni volta che ci imponiamo di essere “angelici,” diventiamo artificiali. Guardate certi preti ipocriti: si capisce lontano un miglio che sono falsi, che si mettono una maschera, che non sono se stessi.
In realtà, nel momento in cui vogliono essere perfetti, fanno ammalare la loro anima. E non essere se stessi è il peggior peccato contro la vita.
L’io è ambiguo per natura. Se ne togliamo una parte, diventa una corazza che vorrebbe imprigionare la vita. E, quando ci riesce, la uccide.


Dopo la morte


Dopo la morte ci ritroveremo a tu per tu, soli, con il potere proiettivo della nostra mente. Senza più un ancoraggio al corpo fisico, tutto ciò che penseremo si avvererà immediatamente. Se vorremo volare, voleremo. Se vorremo andare sulla luna, ci saremo in un attimo. Se vorremo mille donne, le avremo. Se vorremo abitare in un palazzo principesco, esso comparirà istantaneamente davanti a noi. Se vorremo rivedere le persone care, le rivedremo... Ma ci renderemo anche conto che si tratta di creazioni mentali, senza consistenza, di pure apparenze. E sarà quindi molto importante riconoscere che ciò che vediamo è esattamente ciò che pensiamo, ciò che noi stessi proiettiamo.
              Ci potranno anche apparire figure religiose cui siamo particolarmente legati (Gesù, Maometto, Mosè, Buddha...) e ci sembreranno reali come le immagini sacre che abbiamo visto in vita. Ma anch'esse non saranno che... immagini - immagini proiettate dalla nostra mente.
              Si apriranno allora le porte dell'inconscio e tutte le nostre pulsioni, positive e negative, salteranno fuori e ci possiederanno. Ci faranno agitare come marionette, come piume trascinate dal vento. Dopo aver soddisfatto immaginariamente i nostri desideri repressi per tutta la vita, ci ritroveremo a fare i conti con le nostre paure, con i nostri incubi, anche questi mai risolti. Figure terrorizzanti ci appariranno davanti e noi non sapremo come difenderci.
              Solo se ci renderemo conto che si tratta di nostre proiezioni, potremo cercare di calmare la mente e scacciare ciò che ci terrorizza. E solo se avremo addestrato la mente a rimanere calma e serena, potremo alla fine liberarci di tutte le apparenze e incamminarci verso mondi migliori.
              Ma già oggi è così. Ecco perché è così importante addestrarci fin da subito a riconoscere il potere della mente e a calmarlo per dedicarci alla nostra liberazione.


mercoledì 24 luglio 2019

Sogno e realtà


Non c'è una differenza sostanziale tra sogno e realtà. Anche nel sogno notturno crediamo che tutto sia vero e soffriamo o godiamo. La differenza è nella durata: un sogno dura poco, la vita dura qualche decina d'anni.
              Perché allora li distinguiamo? Perché dal sogno ci svegliamo e scopriamo che è stata tutta un'illusione, una costruzione mentale. Ma anche dal sogno di questa vita un giorno ci risveglieremo e scopriremo che è stata tutta una proiezione della mente. Le nascite, le morti, le passioni, gli amori, le guerre, gli odi, gli dei, le religioni... tutto non è stato che un lungo sogno.
              Ci sveglieremo e ci renderemo conto che si era trattato di proiezioni mentali.
              Ma dove ci troveremo, allora? Sempre qui, ma in un altro sogno. Perché i sogni sono infiniti, l'uno dentro l'altro - come gli universi, come le bambole russe. A meno che...
              ... a meno che non ci si svegli definitivamente dal sogno della vita, del crescere e della morte, dal sogno dell'essere, del non essere e del divenire. E a questo si può provvedere già fin da ora, osservando.

La natura ultima della mente


Quando viviamo forti emozioni, non sprechiamo la loro energia. Semplicemente osserviamo la mente e calmiamola a poco a poco. La natura di quella mente placata è la natura ultima della realtà, presente in ogni istante, anche se momentaneamente oscurata.
              Se siamo tranquilli, non sprechiamo quella calma. Ma dimoriamo in essa assaporandola. La natura ultima della realtà è quella calma consapevole, che in realtà non vuole essere niente di particolare.
              Rendiamoci conto che la natura ultima della realtà è quella calma raccolta che permane al di sotto di ogni ondata emotiva, al di là del desiderio di essere questo o quello, al di là di ogni pensiero e al di là perfino della tensione di essere un ego.
              A volte c'è un solo momento in una giornata adatto a questa esperienza: non lasciamolo perdere.

martedì 23 luglio 2019

Acuire la visione


Secondo il buddhismo tibetano, esistono quattro situazioni in cui possiamo sfuggire al controllo della mente, con tutti i suoi effetti distorsivi, e vedere più o meno chiaramente la realtà ultima. Queste quattro situazioni sono intervalli, più o meno lunghi, in cui cessa il potere proiettivo della mente.
              Il primo è quello del sogno, in cui scompare la realtà dello stato di veglia e si entra in un altro spazio. Il secondo è quello della meditazione, in cui la mente dimora in uno stato di assorbimento o 'samadhi'. Il terzo è quello della morte. E il quarto è quello della 'dharmata', che subentra subito dopo il momento della morte.
              A questo punto, se non abbiamo riconosciuta la realtà ultima, cioè se non ci siamo risvegliati, vaghiamo per 49 giorni, vivendo esperienze intense ma confuse in cui diventa sempre più forte il desiderio di una rinascita. Entrando infine in un nuovo utero, siamo soggetti a tutte le esperienze di questo mondo, con le sue sofferenze e la sua confusione. E tutto ricomincia da capo.
              Ovviamente, se in vita abbiamo appreso le idee giuste e se abbiamo almeno riflettuto sulla natura di questo mondo, abbiamo più probabilità di risvegliarci in uno di questi intervalli e di non desiderare più di rientrare in questa dimensione della sofferenza e della morte. Scoprendo la natura luminosa della realtà, 'capiamo' che esiste un'altra possibilità di 'vita', fondata su una maggiore consapevolezza e non più legata al ciclo delle nascite e delle morti.
              I quattro intervalli naturali che ci vengono offerti sono periodi in cui cessa quella specie di sonno in cui viviamo abitualmente, caratterizzato da una visione confusa e illusoria, e in cui ci si presenta la possibilità di essere più consapevoli e di vedere più chiaramente.
              Dei quattro intervalli, quello legato alla meditazione è l'occasione alla portata di tutti. Lì possiamo lavorare per rendere più chiara la visione, per prepararci ad essere meno confusi prima e dopo la morte.
              Sappiamo che i metodi di meditazione si riducono a due grandi categorie: "shamata" e "vipasssana". Nella prima si tratta di trovare la calma e di rendere stabile la mente, non più soggetta alle oscillazioni degli stati d'animo disturbanti e disturbati. Nella seconda si tratta di osservare non più questo o quello, ma la nostra stessa consapevolezza priva di contenuti, raggiungendo una visione profonda.
              Meditare non è pensare a qualcosa di specifico, ma andare al di là dei concetti mentali. In tal senso è liberarsi dei pensieri e degli schemi comuni.
              Chi crede in Dio, pensa di poter essere salvato da qualche divinità. Ma nessun Dio può gestire la nostra mente: non esiste l'elisir della saggezza, né tanto meno quello dell'intelligenza. E ognuno deve acuire la propria intuizione.


lunedì 22 luglio 2019

Cogliere il momento


In un momento nasciamo, in un momento moriamo. Ogni momento nasce, ogni momento muore. Quanto dura un momento? Diciamo un attimo, un istante. Un attimo eravamo lì e ora siamo qui. Un attimo eravamo così e ora siamo un pochino o molto diversi... È bastato un attimo. I pensieri vanno e vengono in uno o più attimi; e lo stesso le sensazioni e le emozioni. Ogni cosa nella nostra realtà ha una struttura discontinua, momentanea, temporanea. Ci sono cose che durano di più, magari tutta la vita - per esempio il senso dell'io. Ma comunque si modificano e infine passano anche loro. E, in ogni caso, che cos'è la durata di una vita umana rispetto ai 13,8 miliardi di anni di vita dell'universo? Già, ma anche l'universo è destinato a finire… in un attimo.
              Questo vuol dire che noi viviamo sempre a cavallo tra due attimi - più o meno lunghi. Viviamo in un intervallo, in uno stato di passaggio, tra un attimo e l'altro - ciò che i tibetani chiamano «bardo». Il tempo segue questa linea discontinua: un momento prima era il passato, ora è il presente e fra un istante sarà il futuro. Ma in realtà tutti i nostri ricordi e le nostre anticipazioni avvengono nel momento presente.
              Viviamo sempre nel presente, anche quando ricordiamo o fantastichiamo sul futuro. E anche quando moriremo, moriremo in un presente, in un qui e ora. Ma la cosa più assurda è che non riusciamo mai a cogliere l'istante presente. È come cercare di afferrare la propria ombra. Siamo sempre nel presente, ma, non appena cerchiamo di afferrarlo, è già passato. Un attimo è troppo breve. Ci sfugge subito.
              Eppure questa è l'esperienza che dobbiamo fare se vogliamo capire che cosa sia la realtà. La realtà è quell'attimo lì, è nel qui e ora, che ci sfugge sempre.
              In ogni momento siamo a un bivio e in ogni momento perdiamo l'occasione. Perché l'attimo sfugge subito e noi non lo afferriamo. Così ci sfugge l'essenza della realtà. Magari viviamo cent'anni e non so quanti miliardi di attimi, ma l'occasione ci sfugge sempre. Ci sfugge la vera natura della realtà, ci sfugge la vera natura della mente, che è sempre nel presente, consapevole, luminosa e trasparente.
              Forse è meglio rallentare un po' il ritmo della vita e il ritmo della mente, e rilassarci. Anziché inseguire la nostra coda, come fa il gatto, fermiamoci a guardarla. È sempre lì, è sempre qui. Non c'è bisogno di inseguirla.
              Se riconoscessimo la vera natura della realtà, la vera natura della mente, scopriremmo che è sempre stata lì, anzi qui, e che siamo stati noi a perderla... per il troppo desiderio di afferrarla. Calmiamoci e guardiamo. Un attimo è più che sufficiente - e ne abbiamo a disposizione parecchi.


domenica 21 luglio 2019

Il Vuoto creatore


Secondo gli ultimi studi della fisica, all’origine di tutto non c’è un Dio ma il vuoto. Per esempio, il fisico Guido Tonelli scive in Genesi, il grande racconto delle origini, Feltrinelli, 2019: “Che l’universo intero provenga dal vuoto o, per meglio dire, sia tuttora ancora  e semplicemente uno stato di vuoto che ha subito una metamorfosi sembra essere l’ipotesi più convincente della moderna cosmologia; o perlomeno quella più congruente con la serie innumerevole di osservazioni fin qui raccolta”.
Questo vuoto non è un nulla, ma piuttosto uno zero, nel senso che “l’universo ha energia nulla, quantità di moto nulla, momento angolare nulla, carica elettrica nulla”. Non c’è dunque bisogno di “nessuno strano meccanismo che concentri nella singolarità iniziale enormi quantità di materia e di energia”.
Ed è utile ricordare che questa idea si ritrova nel taoismo e nel buddhismo, non nelle teologie del Dio. Per esempio, la “dottrina della vacuità” è “concetto fondamentale del buddhismo tibetano, secondo cui tutti i corpi materiali sono in realtà privi di un’esistenza propria e indipendente”.
Ora, per avvicinarsi a questa Origine, non serve a niente pregare un Dio inteso come essere, potere, amore ed energia. Ma è molto meglio farci noi stessi vuoti di parole, di pensieri, di immagini, di desideri, di intenzioni, ecc.
Se l’Origine è vuota, l’imitatio Dei è farsi vuoti in meditazione.

sabato 20 luglio 2019

Migliorare la vista


In alcuni film ci viene raccontata l'intera storia di qualche personaggio. Lo vediamo nascere, diventare un bambino, poi un ragazzo, poi un giovane, poi un uomo maturo, poi un vecchio e infine lo vediamo morire. Fine della storia?
              Ci accorgiamo benissimo di come lo stesso personaggio si trasformi continuamente attraverso le varie età della vita. È sempre lo stesso individuo, ma cambia minuto per minuto. Ma anche noi abbiamo una visione parziale delle cose, perché ci siamo dentro. Sappiamo che cambiamo, ma non ce ne rendiamo conto sul momento. Cambia il corpo e cambia la mente. E tuttavia qualcosa di fisso rimane, perché sappiamo che la persona è la stessa.
              Ora, se fossimo dei fantasiosi registi che credono nel karma, potremmo andare avanti, e immaginarci altre vite, o andare indietro, e rievocare le precedenti incarnazioni. Insomma l'individuo sarebbe sempre lo stesso, ma cambierebbe e non si ricorderebbe più chi è stato - come succede a certe persone colpite da amnesia. Se potessimo avere una visione completa, avremmo presenti tutte queste esistenze e sapremmo che cosa cambia e che cosa rimane uguale.
              Noi pensiamo che con la morte finisca la nostra evoluzione, ma potremmo pensare a un'ulteriore trasformazione. Il problema è che non vediamo più il corpo. Se però il corpo avesse una trasformazione in qualcosa di non visibile ai nostri occhi attuali, potremmo ipotizzare una prosecuzione sotto un'altra forma. E allora dovremmo anche capire com'era prima di nascere. Sotto quale forma esisteva? In fondo, in Oriente si crede a vari tipi di corpi, per esempio al «corpo sottile» o al «corpo causale».
              Perché è certo che dal nulla non nasce nulla. Se dunque una persona nasce, ha origine da determinate condizioni; e queste condizioni sono in un certo senso il suo corpo precedente. Quando infine muore, si creano altre condizioni che daranno origine ad un'altra forma di vita. Insomma, se potessimo avere una vista più potente e comprensiva, potremmo davvero vedere le trasformazioni di ogni individuo e capire come tutto si evolva.
              È una questione di capacità mentali. Oggi la nostra mente è molto limitata, è molto miope e ha un campo visivo molto ristretto. Ma, se fossimo capaci di allargare e approfondire la nostra visione, ci accorgeremmo della complessità, delle infinite interrelazioni fra le cose, della fluidità, della dinamicità e della continuità di ogni individualità nell'universo.
              Certo, è una questione di vista. Bisogna rinforzare la vista.

venerdì 19 luglio 2019

Trovare se stessi


Ci sentiamo continuamente dire: “Devi sforzarti, devi impegnarti, devi lottare, devi competere, devi essere forte, devi vincere, devi avere un pensiero positivo, devi esercitare la volontà… altrimenti sarai un fallito, un perdente.
Ora, l’impegno va bene, ma non qualsiasi impegno. Prima bisogna capire per che cosa siamo fatti, quale sia la nostra vera natura.
Infatti, se ti sforzi di essere e di fare ciò per cui non sei portato, se cerchi di seguire una via che non è la tua, non arriverai da nessuna parte.
Tanti sono i perdenti, non perché non avevano determinazione, ma perché cercavano di perseguire ciò che non era fatto per loro.
Purtroppo, ci facciamo spesso convincere dagli altri, da persone che non ci conoscono a fondo: famigliari, insegnanti, amici, preti, psicologi, coach, ecc.
Il problema è che queste persone hanno di noi un’idea sbagliata o superficiale e pretendono che noi realizziamo i loro sogni, non i nostri. E se noi adottiamo il loro punto di vista, andiamo incontro a un sicuro fallimento, di cui poi ci incolperanno.
Così, spesso, per senso di dovere, per conformismo o per sottomissione, entriamo in lotta contro noi stessi. E non serve a niente sforzarsi. Anzi, più ci sforziamo, più ci allontaniamo dalla nostra natura. Se ci troviamo in una situazione di sofferenza e di tensione, se a un certo punto ci sentiamo esauriti, la colpa è proprio di una simile lotta interiore.
Allora, per uscirne, dobbiamo spogliarci, liberarci, isolarci. Dobbiamo trovarci soli con noi stessi. E cercare la nostra vera identità, che non è quella sociale.
Dobbiamo stare in quiete e in silenzio, senza neppure indagare. È chiaro che abbiamo imboccato una strada sbagliata. E dobbiamo trovare quella giusta.
Nessuna sa chi siamo veramente – talvolta neppure noi stessi. Dobbiamo dunque liberarci da false identità, ricordi, insegnamenti, valori, giudizi, critiche e autocritiche. E lasciare che ciò che siamo emerga spontaneamente, senza inutili sforzi di volontà.
Questo è il potere del silenzio, della quiete, della solitudine, dello sguardo contemplativo, del lasciar andare, del non forzare le cose, del nostro autentico Sé che così a lungo abbiamo represso. Il resto sono chiacchiere che ci sviano.

giovedì 18 luglio 2019

Il valore della contemplazione


Nel capitolo 10 del Vangelo di Luca, si narra che un giorno Gesù entrò nel villaggio di Betania, dove fu ospitato da due sorelle, Marta e Maria. Mentre Maria ascoltava Gesù seduta ai suoi piedi, Marta si dava un gran daffare con vari servizi e non stava ferma un attimo. Allora Gesù la rimproverò: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".
       Che cos'è questa "parte migliore"? Ovviamente è lo stato di ascolto, l'assorbimento non nelle faccende domestiche ma nella contemplazione. Lo stesso Gesù, pur preso tra mille impegni, ogni tanto si ritirava in un luogo solitario, lontano dalla gente e dai suoi stessi compagni, e là si metteva a contemplare in silenzio, senza l'uso di parole.
In genere il cristiano ricorre in questi momenti alla preghiera. Ma ricordiamo che la preghiera più elevata è quella contemplativa, dove si sta semplicemente alla presenza del Divino senza l'uso di parole e neppure di pensieri. In Oriente si parla di meditazione, di presenza mentale... più o meno con lo stesso significato.
Essere contemplativi significa proprio fare il vuoto mentale per essere completamente assorti nell'oggetto di contemplazione. Tutte le nostre parole, tutti i nostri pensieri, infatti, sono condizionati, limitati e incapaci di rivolgersi alla Trascendenza; sono inoltre legati ai nostri desideri, a ciò che vogliamo chiedere, ai nostri interessi individuali. Mentre il modo migliore, "la parte migliore", per avvicinarsi alla Trascendenza è fare piazza pulita delle attività mentali e del senso dell'ego, che ne sta alla base. Stare in silenzio, di parole, di pensieri, di intenzioni e di secondi fini.
Nel vuoto mentale, non importa la religione dalla quale provenite.



La fine dell'anima


Paradossalmente, il buddhismo, che nega l'esistenza di un'anima, ci dice che i desideri insoddisfatti portano ad una nuova rinascita e dunque sono, se non una forma di immortalità, la causa di tante rinascite. Il meccanismo delle rinascite si fermerà solo quando non avremo più desideri insoddisfatti e capiremo che non vale più la pena rinascere, quando insomma cesserà la brama di vita. Per il buddhista, rinascere in questo mondo è una sconfitta, mentre per noi, dominati da desideri insaziabili, è una speranza. Ma il problema è che, rinascendo anche mille o diecimila volte, non sfuggiremo alla sofferenza.
       Per sfuggire alla sofferenza bisogna uscire dal ciclo di vita-morte in maniera definitiva e non avere più un desiderio di essere o non-essere, perché si è capito che la vita non può dare più di tanto. La fine della brama di vita, che significa accentrarsi intorno ad un io, con tutte le limitazioni del caso, è la fine del processo di reincarnazione e dunque segna la liberazione ultima.
       Contiamo allora i nostri desideri insoddisfatti - e avremo il numero di esistenze che ci toccherà ancora rivivere… qui su questa terra o chissà dove.
Ma alla fine che cosa avremo se non c'è un'anima che possa goderselo? Il Buddha dice che c'è pur sempre qualcosa ("non nato", "non composto", ecc), anche se non è definibile, dato che non è più pensabile con le nostre abituali categorie mentali. Ma qualcosa c'è. Non è l'annientamento completo, ma l'estinzione di una vita basata sull'ego, cioè sulla divisione sia verso noi stessi sia verso gli altri.
Ecco, noi non ragioniamo mai sul fatto che l'io è profondamente diviso, anche interiormente, e che noi non siamo veramente noi stessi, ma qualcos'altro, qualcosa di incompleto. È questa divisione, questa pretesa di separatezza, che alla fine deve scomparire. Questa vita è fondata sull'ego-centrismo e dunque non può che essere una fase di passaggio.


mercoledì 17 luglio 2019

L'illusione cosmica


Ci sono cose che diamo per scontate, ma che scontate non sono. Una di queste è il tempo.
              Anche il tempo, con la sua ordinata ma imprecisa suddivisione in passato, presente e futuro, è una convinzione che può essere messa in dubbio. Quando infatti rievochiamo qualche avvenimento del passato, lo facciamo in realtà nel presente; e lo stesso avviene quando pensiamo al futuro. Non ci troviamo quindi mai in un passato o in un futuro. Si tratta di costruzioni concettuali. Tutto avviene nel momento presente. Ma il presente viene a sua volta pensato a partire dalle idee di passato e di futuro; e, se tutto accade qui e ora, anche il presente non può essere definito.
              Aveva ragione Einstein a parlare dello spazio-tempo come di un tutt'uno. Il passato è qualcosa che sta dietro, il futuro qualcosa che sta avanti. Quando sto ne passato, compio un passo indietro; quando sto nel futuro, compio un passo avanti: mi sposto nello spazio.
              Che ora è? È qui...
              Oh, sì, siamo abituati a comprimere la realtà in precise camicie di forza, che sono i nostri concetti. E crediamo che i nostri concetti corrispondano a qualcosa di reale. Ma la meditazione dissolve anche questa certezza, abbatte le corazze delle nostre convinzioni e dei nostri attaccamenti. Tutto è terribilmente o mirabilmente inconsistente, effimero, labile, cangiante, impermanente. La fisica aggiunge anche che ci sono tanti tempi e tanti spazi.
              Dove viviamo, allora? Che cos'è questa specie di mondo che nasce e vive nel vuoto? E che cos'è questo universo che sembra fatto di nulla? Forse la risposta ci viene da Shakespeare ne “La tempesta”:

"Questi nostri attori,
come vi ho già detto, erano tutti degli spiriti,
e si sono dissolti nell'aria, nell'aria sottile.
Come l'infondato edificio di questa visione,
così si dissolveranno le torri, le cui cime toccano le nubi,
i sontuosi palazzi, i tempi solenni, lo stesso immenso mondo
e tutto ciò che esso contiene,
e, al pari di questo incorporeo spettacolo svanito,
non lasceranno dietro di sé la più piccola traccia".

Tutto è maya, un'illusione magica. E, tra i responsabili di questo gioco illusionistico, c'è la nostra stessa mente.
"Né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa." 
Agostino d'Ippona, Confessioni, 397-400