martedì 16 luglio 2019

Lo sguardo che guarisce


Con l’espressione "prendere le distanze" ci riferiamo all'atteggiamento del diventare osservatori del mondo e dei riflessi del mondo in noi stessi. Si tratta quindi della pratica della presenza mentale o dell'attenzione. Ma non bisogna cadere nel vizio di essere sempre scissi, di essere divisi: "l'osservatore è qui e il mondo è la fuori". Non ci dimentichiamo infatti che siamo pur sempre tutti uniti in un'unica rete, in un intreccio di rapporti di interdipendenza. Nessuno esiste da solo.
              In effetti un comportamento saggio comporta un certo distacco, una certa presa di distanza sia dagli altri sia da noi stessi, perché non esiste un altro modo per conoscere le cose. Ma bisogna stare attenti al pericolo di farne una sorta di difesa o di corazza, di guardare tutto come se fossimo al di là di un vetro, perché questo sarebbe una ritirata, ossia un atteggiamento psicologico malsano che crea una sorta di alienazione, che sarebbe il contrario della saggezza.
              Ma “prendere le distanze” è essenziale se non vogliamo continuare a essere manipolati e condizionati dagli altri e dagli eventi esterni. Dobbiamo prendere le distanze anche verso noi stessi, soprattutto dalle nostre ansie, dalle nostre angosce, dalle nostre paure, dai nostri obblighi e dalle nostre fissazioni. Si tratta di un atteggiamento terapeutico.
              È salutare guardare noi stessi senza giudicare e senza neppure voler intervenire. Lo sguardo che contempla, lontano dal pensiero, dall’intenzione e dal ragionamento, è il “dimenticare se stessi” cui allude il taoismo. È uno sguardo che non si propone di cambiare, di migliorare, ma che cura, perché attinge alle potenti energie che abbiamo tutti nel profondo.
              Forse noi pensiamo agli errori o alle colpe del passato ritenendoli responsabili delle difficoltà attuali. Ma più ricordiamo, più ci leghiamo a quel passato.
              Impariamo piuttosto a guarire semplicemente raccogliendoci, concentrandoci, per raggiungere le nostre radici profonde che restano sempre incontaminate. Restiamo lì solo per raccogliere energie, non per giudicarci per l’ennesima volta.
              Le nostre ansie, le nostre paure nascono da un’ossessione, da un imprigionamento mentale e psicologico. Ora dobbiamo uscirne con una mente che faccia tabula rasa del passato e ci permetta di ritrovare la nostra spontaneità.
              Se impariamo a stare silenziosi con noi stessi, senza far parlare l’io o la ragione, senza forzare, senza voler manipolare, arriviamo a riposarci in noi stessi e si innesta la trasformazione che guarisce.
Nessuna battaglia interiore, nessuna lotta, nessun proposito di perfezionismo. Semplicemente riposare in sé rilassati.
Questo significa in meditazione fare il vuoto mentale. Ritrovare quel vuoto da cui hanno origine tutte le energie.

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