giovedì 18 febbraio 2021

Il piacere di vivere

 

Non c’è dubbio che gli esseri viventi amino la vita. Non vorrebbero mai morire, non vorrebbero mai perdere la loro identità, la loro individualità. Ma vivere significa anche soffrire – talvolta parecchio. Ecco allora che ci sono dei casi in cui la sofferenza è talmente forte che si preferisce rinunciare all’esistenza.

In un senso più lato, noi moriamo proprio perché, invecchiando, ci deterioriamo e soffriamo a tal punto da desiderare anche la morte.

La morte è già inscritta nella vita.

Dunque, anche l’amore per l’esistenza, la spinta a vivere, ha in sé il suo contrario. Freud se n’era accorto e aveva identificato, accanto ad Eros (la pulsione della vita), Thanatos (la pulsione della distruttività e della morte).

Se gli uomini desiderano la vita, vogliono in realtà anche la morte.

Come succede sempre, come avevano già scoperto i taoisti, le pulsioni contrapposte (yin-yang) sono sì antagoniste, ma si sostengono a vicenda. L’una non potrebbe esistere senza l’altra. Dobbiamo quindi concludere che chi ama la vita è portato anche (senza rendersene conto) alla  distruttività e alla morte.

Per capire questo paradossale meccanismo, dobbiamo pensare che all’inizio c’è qualcosa che vuole emergere, assumere una forma, individualizzarsi e perpetuarsi, ma, con il processo di invecchiamento e con l’aumento della sofferenza e della consapevolezza, arriva a voler disfarsi di tutto e innesca il processo opposto: quello della dissoluzione e del recupero dell’unità originale con il Tutto.

Questi due movimenti agiranno lungo l’intera esistenza finché prevarrà di nuovo il processo di riunificazione con l’Uno magmatico, da cui ogni cosa esce e rientra.

Il mondo non è affatto semplice. È paradossale, E le spinte contrapposte sono sempre presenti. Questo è un dato di fatto.

Volendo essere ottimisti, diciamo che anche la morte va vista come un desiderio di piacere – il piacere di liberarsi del peso dell’io e della vita individualizzata.

 

 

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