giovedì 12 maggio 2016

La spaziosità

Sappiamo che cosa sia la presenza mentale. È essere consapevoli dei nostri atti e stati mentali: pensieri, fantasie, ricordi, previsioni, emozioni, sentimenti, ecc.
In meditazione, dobbiamo imparare ad estenderla fino a diventare continuamente consapevoli di ciò che ci scorre dentro, sia che sia provocato da eventi esterni sia da stimoli interiori.
Ma, a questo punto, non dobbiamo diventare dei maniaci, dei fissati; non dobbiamo identificarci con queste attività mentali; non dobbiamo farci assillare.
La felicità non è tener tutto sotto controllo. Questo produce esattamente il contrario: l’ossessione infelice.
Dobbiamo piuttosto introdurre una qualità che si chiama “spaziosità.” Ossia imparare a distaccarci da questi stati e atti, in modo da vederli transitare come se scorressero su uno schermo.

Facendo questa operazione, ci allontaniamo dai nostri contenuti mentali e li vediamo per quel che sono: fenomeni transitori e mutevoli. In tal modo lasciamo emergere un nuovo centro: quello del Testimone silenzioso e trasparente che osserva tutto senza esserne coinvolto. È il sé.

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