giovedì 19 gennaio 2017

Il coraggio dell'inattualità

Sembra che “fare meditazione” sia oggi un’attività non in linea con la vita moderna, dove tutti siamo oberati di impegni ed è quasi impossibile fermarsi. È come se fossimo tutti spinti da un unico fiume che non si ferma mai e che non ci permette di fermarci.
Ma non è una novità: è sempre stato così, tanto che l’immagine del fiume che ci trascina tutti, volenti o nolenti, è antica quanto il mondo. Che cos’è il simbolo della “ruota del dharma”, o della la ruota del tempo, se non questa stessa immagine di un divenire che non ci dà tregua? Il samsara è esattamente questo. E che cos’è l’antico simbolo del Tao, con lo yang e lo yin, se non questo?
Anche l’impermanenza è esattamente questo. È una forza, basata sul cambiamento, che impedisce ad ogni cosa e ad ogni essere di stare immobile.
Proprio qui noi ci ribelliamo. Non nel senso che vogliamo opporci al tempo, ma nel senso che ci ancoriamo all’unico centro, all’unico punto di riferimento che possediamo: la nostra stessa consapevolezza. Un’isola si salvezza e di contemplazione, in mezzo al grande mare delle onde, dei venti e delle correnti. Un punto fermo in un oceano instabile.
Stare immobili fisicamente corrisponde in realtà ad essere consapevoli, a prendere la consapevolezza come testimone immobile del divenire.
Mentre il tempo, il divenire e il cambiamento compiono il loro lavoro infaticabile, noi abbiamo una facoltà che è in grado di esserne testimone.
Essere testimoni è essere immobili, è evocare un punto di osservazione che è in grado di mantenersi al di fuori del samsara.
Chi medita mette la testa fuori dal tempo e dal mondo convenzionale per rendersi conto della condizione umana, ha il coraggio di non essere attuale, di non farsi trascinare come una pecora dal branco, di ribellarsi al così fan tutti e di essere se stesso.

Alla fine si capirà chi ha avuto ragione e chi torto.

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