martedì 10 novembre 2015

Il Buddha che è in noi

Molti credono che meditare significhi stare seduti su un cuscino, chiudere gli occhi, fermare il più possibile il pensiero e seguire il respiro.
Questo va bene e serve a calmare il corpo-mente e a raggiungere una certa concentrazione; ma è solo l’abc della meditazione, la base, l’inizio.
Di solito, così facendo, si ottiene uno stato di calma e una certa lucidità mentale. Però noi dobbiamo arrivare a trasformare noi stessi.
Quando incominciamo a meditare, diamo l’avvio ad un processo che ha lo scopo di conoscere e cambiare noi stessi. In questo processo dobbiamo inevitabilmente procedere lentamente e raggiungere vari livelli.
Dobbiamo svolgere un lavoro interiore – di conoscenza e di trasformazione - che prosegua anche al di fuori del cuscino di meditazione, durante tutta la giornata, durante tutta la vita.
Dobbiamo riuscire a vederci con distacco, scoprendo i nostri schemi ripetitivi (“coazioni a ripetere”) sia nei pensieri sia nei comportamenti. E poi cambiarli.
Secondo la tradizione, dobbiamo osservare corpo, pensieri, sensazioni e stati d’animo; in realtà dobbiamo osservare tutto, vedere come agiamo e reagiamo, e provare a trasformarci attraverso una consapevolezza e una presenza continua.
La prima fase della meditazione (quella seduta sul cuscino o su una sedia) e la seconda (quella conoscitiva e trasformativa) non si escludono a vicenda e vanno alternate di continuo. L’una rafforza l’altra.

Non dobbiamo però fare sforzi di autoanalisi, ma semplicemente osservare e farci sempre di più un’idea di quale potrebbe essere la parte migliore di noi stessi, il Buddha che è in noi.

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