Se vi volessi spiegare tutte le teorie
sull’origine e il funzionamento della coscienza, vi dovrei esporre pagine e
pagine complesse e inconcludenti.
Per esempio, leggete (ma potete saltarlo) la
seguente voce, tratta dall’IA:
[La filosofia della mente è lo studio filosofico della mente, degli atti,
della coscienza e delle funzioni mentali e delle loro relazioni con il
cervello, il corpo e il mondo esterno. La filosofia della mente si addentra
nelle questioni di fondo e nei problemi metodologici che stanno dietro la
ricerca scientifica sulla mente, usando sia il metodo speculativo (attraverso
esperimenti mentali), sia tenendo conto dei risultati ottenuti nella ricerca
empirica e strumentale, che oggi può avvalersi della PET, la tomografia ad
emissione di positroni, e della fMRI, la risonanza magnetica funzionale per
immagini.
Una mappa frenologica del cervello (Oliver Elbs,
Neuro-Esthetics: Mapological foundations and applications (mappa 2003), Monaco
2005). La frenologia ha tentato fin dai primordi di correlare le funzioni
mentali con parti specifiche del cervello
Secondo Jaegwon Kim, la filosofia della mente è
quella branca della filosofia che studia l’ontologia e la natura della mente ma
soprattutto la sua relazione con il corpo. Ed è proprio questo paradigma, detto
problema mente – corpo, al centro del dibattito filosofico, anche se i filosofi
della mente si sono spesso cimentati a discutere di altri paradigmi, come ad
esempio il problema della coscienza (distinto tra problema facile e problema
difficile) e l’ontologia e natura degli stati mentali[1].
Indice
Storia
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Questa voce o sezione sull'argomento scienza non
cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti.
Un esponente di spicco della prospettiva
anti-sostanzialista è stato George Berkeley, vescovo anglicano e filosofo del
XVIII secolo. Molto brevemente, Berkeley sosteneva che la materia non esiste, e
che ciò che gli uomini percepiscono come mondo materiale non è nient'altro che
un'idea nella mente di Dio. Più dettagliatamente, Berkeley non rifiutava
l'ipotesi dell'esistenza del mondo fisico (la materia prima detta), ma
rifiutava l'ipotesi che il mondo fisico esistesse come oggetto indipendente dal
pensiero, come era stato invece postulato da Cartesio. Secondo Berkeley, il
mondo fisico esiste come oggetto indipendente solo dal pensiero di Dio, ma non
dalla sua mano, in quanto ne è stato l'unico creatore.[2]
La mente umana è una pura manifestazione
dell'anima [senza fonte]. In altre parole, Berkeley distingueva tra idee e
pensieri. Le idee non derivano da oggetti e relazioni tra oggetti che
apprendiamo osservando il mondo fisico esterno, ma sono idee che ci derivano
direttamente da Dio. Le idee e i pensieri (questi ultimi generati dalla nostra
mente per potere manipolare le idee) sono l'unica realtà materiale e oggettiva
di cui possiamo fare esperienza[2].
Sono pochi i filosofi disposti oggi ad accettare
una prospettiva così estrema, ma l'idea che la mente umana abbia una natura o
un'essenza diversa e più alta del mero insieme delle operazioni del cervello,
continua ad incontrare un largo consenso[senza fonte].
Secondo alcuni, la dottrina di Berkeley è stata
attaccata e demolita da Thomas Henry Huxley [senza fonte] ), biologo del
XIX secolo, allievo di Charles Darwin, che sostenne i fenomeni della mente
essere di un unico genere, e spiegabili esclusivamente a partire dai processi
cerebrali, in pratica la stessa cosa che sosteneva Berkeley.
Huxley è vicino a quella scuola di pensiero
materialista della filosofia inglese facente capo a Thomas Hobbes, che
sosteneva nel XVII secolo che ogni evento mentale ha il suo fondamento fisico,
sebbene le conoscenze biologiche dell'epoca non gli consentissero di
individuare con precisione tali basi fisiche. Huxley conciliò la dottrina di
Hobbes con quella di Darwin, dando così luogo alla moderna prospettiva
materialista (o funzionalista) [senza fonte].
Tuttavia è bene evidenziare che il pensiero di
Thomas Henry Huxley non trova spazio all'interno della filosofia della mente,
non avendo egli proposto ipotesi e/o teorie e/o riflessioni riconducibili
all'interno di questo paradigma[3][4][5][6].
Questa linea di pensiero è stata rinvigorita
dalla costante espansione della conoscenza circa le funzioni del cervello
umano. Nel XIX secolo non era possibile affermare con certezza in che maniera
il cervello svolga certe funzioni quali ad esempio la memoria, l'emozione, la
percezione e la ragione, e ciò lasciava ampio spazio alle teorie
sostanzialistiche e metafisiche della mente. Ma ogni progresso nello studio del
cervello rendeva queste posizioni sempre meno salde, fino al punto in cui è
diventato innegabilmente chiaro che tutte le componenti della mente hanno la
propria origine nel funzionamento del cervello.
Il razionalismo di Huxley, in ogni caso, è stato
scosso all'inizio del XX secolo dalle idee di Sigmund Freud [senza fonte],
che sviluppò una teoria dell'inconscio, sostenendo che i processi mentali di
cui gli uomini sono soggettivamente coscienti non costituiscono che una piccola
parte dell'intera attività mentale. Tale teoria può anche essere considerata
come una ripresa dell'idea sostanzialistica in chiave secolare
[senza fonte]. Sebbene Freud non abbia mai negato che la mente sia una
funzione del cervello, sostenne che la mente ha una coscienza sua propria della
quale non siamo coscienti, che non possiamo controllare e alla quale è
possibile accedere solo tramite la psicoanalisi (ed in particolare tramite
l'interpretazione dei sogni) [senza fonte]. La teoria dell'inconscio di
Freud, sebbene impossibile da dimostrare empiricamente, e quindi tutt'altro che
dimostrata scientificamente, è stata ampiamente assorbita nella cultura
occidentale ed ha fortemente influenzato la rappresentazione comune della mente
[senza fonte].
Il punto di vista del pensiero indiano
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Mentre in Occidente è prevalsa a partire da
Cartesio e almeno sino al XIX secolo la prospettiva dualista (con la sola
eccezione di Spinoza per il quale "Dio = Mente" e "Mente =
Uno-Tutto = Natura), nelle culture dell'Oriente prevale la visione olistica di
una mente-anima globale, l'Ātman, riflessa nella mente degli uomini come
Jivatman. Questa prospettiva della mente, nel pensiero filosofico orientale,
caratterizza il corso completamente differente del pensiero orientale rispetto
a quello occidentale.
All'interno di esso spicca il pensiero
buddhista, secondo cui la mente non è un'entità, e nemmeno un sistema che
esercita funzioni, ma piuttosto un processo, e quindi è definita anche come
"mentale". La mente (o "il mentale") secondo tale pensiero
è un ponte tra anima (parte eterna dell'individuo) e corpo (parte mortale
dell'individuo), a questo è dovuto il suo "irrequieto" movimento per
unire due parti impossibili da unire tra loro, ossia l'assoluto e la morte.
Secondo il Buddhismo, la mente è un flusso di
singoli istanti di esperienza consapevole e chiara. Nella sua condizione non
illuminata, la mente esprime le proprie qualità quali pensieri, percezioni e
ricordi grazie alla consapevolezza. La sua vera essenza illuminata è libera
dall'attaccamento ad un sé e si sperimenta inseparabile dallo spazio come
consapevolezza aperta, chiara ed illimitata.
Natura della mente: dibattito attuale
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I filosofi e gli psicologi restano divisi circa
la natura della mente. Alcuni, partendo dalla cosiddetta prospettiva
sostanzialista o essenzialista, sostengono che la mente sia una entità a sé,
avente probabilmente il proprio fondamento funzionale nel cervello, ma
essenzialmente distinta da esso. Quindi un'esistenza autonoma e come tale
oggetto d'indagine. Questa prospettiva, facente capo a Platone, è stata
successivamente assunta all'interno del pensiero cristiano e in qualche modo
radicalizzata da Cartesio.
Nella sua forma estrema, la prospettiva sostanzialista
mette insieme con la prospettiva teologica il fatto che la mente sia un'entità
completamente separata dal corpo, una manifestazione fisica dell'anima, e che
essa sopravviva alla morte del corpo e ritorni a Dio, suo creatore. Altri
ancora assumono la prospettiva funzionalista, facente capo ad Aristotele, la
quale sostiene che la mente è soltanto un termine utilizzato per motivi di
comodità ai fini della rappresentazione di una moltitudine di funzioni mentali
che hanno poco in comune tra loro, ma riconoscibili attraverso la coscienza.
La consapevolezza di possedere una mente e di
poterne cogliere gli effetti percettivi e cogitativi trova in ogni caso il
proprio centro nella coscienza. Gli studiosi distinguono una coscienza primaria
o nucleare a cui competono quelle funzioni-base che si esprimono in
"consapevolezza del mondo esterno", attraverso la percezione e in
"consapevolezza del proprio corpo" attraverso la propriocezione
autocoscienza. Tranne il fatto che gli uomini sono tutti coscienti della propria
esistenza, i funzionalisti tendono a sostenere che gli attributi che
denominiamo collettivamente la “mente” sono strettamente legati alle funzioni
del cervello (la mente come attività del cervello) e non hanno esistenza
autonoma rispetto a questo. In questa prospettiva la mente è una manifestazione
soggettiva dell'esser coscienti: nient'altro che la facoltà del cervello di
manifestarsi come coscienza. Il concetto della mente è quindi un mezzo tramite
il quale il cervello cosciente comprende le sue stesse operazioni.
Descrizione
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I problemi tradizionali nella filosofia della
mente sono capire e definire cos'è l'Io, il suo funzionamento (spesso in
termini di concetti come percezione, appercezione, impressione, sensazione,
intuizione, pensiero, rappresentazione, immaginazione, memoria, coscienza,
autocoscienza, ragione, intelletto, volontà, istinto, inconscio, sentimento,
emozione, passione ecc.) e il suo rapporto con il corpo: queste problematiche
assieme al problema anima-corpo hanno coperto il dibattito filosofico fino al
XX secolo, spesso indirettamente compresi all'interno di ambiti come la
metafisica e la gnoseologia, originando a partire dal XIX secolo discipline
interamente dedicate come la psicologia e la psicoanalisi. Filosofi che si sono
occupati della mente nei suoi vari aspetti sono stati Sant'Agostino, Cartesio,
Locke, Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel ecc...
Oggi, con le nuove scoperte della
neurofisiologia e più in generale delle neuroscienze, tali problematiche si
sono specificate nel dualismo mente-cervello, ovvero la dicotomia tra una
prospettiva soggettiva, intrapersonale relativa alla sfera della coscienza e
autocoscienza (studiata dalla psicologia) ed una strettamente
empirico-materialista tipica della scienza e del metodo sperimentale (es.
neurologia, psichiatria, neuropsichiatria ecc...). Nella filosofia della mente
si vorrebbe risolvere questo problema fondamentale ed arrivare ad una scienza
efficace ed esauriente delle componenti funzionali della mente (soprattutto
della coscienza) e della loro integrazione operativa.
Negli ultimi due decenni il concetto di mente è
andato definendosi in tre posizioni principali, più altre secondarie:
La mente si caratterizza con proprietà del tutto
proprie e il "mentale" deve esser indagato in quanto tale, in sé,
senza riduzionismi di sorta alla neurofisiologia (il cervello diventa
contenitore di esperienze mentali e psichiche che seguono però leggi proprie
della psicologia). Questa è ad esempio la posizione di John Searle e di Hubert
Dreyfus.
La mente sarebbe il prodotto o l'attività del
cervello e ad esso riducibile, dimostrabile col fatto che la "mente senza
cervello non può esistere". Quindi anche la mente sarebbe oggetto
d'indagine della neurofisiologia usando le moderne tecniche d'indagine medico-scientifica
che si occupano o degli effetti di lesioni cerebrali localizzate o
dell'attivazione differenziale (afflusso di sangue) in regioni specifiche.
Sotto questo punto di vista il sintomo della malattia o della disabilità,
rintracciabile a livello neurofisiologico nel malfunzionamento o danno del
cervello, coincide con la malattia/disabilità stessa ed eliminato il quale (il
sintomo e quindi il danno) viene meno anche la malattia o la disfunzionalità.
Tale posizione è assunta da Antonio Damasio e trova un'estremizzazione
"eliminativista" (la mente non esiste) in Paul e Patricia
Churchland[7].
La mente, in quanto cervello, è una macchina
sostanzialmente computazionale, quindi analoga ai computer. Ne nasce un
rapporto molto stretto con la intelligenza artificiale (AI) e alimenta gli
studi per creare macchine sempre più simili al cervello umano. Con questo
obiettivo sono attivi alcuni centri di ricerca USA a cui fa riferimento, per
esempio, Daniel Dennett.[8]
Ma la mente, secondo il parere di illustri neurofisiologi
come Gerald Edelman, non opera in maniera riduzionistica bensì complessa, ed
ogni riduzionismo porta fuori strada. Scrive infatti Edelman:
«L'analogia tra mente e calcolatore cade in
difetto per molte ragioni. Il cervello si forma secondo principi che ne
garantiscono la varietà e anche la degenerazione; a differenza di un
calcolatore non ha una memoria replicativa; ha una storia ed è guidato dai
valori; forma categorie in base a criteri interni e a vincoli che agiscono su
molte scale diverse, non mediante un programma costruito secondo una sintassi.»
(G. Edelman, Sulla materia della mente, Milano,
Adelphi, 1993, p. 236)
Ma le tentazioni in tal senso sono forti, perché
il ricondurre tutto alla fisiologia o alle analogie con la intelligenza artificiale
semplifica enormemente il problema e soprattutto ne permette una visione
sistemica ed univoca, cosa ritenuta impossibile dagli avversari del
riduzionismo, i non riduzionisti, appunto. Un altro prestigioso neurofisiologo
come Joseph LeDoux sottolinea come la mente umana non sia assolutamente
concepibile come una macchina perché esprime dei sentimenti:
«La mente descritta dalla scienza cognitiva è in
grado, per esempio, di giocare perfettamente a scacchi, e può persino essere
programmata per barare. Ma non è afflitta dal senso di colpa quando bara, o
distratta dall'amore, dalla rabbia o dalla paura. Né è automotivata da una vena
competitiva oppure dall'invidia e dalla compassione.»
(J. Le Doux, Il sé sinaptico, Milano,
RaffaelloCortina, 2002, p. 34)
Contro tale posizione riduzionistica si era già
espresso significativamente John Searle, tendente a vedere la natura della
mente biologica priva di alcun rapporto con quella computazionale, né
riducibile a fisiologia pura, che sosteneva:
«Dato che i programmi sono definiti in termini
puramente formali o sintattici, e dato che la mente ha un contenuto mentale
intrinseco, ne consegue che essa non può consistere in un semplice programma.
La sintassi formale di per sé non garantisce la presenza di contenuti mentali.
Di questo ho dato dimostrazione con l'argomento della camera cinese (Minds,
Brains and programs, 1980): un calcolatore – potrei essere io stesso – sarebbe
in grado di effettuare tutti i passi di un programma che simuli una qualche
capacità mentale come la comprensione del cinese senza capire una sola parola
di quella lingua. L'argomentazione poggia su di una semplice verità logica:
sintassi e semantica non si equivalgono e la sintassi di per sé non è
sufficiente a costituire la semantica.»
(J. Searle, Mente, cervello, intelligenza,
Milano, Bompiani, 1987, p. 216)
La filosofia della mente che tiene conto delle
evidenze della ricerca scientifica e sperimentale come dati primari, mette
questi in relazione con la riflessione filosofica, in modo tale da fornire
sempre nuove indicazioni per la sperimentazione in altre discipline connesse
come le scienze cognitive che indicano un approccio multidisciplinare ma
prevalentemente neurofisiologico e psicologico-sperimentale.
In ogni caso è importante tenere conto che la
ricerca neurofisiologica più avanzata resta comunque incapace di andare molto
oltre gli aspetti meccanici del pensare e del sentire, quelli che riguardano la
generalità del modo di funzionare del cervello del mammifero homo sapiens.
L'approccio anti-riduzionista, e che potremmo chiamare olistico, tende invece
ad occuparsi dello specifico del mentale, ciò che si lega all'individualità,
come i sentimenti e le emozioni intime, restano un campo dove esse, almeno per
ora, hanno molto poco da dire all'indagine neurologica. Ciò significa che la
filosofia della mente deve avvalersi ancora o di concetti propri della
filosofia, o di quelli della psicologia, o della psicoanalisi, debitamente
interpretati in senso filosofico.
Il problema mente-corpo, per quanto abbia
interessato il pensiero filosofico sin dai primordi, è soltanto uno dei tre
approcci entro cui si inquadrano le nuove teorie della mente. Esse nascono con
il concorso di acute osservazioni attorno alle teorie storiche del
funzionalismo, del computazionalismo e dell'intelligenza artificiale. Possiamo
dunque individuare le tre seguenti linee di ricerca:
Il problema mente-corpo, che concerne il
rapporto tra il soma e la psiche a livello infra-soggettivo;
Il problema mente-mondo, relativo al rapportarsi
di ogni singolo individuo con il contesto di esistenza in cui è inserito;
Il problema mente-mente, come quello del
relazionarsi di una mente alle altre menti ad essa simili sul piano strutturale
e funzionale, ma con esigenze e aspettative da poco a molto differenti.
Problema mente-corpo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Dualismo
mente-corpo.
Rispetto al problema mente-corpo si possono
individuare due grandi filoni: il monismo ed il dualismo. Il primo sostiene che
l'organismo umano si presenti come un'unica realtà, basata su una sola sostanza
fondamentale, di cui sia mente che corpo siano parti differenti ma correlate.
Il secondo afferma invece che mente e corpo, essendo sostanzialmente differenti
come struttura cellulare, vadano considerati separatamente. In altre parole, i
neuroni e soprattutto le sinapsi apparterrebbero a un livello di complessità
troppo differente dalle cellule somatiche per essere abbracciati in una visione
unitaria. In realtà anche questa tesi non esclude la coniugazione di corpo e
mente, semplicemente ritiene che ai fini gnoseologici la fisiologia del corpo
sia una cosa, quella del cervello un'altra.
Tuttavia, da un punto di vista storico, il
dualismo corpo/mente è stato per lungo tempo visto come un dualismo
materia/spirito e il maggior responsabile di ciò è certamente Cartesio, che lo
espresse in quello tra res extensa/res cogitans. Questa posizione gnoseologica
è stata contestata come erronea da alcuni studiosi della mente dell'ultimo
secolo, tra i quali Antonio Damasio, che ha dedicato a questo argomento un
intero libro.[9]
Da queste due correnti di fondo si è evoluto un
ampio ventaglio di posizioni, agli estremi del quale stanno la visione
scientifica riduzionistica e la visione metafisica. Essendo numerosissime le
posizioni filosofiche sul problema mente-corpo tra quelle più scientifiche
appaiono oggi dominare quelle concernenti due tronconi principali: il
fisicalismo o materialismo (riduzionista e non riduzionista), e le dottrine
non-fisicaliste, tra le quali spicca quella del Premio Nobel per la medicina
Gerald Edelman, che ha proposto la "Groups Neuronal Selection
Theory", comunemente indicata come darwinismo neurale.
I filosofi contemporanei hanno abbandonato il
dualismo ontologico in favore di un meno impegnativo dualismo delle proprietà o
delle funzioni, in base al quale mente e corpo non sono due sostanze separate,
ma compenetrate e coniugate funzionalmente. Possono quindi esser visti anche
come "stati esperienziali" di un organismo polifunzionale, tali da
poter fare una distinzione tra due tipi di stati: gli stati fisiologici o
cerebrali, legati alle strutture neurologiche della sensibilità corporea, e gli
stati mentali, quelli che concernono più specificamente le emozioni, i
sentimenti e l'elaborazione del pensiero. Si è occupato di questo problema
Edoardo Boncinelli, facendo una distinzione tra neurostato come fenomeno
cerebrale e psicostato come fenomeno mentale. Ha scritto:
«In un determinato individuo e in un determinato
momento, a un neurostato corrisponde uno psicostato, ma lo stesso psicostato
può corrispondere a molti, o moltissimi, neurostati diversi. Da un certo punto
di vista ciò è scontato. Noi non sappiamo dire quanti psicostati possano
esistere nella nostra mente, non fosse altro perché non sappiamo bene che cosa
siano, ma intuiamo che il loro numero non può essere altissimo. Non ci
sarebbero infatti abbastanza strumenti interpretativi. Non sappiamo dire
neppure quanti possano essere i neurostati concepibili, ma è facile supporre
che saranno in numero incredibilmente alto. Se consideriamo anche solo le
configurazione delle singole sinapsi il loro numero è impressionante.»
(E.B oncinelli, Il cervello, la mente e l'anima,
Milano, Mondadori, 1999, p. 235)
Schematicamente i quesiti aperti sono i seguenti:
Cos'è uno stato mentale?
Che rapporto c'è tra uno stato mentale e uno
stato cerebrale?
Come può il cervello dare luogo a stati mentali?
Le risposte a questi interrogativi variano al
variare della concezione che si abbraccia del mondo, della causa, della natura
della mente, del cervello, ecc. Edoardo Boncinelli, e numerosi altri con lui,
ne fa una questione di tempi e di complessità, vedendo il cerebrale come il
semplice e primario, il mentale come il complesso e secondario. Così lo spiega:
«L'evento fisiologico iniziale comprende
elementi molecolari, cellulari e circuitali e coinvolge vari sistemi somatici
fra i quali certamente quello nervoso a ciascuno dei suoi livelli. Nonostante
la pluralità di coinvolgimenti, l'evento fisiologico iniziale è istantaneo e
inconsapevole. A questo seguono quasi sempre molte altre cose: una presa di
coscienza, una valutazione emotiva, un'elaborazione mentale.»
(E. Boncinelli, Il male, Milano, Mondadori,
2007, p. 25)
Orientamenti teorici e correnti
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Gli studi sulla mente e le teorie relative si
sono moltiplicati dal 1956, anno in cui si è tenuto al Massachusetts Institute
of Technology (MIT) di Boston un simposio sulla mente nei suoi aspetti
funzionali, vista come una possibile struttura informazionale. Con ciò veniva
posto il problema delle analogie tra il funzionamento della mente umana e
quello dei computer. Il portare l'attenzione non più sul "cos'è" la
mente ma su "come funziona" è stato una svolta epocale, che ha
portato un ventaglio interpretativo molto vasto nel quale definire correnti e
orientamenti; per le continue intersezioni tra questi ultimi, uno studioso può
venire collocato in una o in un'altra corrente od essere a cavallo di entrambe.
A parte i fondatori delle varie correnti con
conseguente conio di un termine, com'è il comportamentismo da parte di John
Watson e il funzionalismo da parte di Hilary Putnam, è sempre molto difficile
cogliere uno stretto nesso tra i precursori e i seguaci, tra antecedenti e
conseguenti. Per esempio, è indubitabile che il funzionalismo abbia nel
comportamentismo un antecedente importante, anche se poi se ne differenzia
profondamente, essendo la visione comportamentista semplificata a un meccanismo
stimolo-risposta che evocava le risultanze delle ricerche neurofisiologiche di
Ivan Pavlov. Quando apparve, nel 1913,[10] il manifesto del comportamentismo da
parte di Watson le reazioni furono violente poiché la mente umana veniva
ridotta a una macchina nervosa agente secondo automatismi. Ciò risultava
intollerabile per chi si rifiutava di considerare il comportamento umano
assimilabile a quello di ogni altro animale.
Si può dire che inizia con Watson la
divaricazione tra le interpretazioni riduzionistiche della mente e quelle
anti-riduzionistiche e che Putnam opera una sorta di conversione del
riduzionismo neurofisiologico a quello logico e matematico, che trova poi la
sua prosecuzione dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso in poi nei
riduzionismi computazionalistici ispirati alla intelligenza artificiale. Nasce
con Putnam l'idea di guardare alle funzioni cognitive umane e alle strutture
cerebrali in analogia con un software supportato da un hardware[11] e questa
idea di funzionalismo computazionalista avrà molti seguaci anche dopo che
Putnam l'avrà rigettata a metà degli anni ottanta[12].
Sui due fronti, riduzionista e
anti-riduzionista, si confrontano almeno quattro indirizzi:
quello "computazionalista" che,
vedendo il cervello come un organo calcolatore, assume che con l'intelligenza
artificiale si possano imitare le funzioni mentali con risultati simili (es:
Dennett e Fodor);
quello "neurologista" che, riducendo
la mente alla fisiologia del cervello, annulla il mentale nella elaborazione
meccanica dei circuiti cerebrali (es: Churchland);
quello "mentalista" che nega sia il
primo che il secondo rivendicando invece l'autonomia del mentale dal cerebrale
(es: Searle);
quello "evoluzionista" che supera tali
indirizzi in una visione evoluzionistica del mentale come epifenomenico del
cerebrale (es: Edelman).
Teorie riduzionistiche
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Comportamentismo
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Lo stesso argomento in dettaglio:
Comportamentismo.
Il comportamentismo rifiuta qualsiasi forma di
introspezione, e ritiene che l'unico dato di fatto oggettivo per uno studio
scientifico della mente sia il comportamento esteriore. La mente viene
effettivamente trattata come una "scatola nera".
John Watson
Burrhus Skinner
Filosofi vicini a questa corrente, anche se non
comportamentisti a tutti gli effetti, si possono considerare:
Rudolph Carnap
Gilbert Ryle
Wilfrid Sellars
Funzionalismo computazionalistico
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Lo stesso argomento in dettaglio: Funzionalismo
(filosofia della mente).
Hilary Putnam[13]
Jerry Fodor[14]
Daniel Dennett[8]
Douglas Hofstadter
Teoria dell'Identità
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Lo stesso argomento in dettaglio: Teoria
dell'identità e Teoria dello stato centrale.
Ullin Place
John Jamieson Carswell Smart
David Armstrong
Paul Churchland[7]
Patricia Churchland
Teorie anti-riduzionistiche
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Olismo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Olismo.
Aristotele
Tommaso d'Aquino
Filosofia scolastica
Filosofie orientali
Ken Wilber
Dualismo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Dualismo
(filosofia della mente).
Karl Popper
David Chalmers
Teorie dualistiche:
Interazionismo
Parallelismo (filosofia della mente)
Epifenomenismo
Coscienza e Intenzionalità
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John Searle[15]
Thomas Nagel[16]
Hubert Dreyfus[17]
La ragione emozionata
modifica
Antonio Damasio[18][19]
Teorie evoluzionistiche
modifica
Gerald Edelman[20][21][22][23]
Jean-Pierre Changeux[24][25]
Merlin Donald[26][27]
David Linden,[28]
Note
modifica
^ Jaegwon Kim, Philosophy of mind, Third
edition, 2011, ISBN 978-0-8133-4520-8, OCLC 707067915. URL consultato
il 19 dicembre 2022.
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^ Massimo Marraffa e Alfredo Tomasetta,
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dicembre 2022.
^ Alfredo Paternoster, Introduzione alla
filosofia della mente, Nuova ed. aggiornata, GLF editori Laterza, 2010 ;,
ISBN 978-88-420-9476-0, OCLC 848865345. URL consultato il 16 dicembre
2022.
^ Marco Salucci, Filosofia della mente, Il
mulino, 1992, ISBN 88-15-07055-9, OCLC 848640386. URL consultato il
16 dicembre 2022.
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S. Nannini, L'anima e il corpo. Un'introduzione
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Collegamenti esterni
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Field guide to the Philosophy of Mind, su host.uniroma3.it. URL
consultato il 28 ottobre 2011 (archiviato dall'url originale il 17 agosto
2020).
Repertorio di studi sulla mente, su cervellomente.altervista.org. URL consultato l'11 luglio 2019
(archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
London Philosophy Study Guide Archiviato il 18
aprile 2019 in Internet Archive. offre una nutrita bibliografia al riguardo:
(EN) Philosophy of Mind, su ucl.ac.uk. URL consultato il 1º
maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 7 agosto 2018).
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Ultima modifica 8 mesi fa di Alcide80
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Come vedete, c’è da
impazzire e soprattutto da non concludere niente.
È così difficile capire che
cosa sia la coscienza perché, in questo campo, cioè nel campo della
soggettività pura, non può esistere una conoscenza oggettiva, Colui che cerca è colui che è cercato! Un
loop da cui non si esce.
Chi può darci la prova che
la sua conoscenza della coscienza è oggettiva nel momento in cui è il soggetto
che opera? Non può esistere una conoscenza oggettiva del soggetto: sarà sempre
soggettiva!
Già in fisica è impossibile
trovare un sistema completamente isolato. Perché qualche particella entra
sempre. Figuriamoci nel campo della mente, dove ogni conoscenza è soggettiva
per definizione.
Questo significa che le
nostre misurazioni o conoscenze saranno sempre approssimative.
Ma c’è un altro motivo
strutturale: che la coscienza è la simmetria fondamentale dell’essere. E,
per “fondamentale” intendo che fonda ogni altra simmetria conoscitiva e reale.
Il che significa che il soggetto deve essere contemporaneamente consapevole
di sé e del mondo, istituendo nello stesso tempo ogni altra diarchia o diade.
Noi riteniamo ingenuamente
che l’essere sia un semplice stato (o… o) mentre è un processo oscillante tra
due polarità uguali ma contrapposte. Ossia, è qualcosa che si muove
continuamente, come un pendolo o come il simbolo dinamico dello Yang/Yin. Non
uno stato unitario e immobile, ma un moto oscillatorio fra due estremi… un po’
come succede nell’elettromagnetismo.
Sì, l'elettromagnetismo può
essere visto come un fenomeno oscillatorio, specialmente quando si considerano
le onde elettromagnetiche. Le onde elettromagnetiche, come la luce visibile, le
microonde e le onde radio, sono generate dalle oscillazioni di campi elettrici
e magnetici che si propagano nello spazio.
In particolare, nelle onde
elettromagnetiche:
1. **Oscillazioni dei
campi**: Un campo elettrico variabile nel tempo genera un campo magnetico
variabile e viceversa, creando un fenomeno oscillatorio. Queste oscillazioni
sono perpendicolari l'una all'altra e alla direzione di propagazione dell'onda
(secondo la regola della mano destra).
2. **Frequenza e lunghezza
d'onda**: Le onde elettromagnetiche sono caratterizzate da una frequenza e da
una lunghezza d'onda, che descrivono la velocità con cui oscillano i campi
elettrici e magnetici. Ad esempio, le onde radio hanno frequenze relativamente
basse e lunghezze d'onda lunghe, mentre i raggi gamma hanno frequenze molto
elevate e lunghezze d'onda molto corte.
3. **Principi di
risonanza**: Alcuni fenomeni elettromagnetici possono mostrare comportamenti
oscillatori simili a quelli di un sistema in risonanza, come nei circuiti
risonanti che utilizzano induttori e condensatori.
In sintesi,
l'elettromagnetismo è profondamente connesso a fenomeni oscillatori, in
particolare quando consideriamo l'emissione e la propagazione delle onde
elettromagnetiche.
In un certo senso,
l’oscillazione è un movimento che si verifica fra due “poli”.
Va precisato che il termine
"oscillatorio" si riferisce a un movimento che varia nel tempo, in
genere attorno a un valore medio o di equilibrio, e non implica necessariamente
la presenza di "due poli" nel senso di poli opposti come nel caso di
un magnete.
Tuttavia, nel contesto
dell'elettromagnetismo, possiamo considerare alcuni aspetti che potrebbero
sembrare riconducibili all'idea di "poli":
1. **Campi elettrici e
magnetici oscillanti**: Nelle onde elettromagnetiche, ci sono componenti
elettrici e magnetici che oscillano. Ogni oscillazione di un campo elettrico
genera un campo magnetico (e viceversa), e queste oscillazioni avvengono in
direzioni perpendicolari l'una all'altra.
2. **Cariche elettriche e
poli**: Le cariche elettriche possono essere positive o negative. Quando si
parla di dipoli elettrici (composti da una coppia di cariche di segno opposto,
separate da una certa distanza), possiamo considerare l'oscillazione delle
cariche all'interno di un campo elettrico come un fenomeno oscillatorio in cui
le cariche si muovono avanti e indietro.
3. **Oscillazioni di un
sistema dinamico**: In un circuito RLC (resistore, induttore e condensatore),
il movimento oscillatorio delle correnti e delle tensioni può essere analizzato
in termini di potenziali elettrici e correnti che si alternano, creando un
comportamento oscillatorio che può non richiedere "poli" nel senso
tradizionale.
Ma si tratta di un semplice
paragone, per indicare che le cose non vanno viste come singole e separate, ma
interrelate fra di loro e in sé. E in continuo movimento. Anche un sasso.
La coscienza oscillatoria o
l’oscillazione della coscienza indica semplicemente che c’è un movimento duale,
avanti e indietro, tra senso dell’io e senso dell’altro, fra percezioni interne
e percezioni esterne, tra un io conscio e un io inconscio. Questa tensione che
non si placa mai, questa inquietudine, questo non essere né carne né pesce,
ovvero carne e pesce, questa variabilità dell’essere, indica un processo sempre
attivo e contraddittorio. Attivo perché contraddittorio. Esattamente come lo
Yin e lo Yang o il maschile e il femminile.
Se non ci fosse questa
tensione, non ci sarebbe nessun movimento. La natura, pur tendendo
all’equilibrio, aborre l’equilibrio. Non sta mai ferma. Deve muoversi per
essere viva. Come il mercurio di un termometro rotto.
Se non ci fosse questo
movimento alterno, saremmo fissati solo sull’io o solo sull’altro. E non
capiremmo niente né dell’uno né dell’altro.
La coscienza si muove come
tutto. Deve muoversi. E si alterna preferibilmente fra due poli teorici.
Questo meccanismo dinamico
duale non è solo teorico, ma è ciò che dà vita a ogni cosa contrapposta (come
il maschile e il femminile). Non possiamo certo dire che il maschile e il
femminile li abbiamo creati noi, ma si sono creati perché alla base di ogni
emergenza (e dunque anche della coscienza) vi è questa oscillazione creativa.
Il mondo sente se stesso.
E, sentendosi, si crea.
Il “raggio creativo” del
vecchio Dio delle religioni è in realtà un’oscillazione.
Il che significa anche che
le nostre interazioni si traducono in concetti, sono concetti. I concetti sono
le relazioni fra le cose.
Occhio per occhio
Alla vendetta di Israele
non si sfugge. Lo abbiamo visto con i criminali nazisti, prelevati nei decenni
passati in paesi esteri. E adesso con i nemici di Hamas, uccisi uno per uno in
qualsiasi paese si trovino. Non c’è giudice, non c’è sentenza, non c’è legge
internazionale. Israele decide insindacabilmente e uccide. Il mondo resta
attonito, protesta e non fa nulla. A Israele tutto è permesso. Chissà quante
vittime che non c’entravano nulla.
Qualcuno dice che anche il
nostro aereo abbattuto a Ustica per errore sia stato colpito da aerei
israeliani. Non si saprà mai. Se gli israeliani, decidono di uccidere,
uccidono. E non importa quante siano le vittime “collaterali”. Per gli ebrei,
tutto è fattibile. A Israele tutto è permesso.E non esistono leggi che li
fermino.
“Occhio per occhio, dente
per dente!” Solo che, per un occhio o per un dente, non si accontentano di
prendersi un occhio e un dente. Ma migliaia di occhi e di denti. Il che non li
rende particolarmente simpatici al mondo.
Ma a loro non importa. A
loro interessa solo la loro vendetta, costi quel che costi. Pur di
sopravvivere, sarebbero capaci di scatenare un conflitto generale.
Non dico che non abbiano
diritto di difendersi, ma, in tutte le legislazioni, il diritto alla difesa
deve essere proporzionato all’offesa.
Ho sempre pensato che, scoppierà
la terza guerra mondiale, a innescarla non saranno i russi o gli americani. Ma
gli israeliani.
Una domanda sola. Ma, se
gli ebrei hanno armi nucleari, che gliele ha date?
La figlia d’Italia
Meloni si porta dietro spesso nei
suoi viaggi la figlia. Non credo che lo faccia per farle conoscere il mondo...
a nostre spese.
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