Tutto ciò che appartiene allo
spaziotempo e quindi alla coscienza con tutti i suoi dualismi sembra far parte
di una realtà dimidiata, inferiore. Perché la vera realtà, la realtà ultima,
sembra stare metafisicamente su un piano al di sopra o al di fuori dello
spaziotempo-coscienza, per noi incomprensibile. Sembra dunque che apparteniamo
a uno stadio di sviluppo più basso. Ma la nostra mente non sa neppure
immaginarsi uno stadio superiore, dove lo spaziotempo-coscienza non c’è o,
ipotesi più probabile, è diverso dal nostro.
Però, sappiamo dalla fisica che lo
spaziotempo non è assoluto. La concezione di spaziotempo è radicalmente
cambiata con l'introduzione della teoria della relatività di Albert Einstein.
Nella relatività generale, lo
spaziotempo è descritto come una struttura dinamica che è influenzata dalla
massa e dall'energia. Questo significa che la geometria dello spaziotempo può
curvarsi in presenza di massa, come nel caso dei pianeti e delle stelle.
Inoltre, eventi che possono sembrare simultanei per un osservatore possono non
esserlo per un altro osservatore che si muove a una velocità diversa, il che
implica che misure di tempo e spazio siano relative e dipendano dal sistema di
riferimento dell'osservatore.
Quindi, lo spaziotempo non è
assoluto; è un'entità relativa che varia in base alla gravità e alla velocità
degli osservatori. Ma dire che lo spaziotempo è relativo significa che la coscienza
degli osservatori è relativa. Perché sono loro che effettuano le misurazioni e
le confrontano.
Dunque, già nella teoria della
relatività è fondamentale la presenza e il ruolo dell’osservatore, cioè della
sua coscienza. Senza questa, chi si renderebbe conto della relatività dello
spaziotempo? Certo, sono concretamente gli orologi che misurano il tempo, ma,
senza una coscienza soggettiva, nessuno saprebbe di questa relatività, nessuno
la determinerebbe.
In termini di fisica, la
relatività afferma che misure di tempo e spazio dipendono dallo stato di moto
dell'osservatore. Tuttavia, ciò non implica necessariamente che la coscienza
stessa sia di per sé relativa.
Però, la coscienza è l'esperienza soggettiva di un osservatore - e quindi relativa per definizione. Che cosa c'è di più relativo del soggettivo?
Quando parliamo di misurazioni nel contesto della
relatività, ci riferiamo a come gli eventi vengono interpretati e misurati da
diversi osservatori. Ogni osservatore ha una propria esperienza del tempo e
dello spazio, ma ciò non implica che la coscienza in sé sia relativa.
Nella relatività, è il sistema di riferimento a essere relativo. Due osservatori in stati di moto relativi possono avere esperienze temporali e spaziali diverse, ma questo non porta a una relatività della coscienza. Ogni osservatore può essere consapevole delle proprie esperienze e interpretarle, anche se le loro misurazioni devono essere oggettive.
Indipendentemente dalla soggettività, l'orologio dovrebbe misurare lo stesso tempo per tutti gli individui che vanno alla stessa velocità.
Ci sono discussioni filosofiche
su come la coscienza interagisca con la realtà esterna, ma le domande sulla
natura della coscienza tendono a essere sviluppate in termini diversi rispetto
agli aspetti fisici dello spaziotempo. La coscienza, in quanto fenomeno
soggettivo, richiede un trattamento separato, pur essendo in relazione con il contesto
fisico e le misurazioni
In sintesi, mentre lo spaziotempo
è relativo e dipende dall'osservatore, la coscienza può essere vista come un
fenomeno individuale e soggettivo che non è semplicemente "relativa"
nel modo in cui lo sono le misurazioni fisiche.
Questo dice la fisica ufficiale.
Ma, senza osservatori dotati di coscienza, chi farebbe le misurazioni?
La relazione tra spaziotempo e
soggetto osservante è stata discussa ampiamente nei contesti della relatività e
della filosofia della scienza.
In fisica, lo spaziotempo è un
modello matematico che descrive la struttura dell'universo in termini di tre
dimensioni spaziali e una dimensione temporale. Questa struttura esiste
indipendentemente dalla nostra osservazione. Ad esempio, le leggi della fisica,
come la gravità, operano in questo spaziotempo anche se non ci sono
osservatori. Pertanto, in questo senso, lo spaziotempo ha una realtà oggettiva.
Tuttavia, sebbene lo spaziotempo
possa esistere come struttura fisica, l'interpretazione e la misura degli
eventi in questo spaziotempo dipendono da osservatori con coscienza. Gli
effetti relativistici, come la dilatazione del tempo e la contrazione della
lunghezza, sono osservabili solo in relazione a un soggetto che misura e
interpreta tali eventi. Senza questa misurazione, non potremmo descrivere o
comprendere le esperienze temporali e spaziali.
La filosofia della scienza ha
esplorato la questione se realtà e osservazione siano intrinsecamente legate.
Alcuni filoni di pensiero sostengono che la realtà oggettiva (in questo caso lo
spaziotempo) e l'osservazione soggettiva (il soggetto che misura) siano
interconnesse; altri possono sostenere che esista un'oggettività indipendente
dall'osservato.
Comunque, in meccanica
quantistica, la questione della misura è centrale, portando a discussioni sul
"ruolo dell'osservatore". Qui, le misure possono effettivamente
influenzare lo stato del sistema osservato, ma anche qui, gli esperimenti
mostrano che esistono leggi fisiche che governano la realtà, indipendentemente
dall'osservazione.
Però, chi si rende conto di tutto
questo? Chi, se non un soggetto in quanto contrapposto (non del tutto) a un
oggetto?
In fisica, si presume che le
leggi della natura e la struttura dello spaziotempo esistano indipendentemente
dalla presenza di un osservatore. Anche se nessun essere consapevole fosse
presente, si sarebbe comunque verificato un insieme di eventi e processi
fisici. Ad esempio, un sistema solare esiste e orbita attorno a una stella, e
questa attività avverrebbe anche in assenza di esseri umani o di qualsiasi
osservatore cosciente.
Ma chi può dirlo? E se, in
mancanza di un osservatore, non esistesse che un ammasso caotico?
L'osservatore gioca un ruolo
cruciale nel dare significato e interpretazione agli eventi. Gli esseri umani
(o altre forme di vita consapevole) formulano modelli, teorie e descrizioni
della realtà. È solo attraverso la percezione e l'elaborazione di esperienze
che possiamo comprendere, misurare e studiare il mondo.
Tuttavia, gli “oggettivisti,” direbbero
che la mancanza di un osservatore non implica che la realtà non esista;
piuttosto, significa che non esisterebbe nessuna esperienza soggettiva o
consapevolezza di essa.
Ma chi può dirlo? Non possiamo
fare l’esperimento di non esserci!
Chi si renderebbe conto di tutto
questo?
Come già accennato, in meccanica
quantistica, ci sono interpretazioni varie riguardo al ruolo dell'osservatore.
Alcune (come l'interpretazione di Copenaghen) enfatizzano il fatto che la
misura da parte di un osservatore è fondamentale per determinare lo stato di un
sistema.
In conclusione, alcuni filosofi e
scienziati hanno argomentato che la coscienza è necessaria per conferire
significato a ciò che esiste. Altri sostengono che l'oggettività dell'universo
non ha necessariamente bisogno di un soggetto consapevole per essere valida. Io
non credo, perché la diade soggetto/oggetto viene prima di tutto. Appare col
tutto.
E se scambiassimo per oggettivo ciò che è in realtà è uno stesso sogno fatto da un gruppo di persone presenti? L' oggettivo non sarebbe allora che un soggettivo condiviso!
Il soggettivo condiviso apparirebbe diverso a un altro gruppo di persone, dotate di una diversa coscienza. Che così sarebbe veramente relativa. Certo, per ora non ne abbiamo incontrate. Ma si può escluderlo? E se i marziani avessero tutti un' altra ora, anzi diversi segnatempo?
Già oggi gruppi diversi di persone hanno convinzioni diverse, soggettive a quel gruppo. E giurerebbero che sono oggettive, la verità . E se i loro orologi segnassero tempi diversi?
Nessuno è mai andato a verificare.
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