martedì 27 agosto 2024

La variabilità della coscienza

 

Le diadi sono concetti astratti che si deducono dal loro funzionamento. Un po' come l'energia che nessuno sa cosa sia, ma che si deduce dal lavoro  che compie. 

Anche le diadi si deducono dal lavoro che compiono in ogni campo. Sono leggi di funzionamento. Noi vediamo in azione due polarità che si contrastano, ma sono complementari. 

Questa visione ha però conseguenze importanti. Non si può più ragionare in termini lineari, conseguenti, ma in termini circolari. L'effetto non è semplicemente conseguente alla causa, ma anche la causa è conseguente all' effetto, in una oscillazione continua. Ma il discorso è valido anche per la coppia soggetto-oggetto e per tutte le coppie antinomiche. 

Che lavoro svolgono le diadi?

Svolgono il lavoro di far funzionare tutte le coppie di opposti che si trovano in campo fisico e in campo psichico. E sono tante. Inoltre danno la caratteristica duale degli organi dei nostri corpi, del Dna, della coscienza e del tempo.

Bisogna tenerne conto se si vuole comprendere la realtà, che è unitaria e non divisa in tanti settori. La struttura diadica investe e unifica l’intera realtà: fisica, mentale e degli eventi.

Per esempio, non si può più costruire una spiegazione del reale che non consideri il dualismo soggetto/oggetto. Non può esserci un oggetto senza il corrispondente soggetto.

 Noi siamo abituati a pensare che prima nasca la materia inanimata e poi un soggetto animato - non si sa come - di coscienza. Ma la coscienza da dove verrebbe?

Se venisse dalla materia stessa, per qualche processo di raffinazione o sublimazione, vorrebbe dire che la coscienza esisteva già in potenza nella materia. Non vi pare? Se qualcuno o qualcosa la infondesse in un secondo momento, chi sarebbe? Il famoso Dio? Ipotesi mitologica o fantastica che non spiega nulla perché di questo Dio non sappiamo nulla. Semplicemente, ce lo immaginiamo, come nel caso di un extraterrestre o di un super-intelligente programmatore. Roba da romanzi o da cinema.

Stiamo nella realtà, con i piedi piantati per terra. Se la coscienza nasce dalla materia o dall'energia, per un processo o un' evoluzione che non conosciamo, vuole dire che era già contenuta nella materia o nell'energia, in una forma o nell'altra. Da qui non si sfugge.

Allora, dobbiamo rivedere i nostri concetti di materia o energia. In che momento, in quale punto, a quale livello, in quale struttura era già presente?

Gli scienziati ci parlano di particelle, atomi, fotoni, molecole, ecc. Ma quando e dove si è formata la coscienza? Mi sembra che il problema sia solo spostato.

I più s'immaginano che la coscienza sia nata quando l'organizzazione della materia abbia raggiunto un certo livello di complessità. Ma anche pensando così, il problema viene soltanto spostato. Perché, se la complessità fa emergere a un certo punto la coscienza, la coscienza doveva già essere presente. Oppure pensiamo che, costruendo una macchina o un meccanismo complicato, questo acquisti coscienza. Come? Per magia?

Inoltre, il problema diventa ancora più complicato (!) dal fatto che è la stessa coscienza a porsi il problema. In altri termini, come può una scienza che parte da una separazione fra materia e mente, rimettere insieme le due cose?

Prima le divide e poi cerca di rimetterle insieme? Mi pare un'impresa disperata, anzi impossibile. Se diamo per scontato che le due siano divise, come si può riunirle? Sarà sempre una pezza messa male, pronta a staccarsi.

Non è che il nostro modo di porsi il problema è sbagliato in partenza?

Dobbiamo ammettere che le due erano già unite in quella che io chiamo diade. Una formazione di due polarità contrastanti ma complementari.

Quando è apparsa la materia, in quel momento e in quello spazio (in quello spaziotempo, per quello spaziotempo) è apparso il mentale, il cosciente. O, se vogliamo, quando e dove è nata una polarità, è nata l' altra. Per il semplice motivo che le due sono come le due facce di una stessa medaglia.

O, forse, voi conoscete una medaglia che non abbia due facce o, come dice lo Zen, il suono di una mano sola? Infatti, non per caso siamo stati dotati di due mani (nonché di due occhi, due polmoni, due emisferi, ecc., non tre o cinque.)

Se la natura ci dota per lo più di due organi di vario tipo (e di una respirazione duale, ecc.), voi pensate che sia un caso? E pensate che prima sia nata l'inspirazione e dopo l' espirazione. O non sono nate insieme?

In conclusione, ciò che riteniamo apparso in tempi successivi, le due polarità, devono essere nate insieme. Se no, a cosa servirebbe uno spaziotempo?

Per finire, l' uomo non divida ciò che Dio ha unito!

Le diadi sono concetti astratti che si deducono dal loro funzionamento. Un po' come l'energia che nessuno sa cosa sia, ma che si deduce dal lavoro  che compie. 

Anche le diadi si deducono dal lavoro che compiono in ogni campo. Sono leggi di funzionamento. Noi vediamo in azione due polarità che si contrastano, ma sono complementari. 

Questa visione ha però conseguenze importanti. Non si può più ragionare in termini lineari, conseguenti, ma in termini circolari. L'effetto non è semplicemente conseguente alla causa, ma anche la causa è conseguente all' effetto, in una oscillazione continua. Ma il discorso è valido anche per la coppia soggetto-oggetto e per tutte le coppie antinomiche. 

Che lavoro svolgono le diadi?

Fanno funzionare tutte le coppie di opposti che si trovano in campo fisico e in campo psichico. E sono tante. In particolare mettono in azione la coppia soggetto/oggetto, il che significa che ciò che si ritiene un soggetto che compie una ricerca in un mondo ritenuto oggettuale deve tener conto del fatto che lui è fa già parte di una dualità che cerca di capire un polo solo (l’oggetto) di una dualità.

Quando uno scienziato “scopre” una legge che ritiene oggettiva, in realtà sta compiendo una scissione o se vogliamo crea una separazione erronea fra sé e il mondo. Ma il mondo non è solo oggettivo, è già duale, è già soggettivo/oggettivo.

Il problema dell’oggettività della scienza (per esempio dello spaziotempo o della forza di gravità) è il priblema dei problemi.

Nella relatività generale, lo spaziotempo è descritto come una struttura dinamica che è influenzata dalla massa e dall'energia. Questo significa che la geometria dello spaziotempo può curvarsi in presenza di massa, come nel caso dei pianeti e delle stelle. Inoltre, eventi che possono sembrare simultanei per un osservatore possono non esserlo per un altro osservatore che si muove a una velocità diversa, il che implica che misure di tempo e spazio siano relative e dipendano dal sistema di riferimento dell'osservatore.

Quindi, lo spaziotempo non è assoluto; è un'entità relativa che varia in base alla gravità e alla velocità degli osservatori. Ma dire che lo spaziotempo è relativo non significa che la coscienza degli osservatori è relativa? Perché sono loro che effettuano le misurazioni e le confrontano.

Dunque, già nella teoria della relatività è fondamentale la presenza e il ruolo dell’osservatore, cioè della sua coscienza. Senza questa, chi si renderebbe conto della relatività dello spaziotempo? Certo, sono concretamente gli orologi che misurano il tempo, ma, senza una coscienza soggettiva, nessuno saprebbe di questa relatività, nessuno la determinerebbe.

In termini di fisica, la relatività afferma che misure di tempo e spazio dipendono dallo stato di moto dell'osservatore, il che non implica necessariamente che la coscienza stessa sia di per sé relativa.

Però, la coscienza è l'esperienza soggettiva di un osservatore - e quindi relativa per definizione. Che cosa c'è di più relativo del soggettivo? 

Quando parliamo di misurazioni nel contesto della relatività, ci riferiamo a come gli eventi vengono interpretati e misurati da diversi osservatori. Ogni osservatore ha una propria esperienza del tempo e dello spazio, ma ciò non implica ancora che la coscienza in sé sia relativa.

Nella relatività, è il sistema di riferimento a essere relativo. Due osservatori in stati di moto relativi possono avere esperienze temporali e spaziali diverse, ma questo non porta a una relatività della coscienza. Ogni osservatore può essere consapevole delle proprie esperienze e interpretarle, anche se le loro misurazioni devono essere oggettive. 

Indipendentemente dalla soggettività, l'orologio dovrebbe misurare lo stesso tempo per tutti gli individui che vanno alla stessa velocità. Dovrebbe essere oggettivo.

Ci sono discussioni filosofiche su come la coscienza interagisca con la realtà esterna, ma le domande sulla natura della coscienza tendono a essere sviluppate in termini diversi rispetto agli aspetti fisici dello spaziotempo. La coscienza, in quanto fenomeno soggettivo, richiede un trattamento separato (qui sta il punto debole), pur essendo in relazione con il contesto fisico e le misurazioni

In sintesi, mentre lo spaziotempo è relativo e dipende dall'osservatore, la coscienza può essere vista come un fenomeno individuale e soggettivo che non è semplicemente "relativa" nel modo in cui lo sono le misurazioni fisiche.

Questo dice la fisica ufficiale. Ma, senza osservatori dotati di coscienza, chi farebbe le misurazioni?

La relazione tra spaziotempo e soggetto osservante è stata discussa ampiamente nei contesti della relatività e della filosofia della scienza.

 

In fisica, lo spaziotempo è un modello matematico che descrive la struttura dell'universo in termini di tre dimensioni spaziali e una dimensione temporale. Si dice che questa struttura esiste indipendentemente dalla nostra osservazione. Ad esempio, le leggi della fisica, come la gravità, operano in questo spaziotempo anche se non ci sono osservatori. Pertanto, in questo senso, lo spaziotempo sembra avere una realtà oggettiva.

 

Tuttavia, sebbene lo spaziotempo possa esistere come struttura fisica, l'interpretazione e la misura degli eventi in questo spaziotempo dipendono da osservatori con coscienza. Gli effetti relativistici, come la dilatazione del tempo e la contrazione della lunghezza, sono osservabili solo in relazione a un soggetto che misura e interpreta tali eventi. Senza questa misurazione, non potremmo descrivere o comprendere le esperienze temporali e spaziali.

La filosofia della scienza ha esplorato la questione se realtà e osservazione siano intrinsecamente legate. Alcuni filoni di pensiero sostengono che la realtà oggettiva (in questo caso lo spaziotempo) e l'osservazione soggettiva (il soggetto che misura) siano interconnesse; altri possono sostenere che esista un'oggettività indipendente dall'osservato.

Comunque, in meccanica quantistica, la questione della misura è centrale, portando a discussioni sul "ruolo dell'osservatore". Qui, le misure possono effettivamente influenzare lo stato del sistema osservato, ma anche qui, gli esperimenti mostrano che esistono leggi fisiche che governano la realtà, indipendentemente dall'osservazione.

Però, chi si rende conto di tutto questo? Chi, se non un soggetto in quanto contrapposto (non del tutto) a un oggetto? E come è possibile separare l’oggettivo dal soggettivo?

In fisica, si presume che le leggi della natura e la struttura dello spaziotempo esistano indipendentemente dalla presenza di un osservatore. Anche se nessun essere consapevole fosse presente, si sarebbe comunque verificato un insieme di eventi e processi fisici. Ad esempio, un sistema solare esiste e orbita attorno a una stella, e questa attività avverrebbe anche in assenza di esseri umani o di qualsiasi osservatore cosciente.

Ma chi può dirlo? E se, in mancanza di un osservatore, non esistesse che un ammasso caotico?

L'osservatore gioca un ruolo cruciale nel dare significato e interpretazione agli eventi. Gli esseri umani (o altre forme di vita consapevole) formulano modelli, teorie e descrizioni della realtà. È solo attraverso la percezione e l'elaborazione di esperienze che possiamo comprendere, misurare e studiare il mondo.

Tuttavia, gli “oggettivisti,” direbbero che la mancanza di un osservatore non implica che la realtà non esista; piuttosto, significa che non esisterebbe nessuna esperienza soggettiva o consapevolezza di essa.

Ma chi può dirlo? Non possiamo fare l’esperimento di non esserci!

Chi si renderebbe conto di tutto questo? Non si può lasciar fuori il soggetto! L’oggetto presuppone già il soggetto, a livello mentale e fisico.

Come già accennato, in meccanica quantistica, ci sono interpretazioni varie riguardo al ruolo dell'osservatore. Alcune (come l'interpretazione di Copenaghen) enfatizzano il fatto che la misura da parte di un osservatore è fondamentale per determinare lo stato di un sistema.

In conclusione, alcuni filosofi e scienziati hanno argomentato che la coscienza è necessaria per conferire significato a ciò che esiste. Altri sostengono che l'oggettività dell'universo non ha necessariamente bisogno di un soggetto consapevole per essere valida. Io non credo, perché la diade soggetto/oggetto viene prima di tutto. Appare col tutto.

E se scambiassimo per oggettivo ciò che è in realtà una stessa esperienza-sogno fatto da un gruppo di persone presenti? L' oggettivo non sarebbe allora che un soggettivo condiviso! Questa è la mia idea.

Il soggettivo condiviso apparirebbe diverso a un altro gruppo di persone, dotate di una diversa coscienza. Che così sarebbe veramente relativa. Certo, per ora non ne abbiamo incontrate. Ma si può escluderlo? E se i marziani avessero tutti un' altra ora, anzi diversi segnatempo?

Già oggi gruppi diversi di persone hanno convinzioni diverse, soggettive a quel gruppo. E giurerebbero che sono oggettive, la verità . E se i loro segnatempo segnassero spaziotempi diversi? Non mi meraviglierei.

Nessuno è mai andato a verificare.

Comunque, io direi che anche la coscienza è relativa, più che alla velocità con cui si sposta, all’oggettività stessa. In un certo senso, si può argomentare che la coscienza è relativa in diversi modi:

 

1.Innanzitutto, la coscienza è profondamente personale e soggettiva. E qui non ci piove. Ogni individuo vive la propria esperienza della realtà in modo unico, influenzato da fattori come la cultura, le emozioni, le esperienze passate e le condizioni psicologiche. Ciò significa che la percezione di un evento o di una situazione può variare notevolmente da persona a persona.

 

2. Inoltre la coscienza non è un'entità fissa; può variare in intensità e contenuto. Gli stati di coscienza possono essere alterati da fattori esterni (come sostanze chimiche, sonno o meditazione) o interni (come pensieri e stati emotivi). In questo senso, ciò che una persona percepisce come "reale" o "importante" può cambiare a seconda del proprio stato di coscienza.

 

3. Infine la formazione della coscienza è influenzata dal contesto culturale e sociale. Ciò che è considerato importante o vero in una cultura può non esserlo in un'altra. Questo porta a interpretazioni diverse della realtà e delle esperienze individuali.

 

Diverse correnti filosofiche offrono visioni contrastanti sulla natura della coscienza. Alcune teorie potrebbero sottolineare l'aspetto soggettivo e relativo della coscienza, mentre altre cercheranno di definire la coscienza in termini oggettivi e universali.

Ma come si fa a dire che la coscienza è oggettiva e universale senza termini di confronto? Diciamo che lo è solo in relazione a noi, a questo gruppo di esseri viventi e coscienti. Ma, se ci fossero, in questo sterminato universo, altri esseri viventi e coscienti, quale coscienza avrebbero, quanta coscienza avrebbero? Non è difficile ipotizzare una diversa coscienza, soprattutto perché il nostro grado di consapevolezza è assai variabile, in noi stessi e da uomo a uomo.

Se la coscienza fosse così diversa, anche l’esperienza del mondo sarebbe diversa. Non solo: sarebbe diverso il mondo. Perché sarebbe diverso il rapporto diadico soggetto/oggetto. In fondo la diade è variabile per definizione.

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