Le
diadi sono concetti astratti che si deducono dal loro funzionamento. Un po'
come l'energia che nessuno sa cosa sia, ma che si deduce dal lavoro che
compie.
Anche
le diadi si deducono dal lavoro che compiono in ogni campo. Sono leggi di
funzionamento. Noi vediamo in azione due polarità che si contrastano, ma sono
complementari.
Questa
visione ha però conseguenze importanti. Non si può più ragionare in termini
lineari, conseguenti, ma in termini circolari. L'effetto non è semplicemente
conseguente alla causa, ma anche la causa è conseguente all' effetto, in una
oscillazione continua. Ma il discorso è valido anche per la coppia
soggetto-oggetto e per tutte le coppie antinomiche.
Che
lavoro svolgono le diadi?
Svolgono
il lavoro di far funzionare tutte le coppie di opposti che si trovano in campo
fisico e in campo psichico. E sono tante. Inoltre danno la caratteristica duale
degli organi dei nostri corpi, del Dna, della coscienza e del tempo.
Bisogna
tenerne conto se si vuole comprendere la realtà, che è unitaria e non divisa in
tanti settori. La struttura diadica investe e unifica l’intera realtà: fisica,
mentale e degli eventi.
Per
esempio, non si può più costruire una spiegazione del reale che non consideri
il dualismo soggetto/oggetto. Non può esserci un oggetto senza il
corrispondente soggetto.
Noi
siamo abituati a pensare che prima nasca la materia inanimata e poi un soggetto
animato - non si sa come - di coscienza. Ma la coscienza da dove verrebbe?
Se
venisse dalla materia stessa, per qualche processo di raffinazione o
sublimazione, vorrebbe dire che la coscienza esisteva già in potenza nella
materia. Non vi pare? Se qualcuno o qualcosa la infondesse in un secondo
momento, chi sarebbe? Il famoso Dio? Ipotesi mitologica o fantastica che non
spiega nulla perché di questo Dio non sappiamo nulla. Semplicemente, ce lo
immaginiamo, come nel caso di un extraterrestre o di un super-intelligente
programmatore. Roba da romanzi o da cinema.
Stiamo
nella realtà, con i piedi piantati per terra. Se la coscienza nasce dalla
materia o dall'energia, per un processo o un' evoluzione che non conosciamo,
vuole dire che era già contenuta nella materia o nell'energia, in una forma o
nell'altra. Da qui non si sfugge.
Allora,
dobbiamo rivedere i nostri concetti di materia o energia. In che momento, in
quale punto, a quale livello, in quale struttura era già presente?
Gli
scienziati ci parlano di particelle, atomi, fotoni, molecole, ecc. Ma quando
e dove si è formata la coscienza? Mi sembra che il problema sia solo
spostato.
I più
s'immaginano che la coscienza sia nata quando l'organizzazione della materia
abbia raggiunto un certo livello di complessità. Ma anche pensando così, il
problema viene soltanto spostato. Perché, se la complessità fa emergere a un
certo punto la coscienza, la coscienza doveva già essere presente. Oppure
pensiamo che, costruendo una macchina o un meccanismo complicato, questo
acquisti coscienza. Come? Per magia?
Inoltre,
il problema diventa ancora più complicato (!) dal fatto che è la stessa
coscienza a porsi il problema. In altri termini, come può una scienza che parte
da una separazione fra materia e mente, rimettere insieme le due cose?
Prima
le divide e poi cerca di rimetterle insieme? Mi pare un'impresa disperata, anzi
impossibile. Se diamo per scontato che le due siano divise, come si può
riunirle? Sarà sempre una pezza messa male, pronta a staccarsi.
Non è
che il nostro modo di porsi il problema è sbagliato in partenza?
Dobbiamo
ammettere che le due erano già unite in quella che io chiamo diade. Una
formazione di due polarità contrastanti ma complementari.
Quando
è apparsa la materia, in quel momento e in quello spazio (in quello
spaziotempo, per quello spaziotempo) è apparso il mentale, il cosciente. O, se
vogliamo, quando e dove è nata una polarità, è nata l' altra. Per il semplice
motivo che le due sono come le due facce di una stessa medaglia.
O,
forse, voi conoscete una medaglia che non abbia due facce o, come dice lo Zen,
il suono di una mano sola? Infatti, non per caso siamo stati dotati di due mani
(nonché di due occhi, due polmoni, due emisferi, ecc., non tre o cinque.)
Se la
natura ci dota per lo più di due organi di vario tipo (e di una respirazione
duale, ecc.), voi pensate che sia un caso? E pensate che prima sia nata
l'inspirazione e dopo l' espirazione. O non sono nate insieme?
In
conclusione, ciò che riteniamo apparso in tempi successivi, le due polarità,
devono essere nate insieme. Se no, a cosa servirebbe uno spaziotempo?
Per
finire, l' uomo non divida ciò che Dio ha unito!
Le
diadi sono concetti astratti che si deducono dal loro funzionamento. Un po'
come l'energia che nessuno sa cosa sia, ma che si deduce dal lavoro che
compie.
Anche
le diadi si deducono dal lavoro che compiono in ogni campo. Sono leggi di
funzionamento. Noi vediamo in azione due polarità che si contrastano, ma sono
complementari.
Questa
visione ha però conseguenze importanti. Non si può più ragionare in termini
lineari, conseguenti, ma in termini circolari. L'effetto non è semplicemente
conseguente alla causa, ma anche la causa è conseguente all' effetto, in una
oscillazione continua. Ma il discorso è valido anche per la coppia
soggetto-oggetto e per tutte le coppie antinomiche.
Che
lavoro svolgono le diadi?
Fanno
funzionare tutte le coppie di opposti che si trovano in campo fisico e in campo
psichico. E sono tante. In particolare mettono in azione la coppia
soggetto/oggetto, il che significa che ciò che si ritiene un soggetto che
compie una ricerca in un mondo ritenuto oggettuale deve tener conto del fatto
che lui è fa già parte di una dualità che cerca di capire un polo solo (l’oggetto)
di una dualità.
Quando uno scienziato “scopre” una legge che
ritiene oggettiva, in realtà sta compiendo una scissione o se vogliamo crea una
separazione erronea fra sé e il mondo. Ma il mondo non è solo oggettivo, è già
duale, è già soggettivo/oggettivo.
Il problema dell’oggettività della scienza (per
esempio dello spaziotempo o della forza di gravità) è il priblema dei problemi.
Nella
relatività generale, lo spaziotempo è descritto come una struttura dinamica che
è influenzata dalla massa e dall'energia. Questo significa che la geometria
dello spaziotempo può curvarsi in presenza di massa, come nel caso dei pianeti
e delle stelle. Inoltre, eventi che possono sembrare simultanei per un
osservatore possono non esserlo per un altro osservatore che si muove a una
velocità diversa, il che implica che misure di tempo e spazio siano relative e
dipendano dal sistema di riferimento dell'osservatore.
Quindi,
lo spaziotempo non è assoluto; è un'entità relativa che varia in base alla
gravità e alla velocità degli osservatori. Ma dire che lo spaziotempo è
relativo non significa che la coscienza degli osservatori è relativa? Perché
sono loro che effettuano le misurazioni e le confrontano.
Dunque,
già nella teoria della relatività è fondamentale la presenza e il ruolo
dell’osservatore, cioè della sua coscienza. Senza questa, chi si renderebbe
conto della relatività dello spaziotempo? Certo, sono concretamente gli orologi
che misurano il tempo, ma, senza una coscienza soggettiva, nessuno saprebbe di
questa relatività, nessuno la determinerebbe.
In
termini di fisica, la relatività afferma che misure di tempo e spazio dipendono
dallo stato di moto dell'osservatore, il che non implica necessariamente che la
coscienza stessa sia di per sé relativa.
Però, la
coscienza è l'esperienza soggettiva di un osservatore - e quindi relativa per
definizione. Che cosa c'è di più relativo del soggettivo?
Quando
parliamo di misurazioni nel contesto della relatività, ci riferiamo a come gli
eventi vengono interpretati e misurati da diversi osservatori. Ogni osservatore
ha una propria esperienza del tempo e dello spazio, ma ciò non implica ancora che
la coscienza in sé sia relativa.
Nella
relatività, è il sistema di riferimento a essere relativo. Due osservatori in
stati di moto relativi possono avere esperienze temporali e spaziali diverse,
ma questo non porta a una relatività della coscienza. Ogni osservatore può
essere consapevole delle proprie esperienze e interpretarle, anche se le loro
misurazioni devono essere oggettive.
Indipendentemente
dalla soggettività, l'orologio dovrebbe misurare lo stesso tempo per tutti gli
individui che vanno alla stessa velocità. Dovrebbe essere oggettivo.
Ci sono
discussioni filosofiche su come la coscienza interagisca con la realtà esterna,
ma le domande sulla natura della coscienza tendono a essere sviluppate in
termini diversi rispetto agli aspetti fisici dello spaziotempo. La coscienza,
in quanto fenomeno soggettivo, richiede un trattamento separato (qui sta
il punto debole), pur essendo in relazione con il contesto fisico e le
misurazioni
In
sintesi, mentre lo spaziotempo è relativo e dipende dall'osservatore, la
coscienza può essere vista come un fenomeno individuale e soggettivo che non è
semplicemente "relativa" nel modo in cui lo sono le misurazioni
fisiche.
Questo
dice la fisica ufficiale. Ma, senza osservatori dotati di coscienza, chi
farebbe le misurazioni?
La
relazione tra spaziotempo e soggetto osservante è stata discussa ampiamente nei
contesti della relatività e della filosofia della scienza.
In
fisica, lo spaziotempo è un modello matematico che descrive la struttura
dell'universo in termini di tre dimensioni spaziali e una dimensione temporale.
Si dice che questa struttura esiste indipendentemente dalla nostra
osservazione. Ad esempio, le leggi della fisica, come la gravità, operano in
questo spaziotempo anche se non ci sono osservatori. Pertanto, in questo senso,
lo spaziotempo sembra avere una realtà oggettiva.
Tuttavia,
sebbene lo spaziotempo possa esistere come struttura fisica, l'interpretazione
e la misura degli eventi in questo spaziotempo dipendono da osservatori con
coscienza. Gli effetti relativistici, come la dilatazione del tempo e la
contrazione della lunghezza, sono osservabili solo in relazione a un soggetto
che misura e interpreta tali eventi. Senza questa misurazione, non potremmo
descrivere o comprendere le esperienze temporali e spaziali.
La
filosofia della scienza ha esplorato la questione se realtà e osservazione
siano intrinsecamente legate. Alcuni filoni di pensiero sostengono che la
realtà oggettiva (in questo caso lo spaziotempo) e l'osservazione soggettiva
(il soggetto che misura) siano interconnesse; altri possono sostenere che
esista un'oggettività indipendente dall'osservato.
Comunque,
in meccanica quantistica, la questione della misura è centrale, portando a
discussioni sul "ruolo dell'osservatore". Qui, le misure possono
effettivamente influenzare lo stato del sistema osservato, ma anche qui, gli
esperimenti mostrano che esistono leggi fisiche che governano la realtà,
indipendentemente dall'osservazione.
Però, chi
si rende conto di tutto questo? Chi, se non un soggetto in quanto
contrapposto (non del tutto) a un oggetto? E come è possibile separare
l’oggettivo dal soggettivo?
In
fisica, si presume che le leggi della natura e la struttura dello spaziotempo
esistano indipendentemente dalla presenza di un osservatore. Anche se nessun
essere consapevole fosse presente, si sarebbe comunque verificato un insieme di
eventi e processi fisici. Ad esempio, un sistema solare esiste e orbita attorno
a una stella, e questa attività avverrebbe anche in assenza di esseri umani o
di qualsiasi osservatore cosciente.
Ma
chi può dirlo? E se, in
mancanza di un osservatore, non esistesse che un ammasso caotico?
L'osservatore
gioca un ruolo cruciale nel dare significato e interpretazione agli eventi. Gli
esseri umani (o altre forme di vita consapevole) formulano modelli, teorie e
descrizioni della realtà. È solo attraverso la percezione e l'elaborazione di
esperienze che possiamo comprendere, misurare e studiare il mondo.
Tuttavia,
gli “oggettivisti,” direbbero che la mancanza di un osservatore non implica che
la realtà non esista; piuttosto, significa che non esisterebbe nessuna
esperienza soggettiva o consapevolezza di essa.
Ma
chi può dirlo? Non possiamo fare l’esperimento di non esserci!
Chi
si renderebbe conto di tutto questo? Non si può lasciar fuori il soggetto!
L’oggetto presuppone già il soggetto, a livello mentale e fisico.
Come già
accennato, in meccanica quantistica, ci sono interpretazioni varie riguardo al
ruolo dell'osservatore. Alcune (come l'interpretazione di Copenaghen)
enfatizzano il fatto che la misura da parte di un osservatore è fondamentale
per determinare lo stato di un sistema.
In
conclusione, alcuni filosofi e scienziati hanno argomentato che la coscienza è
necessaria per conferire significato a ciò che esiste. Altri sostengono che
l'oggettività dell'universo non ha necessariamente bisogno di un soggetto
consapevole per essere valida. Io non credo, perché la diade soggetto/oggetto
viene prima di tutto. Appare col tutto.
E se
scambiassimo per oggettivo ciò che è in realtà una stessa esperienza-sogno
fatto da un gruppo di persone presenti? L' oggettivo non sarebbe allora che un soggettivo
condiviso! Questa è la mia idea.
Il
soggettivo condiviso apparirebbe diverso a un altro gruppo di persone, dotate
di una diversa coscienza. Che così sarebbe veramente relativa. Certo, per ora
non ne abbiamo incontrate. Ma si può escluderlo? E se i marziani avessero tutti
un' altra ora, anzi diversi segnatempo?
Già oggi
gruppi diversi di persone hanno convinzioni diverse, soggettive a quel gruppo.
E giurerebbero che sono oggettive, la verità . E se i loro segnatempo
segnassero spaziotempi diversi? Non mi meraviglierei.
Nessuno
è mai andato a verificare.
Comunque,
io direi che anche la coscienza è relativa, più che alla velocità con cui si
sposta, all’oggettività stessa. In un certo senso, si può argomentare che la
coscienza è relativa in diversi modi:
1.Innanzitutto,
la coscienza è profondamente personale e soggettiva. E qui non ci piove. Ogni
individuo vive la propria esperienza della realtà in modo unico, influenzato da
fattori come la cultura, le emozioni, le esperienze passate e le condizioni
psicologiche. Ciò significa che la percezione di un evento o di una situazione
può variare notevolmente da persona a persona.
2.
Inoltre la coscienza non è un'entità fissa; può variare in intensità e
contenuto. Gli stati di coscienza possono essere alterati da fattori esterni
(come sostanze chimiche, sonno o meditazione) o interni (come pensieri e stati
emotivi). In questo senso, ciò che una persona percepisce come
"reale" o "importante" può cambiare a seconda del proprio
stato di coscienza.
3.
Infine la formazione della coscienza è influenzata dal contesto culturale e
sociale. Ciò che è considerato importante o vero in una cultura può non esserlo
in un'altra. Questo porta a interpretazioni diverse della realtà e delle
esperienze individuali.
Diverse
correnti filosofiche offrono visioni contrastanti sulla natura della coscienza.
Alcune teorie potrebbero sottolineare l'aspetto soggettivo e relativo della
coscienza, mentre altre cercheranno di definire la coscienza in termini
oggettivi e universali.
Ma come
si fa a dire che la coscienza è oggettiva e universale senza termini di
confronto? Diciamo che lo è solo in relazione a noi, a questo gruppo di esseri
viventi e coscienti. Ma, se ci fossero, in questo sterminato universo, altri
esseri viventi e coscienti, quale coscienza avrebbero, quanta coscienza
avrebbero? Non è difficile ipotizzare una diversa coscienza, soprattutto perché
il nostro grado di consapevolezza è assai variabile, in noi stessi e da uomo a
uomo.
Se la coscienza fosse così diversa, anche l’esperienza del mondo sarebbe diversa. Non solo: sarebbe diverso il mondo. Perché sarebbe diverso il rapporto diadico soggetto/oggetto. In fondo la diade è variabile per definizione.
Nessun commento:
Posta un commento