Per quanto le neuroscienze cerchino di ridurre la
coscienza a un epifenomeno del cervello, non arrivano mai a dimostrarlo.
La
domanda cui tutti vorrebbero trovare una risposta è rimasta inevasa:
come mai, oltre all’attività neurale (che si osserva), c’è anche la coscienza
(che non si osserva)? L’imbarazzo per le neuroscienze nasce dal fatto che,
tutt’ora, la nostra coscienza è fatta di cose che non si trovano nell’attività
nervosa e, viceversa, quello che succede nel sistema nervoso non richiede né
suggerisce la presenza della coscienza.
C' è chi sostiene che il cervello è un meccanismo quantistico, ma la teoria resta da dimostrare ed è un po' fumosa. Resta sempre da spiegare come da un meccanismo fisico, come il cervello, possa venire fuori una coscienza che non è fisica.
Il problema resta sempre quello del rapporto tra spirito e materia. La nostra scienza, dopo aver diviso i due poli, non sa più come unirli.
Non
credo che questa sia la via giusta. Bisogna cambiare la domanda; non bisogna
cercare nel cervello fisico il segreto della coscienza, ma vedere il cervello
come un prodotto di uno stato originale in cui materia e coscienza, esterno e
interno, sono uniti… differenziandosi come le due facce di una medaglia.
Piuttosto
chiediamoci se la differenziazione è avvenuta una volta nel passato, o se la
differenziazione avviene sempre, magari in modo variabile e proporzionale tra
le due polarità virtuali.
In
questo momento, non so rispondere. Devo pensarci, perché il problema s’intreccia
con quello del tempo-coscienza.
Se il tempo è ciclico e non lineare, come sospetto, l’attività di differenziazione dovrebbe essere continua e quindi sempre attuale. Il che ci darebbe delle possibilità incredibili. Perché potremmo vedere la produzione contemporanea di mente e materia.
Arriveremmo così a scoprire come a un processo mentale corrisponda un processo materiale, e viceversa.
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