Diciamo che l’equilibrio è la legge prima della natura.
Perché se le cose, i corpi, le forze e gli eventi non trovassero a un certo
punto l’equilibrio, tutto collasserebbe I fisici usano questo verbo per dire
che in un campo di possibilità, si determina a un certo punto un “collasso” per
definire qualcosa. Ma non è un concetto nuovo.
Dalla potenza all’atto, diceva Aristotele.
Questo però succede nei sistemi quantistici, che sono meglio descritti dalle leggi della
meccanica quantistica piuttosto che dalla meccanica classica. Quando le dimensioni del sistema si riducono ad una scala
microscopica, come ad esempio in presenza di particelle elementari o a livello
atomico e sub-atomico. In questi casi, le particelle seguono i principi
quantistici come la sovrapposizione di stati, il “collasso”, la dualità
onda-particella e l'entanglement quantistico.
Il
collasso quantistico è un concetto che si riferisce
al cambiamento improvviso di uno stato quantistico di un sistema mentre
viene misurato. Secondo l'interpretazione standard della meccanica
quantistica, quando si effettua una misurazione su un sistema quantistico, il
suo stato "collassa" da una sovrapposizione di stati possibili a uno
stato definito. Questo collasso avviene in modo non deterministico.
Ma noi lo usiamo, nel linguaggio comune, in un altro senso: una costruzione collassa
quando si crea uno squilibrio che determina il prevalere di una forza che rompe
l’equilibrio e fa crollare tutto. E naturalmente c’è anche un collasso
psichico, dato che anche noi siamo sistemi che devono trovare un equilibrio.
Se non lo troviamo, collassiamo.
Dunque, l’equilibrio è fondamentale in ogni aspetto della
natura.
Nessuno
pensa che il collasso quantistico valga anche per la realtà macroscopica, ma,
se lo concepiamo come passaggio dalla potenza all’atto, questo avviene
dappertutto. Ma quale sarebbe l’atto conoscitivo che, nella realtà
macroscopica, provoca il passaggio? Ovviamente l’atto di apprendimento della mente-coscienza.
Potremmo
dire così: ci sono tante possibilità che uno stato cambi o che un avvenimento
avvenga, ma ciò che determina il cambiamento, il collasso in uno stato
definito, dipende in ultima analisi dall’atto di apprendimento.
Nel contesto della metafisica
aristotelica, il concetto di passaggio dalla potenza all'atto si riferisce al
processo attraverso il quale una cosa potenzialmente capace di manifestare
determinate caratteristiche o proprietà effettivamente le manifesta. Secondo
Aristotele, ogni ente possiede due aspetti fondamentali: la potenza e l'atto.
La potenza si riferisce alla capacità
intrinseca di un oggetto di poter diventare qualcosa di diverso da sé, di
esercitare determinate azioni o manifestare certe caratteristiche.
L'atto rappresenta lo stato effettivo
in cui le potenzialità di un oggetto sono attuate e manifestate.
Il passaggio dalla potenza all'atto
avviene quando la potenzialità di un oggetto viene attualizzata e si trasforma
in realtà effettiva. Tale trasformazione può essere determinata da una serie
di fattori come l'interazione con altri enti, l'ambiente circostante, le
caratteristiche intrinseche dell'oggetto stesso o l'intervento di una causa
efficiente esterna.
Vediamo come tra questi fattori ci sia
l’interazione con altri enti, intesi come enti dell'universo. Ma perché non considerare
che tra questi enti ci sia il fattore mente-coscienza?
Se io prendo coscienza di qualcosa,
non lo definisco?
Per esempio, se mi trovo in una
situazione confusa o incerta in cui non so che pesci pigliare, quale via
imboccare o cosa decidere, mi metto a pensare ai vari pro e contro, e alla
fine, guidato anche dall’istinto o dal sesto senso o da chissà che, imbocco una
via o decido qualcosa. Perché, anche se non decido o scelgo, una via la devo
comunque prendere. Magari getterò una moneta assegnando un valore di sì e di no
alle due facce, consulterò i tarocchi, esaminerò i fondi di caffè, ascolterò un amico, consulterò l’I Ching, consulterò le
stelle o userò altri mezzi di previsione per prendere una decisione… Ma che
cosa avviene in realtà?
Avviene che io, o ciò che credo io, decide.
Ora, il verbo "decidere"
deriva dal latino "caedere"
che significa "cadere" o “tagliare”. Nel primo significato indica "cadere a favore di una
parte" o "essere risolto a favore di qualcosa". Questo
suggerisce l'idea di prendere una decisione, di scegliere tra opzioni diverse e
di giungere a una conclusione definitiva su una questione. Il prefisso
"de-" in questo caso indica "giù", "da" o
"verso il basso". Quindi "decidere" ha il significato di
"cadere da" o "cadere verso il basso". Questo suggerisce
l'idea di "cadere a favore di una scelta o cadere da una scelta a
un'altra", cioè prendere una decisione o una scelta tra varie opzioni.
Anche nel suo significato di "tagliare",
significa "tagliare via" , evidenziando il concetto di tagliare tra
le opzioni e scegliere quella giusta.
Ma che cosa faccio “cadere”?
Che cos’è il cadere se non un collassare e un far accadere? Dunque la mia mente, attraverso percorsi imperscrutabili, ha fatto accadere o definire qualcosa.
Anche la nostra mente fa accadere qualcosa!
Decidere è fare accadere, cioè far cadere - o collassare - una possibilità fra le altre.
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