Cantano, ballano, amano, scopano,
mangiano, bevono, si danno alle feste… che altro c’è da fare in attesa che il
mondo finisca? Come nell’aneddoto zen dell’uomo inseguito da una tigre che si
arrampica su un albero proteso su un abisso. Che può fare? Tornare indietro non
può, farsi cadere è morire… allora si mette a mangiare i fichi sull’albero e li
trova gustosi! Li assapora in quei pochi istanti che gli rimangono, cercando di
non pensare a cosa lo aspetta.
Siamo tutti così. Non serve a niente
piangere e disperarsi: la situazione non cambia. Allora, tanto vale gustarsi
quei momenti.
Cogli l’attimo! Non ci rimane che
quell’attimo. Ma, indubbiamente, la situazione è disperata. Perché non possiamo
solo provare piacere: il tempo della vita ci riserva anche dolori e
sofferenze. E allora?
Fare buon viso a cattivo gioco?
Imparare a gioire anche sotto i bombardamenti? Non è così facile. Perché nel
fondo rimane quella coscienza fastidiosa che ci rimane poco tempo e che non ci
sarà sempre il sole.
Woody Allen diceva: fare tanti
sacrifici per allungarsi la vita di tre giorni? E magari in quei tre giorni non
farà che piovere!
Seneca, l’ottimista, ragionava: per
imparare a suonare uno strumento, devi esercitarti per anni. E non vuoi
esercitarti per un po’ per apprezzare la musica interiore?
Aveva ragione, in un certo senso. Ma
io che sono un pessimista mi domando: perché soffrire e stare male ci viene
così naturale e gioire richiede anni di riflessioni, di meditazioni, di
saggezza, di ricerche e di affinamento? Ci sono già due pesi e due misure.
La necessità di lavorare su di sé significa
dimenticare ciò che ci attende, mettere tra parentesi gli infiniti guai, dolori
e pensieri negativi e accontentarsi delle piccole gioie, come magiare i fichi.
Ma è un’ingiustizia!
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