venerdì 19 luglio 2024

L'oggettività delle leggi scientifiche

 

Sarebbe da ingenui pensare che ciò che noi percepiamo (prima con i sensi e poi con la coscienza) sia una realtà perfettamente oggettiva, senza nessun rapporto con il soggetto conoscente. Recentemente è stata messa in dubbio la stessa validità oggettiva delle leggi matematiche. E ci è chiesti: noi troviamo leggi oggettive, o le costruiamo per dare un senso al mondo… che ha tutt’altro senso!

Chi lo sa? A noi basta che le leggi funzionino, almeno temporaneamente. Poi si vedrà. Poi si scopriranno leggi più comprensive - è sempre andata così. Nessuno si illude più che ciò che troviamo sia oggettivo e risolutivo. E questo perché la nostra mente offre certamente sue interpretazioni.
La nostra mente ha limiti nella comprensione della complessità. Il dualismo semplifica il mondo, ma potrebbe non rappresentare completamente la realtà.
In breve, la percezione è una combinazione di adattamento evolutivo, linguaggio, cultura e limiti cognitivi. Il mondo stesso può essere più sfaccettato di quanto percepiamo, ma la nostra mente lo semplifica per renderlo comprensibile.

Scienziati come Tullio Regge e Seth Lloyd ipotizzano che le leggi fisiche non siano date fin dall'inizio ma emergano da un Caos che si auto-organizza.   
Fino a che punto le leggi scientifiche che via via scopriamo sono oggettive? Se riavvolgessimo il nastro della storia e poi lo facessimo ripartire da zero, ma lasciando libero corso agli eventi, senza obbligo di replicare esattamente quanto avvenuto al genere umano in milioni di anni, e ipotizzassimo una diversa evoluzione biologica dell’umanità, così diversa da produrre facoltà cognitive differenti da quelle dell’umanità attuale, in quel mondo parallelo e alternativo la scienza risulterebbe molto cambiata rispetto alla nostra, in termini di sostanza, oppure no? Uomini e donne con un cervello più piccolo, più grande o comunque diverso dal nostro produrrebbero leggi scientifiche comparabili con le nostre, con qualcosa in più o qualcosa in meno nei vari stadi di sviluppo, o invece totalmente differenti fin dalla radice? In altre parole, le leggi della natura, come da noi intuite e formalizzate, sono qualcosa di oggettivo che via via andiamo scoprendo, o sono invece qualcosa di soggettivo, che noi esseri umani creiamo di sana pianta con il nostro cervello? O per dirla in modo meno drastico: sono forse interpretazioni plausibili che proiettiamo sulla natura, non del tutto arbitrarie ma in parte sì, che potrebbero essere concepite e formalizzate in maniera del tutto differente se il punto di vista fosse diverso?

Da più di 50 anni si accumulano teorie fisiche e modelli matematici sempre più complicati in assenza di prove di fenomeni fisici a supporto. Quindi, se finalmente le prove sperimentali delle teorie venissero trovate, dovremmo semplicemente gioire del risultato, o un po’ anche sospettare, a latere, di aver semplicemente costruito ad arte la dimostrazione di quello che volevamo trovare a tutti i costi?

Qualcosa del genere è già successo, in modo anche più clamoroso, e ha coinvolto nientemeno che la relatività di Einstein. Un matematico italiano, Gregorio Ricci Curbastro, aveva concepito da zero una struttura matematica che chiamò calcolo differenziale assoluto, senza minimamente immaginare che potesse mai avere un’applicazione fisica. Lo fece quasi per gioco. Molti anni dopo Einstein trovò quella struttura matematica calzante per fondare la sua relatività generale, e scrisse una lettera per ringraziare. Questo episodio, riferitoci a voce dal matematico Luigi Ambrosio, direttore della Scuola Normale Superiore, è bellissimo, ma non suona anche un po’ strano? Lo stesso professor Ambrosio si domanda: “A che cosa si deve questo successo di certe teorie matematiche? il mondo è scritto matematicamente da Dio, oppure la corrispondenza fra matematica e fisica potrebbe essere legata alla struttura del nostro cervello”.
Anche il fisico americano John Archibald Wheeler nutriva sospetti sulle teorie matematiche nate per conto loro e poi rivelatesi, a posteriori, capaci di aderire miracolosamente e inaspettatamente alla realtà fisica – pur trattandosi delle medesime strutture matematiche che si trovava a usare lo stesso Wheeler nella sua vita quotidiana di scienziato – e si riferiva con stupore, e un pizzico d’ironia, all’ “inimmaginabile successo delle teorie matematiche”. Il Premio Einstein Tullio Regge sosteneva che “le leggi della natura che noi scopriamo, o crediamo di scoprire, siano in realtà una ‘proprietà emergente’ dell’Universo, cioè non esistano fin dall’inizio, come regole oggettive che vengono da noi progressivamente svelate, ma derivino da un Caos che si auto-organizza”, e in cui il tutto trascende la somma delle parti, così come le prestazioni del cervello non si limitano a essere la somma di quelle di 100 miliardi di singoli neuroni, ma le trascendono e le moltiplicano per trilioni di volte. E non si può escludere che i nostri 100 miliardi di neuroni, a loro volta, si facciano per conto loro un’immagine di quel Caos, che poi proiettano per razionalizzarlo in un Cosmo.

Alcuni scienziati propongono l’idea che il Cosmo funzioni come un gigantesco computer quantistico; e non si tratterebbe di un’analogia, ma proprio di una descrizione.. All’origine del Cosmo, da un numero enorme e casuale di calcoli banali potrebbero essere emerse casualmente porzioni di programma di un senso un po’ più complesso e (magari) dotati di una certa stabilità. Si sarebbe così avviata una specie di selezione naturale di strutture computazionali sempre più complesse, fino a informare (nel senso letterale del termine: mettere in forma) l’intero Universo partendo dal Caos primigenio.

Questo è un modo possibile (non l’unico) in cui potrebbe essersi realizzata l’ipotesi di Tullio Regge delle leggi naturali come “proprietà emergenti” anziché stabilite fin dall’inizio. E la stessa plasticità creativa della computazione quantistica, grazie a quantum bit che sfuggono alla meccanica deterministica 0 o 1, potrebbe spiegare la “proprietà emergente” della vita e quella dell’intelligenza.
Cervello e Universo: forse un’unica prospettiva, retta dalle stesse regole.

Insomma, c’è di che dubitare dell’oggettività delle leggi della fisica, a partire dal fatto che sono state scritte da soggetti che già si ponevano in questo stato duale rispetto agli oggettì.


 

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