Sarebbe da ingenui pensare
che ciò che noi percepiamo (prima con i sensi e poi con la coscienza) sia una
realtà perfettamente oggettiva, senza nessun rapporto con il soggetto
conoscente. Recentemente è stata messa in dubbio la stessa validità oggettiva
delle leggi matematiche. E ci è chiesti: noi troviamo leggi oggettive, o le
costruiamo per dare un senso al mondo… che ha tutt’altro senso!
Chi lo sa? A noi basta che
le leggi funzionino, almeno temporaneamente. Poi si vedrà. Poi si scopriranno
leggi più comprensive - è sempre andata così. Nessuno si illude più che ciò che
troviamo sia oggettivo e risolutivo. E questo perché la nostra mente offre
certamente sue interpretazioni.
La nostra mente ha limiti nella comprensione
della complessità. Il dualismo semplifica il mondo, ma potrebbe non
rappresentare completamente la realtà.
In breve, la percezione è una combinazione di
adattamento evolutivo, linguaggio, cultura e limiti cognitivi. Il mondo stesso
può essere più sfaccettato di quanto percepiamo, ma la nostra mente lo semplifica
per renderlo comprensibile.
Scienziati come Tullio Regge e Seth Lloyd ipotizzano che
le leggi fisiche non siano date fin dall'inizio ma emergano da un Caos che si
auto-organizza.
Fino a che punto le leggi scientifiche che via
via scopriamo sono oggettive? Se riavvolgessimo il nastro della storia e poi lo
facessimo ripartire da zero, ma lasciando libero corso agli eventi, senza
obbligo di replicare esattamente quanto avvenuto al genere umano in milioni di
anni, e ipotizzassimo una diversa evoluzione biologica dell’umanità, così
diversa da produrre facoltà cognitive differenti da quelle dell’umanità
attuale, in quel mondo parallelo e alternativo la scienza risulterebbe molto
cambiata rispetto alla nostra, in termini di sostanza, oppure no? Uomini e
donne con un cervello più piccolo, più grande o comunque diverso dal nostro
produrrebbero leggi scientifiche comparabili con le nostre, con qualcosa in più
o qualcosa in meno nei vari stadi di sviluppo, o invece totalmente differenti
fin dalla radice? In altre parole, le leggi della natura, come da noi intuite e
formalizzate, sono qualcosa di oggettivo che via via andiamo scoprendo, o sono
invece qualcosa di soggettivo, che noi esseri umani creiamo di sana pianta con
il nostro cervello? O per dirla in modo meno drastico: sono forse
interpretazioni plausibili che proiettiamo sulla natura, non del tutto
arbitrarie ma in parte sì, che potrebbero essere concepite e formalizzate in
maniera del tutto differente se il punto di vista fosse diverso?
Da più di
50 anni si accumulano teorie fisiche e modelli matematici sempre più complicati
in assenza di prove di fenomeni fisici a supporto. Quindi, se finalmente le
prove sperimentali delle teorie venissero trovate, dovremmo semplicemente
gioire del risultato, o un po’ anche sospettare, a latere, di aver
semplicemente costruito ad arte la dimostrazione di quello che volevamo trovare
a tutti i costi?
Qualcosa del genere è già successo, in modo
anche più clamoroso, e ha coinvolto nientemeno che la relatività di Einstein.
Un matematico italiano, Gregorio Ricci Curbastro, aveva concepito da zero una
struttura matematica che chiamò calcolo differenziale assoluto, senza
minimamente immaginare che potesse mai avere un’applicazione fisica. Lo fece
quasi per gioco. Molti anni dopo Einstein trovò quella struttura matematica
calzante per fondare la sua relatività generale, e scrisse una lettera per
ringraziare. Questo episodio, riferitoci a voce dal matematico Luigi Ambrosio,
direttore della Scuola Normale Superiore, è bellissimo, ma non suona anche un
po’ strano? Lo stesso professor Ambrosio si domanda: “A che cosa si deve questo
successo di certe teorie matematiche? il mondo è scritto matematicamente da Dio,
oppure la corrispondenza fra matematica e fisica potrebbe essere legata alla
struttura del nostro cervello”.
Anche il fisico americano John Archibald Wheeler
nutriva sospetti sulle teorie matematiche nate per conto loro e poi rivelatesi,
a posteriori, capaci di aderire miracolosamente e inaspettatamente alla realtà
fisica – pur trattandosi delle medesime strutture matematiche che si trovava a
usare lo stesso Wheeler nella sua vita quotidiana di scienziato – e si riferiva
con stupore, e un pizzico d’ironia, all’ “inimmaginabile successo delle teorie
matematiche”. Il Premio Einstein Tullio Regge sosteneva che “le leggi della
natura che noi scopriamo, o crediamo di scoprire, siano in realtà una
‘proprietà emergente’ dell’Universo, cioè non esistano fin dall’inizio, come
regole oggettive che vengono da noi progressivamente svelate, ma derivino da un
Caos che si auto-organizza”, e in cui il tutto trascende la somma delle parti,
così come le prestazioni del cervello non si limitano a essere la somma di
quelle di 100 miliardi di singoli neuroni, ma le trascendono e le moltiplicano
per trilioni di volte. E non si può escludere che i nostri 100 miliardi di
neuroni, a loro volta, si facciano per conto loro un’immagine di quel Caos, che
poi proiettano per razionalizzarlo in un Cosmo.
Alcuni scienziati propongono l’idea che il Cosmo
funzioni come un gigantesco computer quantistico; e non si tratterebbe di
un’analogia, ma proprio di una descrizione.. All’origine del Cosmo, da un
numero enorme e casuale di calcoli banali potrebbero essere emerse casualmente
porzioni di programma di un senso un po’ più complesso e (magari) dotati di una
certa stabilità. Si sarebbe così avviata una specie di selezione naturale di
strutture computazionali sempre più complesse, fino a informare (nel senso
letterale del termine: mettere in forma) l’intero Universo partendo dal Caos
primigenio.
Questo è
un modo possibile (non l’unico) in cui potrebbe essersi realizzata l’ipotesi di
Tullio Regge delle leggi naturali come “proprietà emergenti” anziché stabilite
fin dall’inizio. E la stessa plasticità creativa della computazione
quantistica, grazie a quantum bit che sfuggono alla meccanica deterministica 0
o 1, potrebbe spiegare la “proprietà emergente” della vita e quella
dell’intelligenza.
Cervello e Universo: forse un’unica prospettiva,
retta dalle stesse regole.
Insomma, c’è
di che dubitare dell’oggettività delle leggi della fisica, a partire dal fatto
che sono state scritte da soggetti che già si ponevano in questo stato duale
rispetto agli oggettì.
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