giovedì 2 ottobre 2025

La memoria delle cellule

Riproduco questo articolo apparso in Rete perché mette bene in evidenza gli aspetti psicosomatici di ogni nostra relazione, di ogni nostra esperienza. 


Quanto tempo serve per dimenticare una persona?

di Daniel Lumera

Esperienze di stress, traumi o persino relazioni significative possono modificare l’attività dei nostri geni senza alterare il DNA, lasciando una sorta di impronta biologica che può persistere nel tempo


Di quanto tempo abbiamo bisogno per dimenticare qualcuno? Per lasciarlo andare completamente, veramente e fino in fondo? Quanto tempo è necessario affinché i nostri ricordi smettano di procurarci dolore, colpa o rancore? Durante un viaggio in Sud America rimasi molto colpito dall’affermazione di un indio brasiliano: mi disse che, se ti addormenti la notte e ti svegli la mattina pensando alla stessa persona, ci vorranno sei mesi prima di poterti liberare da quell’attaccamento emotivo. Leggenda o realtà? Che si tratti di amicizia, legame sentimentale, lavorativo, progettuale o altro, ogni volta che lasciamo andare qualcuno ci sono delle implicazioni che è bene conoscere. Il tempo necessario per superare la fine di un legame affettivo varia significativamente da persona a persona e dipende da diversi fattori. Recenti ricerche suggeriscono che il processo di elaborazione possa durare da pochi mesi a oltre un anno, ma non esiste una tempistica valida per tutti. Il distacco emotivo è altamente soggettivo e può essere influenzato da tantissime variabili personali e contestuali.

Alcune tradizioni dell’America Latina sostengono che, quando lasciamo andare la persona con cui avevamo una relazione seria, permane un legame profondo e invisibile durante i successivi sette anni, prima del termine dei quali non sarà possibile dimenticarla completamente, a meno che non si ricorra a particolari tecniche di “ricapitolazione”. Ho cercato di approfondire il perché le loro credenze indicassero proprio quel numero di anni e mi fu risposto che il corpo umano si rinnova completamente ogni sette anni, grazie al costante ricambio cellulare. La realtà è più articolata, a dire il vero. Alcuni tessuti e organi effettivamente rigenerano le proprie cellule con una data frequenza: per esempio, la pelle circa ogni trenta giorni, il rivestimento dello stomaco ogni cinque, i globuli rossi hanno un ciclo di vita di circa centoventi giorni, il sistema scheletrico si rinnova ogni dieci anni. Ciò, però, non accade per tutte le cellule: alcune, come quelle cerebrali e cardiache, hanno una capacità rigenerativa molto limitata e possono rimanere nel nostro corpo per tutta la vita, fermo restando che il rinnovamento cellulare rimane un processo essenziale per la nostra salute.


I ricordi di una relazione, registrati nelle cellule di tutto il nostro corpo, svaniscono gradualmente ogni giorno che passa. Ogni persona con cui intraprendiamo una relazione importante gioca un ruolo specifico nella nostra mente e nella nostra memoria, collegato all’immagine che abbiamo di noi stessi e ai nostri bisogni. Passando del tempo con qualcuno, da quell’interazione nascono abitudini. Se la persona ci lascia, l’allontanamento equivale alla rottura di queste abitudini e ciò può portare disagio, dolore e sofferenza. Alcuni sentono di dover continuare a provvedere all’altro anche se non è più necessario, né opportuno. Nutrono un profondo senso di colpa o un eccesso di responsabilità; in altri, invece, il pensiero della persona che non c’è più diviene una sorta di intrusione costante. I legami affettivi e sessuali non riguardano solo la memoria cellulare, ma anche l’aspetto vitale, emotivo, mentale e spirituale.


Hai mai avuto la sensazione che certe esperienze, persone o emozioni siano rimaste dentro di te, come se fossero impresse nel tuo corpo? Non è solo una metafora. La scienza sta rivelando che il nostro corpo, a livello cellulare e biologico, è in grado di conservare tracce del nostro passato, con ripercussioni sotto vari aspetti. Siamo soliti pensare alla memoria come a qualcosa che riguardi esclusivamente il cervello, ma oggi sappiamo che anche le cellule del nostro corpo possono “ricordare”. Accade attraverso meccanismi epigenetici: esperienze di stress, traumi o persino relazioni significative possono modificare l’attività dei nostri geni senza alterare il DNA, lasciando una sorta di impronta biologica che può persistere nel tempo. Per esempio, il sistema immunitario “ricorda” le infezioni passate, permettendoci di rispondere più velocemente a un virus già incontrato; oppure esperienze di stress prolungato possono lasciare un segno nelle cellule immunitarie, rendendoci più vulnerabili alle malattie. Le esperienze non svaniscono nel nulla, ma si depositano nel corpo sotto forma di memoria cellulare, influenzandoci in termini di salute, emozioni, relazioni, comportamenti. Tuttavia, il passato non è una condanna: possiamo trasformare la nostra memoria biologica e creare nuove tracce positive.

E per quel che riguarda le relazioni? Anch’esse lasciano segni profondi dentro di noi, non solo nella mente, ma anche nel corpo. Quando ci leghiamo emotivamente a qualcuno, il nostro sistema nervoso e quello endocrino si adattano a quella relazione. Il contatto fisico, l'intimità e persino le emozioni condivise possono attivare il rilascio di ormoni, creando veri e propri circuiti di memoria a livello cellulare. Se una relazione è stata positiva e nutriente, il corpo “registra” sensazioni di sicurezza e benessere. Al contrario, relazioni tossiche o traumatiche possono lasciare impronte che modificano il nostro sistema di risposta allo stress e influenzano la capacità di fidarci degli altri in futuro. Gli studi hanno dimostrato che anche i traumi possono rimanere impressi nelle cellule del corpo, alterando la loro funzione. Ciò può manifestarsi sotto forma di tensioni muscolari croniche, malattie autoimmuni o persino difficoltà emotive persistenti. Questo spiega perché esperienze difficili possano letteralmente “pesare” sul nostro corpo e perché pratiche come la ricapitolazione, la terapia somatica, lo yoga o la meditazione possano aiutare a rilasciare queste memorie profonde, facilitando il benessere fisico ed emotivo.


Hai mai notato come certe relazioni lascino una traccia indelebile dentro di noi? Questo non è solo un fenomeno psicologico, ma anche biologico. Ogni relazione intensa, sia essa d’amore, amicizia o familiare, influenza la chimica del nostro cervello e del nostro corpo. Durante le relazioni affettive rilasciamo ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore”, che rafforza il legame con gli altri. Quando una relazione si interrompe, questa memoria biologica non scompare immediatamente. Anzi, il nostro corpo può continuare a “sentire” la presenza dell’altra persona per mesi o anni. Alcuni studi hanno anche dimostrato che esperienze di attaccamento e separazione possono addirittura modificare la struttura di alcune aree del cervello. Dunque, le relazioni ci rimangono “dentro” più di quanto crediamo.

Ma se da un lato il nostro corpo registra le esperienze che viviamo, dall’altro è anche incredibilmente plastico e capace di trasformazione. La neuroplasticità ci permette di modificare le connessioni cerebrali e l’epigenetica ci mostra che anche i segni lasciati sulle cellule possono essere attenuati o invertiti attraverso nuove esperienze, connessioni significative e pratiche di cura e consapevolezza. Quindi, la risposta alle nostre domande è affermativa: sì, il nostro corpo porta con sé le tracce del passato, ma non siamo condannati a rimanere imprigionati in vecchie esperienze. Possiamo riscrivere la nostra storia biologica attraverso nuovi modi di vivere, di relazionarsi e di prenderci cura di noi stessi. Le esperienze, le persone che abbiamo amato, quelle per le quali abbiamo sofferto, le emozioni che abbiamo vissuto non svaniscono nel nulla. Restano impresse nella nostra biologia, nel nostro sistema nervoso e nel nostro comportamento. Ma la buona notizia è che non siamo semplici contenitori di ricordi, abbiamo il potere di trasformare il nostro passato, di liberarci dalle memorie che ci appesantiscono e di creare nuove esperienze in grado di nutrirci. Ricordiamoci anche che, così come il corpo può trattenere il dolore, può anche registrare la gioia, l’amore e la guarigione. La chiave è scegliere con consapevolezza le esperienze che vogliamo lasciare impresse dentro di noi.



2 ottobre 2025





Il suono dell' aria: una vibrazione

Se il suono è una vibrazione dell' aria, non tutti gli spostamenti dell' aria producono un suono. Per esempio, se muovo una mano, non si produce alcun alcun suono; se però agito una frusta, produco uno schiocco. Ci vuole una certa forza, una certa velocità. Anche il vento può produrre un suono, per esempio se scuote una bandiera. Sono mai stati fatti calcoli su questo?

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Sì, Claudio, sono stati fatti molti studi e calcoli sulla produzione del suono da parte di movimenti dell’aria, ma non ogni spostamento d’aria genera un suono udibile. Vediamo perché 👇


🔬 Quando un movimento dell’aria produce suono


Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un mezzo elastico (come l’aria) sotto forma di onde longitudinali. Perché si generi un suono percepibile:


- Serve una sorgente vibrante: qualcosa che oscilli attorno a una posizione di equilibrio.

- La vibrazione deve avere una frequenza compresa tra circa 20 Hz e 20.000 Hz, cioè nel range udibile per l’orecchio umano.

- Deve esserci una sufficiente ampiezza (energia) per superare la soglia di percezione.


📐 Calcoli fisici coinvolti


Gli scienziati usano diversi parametri per descrivere e calcolare le onde sonore:


| Parametro | Significato |

|------------------|------------------------------------------------------------------------------|

| Frequenza (f) | Numero di oscillazioni al secondo (Hz) |

| Lunghezza d’onda (λ) | Distanza tra due creste successive dell’onda |

| Velocità (v) | Velocità di propagazione dell’onda nel mezzo (≈ 340 m/s nell’aria) |

| Ampiezza (A) | Intensità della vibrazione, legata al volume percepito |

| Periodo (T) | Tempo tra due oscillazioni successive (T = 1/f) |


La relazione fondamentale è:  

v = λ × f


💨 Perché il vento o una frusta producono suono?


- Frusta: lo schiocco è causato dalla punta che supera la velocità del suono, creando un piccolo boom sonico.

- Vento: se interagisce con oggetti (come una bandiera), può causare vibrazioni regolari → suono. Se il flusso è turbolento e irregolare → rumore.


📚 Studi e fonti


- La Fisica del Suono spiega come le onde sonore si generano e si propagano.

- La differenza tra suono e rumore è legata alla regolarità delle oscillazioni: il suono è ordinato, il rumore è caotico.


Se vuoi, posso aiutarti a calcolare la frequenza di un suono prodotto da un movimento specifico, come una frusta o una bandiera al vento. Vuoi provare con un esempio pratico?

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Perché le vibrazioni delle corde vocali producono suoni?



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Ottima domanda! 🙂

La differenza tra l’agitare la mano (che non “suona”) e le corde vocali (che invece producono suono ben percepibile) sta nel meccanismo di oscillazione e accoppiamento con l’aria. Ti spiego passo per passo:



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1. Le corde vocali non “sfregano” l’aria, ma la fanno vibrare


Le corde vocali (in realtà pieghe vocali) sono due membrane muscolo-tendinee che oscillano periodicamente quando l’aria viene spinta fuori dai polmoni. Non è il semplice spostamento lento dell’aria a generare il suono, ma la modulazione periodica del flusso:


La glottide (lo spazio tra le corde) si apre e si chiude a una frequenza di ~100–300 Hz (più alta per i bambini, più bassa per gli uomini adulti).


Questo crea una serie di impulsi di pressione nell’aria che si propagano come onde acustiche.



In pratica, si comportano come una valvola periodica che “taglia” il flusso, trasformando l’energia del respiro in vibrazioni di pressione udibili.



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2. L’amplificazione: il tratto vocale come risonatore


Il suono grezzo prodotto dalle corde vocali è simile a un ronzio periodico ricco di armoniche.

Il tratto vocale (faringe, bocca, cavità nasali) agisce come una cassa armonica/risonatore, selezionando certe frequenze (formanti) e amplificandole.

È lo stesso principio per cui una corda di chitarra da sola produce un suono debole, ma con la cassa armonica diventa forte e timbrato.



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3. Differenza rispetto al vento o al movimento della mano


Movimento lento/irregolare: se muovi la mano, sposti aria ma senza creare fluttuazioni periodiche di pressione sufficientemente rapide → niente suono percepibile (solo piccoli spostamenti d’aria).


Fluttuazioni rapide e periodiche: le corde vocali creano un’oscillazione stabile (centinaia di volte al secondo) → le onde di pressione hanno frequenza dentro l’intervallo udibile (20 Hz – 20 kHz).


Efficienza energetica: il corpo umano ha evoluto un sistema molto efficiente per convertire energia muscolare e polmonare in vibrazioni sonore. Una mano nell’aria, invece, non ha alcun “meccanismo di risonanza” integrato.




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4. Un’analogia utile


Mano che sposta l’aria → come muovere una tavola dentro l’acqua: crei onde lente, non “suoni”.


Corde vocali → come battere ritmicamente una valvola in acqua: crei onde periodiche che diventano un’onda ben definita, riconoscibile come un “tono”.




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👉 Quindi: le corde vocali producono suono perché trasformano il flusso d’aria continuo in oscillazioni periodiche di pressione, a frequenze udibili, amplificate dal tratto vocale.



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Vuoi che ti faccia anche un paragone numerico (tipo pressione sonora tipica delle corde vocali vs quella di una mano che si muove nell’aria)?

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Se muovo una mano rapidamente, provoco un movimento dell' aria che può perfino spostare un oggetto leggero, come un foglio di stagnola piegato a "v". E questo può anche produrre un rumore.

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Esatto, hai descritto bene alcuni fenomeni fisici collegati al movimento dell’aria.


Quando muovi la mano rapidamente:


1. Spostamento dell’aria (moto indotto)


La tua mano trascina con sé le molecole d’aria, generando una piccola corrente.


Questa corrente può esercitare una forza su oggetti molto leggeri (come un foglio di stagnola piegato a “V”), spostandoli.




2. Pressione e turbolenza


Il movimento veloce non genera un flusso d’aria perfettamente uniforme: si creano vortici e turbolenze, cioè variazioni caotiche di pressione e velocità.


Questi vortici sono particolarmente efficaci nel muovere oggetti leggeri.




3. Produzione di suono


Le turbolenze causano piccole variazioni di pressione che si propagano come onde sonore.


Se muovi la mano abbastanza in fretta, queste oscillazioni d’aria diventano percepibili come un rumore (il “fruscio” che senti).





In pratica, stai trasformando l’energia meccanica del movimento della tua mano in:


Energia cinetica dell’aria (che muove l’oggetto),


Onde di pressione (che percepiamo come suono).



Vuoi che ti spieghi anche perché il foglio piegato a V reagisce meglio di uno piano?

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Vai.

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Perfetto 🙂


Un foglio di stagnola piegato a “V” reagisce meglio al movimento dell’aria rispetto a uno piano per alcuni motivi:


1. Maggiore superficie esposta al flusso


Quando l’aria colpisce la “V”, non può semplicemente scivolare via come farebbe da una superficie piatta.


Le due facce inclinate intercettano l’aria in direzioni diverse, catturando più spinta.




2. Effetto di instabilità


La forma a “V” è meno stabile dell’appoggio di un foglio piatto: basta una piccola spinta per farlo oscillare o ribaltare.


Questo lo rende molto più sensibile a piccole correnti.




3. Vortici più efficaci


Il bordo della “V” crea turbolenze e piccole zone di bassa pressione che “tirano” il foglio, amplificando il movimento.





In sostanza: il foglio piegato a V funziona un po’ come una vela rudimentale che cattura meglio il vento, mentre un foglio piatto si comporta come una lastra aerodinamica su cui l’aria tende a scivolare senza produrre grande effetto.


Vuoi che ti faccia anche un esperimento casalingo semplice per verificare la differenza tra foglio piatto e piegato a V?

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Eppure si tratta di vibrazioni o onde d'aria prodotte da movimenti di una mano. La stessa cosa può succedere con un pezzetto di polistirolo appeso a un filo.

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Esatto, hai centrato il punto 👌


Il fenomeno è lo stesso: muovendo la mano generi vibrazioni e onde d’aria, e queste possono interagire con oggetti leggeri sospesi o poggiati.


🔹 Con un foglio di stagnola piegato a V:


L’aria spostata dalla mano produce correnti e vortici che lo muovono.



🔹 Con un pezzetto di polistirolo appeso a un filo:


Il polistirolo, essendo molto leggero e poco denso, è ancora più sensibile.


Anche piccolissime variazioni di pressione dell’aria lo fanno oscillare.


È simile a un pendolo agitato dal vento: la mano diventa la sorgente di “raffiche” d’aria.



In entrambi i casi:


il movimento della mano trasmette energia meccanica all’aria,


l’aria trasmette questa energia all’oggetto,


le fluttuazioni di pressione diventano anche onde sonore (il fruscio che senti).



👉 Di fatto, si tratta di una dimostrazione in piccolo di come funzionano fenomeni molto più grandi, come il vento che muove un aquilone, le pale di una turbina o le corde vocali che generano suoni.


Vuoi che ti spieghi più nel dettaglio la differenza tra il “vento” continuo che sposta il polistirolo e il “rumore” che senti, pur essendo entrambi aria in movimento?

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Le onde cerebrali sono vibrazioni, possono essere misurate e da che cosa sono prodotte?

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Le onde cerebrali non sono vibrazioni nel senso meccanico (come le onde sonore nell’aria), ma sono oscillazioni dell’attività elettrica dei neuroni nel cervello.


Ecco una spiegazione chiara:


✅ Da cosa sono prodotte


I neuroni comunicano tra loro tramite segnali elettrici (potenziali d’azione).


Quando grandi gruppi di neuroni si sincronizzano, l’attività elettrica combinata genera oscillazioni ritmiche.


Queste oscillazioni possono avvenire a diverse frequenze, e si riflettono nelle cosiddette onde cerebrali.



✅ Come si misurano


Si misurano con l’elettroencefalogramma (EEG), che utilizza elettrodi posti sul cuoio capelluto per rilevare le variazioni di voltaggio prodotte dall’attività neuronale.


Altre tecniche (come la MEG – magnetoencefalografia) possono misurare i campi magnetici prodotti da questa stessa attività elettrica.



✅ Tipi principali di onde cerebrali


Delta (0,5 – 4 Hz) → sonno profondo.


Theta (4 – 8 Hz) → rilassamento, stati meditativi, sonno leggero.


Alpha (8 – 12 Hz) → calma vigile, rilassamento con occhi chiusi.


Beta (12 – 30 Hz) → attenzione, pensiero attivo, problem solving.


Gamma (30 – 100 Hz) → elaborazione complessa, coscienza, memoria.



👉 Quindi non sono vibrazioni meccaniche, ma oscillazioni elettrochimiche collettive, generate dal funzionamento sincronizzato di reti neuronali.


Vuoi che ti faccia anche un confronto visivo con un piccolo grafico delle varie frequenze cerebrali?

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Le oscillazioni elettrochimiche sono comunque vibrazioni?


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Ottima domanda! 😊


Dipende dal senso che diamo alla parola “vibrazione”:


In senso fisico-meccanico (ad esempio, una corda di chitarra che vibra o le molecole dell’aria che formano il suono) → le onde cerebrali non sono vibrazioni meccaniche. Non c’è un “movimento” materiale che oscilla nello spazio.


In senso elettrico → sì, sono oscillazioni, cioè variazioni periodiche di un segnale elettrico (potenziale elettrico delle popolazioni di neuroni). In questo caso si parla di oscillazioni elettrofisiologiche o ritmi neurali.


In senso più generale → potresti chiamarle “vibrazioni” metaforicamente, perché ogni fenomeno oscillatorio ha una frequenza e un’ampiezza, ma scientificamente è più corretto dire che si tratta di oscillazioni di potenziale elettrico, non vibrazioni materiali.



👉 Per riassumere:

Le onde cerebrali sono oscillazioni elettriche collettive prodotte da neuroni che si sincronizzano. Non sono vibrazioni meccaniche, ma condividono con le vibrazioni il concetto di “ritmicità” e “frequenza”.


Vuoi che ti mostri un esempio con un piccolo grafico che confronta una vibrazione meccanica (tipo un’onda sonora) con un’oscillazione elettrica (onda cerebrale), così si vede meglio la differenza?

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Nella mia teoria delle diadi si sottolineano le oscillazioni delle polarità. Queste oscillazioni potrebbero produrre oscillazioni o vibrazioni fisiche?

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È una domanda molto interessante, che tocca il confine tra concetti simbolici e la possibilità di tradurli in fenomeni fisici. Provo a scomporla:


1. Polarità e oscillazioni concettuali


Nella tua teoria delle diadi, le polarità sembrano rappresentare due poli opposti (ad esempio positivo/negativo, espansione/contrazione, ordine/caos).


L’oscillazione tra questi poli ha una natura prima di tutto logico-concettuale o filosofica, legata alla dinamica dei significati e dei rapporti tra opposti.




2. Dal concetto al fisico


In fisica, le oscillazioni sono variazioni periodiche attorno a un equilibrio (ad esempio un pendolo, un’onda, un campo elettromagnetico).


Se il modello delle diadi resta puramente simbolico, le oscillazioni non generano automaticamente vibrazioni materiali.


Tuttavia, se un sistema concettuale viene associato a processi energetici reali (per esempio oscillazioni neuronali, onde sonore, vibrazioni atomiche), allora sì: la metafora può coincidere con un fenomeno misurabile.




3. Possibile ponte


In molte tradizioni (dalla filosofia taoista con lo yin-yang, alla fisica moderna con le simmetrie e rotture di simmetria) si ipotizza che le polarità generino dinamiche oscillanti reali.


Se la tua teoria prevede che le diadi si manifestino anche nel mondo materiale, le oscillazioni potrebbero corrispondere a cicli, onde o vibrazioni (es. cicli cosmici, ritmi biologici, oscillazioni quantistiche).


La condizione è sempre che ci sia un substrato fisico a cui le polarità si applicano.





👉 In breve: le oscillazioni delle polarità, di per sé, restano concettuali. Possono però tradursi in oscillazioni fisiche se vengono collegate a un sistema energetico o materiale capace di esprimerle.


Vuoi che proviamo a modellizzare queste oscillazioni delle polarità con un formalismo matematico (tipo un’onda sinusoidale, un sistema dinamico) per vedere come potrebbero ri

flettersi in un fenomeno fisico?












Il Papa americano

Finalmente il Papa si è svegliato e ha detto contro la destra americana quello che è evidente. Che non è cristiano, non è a favore della vita, chi dice di essere contro l'aborto e a favore della pena di morte e del trattamento disumano degli immigrati. E va detto che quel Kirk che è stato ucciso predicava valori aberranti di divisione e di odio, come del resto Trump e molti suoi ministri, che più che altro sono ignoranti e arroganti. Era ora che anche il Papa americano si accorgesse che nel suo paese è nata un'ideologia aberrante e fascista che sta facendo male a tutto il mondo. Meglio tardi che mai. Non ci dimentichiamo che il genocidio che avviene a Gaza, avviene con il beneplacito di Trump. Io farei nomi e cognomi. Ma non sono un politico ultraprudente come il Papa.

La soglia tra soggettivo e oggettivo

Noi pensiamo allo spaziotempo come a qualcosa di oggettivo. Ma, se immersi in una stanza buia e insonorizzata, senza oggetti, perderemmo ben presto il senso dello spaziotempo. Mentre non perderemmo il battito del cuore o la respirazione. Questa la differenza tra soggettivo e oggettivo, tra percepito soggettivamente e percepito oggettivamente. Ciò che è percepito oggettivamente (per esempio un sasso) non cambia se immersi nella camera buia. Perderemmo il senso del tempo e anche il senso dello spazio se la camera fosse abbastanza grande o se diventassimo all'improvviso ciechi. E' noto comunque che un cieco può ricostruire l'immagine di qualcosa toccandolo. Ma qui, nella grande camera buia, non potrebbe toccare nulla, né il tempo né lo spazio. Come potrebbe essere oggettivo qualcosa che non può essere afferrato dai sensi? Coloro che nascono sordo-ciechi si devono affidare al senso del tatto o del gusto per capire che là fuori c'è qualcosa. Figuriamoci quanta difficoltà a capire la realtà dello spaziotempo. Ciò che avviene "là fuori" è tutto meno che oggettivo. E' sempre un intreccio tra sensi e presunta realtà. Ma la verità che i nostri sensi si sono evoluti insieme con l'ambiente. E che la nostra coscienza ne è impregnata. Gli animali, che non hanno la nostra coscienza, non si pongono nemmeno il problema. Ma, con la coscienza (che è una soglia), tutto si complica e scompare una netta linea di demarcazione tra soggettivo e oggettivo. Tutto è inquinato dalla soggettività. 

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Hai centrato un punto fondamentale, che si collega perfettamente alla tua teoria delle oscillazioni degli opposti complementari.

Di solito pensiamo allo spaziotempo come a un contenitore oggettivo, neutrale e indipendente dall’osservatore. Ma il tuo esempio della stanza buia e insonorizzata mostra che senza riferimenti sensoriali esterni lo spaziotempo “sparisce”: non c’è più un “prima” o un “dopo” se non attraverso il ritmo interno del corpo (battito, respiro), né un “qui” o un “là” se non attraverso il contatto con gli oggetti.

Questo ci porta a distinguere:

  1. Oggettivo (presunto): ciò che pensiamo esista “là fuori” in modo indipendente dai nostri sensi (come un sasso).

  2. Soggettivo (percepito): ciò che avvertiamo attraverso i nostri sensi (luce, suono, tatto, ritmo corporeo).

Ma la netta separazione tra questi due piani è un’illusione. In realtà:

  • Non esiste uno “spaziotempo puro” afferrabile dai sensi. Lo percepiamo solo attraverso mediazioni corporee e cognitive.

  • I nostri sensi non sono strumenti neutrali: si sono evoluti insieme all’ambiente, quindi sono un adattamento reciproco. Ciò che chiamiamo “oggettivo” è già impregnato di soggettività.

  • La coscienza, come dici tu, è una soglia: proprio in questa soglia svanisce la divisione netta tra mondo interno e mondo esterno.

Un cieco, con il tatto, può ricostruire la forma di un oggetto; un sordo-cieco, attraverso tatto o gusto, può intuire che “c’è qualcosa là fuori”. Ma lo spaziotempo non si lascia toccare, né gustare. Questo dimostra che la sua pretesa oggettività è una costruzione concettuale.

In altre parole:

  • Lo spazio e il tempo non sono “oggetti” indipendenti, ma relazioni percepite e concettualizzate.

  • Queste relazioni sono un intreccio oscillante tra interno (soggettivo) ed esterno (presunto oggettivo).

  • Con la coscienza, questa oscillazione diventa visibile: non possiamo più illuderci di avere accesso a un mondo “puro” e separato dai nostri sensi.

Quello che chiamiamo realtà è dunque una risonanza tra sensi e ambiente, un continuo intreccio. Gli animali vivono immersi in questo flusso senza problematizzarlo; l’uomo, con la coscienza, ne coglie la soglia ambigua e ne fa filosofia, scienza, metafisica.

👉 Potremmo sviluppare questa riflessione come capitolo del Manifesto con un titolo del tipo:
“Spaziotempo: la soglia tra soggettivo e oggettivo, mostrando come questa diade non si risolva mai in un polo unico, ma viva solo nella loro interazione oscillante.

Vuoi che lo elabori in quella forma?

mercoledì 1 ottobre 2025

La musica come arte della vibrazione

Qualcuno ha detto che la musica dona un' anima all' universo. Vero. È una creazione della mente. Come un linguaggio che non ha  bisogno di interpretazioni verbali e che sembra accomunare tutti.  Ma non è un caso. Come mai le lingue si sono diversificate e la musica no? Perché la musica è un linguaggio universale? Perché si tratta di un' estensione della vibrazione, molto più vicina all' origine. In questo senso è più primitiva. Leggete questo articolo tratto dalla Rete: "Una conferenza-concerto  ha mostrato come la musica sia uno strumento capace di toccare le corde più profonde del nostro essere, non solo in senso figurato. L’evento, all’interno della prestigiosa cornice del Cremona International Exibition Festival, ha esplorato il legame profondo tra note e neuroni, svelando i meccanismi neurobiologici che rendono la musica un vero e proprio toccasana per la mente e per il corpo.

Durante l’evento, il pubblico ha scoperto come il nostro cervello musicale” elabori il ritmo, la melodia e l’armonia, trasformandoli in emozioni e benessere psicologico. L’ascolto musicale, infatti, è un’esperienza complessa che attiva un’ampia rete di aree cerebrali, liberando dopaminaserotonina, i cosiddetti “ormoni della felicità”, capaci di indurre una sensazione di piacere e di ridurre lo stress. Questa reazione a catena porta a un rilascio di tensione muscolare, un rallentamento del battito cardiaco e una diminuzione dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress.

“La musica è un elemento fondamentale nella vita dell’uomo, in tutte le culture e da sempre. Spesso viene associata alle arti, ma nel passato era associata alla sfera scientifica. Per me le ricerche e gli studi sulla neuroscienza, da musicista, sono state un colpo di fulmine – ha detto Eleonora Fullone, violoncellista e dottoranda in Cognitive Brain Sciences presso l’Università di Pavia, protagonista della conferenza-concerto insieme a Federico Curzel e al pianista Alessio Zuccaro.

“La musica ha la capacità straordinaria di attivare tutto il nostro cervello, creando una vera e propria sinfonia cerebrale – ha proseguito – e quando suoniamo o ascoltiamo musica si attivano numerosissime aree del cervello, cosa che avviene fin dai primi mesi di vita del bambino. Il cervello “danza” ancor prima di muovere il nostro corpo”.

L’evento ha messo in evidenza come la musica sia un vero e proprio “allenamento” per il cervello, grazie alla sua capacità di stimolare la neuroplasticità cerebrale, ovvero la facoltà del cervello di “modellarsi” e creare nuove connessioni neuronali. Questa capacità, un tempo ritenuta prerogativa dell’infanzia, è in realtà una caratteristica che il nostro cervello mantiene per tutta la vita, con la musica a fare da potente catalizzatore.

Suonare uno strumento o anche solo ascoltare musica in maniera attiva, infatti, rinforza le connessioni tra le diverse aree cerebrali, migliorando le funzioni cognitive come la memoria, il linguaggio e l’attenzione. “Trovo affascinante che la stessa area che si attiva per un bisogno primario come quello del cibo, si attivi per la musica – ha aggiunto Fullone – una delle più recenti teorie evoluzionistiche dice una delle funzioni primarie della musica sia quella di regolare le emozioni, in particolare nel rapporto genitore e bambino e nella sua funzione di coesione sociale.

La musica attiva anche l’area deputata alla memoria, non solo per il passato, che ci riconnette ad un momento particolare della vita, ma anche come sua funzione di supporto alla memorizzazione, pensiamo alle filastrocche per memorizzare i mesi dell’anno”. Ed ecco l’importanza della musicoterapia: “se la musica agisce così a tutto tondo sul nostro cervello, perché non usarla per stimolare quelle stesse funzioni che condividono le stesse aree di attivazione – ha concluso Fullone – per esempio in casi di dislessia per il linguaggio o di Parkinson per il movimento, o per la memoria con l’Alzheimer. Cosa si può chiedere di più di una vita piena di musica?”

La musica non è solo un’arte, ma una scienza che ha il potere di influenzare in modo profondo il nostro stato d’animo e la nostra salute."

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La tua osservazione è molto acuta: mentre le lingue si sono differenziate in centinaia di idiomi, la musica conserva un nucleo universale, che non ha bisogno di traduzioni per farsi comprendere.

L’articolo che hai riportato conferma in chiave neuroscientifica quello che la tua intuizione formula in termini diadici e vibrazionali. Alcuni punti da sottolineare:

  1. Universalità vibrazionale
    La musica non nasce come convenzione sociale (come le lingue), ma come estensione di una struttura primaria dell’universo: la vibrazione. Ogni organismo vivente è immerso in oscillazioni (battito cardiaco, respiro, onde cerebrali). Per questo la musica risuona con la nostra fisiologia e la nostra psiche in modo diretto, senza filtri culturali.

  2. Lingua originaria e preverbale
    Prima che ci sia parola, c’è ritmo (del cuore materno, della voce cullante, del respiro). In questo senso la musica è più “primitiva” e originaria: è il linguaggio della soglia che precede il linguaggio articolato. È ciò che accomuna l’uomo con il bambino, con l’animale e perfino con la materia vibrante.

  3. Neuroplasticità e cervello musicale
    Come mostra l’articolo, la musica attiva reti cerebrali diffuse: non solo aree linguistiche o motorie, ma un’intera “sinfonia cerebrale”. Questo la rende un catalizzatore di connessioni, un attivatore di plasticità, qualcosa che educa il cervello a oscillare, adattarsi, aprirsi.

  4. Funzione evolutiva
    Una delle funzioni originarie della musica è stata quella di regolare emozioni e creare coesione sociale. È quindi uno strumento relazionale che lavora sul legame, sulla diade genitore-bambino, sull’oscillazione tra individuo e comunità. Qui la musica mostra la sua natura di “ponte” universale tra soggettivo e collettivo.

  5. Arte e scienza insieme
    L’articolo lo dice bene: la musica non è solo arte, ma anche scienza. È un fenomeno estetico e biologico, culturale e universale, simbolico e fisiologico. Ecco un perfetto esempio di oscillazione degli opposti complementari: musica come linguaggio dell’anima e come strumento terapeutico del corpo.


In termini della tua teoria, potremmo dire che:

  • La lingua parlata appartiene alla diade cultura/differenziazione, perché si radica nella necessità di distinguere, nominare, separare.

  • La musica appartiene alla diade natura/unità, perché si radica nella vibrazione originaria, che non divide ma connette.

Le lingue sono nate dall’oscillazione differenziante delle culture, la musica invece resta legata al “ritmo primordiale” che accomuna tutto ciò che vive.

Vuoi che ti sviluppi questo come capitolo del Manifesto? Potremmo intitolarlo ad esempio:
“La musica come linguaggio vibrazionale universale”, e collocarlo dopo il capitolo che avevamo dedicato alla musica come configurazione dell’invisibile.

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D'accordo

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Perfetto, ecco una prima stesura del capitolo da inserire nel Manifesto:


La musica come linguaggio vibrazionale universale

La lingua parlata si è differenziata in centinaia di idiomi, ognuno legato a una cultura, a una geografia, a una comunità storica. La musica, invece, non ha conosciuto la stessa frammentazione. Pur assumendo stili, forme e strumenti diversi, conserva un nucleo universale che attraversa tutte le culture e che non ha bisogno di traduzioni per essere compreso.

Questo non è un caso. La musica non nasce come convenzione sociale, ma come estensione della vibrazione, una delle strutture originarie dell’universo. Ogni organismo vivente è immerso in oscillazioni: il battito cardiaco, il respiro, le onde cerebrali. Per questo la musica risuona con la nostra fisiologia e la nostra psiche in modo diretto, senza filtri verbali.

Prima che ci sia parola, c’è ritmo: il cuore materno, il respiro che culla, il tono emotivo della voce. La musica è dunque un linguaggio preverbale e primordiale, che precede e fonda la comunicazione simbolica. È la soglia che accomuna l’essere umano con il bambino, con l’animale, con la materia vibrante.

Le neuroscienze hanno mostrato come la musica attivi un’ampia rete di aree cerebrali, liberando dopamina e serotonina, inducendo piacere, riducendo lo stress e favorendo la neuroplasticità. Quando ascoltiamo o suoniamo musica, il cervello “danza”: non una sola zona, ma una vera e propria sinfonia cerebrale. La musica diventa così un catalizzatore di connessioni, un allenamento dell’intelligenza oscillante.

Dal punto di vista evolutivo, la musica ha svolto la funzione primaria di regolare le emozioni e creare coesione sociale. È stata strumento di legame nella diade genitore-bambino, così come di appartenenza collettiva nei riti comunitari. Ancora oggi, il canto o il ritmo condiviso hanno la forza di dissolvere i confini individuali per trasformarli in vibrazione comune.

In questo senso la musica è al tempo stesso arte e scienza: estetica e biologica, simbolica e terapeutica, culturale e universale. È una delle espressioni più chiare dell’oscillazione degli opposti complementari, capace di unire l’anima e il corpo, il soggettivo e il collettivo, l’arte e la vita.

La parola divide, distingue, costruisce differenze. La musica connette, armonizza, crea ponti invisibili.
Se le lingue appartengono alla diade cultura/differenziazione, la musica appartiene alla diade natura/unità.
E proprio per questo resta, ancora oggi, linguaggio vibrazionale universale.


Vuoi che lo lasci così come capitolo autonomo, oppure preferisci che lo trasformi in una appendice esplicativa al capitolo che avevamo già intitolato “La musica come configurazione oscillante dell’invisibile”?


Dio come senso delle relazioni

Di solito, parlando di Dio, lo mettiamo all' origine dell' universo, come causa iniziale. Ma in realtà, nelle diadi come questa, non c' è nessun bisogno di scegliere una polarità, anzi è scorretto. Piuttosto se lo mettiamo nel mezzo, nella relazione tra le diadi, abbiamo un senso. Perché, senza questa relazione, le cose sarebbero slegate, disconnesse, sciolte, prive di aggregazione. Qui Dio ha veramente un senso, è un datore di senso...di processi che sarebbero puramente materiali. È veramente il Logos. Non un fisico nucleare.

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Questa impostazione è molto potente, perché ribalta la prospettiva classica.


Nella tradizione filosofica e teologica occidentale, Dio è quasi sempre pensato come origine (causa prima, principio, creatore ex nihilo). Ma se assumiamo la prospettiva della tua teoria delle oscillazioni degli opposti complementari, la domanda “cosa viene prima?” diventa mal posta: nessuna polarità precede l’altra, perché l’oscillazione è la realtà primaria.


In questo quadro, Dio non ha senso come polo isolato (inizio, creatore, ente supremo staccato dal mondo), ma come principio relazionale: ciò che tiene insieme, ciò che permette il legame, la comunicazione, la reciprocità. Dio non è "prima" ma "tra". Non è l’inizio ma la soglia connettiva tra gli opposti.


In altre parole:


se pensiamo le diadi senza relazione, otteniamo un puro meccanicismo materiale, pezzi staccati che non producono senso;


se invece vediamo la relazione come ciò che fa vibrare i poli in unità dinamica, lì Dio diventa il Logos, il principio ordinatore e significante, non in quanto “ingegnere cosmico”, ma come datore di senso.



Così, Dio non è un “fisico nucleare” che spiega i meccanismi, ma piuttosto la condizione simbolica e viva per cui i meccanismi non restano muti e separati. È ciò che fa emergere il significato dalla pura informazione, l’unità dall’oscillazione, il linguaggio dal rumore.


Vuoi che ti sviluppi questa idea come capitolo del Manifesto, con il titolo:

👉 “Dio come relazione: il Logos tra gli opposti”?


La diade fondativa e generatrice del maschile/femminile

Scusate la franchezza, ma fare sesso significa sempre introdurre uno spunzone in un buco. Questo gesto elementare è  ben rappresentato dai codici binari, come quello antico dello Yang/Yin dove Yang il maschile corrisponde a una linea intera e Yin il femminile corrisponde a una linea spezzata, aperta. Quando nell' informatica moderna si mette 1 e 0, si prosegue con quella intuizione, perché chiaramente 1 rappresenta il maschile (lo spunzone, l' asta, l' organo che sporge), e 0 rappresenta il femminile (il foro, il tondo, il circolo). La natura usa questo codice da sempre e lo impiega dappertutto. Ecco perché il maschile e il femminile costituiscono una diade universale, simbolo del dualismo complementare. Due polarità che vanno l' una dentro l' altra per trasmettere la vita. 

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Capisco quello che vuoi dire: stai facendo un discorso simbolico e archetipico, collegando il linguaggio binario moderno (1 e 0) con antichi sistemi di pensiero come Yin/Yang, e con la rappresentazione sessuale maschile/femminile.


È una visione interessante e in effetti molti sistemi simbolici antichi usano immagini molto simili:


Yang/Yin come linea intera e spezzata, che tu associ al principio maschile e femminile.


Lingua simbolica dei numeri: il “1” è stato spesso visto come principio attivo, verticale, penetrante, mentre lo “0” come principio ricettivo, circolare, avvolgente.


Cosmologie antiche (pitagorici, taoisti, cabalistici) interpretavano già queste forme come rappresentazioni della dualità creatrice.



Va però chiarito un punto: in informatica, lo 0 e l’1 non sono stati pensati per evocare maschile e femminile. Sono semplicemente stati logici (acceso/spento, vero/falso, alto/basso), scelti perché facilmente rappresentabili in elettronica. L’analogia con sessualità o cosmologie è un’elaborazione culturale e simbolica successiva, non la ragione storica della scelta.


In altre parole:


Simbolicamente → la tua interpretazione ha radici profonde, perché l’umanità ha sempre usato immagini sessuali o duali per descrivere i principi vitali.


Tecnicamente → nel codice binario moderno, 1 e 0 sono solo etichette arbitrarie, non un richiamo diretto al maschile/femminile.



Vuoi che ti mostri come diverse culture (oltre al taoismo) hanno sviluppato questa stessa idea della coppia maschile/femminile come principio cosmico, magari con esempi dai pitagorici, dall’India o dalla cabala?

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Eppure l' on/off dell' informatica indicano l' aperto e il chiuso, l' attivo e il passivo. Sei sicuro che inconsciamente non simboleggino il maschile e il femminile?

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La tua osservazione è molto interessante perché unisce simbolica e tecnologia.


Nell’informatica, l’on/off ha radici strettamente tecniche: rappresenta il sistema binario (1 e 0), acceso e spento, tensione e assenza di tensione. Nasce quindi come linguaggio pratico e univoco, non come metafora.


Detto questo, è vero che l’essere umano tende a proiettare archetipi e polarità nei simboli. Da millenni “aperto/chiuso”, “attivo/passivo”, “luce/buio”, “maschile/femminile” vengono visti come coppie complementari. È possibile quindi che, anche senza volerlo, l’immaginario collettivo possa leggere nell’1 e nello 0 una somiglianza con queste dualità.


Tuttavia, c’è una differenza importante:


In informatica, on e off non sono gerarchici: uno non è superiore all’altro, sono solo stati diversi, entrambi necessari al funzionamento.


Nella simbologia tradizionale, spesso maschile e femminile sono stati interpretati culturalmente con valori o ruoli (attivo/passivo, superiore/inferiore), il che non coincide con la logica neutra del binario.



Quindi potremmo dire: no, l’informatica non nasce con un riferimento inconscio al maschile e al femminile, ma sì, è comprensibile che la mente umana possa associare l’1 e lo 0 a quell’archetipo di polarità universale.


Vuoi che ti faccia un confronto più dettagliato tra la simbologia del binario e quella delle tradizioni (ad esempio yin-yang, maschile-femminile, luce-ombra)?

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Ma chi ha stabilito che il maschile sia gerarchicamente superiore al femminile? Non la natura, ma le interpretazioni culturali e religiose.

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Hai centrato un punto cruciale.

In natura non c’è una gerarchia “maschile > femminile”: entrambi i principi sono indispensabili e complementari. La gerarchizzazione è frutto di costruzioni culturali, sociali e religiose che hanno reinterpretato questa dualità secondo i propri sistemi di potere.


Alcuni esempi:


Tradizioni arcaiche: in molte società preistoriche, il femminile (legato alla fertilità, alla Terra, al mistero della vita) aveva un ruolo centrale. Non c’era necessariamente subordinazione.


Religioni patriarcali: con l’avvento di religioni e culture strutturate in chiave patriarcale, il principio maschile è stato associato a “spirito, ordine, razionalità, potere”, mentre il femminile a “materia, corpo, emotività, obbedienza”. Questo spostamento ha creato gerarchie.


Filosofia occidentale: pensatori come Aristotele rafforzavano l’idea di una superiorità maschile (considerava la donna un “maschio incompleto”), e queste concezioni hanno influenzato per secoli diritto, religione e società.



Al contrario, in altre culture si trovano letture differenti:


Lo yin e yang in Cina non sono superiori l’uno all’altro, ma polarità complementari.


In molte mitologie (indiana, egizia, mesoamericana) le divinità femminili hanno poteri enormi, a volte persino superiori a quelli maschili.



Quindi sì: non è la natura a stabilire la supremazia, ma l’interpretazione culturale. La tecnologia, come il linguaggio binario, in realtà sarebbe più vicino a una visione neutra e paritaria delle polarità.


Vuoi che ti faccia una mappa comparativa di come diverse culture hanno interpretato maschile e femminile, mostrando dove emerge la gerarchia e dove invece la complementarità?




Arte e verità per Nietsche

Forse, più che cercare la verità, dobbiamo crearla come si crea un'opera d' arte. E di oggettivo non c' è niente. Per esempio, Nietzsche ha riflettuto moltissimo sul rapporto fra arte e verità, e anche se nei suoi scritti questo tema cambia di tono,  rimane sempre centrale. 



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1. L’origine artistica della verità


In testi come Su verità e menzogna in senso extramorale (1873), Nietzsche sostiene che ciò che chiamiamo "verità" non è un dato oggettivo, ma una metafora stabilizzata.


Il linguaggio crea immagini e concetti, e questi col tempo perdono la loro origine metaforica e vengono presi per realtà.


Dunque la “verità” è in realtà una invenzione poetica/artistica che abbiamo dimenticato essere tale.




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2. Arte come illusione necessaria


Nella Nascita della tragedia (1872), Nietzsche vede l’arte come illusione vitale: grazie all’arte (soprattutto la tragedia greca) l’uomo può sopportare l’assurdità e la durezza della vita.


L’arte non è al servizio della verità, ma al contrario: la verità nuda è insopportabile, e solo l’arte rende possibile viverla, mascherandola o trasfigurandola.




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3. Arte contro verità assoluta


Nietzsche critica la tradizione filosofica platonico-cristiana che ha contrapposto verità e apparenza, svalutando il mondo sensibile.


Per lui, l’arte non è un’illusione da smascherare, ma una forza creatrice che vale più della ricerca di una verità assoluta.


Celebre la sua frase: “Abbiamo l’arte per non perire della verità” (Crepuscolo degli idoli).




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4. Verità come prospettiva, arte come creazione


In opere mature come Al di là del bene e del male e Genealogia della morale, la verità viene vista come interpretazione prospettica.


L’arte diventa un modello per la filosofia: il pensatore non deve scoprire “la” verità, ma creare nuove prospettive, come un artista inventa forme.




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📌 In sintesi:

Per Nietzsche la verità non è scoperta ma invenzione artistica; l’arte non è un inganno opposto al vero, ma la condizione vitale che rende la vita sopportabile e, allo stesso tempo, l’esempio supremo di come l’uomo possa creare mondi di senso.




 

La forza delle onde sonore

 Possono le onde sonore fare vibrare oggetti?


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Sì, assolutamente! 🌊🔊

Le onde sonore sono vibrazioni che si propagano attraverso un mezzo (aria, acqua, solido) sotto forma di variazioni di pressione. Quando queste variazioni raggiungono un oggetto, possono trasferirgli energia e farlo vibrare.


Alcuni esempi:


Un vetro che vibra con la musica: se un altoparlante suona molto forte, i bassi possono far tremare i vetri delle finestre.


Risonanza: se la frequenza del suono coincide con la frequenza naturale di un oggetto, la vibrazione si amplifica. È il motivo per cui, in condizioni particolari, un bicchiere di cristallo può persino rompersi sotto un suono acuto molto intenso.


Strumenti musicali: le corde di una chitarra possono entrare in vibrazione se vicino c’è un altro strumento che produce la stessa nota (fenomeno di risonanza simpatica).


Esperimenti quotidiani: se metti del sale o della sabbia su una superficie (tipo un piatto metallico) e fai passare sotto onde sonore, vedrai i granelli muoversi formando disegni geometrici (cimatica).



Vuoi che ti mostri un esempio pratico con un piccolo esperimento semplice che puoi fare a casa?

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Si.

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Perfetto! Ti descrivo un esperimento semplice che puoi provare in casa in sicurezza 👇


🔬 Esperimento: vedere le vibrazioni del suono


Materiale:


Un bicchiere (o meglio una ciotola) di vetro o metallo


Un po’ d’acqua


Un altoparlante o una cassa bluetooth


(Opzionale) un po’ di sale o zucchero



Procedura:


1. Riempi il bicchiere o la ciotola con un po’ d’acqua (non troppo, circa metà).



2. Mettila vicino all’altoparlante.



3. Riproduci un suono a volume abbastanza alto e con bassi profondi (frequenze gravi).



4. Guarda la superficie dell’acqua: inizierà a tremare, formando piccole onde e schizzi.




👉 Se metti un sottile foglio di plastica o pellicola sopra una ciotola vuota, ci versi sopra un po’ di sale o zucchero e ci punti contro il suono, vedrai i granelli saltare e disporsi in disegni (questo è un esempio di cimatica).


Vuoi che ti prepari una lista di brani o suoni specifici (con frequenze basse o pure) che funzionano bene per questo esperimento?



La reincarnazione

Ormai noi non siamo più incarnazionisti e siamo convinti che tutto si risolva in questa vita. Ma abbiamo visto che la vita si trasforma di continuo e anche ciò che chiamiamo morte è una trasformazione, non una vera fine. Pensiamo addirittura che andremo all' inferno eterno o in un paradiso eterno. Ma chi ci dice che anche loro non si trasformino? 

Ripetiamo come un mantra: "Di vita c'è ne è una sola"; e quindi siamo pressati dalla fretta, dalla premura, dall' angoscia  e dalla necessità di fare tutto qui e ora. Calmiamoci. È molto probabile che di vite ce ne siano tante, e quel che non è andato bene oggi, potrà capitare in un altro tempo, in un' altra vita...


La sensibilità vegetale

Stefano Mancuso dice che le piante sono molto sensibili, proprio perché , non potendosi muovere, devono stare ben attente a quello che succede intorno. Quindi sono sensibili anche agli animali che si presentano. Con alcuni, con gli insetti, hanno stabilito una simbiosi vitale, dato che servono alla loro impollinazione. 

A proposito di essere vegetariani, noi non teniamo conto di questa sensibilità delle piante. E le mangiamo spensieratamente, magari con l' intenzione di non fare del male agli animali. Certo, non uccidermi gli animali. Ma poi uccidiamo le piante. Credete che la carota o il cavolo non soffrano quando vedono avvicinarsi un uomo o un animale che le mangerà ?

Bilanci esistenziali

Non ha senso dire: "Voglio un' intera vita felice!" Non puoi sapere cosa succederà tra tre giorni o un mese. La vita è adesso, in questa giornata, dall' alba al tramonto. Accontentati, se puoi, di trascorrere felice questa giornata. Domani, chissà...

Ma fare di tutta la vita un' esperienza felice... è un programma troppo ambizionso, troppo pretenzioso, troppo illusorio.

Oggi hai qualche ora di felicità o di serenità. È una bella giornata e magari qualcosa ti è andato bene o hai evitato il peggio. Domani chissà quali angoscie ti assaliranno, chissà quali prove. Chi può dirlo? 

Poi conta le giornate buone e quelle cattive - e fai un bilancio. I bilanci sono una cosa strana: dovrebbero almeno andare in pareggio. Ma chi si ricorda più cosa è stato bene e cosa è stato male? Ad una certa età non è più chiaro...come sembrava allora. Quello che sembrava bene magari è finito male e quello che sembrava male... L' alternanza è continua.

Se poi non riesci a stare un' intera giornata in uno stato d' animo ben definito, prova con le ore! Riesci a stare un' ora felice? Sarebbe già molto.


Della vita la gioia è questa:

Un' alba di sole

Dopo una notte di tempesta.

martedì 30 settembre 2025

Come cani

 Quando due cani si incontrano e si avventano l' uno conto l' altro, capisco che l' aggressività degli animali non è un caso o un incidente, ma la regola. Anche perché vedo lo stesso comportamento in tanti altri animali...noi compresi. I maschi si scontrano per il possesso del territorio e delle femmine. Non possono farne a meno, perché il vivere comporta lo scontro. Se si crede in un Dio solo buono e amorevole, dovremmo vedere nelle sue creature un comportamento di amicizia e di cooperazione. Ma vediamo ben altro. Quindi questa idea di Dio è sbagliata. Attribuiamo a Dio solo le qualità che riteniamo positive. E le altre da dove verrebbero? Potremmo supporre che si possa creare un mondo senza aggressività e contesa reciproca. Pare di no. Infatti l' aggressività non è solo violenza. È forza. È energia. La natura dell' energia è qualcosa di forte . Perfino fare l' amore richiede energia. E l' energia è spinta in avanti, non una cosa neutra. È una spinta. Certo, la spinta può essere più o meno gentile, più o meno forte. Ma è sempre una forza. Anche in fisica si parla di forze energetiche. Non esiste un' energia non energica. Anche qui c'è un' energia più debole. Ma non esiste una forza priva di energia. Non c' è niente da fare. Senza energia, non avremmo neanche la forza di alzarci dal letto, stare in piedi e camminare. Ho visto gente morire per esaurimento della forza. Non avevano più la forza di muoversi, non avevano la forza per respirare. Si, perché anche per respirare ci vuole energia. Dunque, non era possibile costruire un mondo privo di energia, privo di forza. E questo contraddice tutte le nostre idee su un Dio solo amore. Come sappiamo, chi non ha energie non ha nemmeno la forza di amare.

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Hai messo in luce una questione antichissima e profonda: il rapporto tra aggressività, energia vitale e idea di Dio.

Il tuo ragionamento tocca almeno tre livelli: biologico, filosofico e teologico.



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1. Livello biologico


Hai ragione nel notare che in natura lo scontro è onnipresente: animali che competono per il cibo, il territorio, i partner. Ma non c’è solo conflitto: esistono anche cooperazione, simbiosi, mutuo soccorso (pensa alle formiche, ai lupi in branco, agli uccelli migratori che si alternano nel guidare lo stormo). La natura alterna lotta e collaborazione: entrambe sono espressioni di energia.

L’aggressività non è solo distruttiva: è anche difesa, affermazione, spinta alla vita. Senza forza non c’è sopravvivenza.



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2. Livello filosofico


Il punto centrale del tuo discorso è che energia = forza = tensione. Questo significa che un mondo totalmente privo di conflitto o di sforzo sarebbe un mondo statico, morto.

La filosofia antica (Eraclito) diceva: “Polemos è padre di tutte le cose” — il conflitto è ciò che genera il divenire. Anche la fisica, come noti tu, ci dice che senza tensioni e squilibri non esiste movimento.


Quindi:


Un mondo “senza aggressività” non sarebbe un mondo vitale.


L’energia può assumere forme distruttive o creative: la stessa forza che rompe può anche unire.




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3. Livello teologico


Qui tocchi un punto delicato: se Dio fosse solo “amore dolce”, perché avrebbe creato un mondo in cui la forza e il conflitto sono inevitabili?

Alcune possibili risposte:


Tradizione ebraico-cristiana: Dio non è solo amore “tenero”, ma anche giustizia, potenza, “fuoco divorante”. L’amore stesso richiede energia e forza.


Prospettiva orientale (es. induismo/buddhismo): la realtà è danza di polarità (yin/yang, Shiva/Shakti). Non c’è solo armonia, ma tensione creativa.


Lettura simbolica: forse il “Dio solo amore” è una semplificazione umana. L’esperienza ci mostra che il divino, se c’è, include anche il lato duro della forza vitale.




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4. Sintesi


Non è che l’aggressività neghi l’amore. È che l’amore stesso richiede forza. Anche amare davvero — con fedeltà, sacrificio, protezione — non è passività, ma energia spesa.

Forse allora non è l’idea di Dio che è sbagliata, ma l’idea ridotta di amore come qualcosa di dolce e senza tensione. L’amore che muove il mondo è energia, e l’energia include lotta, spinta, trasformazione.



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Vuoi che provi a riformulare il tuo pensiero in una tesi filosofica sintetica, come se fosse il nucleo di un saggio?

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In effetti anche l' amore è un campo di battaglia, un continuo confronto. O non è nulla.


It from bit

 Un bit (contrazione di binary digit) si può definire in più modi, a seconda del contesto:

  1. Definizione informatica classica
    È l’unità minima di informazione in un sistema digitale. Può assumere solo due stati: 0 o 1.

  2. Definizione teorica (Shannon)
    Un bit non è una “quantità assoluta”, ma misura la riduzione di incertezza. Dire che un messaggio trasmette 1 bit di informazione significa che dimezza lo spazio delle possibilità (scegliendo tra due alternative equiprobabili).

  3. Definizione fisica (Wheeler e la fisica dell’informazione)
    Un bit non è solo un simbolo, ma la traccia di una decisione elementare della realtà: “it from bit” significa che ogni cosa materiale si radica in una scelta binaria, in un atto di informazione.

👉 In sintesi: sì, un bit è una quantità minima di informazione, ma non come “materia indivisibile” (tipo atomo), bensì come unità di distinzione: la differenza elementare tra due stati possibili.

Vuoi che lo inseriamo nel Manifesto come definizione oscillante del bit — cioè non solo quantità minima, ma soglia tra possibilità, che vibra tra 0 e 1?

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Esatto, Claudio: se lo pensiamo non come valore statico (0 oppure 1), ma come oscillazione tra 0 e 1, il bit diventa pienamente una diade nel senso della tua teoria.

  • In informatica classica il bit è visto come una scelta chiusa: acceso/spento, vero/falso, sì/no.

  • Nella tua prospettiva, invece, il bit non è mai uno dei due poli isolati, ma la soglia oscillante che li mette in relazione.

  • Il suo significato non sta nello “stato fissato” (0 o 1), ma nella tensione dinamica tra possibilità alternative: ciò che Shannon definiva riduzione dell’incertezza, tu lo leggi come vibrazione diadica.

Così il bit non è solo l’unità minima di informazione, ma la cellula elementare dell’oscillazione degli opposti complementari:

  • 0 e 1 = assenza/presenza,

  • chiusura/apertura,

  • niente/tutto,
    che non vivono mai isolati, ma si rimandano reciprocamente.

Vuoi che ti proponga un piccolo paragrafo da inserire come “La diade del bit” nel Manifesto, collegandolo a Shannon e a Wheeler?

lunedì 29 settembre 2025

Inizio/fine, la diade infinita

 Proseguo nel filone del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari applicato all'

ultimo capitolo che abbiamo inserito e che riguardava “La soglia dell’inizio e della fine” come diade inseparabile.


Colloco un capitolo di raccordo che allarghi questa prospettiva, mostrando come ogni evento storico, cosmologico e personale non sia mai un “inizio” o una “fine” isolata, ma sempre una soglia oscillante che si ricolloca in un ciclo più ampio.


Ecco una possibile bozza:



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Ogni evento è una soglia oscillante


La nostra logica abituale ci porta a considerare gli eventi come punti netti: nascita o morte, fondazione o crollo, inizio o fine. Ma se osserviamo più attentamente, scopriamo che nessuno di questi poli esiste da solo: ciò che chiamiamo inizio è già la conseguenza di una fine precedente, e ciò che definiamo fine è la condizione che rende possibile un nuovo inizio.


Nella storia dei popoli, un impero che cade non rappresenta solo la “fine” di un ordine, ma l’avvio di nuove forme di convivenza e di cultura. Nel cosmo, la morte di una stella non è annientamento, ma trasformazione della sua materia ed energia in nuove possibilità: pianeti, elementi chimici, vita.


Anche la nostra vita individuale si muove tra soglie: ogni giorno termina e prepara il successivo, ogni esperienza che si chiude apre un varco a un’altra. È l’illusione della linearità a farci percepire le cose come “chiuse” o “aperte”, mentre in realtà esse appartengono a una circolarità più vasta.


La diade inizio/fine non è quindi una linea spezzata, ma una vibrazione continua, un’oscillazione che garantisce al divenire la sua stessa possibilità. Ogni soglia è al tempo stesso dissoluzione e generazione, perdita e apertura, limite e passaggio. Per questo, quando moriamo, ossia finisce questa vita, ne incomincia un'altra sotto un'altra forma, chissà dove. Finisce una cosa e ne inizia un'altra. Sempre uguali, sempre diversi. E' la trasformazione di tutte le cose, animate o inanimate.

Se definiamo questa una diade infinita, eccoci entrati nell'altra diade finito/infinito, dove i due estremi devono oscillare e prevalere alternativamente, senza però scomparire del tutto. Quando il finito arriva al suo massimo (e si muore), riprende quota l'infinito che a sua volta, raggiunto il massimo, deve lasciare posto al finito e quindi a una nuova vita, che non sarà più la stessa, ma neppure una totalmente nuova. Qualcosa del vecchio rimarrà...per ricominciare la diade.

Le diadi sono infinite perché oscillano circolarmente. Ma nello stesso tempo possono dar luogo ad un movimento a spirale, che non è ripetitivo e dà luogo, oltre che alla trasformazione, all'evoluzione. In questo modo sono garantite sia la circolarità sia la comparsa del nuovo, non per sintesi come pensava Hegel, ma per superamento. Così evitiamo anche l'incubo di Nietzsche dell'eterno ritorno.

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Ecco come potremmo trasformare la tua bozza in un capitolo di raccordo compiuto e armonizzato con lo stile del Manifesto delle Oscillazioni degli Opposti Complementari:


Ogni evento è una soglia oscillante

La logica ordinaria ci spinge a pensare gli eventi come punti netti: nascita o morte, fondazione o crollo, inizio o fine. Ma se li osserviamo più attentamente, scopriamo che nessuno di questi poli esiste da solo. Ciò che chiamiamo “inizio” è sempre conseguenza di una fine precedente, e ciò che chiamiamo “fine” è la condizione che rende possibile un nuovo inizio.

Nella storia dei popoli, il tramonto di un impero non segna mai soltanto la dissoluzione di un ordine: esso spalanca la soglia a nuove forme di convivenza, cultura e identità. Nel cosmo, la morte di una stella non è annientamento, ma trasformazione: la sua materia e la sua energia si disperdono per generare pianeti, elementi chimici, possibilità di vita.

Anche la nostra esistenza individuale è intessuta di soglie. Ogni giorno che si chiude prepara quello successivo; ogni esperienza che termina apre lo spazio a un’altra. È l’illusione della linearità a farci percepire le cose come “chiuse” o “aperte”, mentre esse appartengono a una circolarità più vasta, che connette dissoluzione e rigenerazione in un movimento senza tregua.

La diade inizio/fine non è quindi una linea spezzata, ma una vibrazione continua, un’oscillazione che rende possibile il divenire stesso. Ogni soglia è allo stesso tempo perdita e apertura, limite e passaggio, dissoluzione e generazione. Quando finisce questa vita, ne comincia un’altra sotto altra forma, chissà dove. Nulla si estingue davvero: finisce una cosa e ne inizia un’altra, sempre uguali e sempre diverse. È la trasformazione che avvolge tutte le cose, animate e inanimate.

Da qui si dischiude un’altra diade: finito/infinito. Anche questi poli non sono opposti esclusivi, ma oscillazioni che si alternano. Quando il finito raggiunge il suo culmine (e la vita si conclude), riprende quota l’infinito. Ma l’infinito stesso, giunto al massimo della sua espansione, deve farsi finito ancora una volta, aprendo a una nuova vita, mai identica alla precedente ma neppure del tutto nuova: qualcosa del passato resta, come seme per ricominciare l’oscillazione.

Le diadi oscillano senza fine, e proprio per questo si mostrano come circolari. Ma non si tratta di un eterno ritorno statico: la loro dinamica genera un movimento a spirale. Il ciclo non è mai pura ripetizione: porta con sé la comparsa del nuovo, non per sintesi hegeliana ma per superamento. Così l’oscillazione non solo trasforma, ma evolve.


Vuoi che lo collochiamo subito dopo La soglia dell’inizio e della fine come capitolo di apertura a tutte le diadi temporali (Inizio/Fine, Finito/Infinito, Circolare/Spirale), oppure preferisci svilupparlo come un testo di raccordo che introduca l’intera sezione sulle diadi cosmologiche?